La “piena conoscenza”

Consiglio di Stato, Sezione seconda, Sentenza 29 gennaio 2020, n. 742.

La massima estrapolata:

La “piena conoscenza”, ai fini della decorrenza del termine di impugnazione di un titolo edilizio rilasciato a terzi viene individuata nel momento in cui i lavori hanno avuto inizio nel caso si contesti in radice l’edificabilità dell’area, mentre per le altre censure con la conoscenza cartolare del titolo e dei suoi allegati progettuali o, in alternativa, dal completamento dei lavori, che disveli in modo certo e univoco le caratteristiche essenziali dell’opera, l’eventuale non conformità della stessa rispetto alla disciplina urbanistica, l’incidenza effettiva sulla posizione giuridica del terzo.

Sentenza 29 gennaio 2020, n. 742

Data udienza 26 novembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4366 del 2009, proposto dal
signor Pa. Be., rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Lo. e Da. An., domiciliato presso la Segreteria Sezionale del Consiglio di Stato in Roma, piazza (…);
contro
Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato An. Gi. Or., con domicilio eletto presso lo studio Pl. in Roma, via (…);
signor Fr. Lo., rappresentato e difeso dall’avvocato An. Fe. Be. Ma., con domicilio eletto presso l’avv. An. De An. in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Sezione Terza n. 642/2009, resa tra le parti, concernente l’impugnativa dei permessi di costruire n. 125/2007 e n. 86/2008 per la ristrutturazione del fabbricato sito nel Comune di (omissis) in Corso (omissis)
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis) e del signor Fr. Lo.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 novembre 2019 il Cons. Cecilia Altavista e udito per le parti l’avvocato Al. Bo.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue

FATTO

Il Comune di (omissis) il 24 dicembre 2007 rilasciava al signor Fr. Lo. un permesso di costruire, il n. 125/07, per la ristrutturazione del fabbricato sito in Corso (omissis) n. (omissis). Il progetto allegato prevedeva oltre alla realizzazione di una scala e dell’ascensore; al primo piano la sopraelevazione su un terrazzo esistente con realizzazione di locali abitabili, la demolizione e ricostruzione di un locale fatiscente; alcune modifiche ai piani secondo e terzo.
Avverso tale permesso di costruire proponeva ricorso davanti al Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sede di Bari, il signor Pa. Be., proprietario dell’immobile sito al numero 23-25 di Corso (omissis), deducendo che i relativi lavori stavano compromettendo la staticità del proprio immobile, nonché la violazione degli artt. 12 e13 del D.P.R. 380/01, per la violazione del regolamento edilizio comunale, ricadendo l’immobile in questione nella zona A nella quale, ai sensi del regolamento edilizio, non avrebbero potuto essere effettuati interventi di ristrutturazione, ma solo di manutenzione ordinaria, straordinaria e di restauro e risanamento conservativo; la violazione dell’art. 3 del D.P.R. 380 del 2001, in quanto le opere in progetto sarebbero comunque più ampie di una semplice ristrutturazione e quindi avrebbero dovuto essere qualificate come nuova costruzione; la violazione art. 90 del D.P.R. 380 del 2001 per la sopraelevazione sul terrazzo, che avrebbe leso, inoltre, il suo diritto di veduta.
Il Tribunale amministrativo accoglieva la domanda cautelare ai fini del riesame, che è stato effettuato dal Comune con il rilascio di un nuovo permesso di costruire, n. 86 del 1 settembre 2008, a seguito della presentazione di un nuovo progetto, il 29 luglio 2008; il permesso di costruire del 1 settembre 2008 è stato comunicato al ricorrente il 17 settembre 2008.
In data 22 settembre 2008, il signor Be. chiedeva l’accesso agli elaborati progettuali allegati al permesso di costruire che gli venivano rilasciati il 16 ottobre 2008.
Il nuovo progetto prevedeva la realizzazione di una scala con annessa ascensore; la sopraelevazione al primo piano su un terrazzo esistente con realizzazione di locali abitabili; la demolizione e ricostruzione di un vano esistente senza aumento di volumetria; modifiche all’interno del secondo e del terzo piano; rispetto al precedente progetto era espressamente indicata la realizzazione di un “pozzo luce”.
Avverso il nuovo titolo edilizio sono stati proposti motivi aggiunti, inviati alla notifica il 19 novembre 2008, riproponendo in parte le medesime censure del ricorso introduttivo, anche relative alla collocazione dell’immobile in zona A, ma, altresì, con riferimento alla destinazione dello stesso immobile in zona B 4, emersa dalle difese delle controparti in giudizio, deducendo che sarebbe stata ammissibile solo la ristrutturazione parziale, da cui comunque esorbiterebbero le opere realizzate, in quanto dagli elaborati progettuali risultavano modifiche di sagoma, volumetria e di altezza; ha riproposto la censura di violazione dell’art. 90 del D.P.R. 380 del 2001; ha proposto una nuova censura con riferimento alla violazione dell’art. 65 del D.P.R. n. 380 del 2001 per la mancata denuncia al genio civile per opere in cemento armato; nonché ha insistito nella censura relativa alla violazione del suo diritto di veduta.
La sentenza di primo grado ha dichiarato improcedibile l’impugnativa del permesso di costruire del 24 dicembre 2007 e ha dichiarato i motivi aggiunti irricevibili per tardività e inammissibili per carenza di mandato, in quanto il mandato originario non prevedeva espressamente anche i motivi aggiunti.
La sentenza è stata impugnata con il presente atto di appello contestando, con il primo motivo di appello, la declaratoria di improcedibilità del ricorso introduttivo, sostenendo che il permesso di costruire del 1 settembre 2008 sarebbe meramente confermativo del precedente; con riferimento alla inammissibilità dei motivi aggiunti si è dedotto, con il secondo motivo di appello, che nel mandato rientrava comunque il potere di presentare motivi aggiunti; quanto alla tardività è stato rilevato di avere consultato gli elaborati progettuali a seguito della domanda di accesso solo il 16 ottobre 2008 e che dalla comunicazione del 17 settembre 2008 non fosse possibile comprendere il contenuto del nuovo titolo edilizio.
Nel merito è stato chiesto l’accoglimento del ricorso e dei motivi aggiunti in primo grado, riportati nell’atto di appello, ma senza alcuna espressa riproposizione dei motivi non esaminati dal giudice di primo grado, essendo stati solo trascritti nell’atto di appello il ricorso e i motivi aggiunti del primo grado.
Si sono costituiti il Comune di (omissis) e il signor Lo. che hanno contestato la fondatezza dell’appello.
All’udienza pubblica del 26 novembre 2019 l’appello è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

Con riferimento al primo motivo di appello non può che essere confermata la sentenza impugnata, che ha ritenuto improcedibile il ricorso introduttivo proposto avverso il permesso di costruire rilasciato il 24 dicembre 2007.
Tale titolo edilizio, infatti, è stato comunque sostituito dal titolo edilizio rilasciato il 1 settembre 2008, che è stato, inoltre, rilasciato a seguito di una nuova valutazione da parte dell’Amministrazione, effettuata a seguito dell’accoglimento cautelare ai fini del riesame disposto dal Tribunale amministrativo.
Per la costante giurisprudenza di questo Consiglio, in via generale, la dichiarazione di improcedibilità della domanda per sopravvenuta carenza di interesse presuppone il verificarsi di una situazione di fatto o di diritto del tutto nuova rispetto a quella esistente al momento della proposizione del ricorso, tale da rendere certa e definitiva l’inutilità della sentenza, per avere fatto venire meno per il ricorrente l’utilità della pronuncia del giudice (Cons. Stato, III, 13 settembre 2019, n. 6164; VI, 27 giugno 2019, n. 4430; 20 giugno 2019, n. 4204; 19 giugno 2019, n. 4153).
In particolare, il provvedimento amministrativo di conferma di un atto impugnato in sede giurisdizionale, anche se frutto di un riesame non spontaneo, ma indotto da un’ordinanza cautelare del giudice amministrativo, riflette nuove valutazioni dell’amministrazione e implica il definitivo superamento di quelle poste a base del provvedimento confermato, sicché il ricorrente non conserva più interesse alla coltivazione dell’impugnativa proposta avverso tale ultimo provvedimento, non potendo conseguire alcuna utilità da un eventuale esito favorevole della stessa, ciò perché il rapporto giuridico sottostante è stato sottoposto a una totale rimeditazione che ha fatto venire meno gli effetti dell’originario provvedimento (Cons. Stato, Sez. V, 22 ottobre 2019, n. 7156; id, 5 dicembre 2014, n. 6014, Sez. IV, 22 dicembre 2014 n. 6265; Sez. III, 9 luglio 2014, n. 3491; id. 2 settembre 2013, n. 4358).
Applicando tali consolidati orientamenti giurisprudenziali è evidente che, nel caso di specie, l’interesse alla impugnazione si sia trasferito al secondo permesso di costruire, in quanto prescindendo dall’esame degli elaborato grafici allegati al primo e al secondo titolo edilizio, l’amministrazione comunale ha comunque riaperto il procedimento a seguito dell’ordinanza cautelare del Tribunale e a seguito della presentazione di un nuovo progetto il 29 luglio 2008, mentre la realizzazione dell’opera risulta ormai assentita solo dal secondo permesso di costruire.
La sentenza deve essere dunque integralmente confermata con riferimento alla improcedibilità del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.
Con riferimento al secondo motivo di appello, relativo alla declaratoria di inammissibilità deli motivi aggiunti per la mancata espressa previsione nella procura del ricorso di primo grado della possibilità di presentare motivi aggiunti, ritiene il Collegio che la questione debba essere valutata alla luce della disposizione dell’art. 24 del codice del processo amministrativo, per cui “la procura rilasciata per agire e contraddire davanti al giudice si intende conferita anche per proporre motivi aggiunti e ricorso incidentale, salvo che in essa sia diversamente disposto”.
Tale disposizione, entrata in vigore successivamente alla conclusione del giudizio di primo grado, è considerata espressione di un principio generale e finalizzata proprio a risolvere i dubbi interpretativi sulla proponibilità dei motivi aggiunti anche in assenza di procura alle liti distinta rispetto a quella contenuta nel ricorso introduttivo (Cons. Stato Sez. V, 12 novembre 2013, n. 5375). Pertanto, ritiene il Collegio di poterne fare comunque applicazione nel caso di specie (cfr. per l’applicazione a giudizi anteriori alla entrata in vigore del c.p.a. Cons. Stato Sez. IV, 11 novembre 2011, n. 5985).
Con l’ulteriore motivo si contesta, altresì, la declaratoria di irricevibilità dei motivi aggiunti per tardività, deducendo di avere esercitato il diritto di accesso solo il 16 ottobre 2008 e che solo a tale data ci sarebbe stata la “piena conoscenza” dei vizi anche del secondo titolo edilizio.
Come è noto, in base alla consolidata giurisprudenza, la “piena conoscenza”, ai fini della decorrenza del termine di impugnazione di un titolo edilizio rilasciato a terzi viene individuata nel momento in cui i lavori hanno avuto inizio nel caso si contesti in radice l’edificabilità dell’area, mentre per le altre censure con la conoscenza cartolare del titolo e dei suoi allegati progettuali o, in alternativa, dal completamento dei lavori, che disveli in modo certo e univoco le caratteristiche essenziali dell’opera, l’eventuale non conformità della stessa rispetto alla disciplina urbanistica, l’incidenza effettiva sulla posizione giuridica del terzo (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., 29 luglio 2011, n. 15; Sez. VI, 16 settembre 2011, n. 5170; Sez. V n. 3777 del 27 giugno 2012; Sez. IV, 10 giugno 2014, n. 2959).
La giurisprudenza, inoltre, ha cercato un punto di equilibrio tra i menzionati principi e quello della certezza degli atti amministrativi affermando, ad esempio, che il ricorrente non possa attendere il completamento dell’opera omettendo di esercitare il diritto di accesso.
Nel sistema delle tutele, il diritto di accesso e le modalità del suo esercizio, in mancanza di una completa ed esaustiva conoscenza del provvedimento, costituiscono fattori che, così come il completamento dei lavori ed il tipo dei vizi deducibili in relazione a tale completamento, concorrono ad individuare, con riferimento al caso concreto, il punto di equilibrio tra i principi di effettività e satisfattività da una parte, e quelli di certezza delle situazioni giuridiche e legittimo affidamento dall’altra. Infatti, il principio di trasparenza, sostanzia e rende effettiva la tutela del terzo attraverso il diritto alla piena conoscenza della documentazione amministrativa, ma tale diritto rimane uno strumento che il terzo ha l’onere di attivare non appena abbia contezza od anche il ragionevole sospetto che l’attività materiale pregiudizievole, che si compie sotto i suoi occhi, sia sorretta da un titolo amministrativo abilitante, non conosciuto o non conosciuto sufficientemente (Cons. Stato, Sez. IV, 21 gennaio 2013, n. 322). Infatti, se da un lato deve essere assicurata al vicino la tutela in sede giurisdizionale dei propri interessi nei confronti di un intervento edilizio ritenuto illegittimo, dall’altro lato deve parimenti essere salvaguardato l’interesse del titolare del permesso di costruire a che l’esercizio di detta tutela venga attivato senza indugio e non irragionevolmente o colposamente differito nel tempo, determinando una situazione di incertezza delle situazioni giuridiche in contrasto con gli evidenziati principi ordinamentali mentre chi intende contestare adeguatamente un titolo edilizio ha l’onere di esercitare sollecitamente l’accesso documentale (Cons. Stato, Sez. II, 26 giugno 2019, n. 4390).
Tali consolidati orientamenti, nel caso di specie, devono essere letti alla luce della circostanza che l’impugnazione proposta con i motivi aggiunti riguarda un titolo emesso a seguito di una ordinanza di riesame; pertanto, di per sé l’avvenuto rilascio del titolo, in mancanza della conoscenza dei relativi elaborati, non dava contezza alla parte della effettiva lesione della propria situazione giuridica; poteva, dunque, solo comportare l’onere di accedere agli atti al fine di verificare l’effettivo progetto allegato. In effetti, dalla comunicazione ricevuta il 17 settembre 2008 e dal permesso di costruire del 1 settembre 2008, che facevano riferimento all’adeguamento alla ordinanza cautelare del Tribunale amministrativo, non si potevano rilevare i vizi denunciati, di cui la parte ha avuto effettiva conoscenza solo al momento della visione degli elaborati, il 16 ottobre 2008.
Se quindi, secondo la giurisprudenza, il terzo non può essere considerato libero di decidere, se e quando accedere agli atti, in funzione della tutela delle esigenze di certezza dell’ordinamento, dovendo attivarsi anche per conoscere gli elaborati progettuali al più presto, nel caso di specie, si deve ritenere la tempestività dei motivi aggiunti, considerato che la domanda di accesso è stata presentata il 22 settembre 2008, pochissimi giorni dopo la conoscenza del rilascio del permesso di costruire, acquisita il 17 settembre 2008, che l’accesso è avvenuto il 16 ottobre 2008, mentre il ricorso è stato inviato alla notifica il 19 novembre 2008.
Peraltro, i motivi aggiunti proposti in primo grado (non espressamente riproposti con l’atto di appello ma solo con la trascrizione degli atti di primo grado), prescindendo dalla valutazione della genericità degli stessi, sono comunque infondati.
Con la prima censura dei motivi aggiunti era stato riproposto il motivo del ricorso di primo grado relativo alla violazione degli art. 12 e 13 del D.P.R. 380 del 2001, in quanto il titolo edilizio sarebbe stato rilasciato in contrasto con le norme urbanistiche comunali, non essendo ammessa la ristrutturazione edilizia in zona A.
Tale censura, in parte modificata nei motivi aggiunti, è comunque infondata, in quanto risulta dagli atti depositati nel giudizio di primo grado, in particolare dal certificato di destinazione urbanistica, che l’immobile in questione era situato in zona B per cui erano consentite la manutenzione ordinaria e straordinaria, il restauro e la ristrutturazione edilizia.
Peraltro, nei motivi aggiunti, è stato, altresì, dedotto che l’immobile rientrerebbe nella zona B 4, in area “con edificazione di qualità ambientale” per cui non sarebbe ammesso il tipo di ristrutturazione progettato nel caso di specie, essendo ammessa solo una ristrutturazione “parziale”.
Tale censura, non ulteriormente specificata in fatto ed in diritto, appare generica, non essendo neppure indicata la relativa NTA né gli specifici limiti alla ristrutturazione previsti per tale ambito.
In ogni caso, tale censura come riproposta nei motivi aggiunti è infondata in relazione alla nozione di ristrutturazione edilizia prevista nel T.U. dell’edilizia.
Infatti, ai sensi dell’art. 3 del D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, nel testo vigente al momento di adozione del permesso di costruire il 1 settembre 2008, gli interventi di ristrutturazione edilizia sono “gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica”. In base all’art. 10 comma 1 lettera c) del D.P.R. 380 del 2001, è richiesto il permesso di costruire per “gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso” (testo vigente al 1 settembre 2008, data di rilascio del permesso di costruire impugnato).
Sulla base di tale differente disciplina la giurisprudenza ha individuato due ipotesi di ristrutturazione edilizia: la ristrutturazione edilizia cd. “conservativa”, che può comportare anche l’inserimento di nuovi volumi o modifica della sagoma; la ristrutturazione edilizia cd. “ricostruttiva”, attuata mediante demolizione, anche parziale, e ricostruzione, che deve rispettare il volume e la sagoma dell’edificio preesistente, con la conseguenza che, in difetto, viene a configurarsi una nuova costruzione. Tra la norma, che definisce la ristrutturazione edilizia, e quella relativa agli interventi soggetti a concessione edilizia, non vi è contraddizione, poiché il legislatore nazionale – a fronte delle due tipologie di ristrutturazione edilizia – non ha affatto escluso che quest’ultima possa comportare anche modifiche di volume o di sagoma, ma ha escluso che possano aversi queste ultime modifiche nel caso di ristrutturazione caratterizzata da demolizione e successiva ricostruzione del fabbricato, in cui è richiesta la ricostruzione di un fabbricato identico per sagoma e volume (cfr. Cons. Stato Sez. IV, 20 aprile 2017, n. 1847; id. 2 febbraio 2017, n. 443).
Ne deriva che la ristrutturazione edilizia senza demolizione e ricostruzione non deve necessariamente rispettare l’originaria sagoma e volume del fabbricato, potendo essere inseriti nuovi volumi o modifiche della sagoma che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente.
Nel caso di specie, essendo ammessa nella zona ove è posto l’immobile la ristrutturazione edilizia ed ammettendo questa nuovi volumi e modifiche della sagoma, le censure relative alla violazione dell’art. 3 del D.P.R. 380 del 2001, proposte sostenendo che le opere in progetto esulassero dalla nozione di ristrutturazione edilizia, in quanto sono stati variati l’altezza e il volume dell’edificio, sono dunque infondate.
Altresì, infondata, è la censura relativa alla violazione dell’art. 90 del D.P.R. 380 del 2001, in quanto non sarebbe stata presentata la certificazione del competente ufficio regionale prevista da tale disposizione in caso di sopraelevazione.
Ai sensi dell’art. 90 del T.U. dell’edilizia “è consentita, nel rispetto degli strumenti urbanistici vigenti:
a) la sopraelevazione di un piano negli edifici in muratura, purché nel complesso la costruzione risponda alle prescrizioni di cui al presente capo;
b) la sopraelevazione di edifici in cemento armato normale e precompresso, in acciaio o a pannelli portanti, purché il complesso della struttura sia conforme alle norme del presente testo unico.
2. L’autorizzazione è consentita previa certificazione del competente ufficio tecnico regionale che specifichi il numero massimo di piani che è possibile realizzare in sopraelevazione e l’idoneità della struttura esistente a sopportare il nuovo carico”.
La disposizione dell’art. 90 riguarda le modalità generali di costruzione in zone sismiche.
La funzione della certificazione è considerata quella di attestare, prima del rilascio del titolo abilitativo edilizio da parte del Comune, l’idoneità della struttura “a sopportare” il nuovo carico.
Poiché tale verifica potrebbe avere anche carattere negativo e prevedere che nessun ulteriore piano sia in concreto realizzabile, la recente giurisprudenza di questo Consiglio si è espressa nel senso che tale verifica debba essere effettuata anche per le strutture in muratura, in relazione alle quali la sopraelevazione è potenzialmente ammessa, per ragioni di precauzione, nei soli limiti di un piano. In altri termini, la certificazione che individua il numero massimo di piani realizzabili serve in primis per verificare se vi siano piani realizzabili, e quindi se l’unico piano astrattamente consentito per le strutture in muratura sia in concreto assentibile in base alle effettive condizioni statiche dell’edificio da sopraelevare (Cons. Stato Sez. IV, 21 ottobre 2019, n. 7151).
Peraltro, nel caso di specie, dal progetto non risulta una “sopraelevazione” di un piano dell’edificio rilevante ai sensi dell’art. 90; infatti, non è previsto “l’innalzamento” di un piano dell’edificio in muratura, ma la chiusura di un terrazzo, posto in un piano già esistente (il primo piano) di un edificio già di complessivi tre piani oltre il piano terra.
Da tale situazione dei luoghi, deriva che non si possa ravvisare la sopraelevazione considerata dalla disposizione invocata, che si riferisce non ad un generico aumento di volumetria o alla sopraelevazione anche parziale di un piano (con la copertura, come nel caso di specie, di parti scoperte dell’edificio), ma, specificamente, per gli edifici in muratura, “alla sopraelevazione di un piano”, per gli edifici in cemento armato normale e precompresso alla sopraelevazione anche di più piani.
Sostiene ancora la parte appellante la violazione dell’art. 65 del T.U. dell’edilizia in quanto non sarebbe stata presentata la denuncia prevista per le opere in conglomerato cementizio.
Nella memoria difensiva la difesa del controinteressato odierno appellato ha dedotto di avere presentato il 12 ottobre 2010 (prot. n. 89826) la denuncia all’assessorato alle opere pubbliche della Regione Puglia, ai sensi dell’art. 93 del T.U. edilizia, per i lavori in zona sismiche; nonché che il 19 ottobre 2010 la Regione aveva comunicato al Comune l’avvenuto deposito degli atti per la realizzazione di opere di conglomerato cementizio armato, normale e precompresso ed a struttura metallica.
Sul punto non vi è stata alcuna contestazione in fatto.
Peraltro, con riferimento alla dedotta violazione dell’art. 65, si tratta di adempimento che deve essere effettuato dal costruttore prima dell’avvio dei lavori e non influisce sulla legittimità del titolo edilizio.
Lamenta, infine, l’appellante nei motivi aggiunti proposti in primo grado la violazione del suo diritto di veduta in quanto nel progetto allegato anche al secondo permesso di costruire non risulterebbe una finestra della sua proprietà .
Ritiene il Collegio la irrilevanza rispetto al presente giudizio di tale censura proposta nei motivi aggiunti solo con riferimento alla mancata rappresentazione nel progetto della finestra e non a specifici profili di illegittimità del titolo edilizio, anche considerato che il progetto presentato il 29 luglio 2008 risulta modificato per quanto riguarda la realizzazione del “pozzo luce” e su tale circostanza non vi è alcuna specifica deduzione nei motivi aggiunti.
In ogni caso, dalle fotografie depositate agli atti del giudizio di primo grado risulta che la detta finestra fosse collocata già al di sotto del muro antistante e quindi con affaccio in un cavedio chiuso, con esclusione quindi del dedotto diritto di veduta (salve le eventuali azioni proponibili davanti al giudice ordinario).
L’infondatezza dei motivi aggiunti proposti in primo grado comporta comunque la loro reiezione, con infondatezza dell’appello proposto.
In considerazione della particolarità delle questioni sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese processuali.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 novembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Giulio Castriota Scanderbeg – Presidente
Giancarlo Luttazi – Consigliere
Francesco Frigida – Consigliere
Cecilia Altavista – Consigliere, Estensore
Carla Ciuffetti – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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