La piena conoscenza del titolo edilizio

Consiglio di Stato, Sentenza|18 dicembre 2020| n. 8149.

La piena conoscenza del titolo edilizio, individuata dall’art. 41, comma 2, c.p.a., quale momento da cui decorre il termine per impugnare, richiede non la conoscenza piena e integrale dell’atto stesso, ma la mera percezione della sua esistenza e degli aspetti che ne comportano la lesività, in modo da rendere riconoscibile per il ricorrente l’attualità dell’interesse ad agire.

Sentenza|18 dicembre 2020| n. 8149

Data udienza 8 ottobre 2020

Integrale

Tag – parola chiave: Interventi edilizi – Permesso di costruire – Impugnative – Piena conoscenza del titolo edilizio – Configurabilità – Art. 41 comma 32 cpa – Applicazione

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello numero di registro generale 575 del 2017, proposto dal signor Je. Lo., rappresentato e difeso dagli avvocati Pa. Ca., Em. Fa. e St. Fa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
la signora Co. Br., rappresentata e difesa dagli avvocati Gi. Ge. e Gi. Ca. Di Gi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
il Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ro. Da. e Si. Vi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

sul ricorso in appello numero di registro generale 1105 del 2017, proposto dal Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ro. Da. e Si. Vi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
la signora Co. Br., non costituita in giudizio;
nei confronti
il signor Je. Lo., rappresentato e difeso dagli avvocati Pa. Ca., Di. Da. e St. Fa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
con entrambi i ricorsi n. 575 e n. 1105 del 2017:
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Liguria, sede di Genova, sezione prima, n. 1231 del 13 dicembre 2016, resa tra le parti, concernente il rilascio di un permesso di costruire.
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio, nel ricorso 575/2017, della signora Co. Br. e del Comune di (omissis) e, nel ricorso 1105/2017, del signor Je. Lo.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 8 ottobre 2020 il consigliere Nicola D’Angelo;
Nessuno presente per le parti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. La signora Co. Br., in qualità di proprietaria di un immobile limitrofo rispetto a quello oggetto di intervento, ha impugnato il permesso di costruzione n. 6/2014 rilasciato dal Comune di (omissis) al signor Je. Lo. per la sopraelevazione ed all’ampliamento del suo fabbricato.
1.1. Nel ricorso la signora Br. ha, in particolare, sostenuto che il titolo edilizio era stato rilasciato in violazione dell’art. 20 del DPR n. 380/2001 (di seguito testo unico dell’edilizia) e dell’art. 34 della legge regionale della Liguria n. 16/2008 (in sostanza, era stato assentito un ampliamento nella parte est del fabbricato in contrasto con la scheda N del PUC che lo consentiva solo nella parte ovest).
1.2. Lo stesso intervento, come nuovo volume, si sarebbe poi posto in contrasto con l’art. 9 del DM 1444/1968 sulle distanze minime e con le norme del PUC sulla distanza minima di cinque metri dalle strade.
1.3. Infine, sarebbero stati violati gli artt. 17 della legge regionale n. 16/2008 e 817 c.c. in ordine al nesso di pertinenzialità (essendo stati previsti locali pertinenziali di 50 mq in relazione ad un immobile di 80 mq) e vi sarebbe stata una violazione dell’art. 20 del DPR 380/2001 e dell’art. 19 della legge regionale n. 16/2008 anche in relazione al locale Regolamento Edilizio, oltre che sul difetto di istruttoria e di motivazione.
2. Il Tar di Genova, con la sentenza indicata in epigrafe, dopo avere respinto le eccezioni di difetto di interesse e di tempestività formulate dalle difese resistenti, ha accolto il ricorso.
2.1. Lo stesso Tribunale ha ritenuto fondato il primo motivo di ricorso relativo all’ampliamento assentito nella parte est del fabbricato, il secondo motivo sulla violazione delle distanze minime di cui al DM n. 1444/1968, il quarto motivo sul nesso di pertinenzialità e il quinto motivo sulla violazione dell’art. 20 del DPR 380/2001 e dell’art. 19 della legge regionale n. 16/2008 in relazione al locale Regolamento Edilizio Comunale.
3. Contro la suddetta sentenza hanno proposto due autonomi appelli il signor Je. Lo. (n. 575/2017) e il Comune di (omissis) (n. 1105/2017).
4. In particolare, nell’appello proposto dal signor Lorenzoni sono stati prospettati, dopo un generale richiamo alle incompletezze ed alle incongruità della sentenza, i seguenti specifici motivi di censura.
4.1. Infondato rigetto dell’eccepita decadenza della ricorrente dalla possibilità di proporre il suo ricorso per le seguenti ragioni:
a) erronea valutazione delle norme in materia di tempestiva proposizione del ricorso amministrativo, fondata anche su un’erronea, parziale e/o falsa interpretazione dei precedenti giurisprudenziali in materia;
b) omessa considerazione degli elementi di fatto dedotti dal controinteressato al fine di dimostrare la tardività del ricorso e, quindi, la sua improcedibilità ;
c) mancata ammissione ad esperimento dei mezzi istruttori dedotti dal controinteressato allo scopo di integrare la prova per presunzioni già fornita in ordine alla tardività del ricorso, ed omessa motivazione in ordine a tale mancata ammissione;
d) manifesta contraddittorietà intrinseca tra differenti capi della stessa pronuncia;
e) mancato accoglimento dei rilievi proposti dal controinteressato in ordine all’esistenza di un preciso onere della ricorrente di accertare tempestivamente il contenuto del provvedimento autorizzativo concesso dal Comune di (omissis) allo scopo di verificarne la natura e l’oggetto, quanto meno dopo l’inizio dei lavori oggetto del provvedimento stesso, onde rispettare il termine di decadenza stabilito dalla legge per la tempestiva proposizione del ricorso.
4.1.1. Il Tar ha ritenuto di respingere l’eccezione di tardività del ricorso proposta anche dal Comune di (omissis) affermando che “nel processo amministrativo il termine per impugnare il permesso di costruzione edilizia decorre della piena conoscenza del provvedimento, che si intende avvenuta al completamento dei lavori a meno che non sia data prova di una conoscenza anticipata”. Tale conclusione, secondo il ricorrente, sarebbe erronea tenuto conto che l’inizio dei lavori segna il dies a quo della tempestiva proposizione del ricorso soltanto laddove si contesti l’an della edificazione (id est: laddove si sostenga che nessun manufatto poteva essere edificato sull’area), mentre laddove si contesti il quomodo (distanze, consistenza, etc.) il termine va fatto coincidere con il completamento dei lavori e/o, a tutto concedere, con il grado di sviluppo degli stessi, ove renda palese l’esatta dimensione, consistenza, finalità dell’erigendo manufatto.
4.1.2. Il Tar avrebbe omesso di attribuire qualsiasi rilevanza ai molteplici elementi, sia pure di carattere presuntivo, richiamati dall’appellante nelle sue difese in primo grado dai quali emergeva che le opere eseguite in base al permesso assentito due anni prima dal Comune di (omissis) erano percepibili fin dall’inizio dei lavori (peraltro, tutti gli estremi del permesso rilasciato dal Comune erano indicati nel cartello di cantiere).
4.2. Violazione del principio di cui all’art. 112 c.p.c secondo cui “il giudice deve pronunciare su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa”.
4.2.1. Dopo aver erroneamente e illegittimamente respinto l’eccezione di tardività del ricorso proposta dall’appellante, il Tar si è pronunciato sulla fondatezza del primo motivo del ricorso introduttivo del giudizio seppure avesse rilevato che a scheda del PUC richiamata prevedesse un margine di variabilità .
4.3. Erroneo accoglimento del secondo motivo di ricorso per le seguenti ragioni:
a) nell’imputare all’impugnata sentenza un completo stravolgimento degli elementi di fatto acquisiti al giudizio;
b) nell’imputare all’impugnata sentenza un’erronea valutazione degli elementi di fatto invocati dalla ricorrente, basandosi soltanto sulle sue affermazioni;
c) nell’imputare all’impugnata sentenza la mancata verifica dei contrastanti elementi di fatto dedotti dalle parti e la mancata ammissione ad esperimento della verifica richiesta sia dal controinteressato Lorenzoni, sia anche dal Comune di (omissis);
d) nell’imputare all’impugnata sentenza l’erronea applicazione, illegittimamente estensiva, delle norme del D.M. 1444/68 anche al caso in cui come nella specifica fattispecie gli immobili oggetto di contestazione non sono antistanti, in quanto uno di essi è fronteggiato da un terrapieno sulla cui sommità soltanto esiste l’altro edificio.
4.3.1. Per l’appellante, la motivazione addotta per giustificare l’accoglimento del secondo motivo di ricorso è infondata in quanto il permesso assentito dal Comune di (omissis) non riguardava la costruzione di un nuovo edificio, ma più semplicemente l’ampliamento della superficie di un fabbricato preesistente. Di conseguenza, il rispetto delle distanze previste dal DM n. 1444/1968 non si applicherebbe alle opere di ristrutturazione eseguite su un edificio preesistente.
4.3.2. Inoltre, relativamente alle pareti finestrate di edifici antistanti, il Tar non ha tenuto conto che l’edificio di cui è causa fronteggia un terrapieno sul quale, ma in posizione sovrastante di circa quattro metri, sono ubicati gli edifici della signora Br., cosicché sarebbe comunque irrilevante la riduzione delle distanze di cui al DM 1444/1968.
4.4. Erroneo accoglimento del quarto motivo di ricorso sulla violazione dell’art. 17 della legge regionale 16/2008 e dell’art. 817 del codice civile in ordine al nesso di pertinenzialità .
4.4.1. Secondo l’appellante, il Tar non ha tenuto conto che l’intervento riguardava un edificio preesistente al cui interno esisteva un ampio locale destinato a cisterna, e cioè alla raccolta delle acque piovane non più utilizzata, trasformato a cantina. Quindi una modifica della sua destinazione che ha interessato anche un locale tecnico preesistente destinato ad ospitare la caldaia per il riscaldamento dell’edificio che precedentemente non era dotato di tale impianto.
4.5. Erroneo accoglimento del quinto motivo relativo alla violazione dell’art. 20 del DPR 380/2001 e dell’art. 19 della legge regionale n. 16/2008 anche in relazione al locale Regolamento Edilizio, oltre che il vizio di difetto di istruttoria e di motivazione.
4.5.1. Il Tar ha affermato che “il parere favorevole ha esaminato un progetto diverso da quello poi in definitiva approvato” anche a causa della “insufficienza degli elaborati prodotti”. Tale affermazione, per l’appellante, sarebbe infondata oltre che inidonea a motivare l’accoglimento dello specifico profilo di censura.
4.5.2. In ogni caso, il Tar ha ritenuto di poter decidere la controversia prescindendo dalle istanze di carattere istruttorio proposte dall’appellante in primo grado.
5. Il Comune di (omissis) si è costituito in giudizio il 14 febbraio 2017, chiedendo l’accoglimento dell’appello, ed ha depositato memorie il 9 marzo 2017 e il 2 settembre 2020.
6. La signora Co. Br. si è costituita in giudizio il 9 marzo 2017, chiedendo il rigetto del ricorso, ed ha depositato una memoria di replica il 17 settembre 2020.
7. L’appellante ha depositato ulteriori scritti difensivi il 26 luglio 2020, il 4 settembre 2020 e una replica il 17 settembre 2020. Ha anche depositato il 24 luglio 2020 la costituzione dell’avvocato Diego Dapelo, in sostituzione dell’avv. Emilio Fadda, deceduto, in aggiunta agli avvocati Stefano Fadda e Paolo Canonaco,
8. Il 22 settembre 2020 e il 2 ottobre 2020 hanno infine depositato note di udienza, ai sensi del decreto legge n. 28 del 2020, rispettivamente il Comune di (omissis) e la signora Br..
9. Con ordinanza cautelare n. 1106 del 17 marzo 2020 questa Sezione ha accolto l’istanza incidentale di sospensione degli effetti della sentenza impugnata, presentata contestualmente al ricorso. In particolare, l’ordinanza ha riportato la seguente motivazione: “Considerato che, a prescindere dalla valutazione sull’eccepita tardività del ricorso di primo grado, non sussiste un danno attuale per l’appellante, anche in ragione della sospensione dell’avanzato stato dei lavori disposta dal Comune di (omissis) nel gennaio 2017 e dell’assenza di un provvedimento demolitorio”.
10. Contro la stessa sentenza ha proposto autonomo appello anche il Comune di (omissis) che ha anch’esso ribadito l’irricevibilità del ricorso per tardività (li avori hanno avuto inizio nel dicembre 2014, oltre sedici mesi prima della notifica del gravame), l’inammissibilità dello stesso per carenza di interesse (la sentenza impugnata si sofferma sulla sufficienza della sussistenza del mero rapporto di confinato per radicare legittimazione a ricorrere ed interesse al ricorso anche in assenza della dimostrazione di un pregiudizio concreto per la ricorrente), e l’infondatezza dei motivi di merito accolti dal Tar per ragioni sostanzialmente analoghe a quelle prospettate nell’appello del signor Lorenzoni.
11. Il signor Lorenzoni si è costituito in giudizio il 10 aprile 2020, chiedendo l’accoglimento dell’appello, ed ha depositato memorie il 4 e il 21 settembre 2020.
12. Il Comune di (omissis) ha depositato note di udienza, ai sensi del decreto legge n. 28 del 2020, il 22 settembre 2020.
13. Le cause sono passate in decisione all’udienza pubblica dell’8 ottobre 2020.
14. I ricorsi in appello indicati epigrafe (n,r,g, 575 e 1105 del 2017) sono stati proposti separatamente dal signor Je. Lo. e dal Comune di (omissis) contro la medesima sentenza del Tar per la Liguria, sede di Genova, n. 1231/2016. Il Collegio, pertanto, ne dispone la riunione ai sensi dell’art. 96 c.p.a.
15. Ciò premesso, va innanzitutto esaminata la censura, proposta in entrambe gli appelli, sulla irricevibilità del ricorso di primo grado per tardività .
15.1. Tale censura, che riveste carattere prioritario ed assorbente, è fondata. Il momento dal quale decorre il termine di decadenza per l’impugnazione del permesso di costruire non può infatti decorrere, come indicato, dal Tar dalla piena conoscenza del provvedimento, che, nel caso specifico, sarebbe avvenuta al completamento dei lavori.
15.2. In realtà, il titolo edilizio (n. 6/2014) è stato rilasciato il 14 marzo 2014, i lavori assentiti con lo stesso sono iniziati nel dicembre 2014 e il ricorso di primo grado è stato notificato nell’aprile 2016. 15.3. Inoltre, almeno buona parte delle censure proposte in primo grado hanno riguardato circostanze che, come quella relativa alla dedotta violazione delle distanze legali indicate dal DM n. 1444/1968, potevano essere immediatamente percepibili con l’inizio dei lavori e comunque ancor prima che l’edificio fosse prossimo alla sua ultimazione.
15.4. Dalle foto allegate alla relazione tecnica del sopralluogo effettuato dal Comune il 21 aprile 2016 (sub documento 7 della produzione del Comune in primo grado) è infatti emerso un avanzato stato dei lavori. In particolare, dalla relazione datata 28 aprile 2016 e di poco successiva alla proposizione del ricorso, è risultato, anche con l’allegazione fotografica, che erano già state realizzate, tra l’altro, le opere portanti e alcuni tamponamenti al rustico (in ordine a quest’ultimo aspetto, l’assenza di copertura, evocata dall’appellata con riferimento al corredo fotografico, non può ritenersi elemento dirimente ai fini della mancata comprensione della distanza delle opere oggetto del permesso di costruzione).
15.5. L’apposizione del cartello di cantiere dopo la comunicazione di inizio lavori del 2 dicembre 2014 avrebbe poi consentito di percepire un indizio delle opere oggetto del permesso di costruire insieme alla vicinanza delle stesse al fabbricato della ricorrente originaria (immediatamente sovrastante rispetto a quello oggetto di giudizio). Senza considerare che, ai fini di una maggiore conoscenza delle caratteristiche delle opere, l’interessata avrebbe potuto presentare al Comune istanza di accesso agli atti relativi prima del 1 aprile 2016 (data in cui la richiesta di accesso è pervenuta
15.5. D’altra parte, come ha avuto modo di osservare la giurisprudenza, la piena conoscenza del titolo edilizio, individuata dall’art. 41, comma 2, c.p.a., quale momento da cui decorre il termine per impugnare, richiede non la conoscenza piena e integrale dell’atto stesso, ma la mera percezione della sua esistenza e degli aspetti che ne comportano la lesività, in modo da rendere riconoscibile per il ricorrente l’attualità dell’interesse ad agire (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 2292 del 2020 e n. 962 del 2020).
16. In definitiva, il ricorso appare effettivamente tardivo, in disparte la circostanza che, anche nel merito, si possono evidenziare elementi di infondatezza del gravame.
16.1. Relativamente alla scheda (N) di PUC di cui si è contestata la modifica (ritenendola una condizione di inedificabilità assoluta), l’interpretazione del Tar appare infatti rigida rispetto alla possibile variabilità della stessa norma di piano.
16.2. Inoltre, le distanze incidenti nel caso di specie in ragione del posizionamento dei due fabbricati (uno sovrastante l’altro) finiscono per riguardare dei muri di contenimento che comunque non possono considerarsi quali pareti ai fini del computo delle distanze (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 5108 del 2018). Peraltro il Tar nella sentenza impugnata insiste sulla tesi che le Regioni non potrebbero incidere sulla disciplina delle distanze, tesi che nella sua assolutezza è stata smentita dal giudice delle leggi (da ultimo nella sentenza n. 119 del 2020).
16.3. In relazione al quarto ed al quinto motivo di primo grado, non appare adeguatamente argomentato il loro accoglimento. In particolare, sul tema della pertinenzialità va evidenziato che i locali interessati (cantina – caldaia) sono completamente cechi, di dimensioni limitate (9 e 13 mq) e sicuramente non abitabili, ragione per la quale il Comune li ha esclusi dal computo della superficie.
18. In ogni caso, per le ragioni sopra esposte, i riuniti appelli vanno accolti e, per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, va dichiarato irricevibile il ricorso di primo grado.
19. Le spese del doppio grado di giudizio possono essere compensate, stante la complessità della controversia.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sui riuniti appelli (n. 575 e n. 1105 del 2017), come in epigrafe proposti, li accoglie e per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, dichiara irricevibile il ricorso di primo grado.
Compensa le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 ottobre 2020 con l’intervento dei magistrati:
Vito Poli – Presidente
Nicola D’Angelo – Consigliere, Estensore
Silvia Martino – Consigliere
Giuseppa Carluccio – Consigliere
Michele Conforti – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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