La “piena conoscenza” del provvedimento impugnabile

Consiglio di Stato, sezione quarta, Sentenza 9 maggio 2019, n. 3005.

La massima estrapolata:

La “piena conoscenza” del provvedimento impugnabile, nel processo amministrativo, non è una conoscenza piena e integrale bensì va intesa quale percezione dell’esistenza di un provvedimento amministrativo, del suo contenuto dispositivo essenziale e degli aspetti che evidenziano la lesività della sfera giuridica del ricorrente, così da configurare l’attualità dell’interesse ad agire contro di esso, salva la facoltà di proporre motivi aggiunti al momento della conoscenza di ulteriori profili di illegittimità.

Sentenza 9 maggio 2019, n. 3005

Data udienza 28 marzo 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7203 del 2007, proposto dalla signora Ra. del Ci. El. Ma., rappresentata e difesa dall’avvocato Mi. Ga., con domicilio eletto presso lo studio legale Ch. in Roma, via (…);
contro
Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Lo. Ma., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Gi. Ma. Gr. in Roma, corso (…);
nei confronti
Gi. Gi. non costituitosi in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Umbria n. 357 del 2006.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla pubblica udienza del giorno 28 marzo 2019 il Cons. Silvia Martino;
Uditi, per le parti rispettivamente rappresentate, gli avvocati Mi. Ga. e An. St.(quest’ultimo su delega di Lo. Ma.);
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. L’odierna appellante impugnava innanzi al TAR per l’Umbria il progetto di sistemazione ed adeguamento della viabilità rurale in località “(omissis)” del Comune di (omissis), oggetto di cofinanziamento nell’ambito del Piano di Sviluppo Regionale dell’Umbria 2000-2006.
Il progetto approvato dal Comune prevedeva un tracciato (foglio (omissis), particelle (omissis), (omissis), (omissis), (omissis) e (omissis)) che attraversava la proprietà della ricorrente, anziché seguire il tracciato risultante dalla mappa catastale (particelle (omissis), (omissis), (omissis), (omissis), (omissis) e (omissis)).
Dopo una infruttuosa corrispondenza con il Comune e con la Regione, la signora Citerna si determinava ad impugnare gli atti anzidetti innanzi al TAR lamentando che l’ampliamento e l’asfaltatura della strada determinava forte deflusso di acque meteoriche sulla sua proprietà, degradava la qualità ambientale della zona e pregiudicava le attività agrituristiche che vi si svolgevano.
Sottolineava che il tracciato che il Comune intendeva sistemare era stato da lei realizzato negli anni ’60 del secolo scorso sulla sua proprietà e per sue esigenze.
Deduceva le censure così sintetizzate dal TAR:
– violazione del punto 5 della deliberazione della G.R. n. 657 in data 21 maggio 2003 integrativa della precedente n. 493 in data 24 aprile 2002), secondo cui non sono ammissibili ai finanziamenti gli interventi “su strade diverse dalle vicinali e comunali” e quelli “ricadenti in zone non agricole”, mentre il Comune di (omissis) non aveva dimostrato tali presupposti ed anzi le particelle 145 e 146, di proprietà della ricorrente, risultavano classificate D2 (strutture ricettive);
– violazione dell’articolo 6 della legge regionale n. 28/2001, posto che l’autorizzazione relativa al vincolo idrogeologico n. 514 in data 19 settembre 2002, avente validità annuale, era scaduta al momento dell’inizio dei lavori (30 giugno 2005);
– violazione della deliberazione della G.R. n. 493/2002, citata, in quanto le due aziende agricole che avrebbero dovuto essere servite dall’infrastruttura (cfr. “Quadro delle unità produttive” approvato con deliberazione giuntale n. 55 in data 7 maggio 2005) non traevano in realtà alcun vantaggio dalla strada;
– violazione dell’articolo 7 della legge 241/1990, in quanto (fin dall’approvazione del piano particellare di esproprio del progetto esecutivo della sistemazione viaria, comprendente anche le particelle 145 e 146, ad opera della deliberazione della G.M. n. 77 in data 16 settembre 2002, che non aveva avuto ulteriore corso) era stata omessa la comunicazione di avvio del procedimento.
– eccesso di potere per illogicità, carenza di motivazioni e contraddittorietà, nonché ingiustizia manifesta, in quanto il tracciato previsto non teneva conto delle esigenze di sicurezza ed incolumità legate alla presenza degli ospiti degli appartamenti vacanze (attrezzati anche per l’accoglienza dei soggetti portatori di handicap), oltre a quelle di rispetto della proprietà privata, mentre il ripristino del tracciato catastale avrebbe consentito di aggirare l’insediamento abitativo (una soluzione analoga era stata praticata dal Comune per la strada “dei pianali” in località (omissis)).
La ricorrente chiedeva infine il risarcimento dei danni conseguenti all’adozione dei provvedimenti impugnati
2. Nella resistenza del Comune di (omissis) il TAR dichiarava il ricorso irricevibile con compensazione delle spese.
A tal fine, considerava, in primo luogo, che le censure relative alla violazione delle condizioni di ammissione al finanziamento del progetto avversato erano evidentemente riferite al provvedimento regionale che aveva disposto tale ammissione (determinazione dirigenziale n. 10441/2003); ma quest’ultimo provvedimento non era stato impugnato (mentre il relativo termine, per effetto della pubblicazione sul B.U.R. n. 31 dal 28 luglio 2004, era ormai decorso), né, comunque, il ricorso era stato notificato alla Regione, autorità emanante, donde l’inammissibilità delle relative censure.
Per quanto concerneva invece le censure riferibili ai provvedimenti comunali, il TAR evidenziava che l’approvazione del progetto esecutivo era stata disposta con deliberazione della G.M. n. 55 in data 7 maggio 2005 (ad integrazione delle precedenti deliberazioni n. 77/2002 e n. 57/2003).
La ricorrente, con nota alla Regione Umbria in data 23 settembre 2005 (protocollata in carico in data 26 settembre 2005), aveva puntualizzato i termini della controversia (sostanzialmente coincidenti con quelli esposti nel ricorso), dichiarando di aver avuto conoscenza del progetto e dei relativi lavori in data 9 luglio 2005 (a seguito di una proposta del Comune di (omissis) per la cessione bonaria di porzioni delle particelle 145 e 146 costituenti il sedime per l’adeguamento stradale) e facendo espressa menzione del tracciato previsto e del verbale di inizio lavori in data 30 giugno 2005.
Precedentemente, con nota al Comune di (omissis) in data 17 agosto 2005 (protocollata in carico in data 20 agosto 2005), la ricorrente aveva trasmesso una “bozza d’accordo di cessione bonaria” del sedime in questione, nella quale limitava e condizionava la cessione ad una serie di adempimenti del Comune (volti soprattutto alla salvaguardia dei terreni circostanti).
Pertanto, doveva ritenersi avvenuta la piena conoscenza da parte della ricorrente del provvedimento di approvazione del progetto, quanto meno alla data del 23 settembre 2005, data rispetto alla quale il termine di impugnazione era decorso al momento (30 dicembre 2005) della notificazione del ricorso, donde l’irricevibilità dello stesso.
3. La sentenza è stata impugnata dalla ricorrente, rimasta soccombente, alla stregua delle argomentazioni che possono essere così sintetizzate.
Ella ha in primo luogo sostenuto che la Regione, nel presente contenzioso, deve considerarsi soggetto controinteressato (ai sensi dell’allora vigente art. 21, della l. n. 1034 del 1971).
Poiché il ricorso era stato notificato anche ad un vicino, sig. Gi. Gi., pure interessato dal tracciato della strada in progetto, il TAR avrebbe dovuto disporre l’integrazione del contraddittorio nei confronti della Regione.
Per quanto riguarda i provvedimenti comunali, la loro piena conoscenza si sarebbe realizzata solo con la documentazione rilasciata dal Comune in data 3 novembre 2005, nonché con la lettera dello stesso Comune del 4 novembre 2005 sicché il ricorso, notificato il successivo 30 dicembre, era sicuramente tempestivo.
In ogni caso non sarebbe vero che la missiva del 23 settembre 2005 contenesse censure analoghe a quelle esposte nel ricorso. In quest’ultimo vi erano infatti anche doglianze di natura procedimentale, ovvero relative a provvedimenti presupposti, quali ad esempio l’autorizzazione (scaduta) inerente il vincolo idrogeologico ovvero il Piano particellare di esproprio di cui alla delibera di G.M. n. 77/2002, nonché in ordine agli atti di approvazione finale del progetto (ad esempio ex art. 5 della delibera di G.R. n. 657/2003) che era stato possibile formulare solo con l’avvenuta conoscenza dell’intera documentazione in data 3 novembre 2005.
E’ infatti solo in tale momento che ella aveva avuto piena conoscenza del progetto.
Anche la proposta di cessione bonaria non poteva avere valenza di piena conoscenza degli atti facenti parte del progetto, ma semmai del solo tracciato cui la stessa faceva riferimento.
L’appellante ha poi riproposto le censure già articolate sia avverso il provvedimento regionale in precedenza menzionato, sia avverso gli atti comunali, avverso i quali ha specificamente, nuovamente lamentato l’omessa comunicazione di avvio del procedimento.
4. In data 5 ottobre 2007 si è costituito, per resistere, il Comune di (omissis).
Ha fatto in primo luogo notare che non è stato impugnato il capo della sentenza di primo grado che ha dichiarato inammissibili le censure relative alla violazione delle condizioni di ammissione al finanziamento del progetto avversato dalla ricorrente.
Il Comune ha poi riproposto l’eccezione secondo cui il gravame era in radice inammissibile per non essere stata espressamente impugnata la delibera di G.M. n. 55 del 7 maggio 2005 che aveva approvato il progetto esecutivo.
Ha altresì rimarcato il fatto che già con nota del 23 agosto 2005 la ricorrente aveva commentato diffusamente il contenuto della delibera n. 55 offrendo certezza in ordine alla “piena conoscenza” che l’aveva indotta a proporre la bozza di accordo del 20 agosto 2005.
Il secondo motivo d’appello sarebbe poi inammissibile perché con esso l’appellante si è limitata a richiamare genericamente i motivi del ricorso di primo grado.
Il Comune ha riproposto, peraltro, le difese svolte in primo grado, ed in particolare:
– l’eccezione di carenza di interesse, perché la strada è classificata come comunale almeno dal 1973, epoca di azione della delibera del Consiglio comunale n. 59. Il Comune precisa che, indipendentemente dalla titolarità del suolo, essa è comunque da quel tempo soggetta ad uso pubblico. Tale uso pubblico non è messo in dubbio neppure dalla ricorrente laddove con le note del 23 settembre2005 e del 11 novembre 2005 lamentava che l’amministrazione avesse preferito questo percorso stradale a quello risultante dalle mappe catastali, ridotto ad un viottolo;
– applicabilità dell’art. 21- octies della l. n. 241/90 perché nemmeno in grado di appello la ricorrente ha indicato a quale diverso risultato avrebbe mirato con la sua partecipazione al procedimento amministrativo.
Il Comune ha poi depositato una memoria conclusionale.
5. L’appello è stato assunto in decisione alla pubblica udienza del 28 marzo 2019.
6. Il Collegio rileva, in primo luogo, che come dedotto dal Comune, l’appellante non ha impugnato il capo della decisione di primo grado che ha dichiarato inammissibili le censure relative alla violazione delle condizioni di ammissione al finanziamento del progetto avversato, in quanto concernenti il provvedimento regionale che aveva disposto tale ammissione (determinazione dirigenziale n. 10441/2003), rimasto inoppugnato.
Ad ogni buon conto, per quanto riguarda la questione della mancata evocazione in giudizio della Regione medesima (pure rilevata dal primo giudice ed oggetto di specifica critica in sede di appello), è agevole osservare che, avendo tale ente emesso l’atto impugnato, ad esso il ricorso di primo grado avrebbe dovuto essere necessariamente notificato, secondo quanto espressamente previsto dall’art. 21, comma 1, prima parte, della l. n. 1034 del 1971, all’epoca vigente (“Il ricorso deve essere notificato tanto all’organo che ha emesso l’atto impugnato quanto ai controinteressati ai quali l’atto direttamente si riferisce, o almeno ad alcuno tra essi, entro il termine di sessanta giorni da quello in cui l’interessato ne abbia ricevuta la notifica, o ne abbia comunque avuta piena conoscenza, o, per gli atti di cui non sia richiesta la notifica individuale, dal giorno in cui sia scaduto il termine della pubblicazione, se questa sia prevista da disposizioni di legge o di regolamento, salvo l’obbligo di integrare le notifiche con le ulteriori notifiche agli altri controinteressati, che siano ordinate dal tribunale amministrativo regionale”).
Appare poi ineccepibile la statuizione di irricevibilità operata dal giudice di primo grado.
Occorre infatti ricordare che la “piena conoscenza” del provvedimento impugnabile, nel processo amministrativo, non è una conoscenza piena e integrale bensì va intesa quale percezione dell’esistenza di un provvedimento amministrativo, del suo contenuto dispositivo essenziale e degli aspetti che evidenziano la lesività della sfera giuridica del ricorrente, così da configurare l’attualità dell’interesse ad agire contro di esso, salva la facoltà di proporre motivi aggiunti al momento della conoscenza di ulteriori profili di illegittimità (ex plurimis Cons. Stato, sez. IV, 12 luglio /2018, n. 4274).
Orbene, nel caso di specie, alla data del 20 agosto 2005, la ricorrente conosceva almeno il tracciato del progetto che avrebbe impugnato poi soltanto il 30 dicembre 2005.
E’ infatti in atti, la missiva pervenuta al Comune il 20 agosto 2005, con cui, nel trasmettere una bozza di “cessione bonaria per adeguamento stradale ‘Sistemazione e adeguamento di viabilità rurale in località Paradisò “, l’odierna appellante sottolineava che “i lavori di cui all’oggetto in ipotesi di mancato accordo con la scrivente potranno e dovranno avere ad oggetto la strada indicatanella mappa catastale foglio (omissis) del catasto terreni del Comune di (omissis) insistente sulle particelle (omissis) (omissis) e (omissis) e non la strada privata insistente sulle particelle (omissis), (omissis), (omissis), (omissis) e (omissis)”.
Non è contestato poi che – come fatto rilevare dal primo giudice – con nota trasmessa alla Regione Umbria in data 23 settembre 2005 (protocollata in carico in data 26 settembre 2005) ella avesse dichiarato di aver avuto conoscenza del progetto e dei relativi lavori in data 9 luglio 2005 (a seguito della proposta del Comune di (omissis) per la cessione bonaria di porzioni delle particelle (omissis) e (omissis) costituenti il sedime per l’adeguamento stradale), facendo espressa menzione del tracciato previsto e del verbale di inizio lavori in data 30 giugno 2005.
Tali circostanze comprovano, in definitiva, che la “percezione” dell’esistenza degli atti impugnati, e del loro contenuto essenziale, o, quantomeno, di almeno un profilo di lesività per gli interessi della ricorrente, era intervenuta già dal 20 agosto 2005, o, al più tardi, dal 23 settembre dello stesso anno.
A riprova di ciò vi è poi il fatto che l’ultimo motivo del ricorso di primo grado, in precedenza sintetizzato, si incentrava proprio sulla localizzazione alternativa dell’originario tracciato catastale.
Diventa irrilevante, pertanto, che, a seguito dell’accesso agli atti, ufficialmente intervenuto tra il 3 e il 4 novembre 2005, ella abbia potuto dedurre ulteriori vizi rispetto a quelli relativi alla (pretesa) irrazionalità del tracciato.
Si è già evidenziato, infatti, che la conoscenza del provvedimento è integrata dalla cognizione dei suoi elementi essenziali, del suo contenuto dispositivo e della sua lesività rispetto agli interessi del ricorrente, senza che per contro sia necessaria anche la completa acquisizione di tutti gli atti del procedimento e del contenuto integrale della determinazione conclusiva.
La conoscenza sopravvenuta di nuovi vizi può infatti giustificare la proposizione di motivi aggiunti, ma non la riapertura dei termini per proporre l’impugnazione in via principale (cfr. Cons. Stato, sez. IV, sentenza n. 143 del 20 gennaio 2015).
In definitiva per quanto testé argomentato l’appello deve esser respinto.
Le spese del grado seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello, di cui in premessa, lo respinge.
Condanna la parte appellante alla rifusione delle spese del presente grado di giudizio nei confronti del Comune di (omissis), che liquida, complessivamente, in euro 3.000,00 (tremila/00), oltre gli accessori, se dovuti, come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 marzo 2019 con l’intervento dei magistrati:
Antonino Anastasi – Presidente
Oberdan Forlenza – Consigliere
Leonardo Spagnoletti – Consigliere
Nicola D’Angelo – Consigliere
Silvia Martino – Consigliere, Estensore

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