Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|| n. 28660.
La parte che ha prodotto un documento in giudizio non può scinderne il contenuto
La parte che ha prodotto un documento in giudizio non può scinderne il contenuto per affermare i fatti favorevoli e negare quelli a lei contrari, a meno che, al momento del relativo deposito, abbia fatto presente di volerlo invocare solo in parte, deducendo prove idonee a contestare le circostanze sfavorevoli da esso desumibili.
Ordinanza|| n. 28660. La parte che ha prodotto un documento in giudizio non può scinderne il contenuto
Data udienza 6 ottobre 2023
Integrale
Tag/parola chiave: Prova civile – Documentale (prova) – In genere efficacia probatoria – Scissione del contenuto del documento – Ammissibilità – Condizioni.
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco A. – rel. Presidente
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere
Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere
Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere
Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18826/2022 R.G. proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) ( (OMISSIS)) che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
UNIVERSITA DEGLI (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), ( (OMISSIS)) che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso SENTENZA di TRIBUNALE ROMA n. 840/2022 depositata il 20/01/2022;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 06/10/2023 dal Presidente Dott. Francesco Antonio Genovese.
La parte che ha prodotto un documento in giudizio non può scinderne il contenuto
FATTI DI CAUSA
(OMISSIS) propose, in data 8 marzo 2019, reclamo innanzi al Garante per la protezione dei dati personali per illegittima divulgazione di dati personali ai docenti della (OMISSIS), Universita’ degli studi (OMISSIS), con e-mail del preside di (OMISSIS) spedita il (OMISSIS), contenente la notizia del rigetto, da parte del Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, con decisione del 19 febbraio 2019, n. 1136, del ricorso intrapreso contro il MIUR, che aveva negato alla detta Universita’ il nulla osta necessario alle procedure di stabilizzazione del ricorrente come professore universitario ordinario nel settore IUS/01, notizia inviata sebbene il Consiglio di Stato, nella sua pronuncia, avesse disposto Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n. 196, ex articolo 52, comma 1, a tutela dei diritti o della dignita’ dell’interessato, l’oscuramento delle generalita’ nonche’ di qualsiasi altro dato idoneo a identificare l’istante.
Nel silenzio del Garante, il ricorrente ha proposto ricorso innanzi al Tribunale di Roma, chiedendo la condanna dell’Universita’ al risarcimento del danno alla reputazione e alla salute per la diffusione della detta e-mail.
Il Tribunale di Roma ha respinto il ricorso, ai sensi del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 152 con sentenza del 20 gennaio 2022, n. 840.
Premesso che la resistente non aveva avuto accesso al fascicolo telematico da parte della Cancelleria ed e’ stata quindi rimessa in termini per la sua costituzione, producendo anche il provvedimento del Garante (OMISSIS), nel frattempo sopraggiunto, che e’ stato prodotto anche dal ricorrente, il Tribunale ha ritenuto il ricorso infondato, per essere avvenuto l’invio per posta elettronica del testo integrale della pronuncia del Consiglio di Stato non “a tutti i docenti della facolta’ di (OMISSIS)” ed anche “al di fuori dell’Ateneo”, come dedotto dal ricorrente, ma ai soli “componenti il Consiglio di facolta’ ristretto”, dal Tribunale giudicati legittimati a conoscere la sentenza del Consiglio di Stato perche’ portatori di un interesse qualificato riconducibile alla composizione dell’organo collegiale dell’Ateneo, come “eccepito dalla resistente ed emerso anche in sede di provvedimento adottato dal Garante che non e’ stato oggetto di reclamo”, ed essendo stati, peraltro, tali soggetti gia’ informati dallo stesso ricorrente della precedente sentenza di accoglimento da parte del T.a.r. del Lazio.
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Pertanto, ne ha dedotto la liceita’ della comunicazione, che non fu una diffusione generalizzata della sentenza amministrativa ma, ai sensi del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 1 una mera “comunicazione”, quale conoscenza dei dati personali ad uno o piu’ soggetti determinati, diversi dall’interessato, ma non integrante una diffusione, nella quale invece la conoscenza dei dati personali e’ rivolta a soggetti indeterminati, in qualunque forma avvenga. Ed i componenti del Consiglio di Facolta’ ristretto sono soggetti determinati, portatori di un interesse qualificato alla conoscenza del provvedimento nella sua integrita’.
Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione il soccombente, sulla base di cinque motivi, cui resiste con controricorso l’intimata Universita’.
Le parti hanno depositato la memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Il ricorso formula cinque motivi, che possono essere cosi’ riassunti:
1) violazione e falsa applicazione dell’articolo 416 c.p.c., in quanto il giudice ha utilizzato per la decisione il provvedimento del Garante, sebbene esso fosse stato tardivamente prodotto in giudizio dalla controparte, rimessa in termini per la sola produzione di note scritte sostitutive della discussione, ed avendo il tribunale proprio su quel provvedimento fondato in convincimento della pretesa comunicazione della email ai soli professori ordinari della facolta’ di (OMISSIS), quali componenti il consiglio di facolta’, e non gia’ a tutti i professori, di ruolo e non di ruolo, della stessa;
2) violazione e falsa applicazione degli articoli 24 e 111 Cost., articoli 115, 116, 177, 187, 188, 244, 420 e 421 c.p.c., per non avere il tribunale ammesso la prova testimoniale, volta a provare i destinatari effettivi della email, con ordinanza in corso di causa;
3) violazione dell’articolo 112 c.p.c., con nullita’ della sentenza o del procedimento, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere il tribunale ritenuto tempestiva la costituzione della controparte, quando invece l’istanza era volta solo alla rimessione in termini al fine di depositare le note di trattazione scritta;
4) violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., per avere la sentenza impugnata considerato come avente valore di piena prova il provvedimento adottato dal Garante, attribuendo allo stesso valore di prova legale, e avendo invece commesso un errore di percezione e sorvolato su quanto documentato dal ricorrente in ordine alla comunicazione della sentenza n. 1136/2019 del Consiglio di Stato a tutti i docenti della facolta’ di (OMISSIS) della (OMISSIS) da parte del Preside della facolta’ di (OMISSIS) con email del (OMISSIS), agli indirizzi (OMISSIS) e (OMISSIS) (che la controricorrente rileva essere correttamente da scrivere come (OMISSIS)), indirizzi propri a tutti i docenti della facolta’ di (OMISSIS), che sono ben settantadue, tra accademici, funzionari di varie istituzioni ed esperti;
5) omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, consistente nell’avere il ricorrente allegato e provato documentalmente che il preside della facolta’ di (OMISSIS) aveva trasmesso a sentenza agli indirizzi suddetti – riferibili a tutti i docenti della facolta’ di (OMISSIS) e non soltanto ai docenti di ruolo i quali componenti del Consiglio di facolta’ ristretto – come si evince dalla mera lettura dei suddetti indirizzi, l’uno riferibile, per l’appunto, ai docenti di ruolo e l’altro riferibile ai docenti non di ruolo.
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2. – Il primo ed il quarto motivo sono infondati, con assorbimento del terzo.
Erra il ricorrente sia a ritenere che il provvedimento del Garante, dal ricorrente stesso depositato in giudizio, non fosse utilizzabile come prova, sia ad interpretare la sentenza impugnata ritenendo che la stessa abbia valutato il provvedimento del Garante, prodotto nel corso del processo innanzi al Tribunale, come avente valore di “prova legale”.
2.1. – Sotto il primo profilo, una volta depositato in giudizio il 13 marzo 2021, da parte dell’Universita’, ed il 16 marzo 2021, da parte dello stesso ricorrente, il medesimo provvedimento del Garante di rigetto del reclamo – comunicato all’istante dall’autorita’ proprio il 16 marzo 2021 – deve invero ritenersi che il Tribunale, col farne uso, abbia implicitamente reputato ammissibile e da disporsi anche tale produzione, in quanto documento formatosi successivamente allo scadere delle preclusioni ed indispensabile per decidere la controversia innanzi a lui.
E’ noto principio nel rito del lavoro quello secondo cui, se l’omessa indicazione nell’atto introduttivo dei documenti e l’omesso deposito contestuale degli stessi determinano la decadenza dal diritto di produrli, tuttavia un siffatto rigoroso sistema di preclusioni trova contemperamento – ispirato alla esigenza della ricerca della “verita’ materiale” cui tale rito e’ funzionalizzato – nei poteri d’ufficio del giudice in materia di ammissione di nuovi mezzi di prova, ai sensi dell’articolo 437 c.p.c., comma 2, ove essi siano indispensabili ai fini della decisione della causa, da esercitare pur sempre con riferimento a fatti allegati dalle parti ed emersi nel processo a seguito del contraddittorio delle parti stesse (Cass. civ., sez. VI, 15-12-2016, n. 25928; Cass. civ., sez. lav., 06-10-2016, n. 20055; Cass. civ., 22-09-2015, n. 18664, non massimata; Cass. sez. lav. n. 2577 del 2/2/2009; Sez. lav., Sentenza n. 23882 del 09/11/2006; Cass., Sez. Un. 20 aprile 2005 n. 8202; v. pure Cass. civ., sez. lav., 24-10-2017, n. 25148 e, in altri settori dove pure il rito si applica, per gli stessi concetti, Sez. 3, Ordinanza n. 17683 del 25/08/2020).
Cio’ in quanto il rito del lavoro e’ caratterizzato, grazie ai poteri officiosi del giudice ex articoli 421 e 437 c.p.c., collegati ai principi del giusto processo di cui agli articoli 111 Cost. e articolo 6 CEDU, dal contemperamento del principio dispositivo con le esigenze della ricerca della predetta verita’ materiale (Cass. SU 11353/04 e 22305/07) e dal fine di garantire una tutela differenziata ai diritti in esso azionati, in ragione della loro natura (Cass. SU 8202/05; Cass. 2577/09; Cass. 14696/07; Cass. 27286/06; Cass. 23882/06).
Secondo i concetti propri anche del rito ordinario – accolti quindi, tanto piu’, con riguardo al rito del lavoro – potrebbe ben darsi che la produzione documentale sia giustificata appunto dal tempo della formazione dell’atto, successiva al ricorso o alla memoria di costituzione (cfr. Cass. civ., sez. lav., 25-06-2007, n. 14696; Cass. civ., sez. lav., 21-12-2006, n. 27286).
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Principî, altresi’, completati dalla ulteriore affermazione, secondo cui nel rito del lavoro, proprio in virtu’ di quella esigenza della ricerca della “verita’ materiale”, nel caso in cui il giudice abbia tenuto conto di documenti irritualmente prodotti da una parte, idonei a provare fatti dalla stessa dedotti ritualmente e sottoposti – pur tardivamente – al contraddittorio delle parti, la parte che intende censurare tale operato deve dedurre non solo l’irritualita’ della utilizzazione del materiale probatorio, ma anche la inutilita’ dei documenti ai fini della verita’ materiale, restando altrimenti priva di decisivita’ la questione processuale sollevata (Cass. civ., 22-09-2015, n. 18664, non massimata; Cass. civ., 28-08-2015, n. 17284, non mass.; Cass. civ., sez. lav., 20-07-2015, n. 15157). E della inutilita’ del provvedimento del garante non si fa qui parola da parte del ricorrente.
In definitiva, la censura resta non decisiva e priva di supporto argomentativo circa la lamentata violazione dell’articolo 416 c.p.c. e del sistema delle preclusioni, che regola l’ammissione delle prove costituite e costituende, nel rito del lavoro, per il fatto che, ad onta dell’eccezione di decadenza sollevata con riferimento alla produzione di tale documento, il Tribunale, preso atto del deposito del medesimo documento anche da parte del ricorrente, abbia ritenuto di utilizzarlo nel processo. In tale contesto processuale, dunque, il giudice di merito si e’ conformato al sistema di c.d. circolarita’ tra oneri di allegazione, oneri di contestazione ed oneri di prova, che caratterizza il rito del lavoro, valutando, nell’ambito dei poteri ad esso riservati, il rilevante documento de quo.
E, una volta prodotto il documento, esso era parte del materiale istruttorio di causa, non potendo il depositante limitarne il valore a taluni effetti, ossia “al solo fine di dimostrare la intervenuta comunicazione di tale provvedimento”, come deduce nel ricorso: secondo principio qui condiviso, invero, non e’ ammesso alla parte, la quale abbia prodotto un documento in giudizio, di scinderne il contenuto, per affermare i fatti favorevoli e negare quelli a lei contrari, a meno che, al momento della produzione, abbia fatto presente di voler invocare il documento solo in parte e abbia dedotto prove idonee a contestare le circostanze sfavorevoli da esso desumibili (Cass. civ., 02-08-1990, n. 7726; piu’ di recente, in motivazione, v. Cass. civ., sez. I, 19-11-2008, n. 27510). Cio’ perche’ la rituale acquisizione al processo di un mezzo di prova (documento, testimonianza, informazioni della P.A. ecc.) comporta la conseguenza che esso debba essere integralmente utilizzato dal giudice, sia a favore, sia contro la parte che ha prodotto il documento o chiesto l’ammissione del mezzo istruttorio (Cass. 16.5.1983, n. 3383; id. 24.8.1981 n. 4993).
Mentre, piu’ in generale, vige il noto principio di acquisizione processuale nel processo civile, secondo cui giudice deve valutare tutti gli elementi di prova acquisiti, perche’ le risultanze istruttorie comunque ottenute, e quale che sia la parte ad iniziativa o ad istanza della quale siano formate, concorrono tutte indistintamente alla formazione del convincimento del giudice, per l’impossibilita’ per le parti di disporre degli effetti delle prove, le quali possono giovare o nuocere all’una o all’altra parte indipendentemente da chi le abbia dedotte (Cass. 27 ottobre 2020, n. 23490; Cass. civ., sez. II, 04-06-2018, n. 14284; Cass. civ., sez. II, 12-07-2011, n. 15300; Cass. civ., sez. II, 04-07-2017, n. 16415, non mass.).
2.2. – Sotto il secondo profilo, dalla pronuncia impugnata emerge che il giudice del merito abbia semplicemente ritenuto di valutare il provvedimento del Garante alla stregua del suo apprezzamento, quale documento proveniente da terzi e, in particolare, da un’autorita’ amministrativa. Nessun elemento della motivazione della sentenza impugnata, infatti, induce a ravvisare la pretesa considerazione di esso come “prova legale” inconfutabile nel suo contenuto, di cui il ricorrente si duole.
3. – Il secondo motivo, che rispetta il principio di autosufficienza avendo il ricorrente riprodotto i capitoli testimoniali richiesti e che, nonostante l’invocazione formale del solo vizio di violazione di legge, risulta dal suo svolgimento riconnesso alla doglianza di mancata ammissione di un mezzo di prova quale elemento decisivo del giudizio e della motivazione, e’ fondato.
Va disatteso, anzitutto, l’assunto della controricorrente, secondo cui la sentenza impugnata non menziona il profilo in questione, per il fatto che sulle prove provvide l’ordinanza del 7 luglio 2021 dalla medesima controricorrente riportata (“….ritenuto che le richieste istruttorie formulate da entrambe le parti vertono su circostanze generiche, documentate e/o documentabili; (….) respinge le richieste istruttorie e fissa per la discussione….”): invero, posto che con la sentenza il giudice ha il potere di tornare su tutte le ordinanze emesse nel corso dell’istruttoria (cfr. articolo 178 c.p.c.), non rileva se la valutazione sulle prove sia stata emessa, con un rigetto, nel corso di causa, avendola il Tribunale fatta propria in sede di decisione finale.
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Ora, e’ vero che, secondo i principî consolidati, il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimita’ non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facolta’ di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, nei limiti in cui detto sindacato e’ tuttora consentito dal vigente dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilita’ e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicita’ dei fatti ad essi sottesi, dando cosi’ liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. 4 agosto 2017, n. 19547; Cass. 4 novembre 2013 n. 24679; Cass. 16 novembre 2011, n. 27197; Cass. 6 aprile 2011, n. 7921; Cass. 21 settembre 2006, n. 20455; Cass. 4 aprile 2006, n. 7846; Cass. 9 settembre 2004, n. 18134; Cass. 7 febbraio 2004, n. 2357), e il giudice del merito, che attinga il proprio convincimento da quelle prove che ritenga piu’ attendibili, non e’ tenuto a un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (ad es.: Cass. 7 gennaio 2009, n. 42; Cass. 17 luglio 2001, n. 9662).
Ma resta il fatto che il mancato esame di elementi probatori, contrastanti con quelli posti a fondamento della pronunzia, costituisce vizio di omesso esame di un punto decisivo, ogniqualvolta le risultanze processuali non esaminate siano tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilita’, l’efficacia probatoria delle altre risultanze sulle quali il convincimento e’ fondato, onde la ratio decidendi venga a trovarsi priva di base (Cass. ord. 13/04/2021-10/06/2021, n. 16435, non massimata; 17 giugno 2019, n. 16214; 29 ottobre 2018, n. 27415; 7 marzo 2017, n. 5654; Cass. 24 ottobre 2013, n. 24092; Cass. 12 luglio 2007, n. 15604; Sez. 3, Sentenza n. 11457 del 2007; Cass. 21 aprile 2006, n. 9368), onde, in altri termini, la mancata ammissione di un mezzo istruttorio si traduce in un vizio della sentenza, se il giudice trae conseguenze dalla mancata osservanza dell’onere sancito all’articolo 2697 c.c., benche’ la parte abbia offerto di adempierlo, se il mezzo stesso sia diretto a dimostrare aspetti decisivi della controversia (cfr. Sez. 3, Ord. n. 18285 del 25/06/2021; Cass., 8/2/2021, n. 2904; Cass., 5/5/2020, n. 8466; Cass., 3019/2019, n. 24205).
Nella specie, con i capitoli articolati, il ricorrente mirava a provare quali fossero stati i destinatari della comunicazione operata dei propri dati, oltre che le conseguenze patite.
La circostanza si presentava decisiva, al fine di vagliare, in un contesto di divieto di diffusione disposto dal giudice amministrativo Decreto Legislativo n. 196 del 2003, ex articolo 52 se la vicenda integrasse la fattispecie di una delle ipotesi previste dall’articolo 24 del decreto, quali quella della lettera c), relativa ai “dati provenienti da pubblici registri, elenchi, atti o documenti conoscibili da chiunque, fermi restando i limiti e le modalita’ che le leggi, i regolamenti o la normativa comunitaria stabiliscono per la conoscibilita’ e pubblicita’ dei dati”, oppure della lettera d), richiamata dal Tribunale, che legittima, con esclusione della diffusione, il trattamento dei dati personali allorquando esso sia necessario per il perseguimento del legittimo interesse del titolare del trattamento o di un terzo destinatario dei dati trattati: fattispecie che spetta a chi ha divulgato il dato invocare.
Ma la sentenza impugnata risulta, pur valutata congiuntamente alla ordinanza istruttoria, per come riferita dalla controricorrente, del tutto carente della motivazione in ordine alla mancata ammissione delle prove testimoniali articolate nel ricorso innanzi a se’, e riprodotte, nel loro tenore testuale, nel ricorso per cassazione, miranti a dimostrare che destinatari della comunicazione non furono soltanto quelli dedotti dalla resistente, o comunque resi necessari dal principio della proporzionalita’ e doverosita’ della divulgazione dei medesimi: ossia su circostanze decisive ai fini della richiesta risarcitoria formulata.
4. – Il quinto motivo e’ assorbito.
5. – In relazione al motivo accolto, la sentenza impugnata va quindi cassata, con rinvio al Tribunale di Roma, in diversa composizione, perche’ provveda a nuova valutazione degli elementi istruttori richiesti ed offerti dalle parti; al medesimo si demanda pure la liquidazione delle spese di legittimita’.
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P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, disattesi il primo e il quarto e assorbiti il terzo e il quinto; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa innanzi al Tribunale di Roma, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di legittimita’.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Le sentenze sono di pubblico dominio.
La diffusione dei provvedimenti giurisdizionali “costituisce fonte preziosa per lo studio e l’accrescimento della cultura giuridica e strumento indispensabile di controllo da parte dei cittadini dell’esercizio del potere giurisdizionale”.
Benchè le linee guida in materia di trattamento di dati personali nella riproduzione di provvedimenti giurisdizionali per finalità di informazione giuridica non richiedano espressamente l’anonimizzazione sistematica di tutti i provvedimenti, e solo quando espressamente le sentenze lo prevedono, si possono segnalare anomalie, richiedere oscuramenti e rimozioni, suggerire nuove funzionalità tramite l’indirizzo e-mail info@studiodisa.it, e, si provvederà immediatamente alla rimozione dei dati sensibili se per mero errore non sono stati automaticamente oscurati.
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