La motivazione della sentenza

Consiglio di Stato, Sentenza|25 febbraio 2021| n. 1636.

La motivazione della sentenza deve essere sempre congruente e adeguata alle peculiarità della controversia, nonché esaustiva rispetto alle censure e ai rilievi articolati dalle parti, in modo da rendere chiaro il perché le questioni esaminate siano state decise in un determinato modo e non in un altro, a favore di una parte e a discapito dell’altra, si ricade nella situazione patologica della motivazione apparente, definita tale perché inidonea ad esplicare le ragioni fondanti la decisione, nonché gli elementi di fatto e le norme che hanno portato il giudice a decidere in un modo anziché in un altro.

Sentenza|25 febbraio 2021| n. 1636

Data udienza 21 gennaio 2021

Integrale

Tag – parola chiave: Opere abusive – Erogazione sanzione pecuniaria – Motivazione assente – Funzione essenziale di fondamento di legittimità dell’azione giurisdizionale – Strumento unico di comprensione delle modalità di esercizio del potere – Remissione al primo giudice

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3004 del 2019, proposto da
Gi. Sp. e St. Ca., rappresentati e difesi dagli avvocati Gi. De., Al. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Fe. Gu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Bologna, via (…);
Responsabile Secondo Settore Comune (omissis) non costituito in giudizio;

sul ricorso numero di registro generale 3021 del 2019, proposto da
Fallimento I Pa. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Bo., Pa. D’O., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Gi. Bo. in Roma, via (…);

contro
Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Fe. Gu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Fe. Gu. in Bologna, via (…);
per la riforma
quanto al ricorso n. 3004 del 2019:
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per per l’Emilia Romagna 21 febbraio 2019 n. 179, resa tra le parti;
quanto al ricorso n. 3021 del 2019:
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per per l’Emilia Romagna 21 febbraio 2019 n. 180, resa tra le parti;
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 gennaio 2021 il Cons. Diego Sabatino e uditi per le parti gli avvocati Al. Ma., Gi. Bo. e Fe. Gu. in collegamento da remoto, ai sensi dell’art. 4, comma 1, Decreto Legge 28 del 30 aprile 2020 e dell’art. 25, comma 2, del Decreto Legge 137 del 28 ottobre 2020;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Con ricorso iscritto al n. 3004 del 2019, Gi. Sp. e St. Ca. propongono appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia Romagna 21 febbraio 2019 n. 179, con la quale è stato respinto il ricorso da loro proposto contro il Comune di (omissis) per l’annullamento
– dell’ordinanza n. 58/2017 in data 29.12.2017 del Responsabile del 2° Settore del Comune di (omissis), “Erogazione sanzione pecuniaria ai sensi dell’art. 10 comma 2 L.R. 21/10/2004 n. 23 da corrispondere al Comune di (omissis) a seguito delle opere abusive realizzate presso l’immobile sito in (omissis) in via (omissis)”;
– nonché di ogni altro atto connesso, presupposto e/o conseguenziale del precedente.
Il giudice di primo grado ha così riassunto i fatti di causa e deciso la questione:
“Con il ricorso in epigrafe sono stati impugnati i seguenti atti:
a). ordinanza n. 58/2017 datata 29.12.2017 del responsabile del II settore del comune di (omissis) portante erogazione sanzione pecuniaria ai sensi dell’art. 10 comm 2 LR 23/2004 da corrispondere al comune a seguito delle opere abusive realizzate presso l’immobile sito in (omissis) via (omissis).
Il ricorso è stato affidato ai seguenti motivi di diritto:
1).Illegittimità in via derivata della sanzione pecuniaria per illegittimità della quantificazione dell’aumento del valore venale del bene operata dalla commissione provinciale VAM di Bologna;
2). Violazione delle norme sul giusto procedimento amministrativo, eccesso di potere per carenza di motivazione e difetto di adeguata istruttoria;
3). Eccesso di potere per travisamento dei fatti, falso supposto di fatto e di diritto, difetto di istruttoria, illogicità, irrazionalità, nonché violazione e falsa applicazione di legge in relazione art. 10 comma 2 LR 23/2004 e al richiamato art. 21, comma 2, della medesima legge;
4). Eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento dei fatti, e contraddittorietà in relazione alla stima effettuata dalla commissione provinciale VAM di Bologna.
Replica nel merito, con deposito di svariate memorie, il Comune di (omissis).
Tanto premesso il ricorso è infondato e deve essere respinto.
Il Tar Emilia Romagna (cfr., sentenza n. 858/2014 confermata in appello) ha già affermato i seguenti principi:
a). prima della demolizione e dell’ammissione alla procedura sanante, la società < non> disponeva affatto di alcun terreno edificabile, bensì soltanto di un immobile vincolato a restauro e risanamento conservativo e, dopo la demolizione, di un terreno non edificabile stante il vincolo di PRG. Solo l’ammissione alla procedura sanante ha creato una potenzialità edificatoria, che prima non c’era, e che la società stessa ha lucrato;
b). Non rileva che la ricostruzione sia avvenuta in conformità al progetto originario senza aumento di carico urbanistico o capacità volumetrica o insediativa, perché : – il progetto originario era solo per “restauro e risanamento conservativo” (unico assentibile), mentre la fedeltà della ricostruzione non elimina l’abuso che è sanato solo col pagamento della sanzione ex art. 10, c. 2, L.R. 23/04.
c). la giurisprudenza (es. TAR Emilia Romagna 259/04, Cons. Stato V 819/96, 938/99, 1610/00) ha da tempo chiarito che l’intervento di ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione fedele dell’immobile, vincolato a restauro e risanamento conservativo, non realizza una difformità parziale dal titolo bensì una difformità totale, cioè è totalmente e non parzialmente abusivo;
d). Ove ne sia possibile la sanatoria ex art. 10/2° c. L.R. 23/04, ricorrendone le condizioni, la sanzione deve quindi essere parametrata all’intero vantaggio patrimoniale conseguente all’abuso, che non può non comprendere il valore della potenzialità edificatoria con il medesimo acquistata ed è stato illegittimamente limitato, invece, al risparmio sui costi di costruzione, in violazione dell’art. 10/2° c. della L.R. 23/04.
In conclusione, apparendo legittimo l’operato del Comune in quanto la sanzione deve essere parametrata all’intero vantaggio patrimoniale conseguente all’abuso, il ricorso è da respingere.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.”
Nella decisione, dunque, il T.A.R. riteneva infondate le censure proposte, sottolineando la correttezza dell’operato della pubblica amministrazione nella quantificazione della sanzione edilizia.
Contestando le statuizioni del primo giudice, le parti appellanti evidenziano l’errata ricostruzione in fatto e in diritto operata dal giudice di prime cure, riproponendo come motivi di appello le proprie originarie censure.
Nel giudizio di appello, si è costituito il Comune di (omissis), chiedendo di dichiarare inammissibile o, in via gradata, rigettare il ricorso.
Dopo un primo rinvio, dato all’udienza del 21 maggio 2019, all’udienza del 24 ottobre 2019 è stata disposta la cancellazione della causa dal ruolo degli affari cautelari.
2. Con un ulteriore ricorso iscritto al n. 3021 del 2019, Fallimento I Pa. s.r.l. propone appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia Romagna 21 febbraio 2019 n. 180, con la quale è stato respinto il ricorso proposto dalla stessa curatela contro il Comune di (omissis) per l’annullamento
– dell’ordinanza n. 58/2017 datata 29.12.2017 del Responsabile del 2° Settore del Comune di (omissis), “Erogazione sanzione pecuniaria ai sensi dell’art. 10 comma 2 L.R. 21/10/2004 n. 23 da corrispondere al Comune di (omissis) a seguito delle opere abusive realizzate presso l’immobile sito in (omissis) in via (omissis)”;
– di ogni altro atto connesso.
Il giudice di primo grado ha così riassunto i fatti di causa e deciso la questione:
“Con il ricorso in epigrafe sono stati impugnati i seguenti atti:
a). ordinanza n. 58/2017 datata 29.12.2017 del responsabile del II settore del comune di (omissis) portante erogazione sanzione pecuniaria ai sensi dell’art. 10, comma 2, LR 23/2004 da corrispondere al comune a seguito delle opere abusive realizzate presso l’immobile sito in (omissis) via (omissis).
Il ricorso è stato affidato ai seguenti 4 motivi di diritto:
1).Illegittimità in via derivata della sanzione pecuniaria per illegittimità della quantificazione dell’aumento del valore venale del bene operata dalla commissione provinciale VAM di Bologna;
2). Violazione delle norme sul giusto procedimento amministrativo, eccesso di potere per carenza di motivazione e difetto di adeguata istruttoria;
3). Eccesso di potere per travisamento dei fatti, falso supposto di fatto e di diritto, difetto di istruttoria, illogicità, irrazionalità, nonché violazione e falsa applicazione di legge in relazione art. 10 comma 2 LR 23/2004 e al richiamato art. 21 comma 2 della medesima legge;
4). Eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento dei fatti, e contraddittorietà in relazione alla stima effettuata dalla commissione provinciale VAM di Bologna.
Replica nel merito, con deposito di svariate memorie, il Comune di (omissis).
Tanto premesso il ricorso è infondato e deve essere respinto.
Il Tar Emilia Romagna (cfr., sentenza n. 858/2014 confermata in appello) ha già affermato i seguenti principi:
a). prima della demolizione e dell’ammissione alla procedura sanante, la società < non> disponeva affatto di alcun terreno edificabile, bensì soltanto di un immobile vincolato a restauro e risanamento conservativo e, dopo la demolizione, di un terreno non edificabile stante il vincolo di PRG. Solo l’ammissione alla procedura sanante ha creato una potenzialità edificatoria, che prima non c’era, e che la società stessa ha lucrato;
b). non rileva che la ricostruzione sia avvenuta in conformità al progetto originario senza aumento di carico urbanistico o capacità volumetrica o insediativa, perché : – il progetto originario era solo per “restauro e risanamento conservativo” (unico assentibile), mentre la fedeltà della ricostruzione non elimina l’abuso che è sanato solo col pagamento della sanzione ex art. 10, c. 2, L.R. 23/04;
c). la giurisprudenza (es. TAR Emilia Romagna 259/04, Cons. Stato V 819/96, 938/99, 1610/00) ha da tempo chiarito che l’intervento di ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione fedele dell’immobile, vincolato a restauro e risanamento conservativo, non realizza una difformità parziale dal titolo bensì una difformità totale, cioè è totalmente e non parzialmente abusivo;
d). ove ne sia possibile la sanatoria ex art. 10/2° c. L.R. 23/04, ricorrendone le condizioni, la sanzione deve quindi essere parametrata all’intero vantaggio patrimoniale conseguente all’abuso, che non può non comprendere il valore della potenzialità edificatoria con il medesimo acquistata ed è stato illegittimamente limitato, invece, al risparmio sui costi di costruzione, in violazione dell’art. 10/2° c. della L.R. 23/04.
In conclusione, apparendo legittimo l’operato del Comune in quanto la sanzione deve essere parametrata all’intero vantaggio patrimoniale conseguente all’abuso, il ricorso è da respingere.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.”
Nella decisione, dunque, il T.A.R. riteneva infondate le censure proposte, sottolineando la correttezza dell’operato della pubblica amministrazione nella quantificazione della sanzione edilizia.
Contestando le statuizioni del primo giudice, il fallimento appellante evidenzia l’errata ricostruzione in fatto e in diritto operata dal giudice di prime cure, riproponendo come motivi di appello le proprie originarie censure.
Nel giudizio di appello, si è costituito il Comune di (omissis), chiedendo di dichiarare inammissibile o, in via gradata, rigettare il ricorso.
Dopo un primo rinvio, dato all’udienza del 21 maggio 2019, all’udienza del 24 ottobre 2019 è stata disposta la cancellazione della causa dal ruolo degli affari cautelari.
3. Alla pubblica udienza del 21 gennaio 2021, i due ricorsi sono stati congiuntamente discussi e assunti in decisione.

DIRITTO

1. – In via preliminare ed a norma dell’art. 70 del codice del processo amministrativo, va disposta la riunione dei diversi appelli, in quanto attinenti a vicende connesse, atteso che le due sentenze gravate riguardano l’impugnazione dello stesso provvedimento, ossia l’ordinanza n. 58/2017 datata 29 dicembre 2017 del Responsabile del 2° Settore del Comune di (omissis).
2. – Ancora in via preliminare, occorre sottolineare come la presente vicenda rappresenti un ulteriore segmento di una questione, quella relativa alla regolarità edilizia dell’immobile sito in (omissis) alla via (omissis), in cui la Sezione si è già cimentata in più occasioni e, precisamente, con le sentenze:
Cons. Stato, VI, 5 gennaio 2015 n. 16 dove, in riforma della sentenza del T.A.R. Emilia Romagna, 23 dicembre 2013 n. 837, è stato accolto il ricorso proposto contro l’originario ordine di demolizione;
Cons. Stato, VI, 1 agosto 2017 n. 3864, dove sono stati riuniti e decisi gli appelli proposti contro tre diverse sentenze del T.A.R. Emilia Romagna (11 marzo 2015 nn. n. 249, 250 e 258) in relazione all’acquisizione dell’immobile in favore del Comune e sulla determinazione del valore venale del bene.
All’udienza del 21 gennaio 2021, poi, sono state portate in decisione ulteriori tre appelli, ossia quello rubricato al nrg. 3019 del 2019, dove il Fallimento I Pa. ha impugnato la sentenza del T.A.R. Emilia Romagna n. 178/2019 data sulla delibera n. 8/2017 adottata dalla Città metropolitana di Bologna – Commissione Provinciale Valori Agricoli Medi nella seduta dell’8 giugno 2017); nonché altri due appelli, ossia i presenti qui riuniti, rispettivamente contro la sentenza n. 179/2019 e la sentenza n. 180/2019 del T.A.R. Emilia Romagna, entrambe in relazione all’ordinanza n. 58/2017 del Comune di (omissis), ordinanza emanata in conseguenza della sopra citata delibera della Commissione VAM.
Sebbene quindi le questioni relative ai tre appelli portati alla stessa udienza siano sicuramente connessi, non sono tanto interdipendenti da imporne la riunione, sia perché la questione della legittimità della delibera della Commissione VAM, assume valore pregiudiziale, sia in ragione dei diversi esiti processuali dei diversi ricorsi.
Pertanto, la presente decisione avrà come oggetto unicamente la due diverse sentenze del Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia Romagna, 21 febbraio 2019 n. 179 e n. 180, con la quale sono stati respinti i due ricorsi contro il Comune di (omissis) per l’annullamento dell’ordinanza n. 58/2017 in data 29 dicembre 2017.
3. – Gli appelli riuniti sono fondati e meritano accoglimento entro i termini di seguito precisati.
4. – Partendo dal primo degli appelli proposti, viene in rilievo il primo motivo di diritto, rubricato “Vizio di omessa pronuncia derivante da errore di fatto revocatorio o in subordine da radicale difetto di motivazione – violazione di legge per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato: art. 112 c.p.c. – mancato esame del ricorso e mancata valutazione dei motivi di impugnazione”, le parti lamentano la mancata considerazione dell’intero contenuto del ricorso introduttivo di primo grado, di cui non vi è traccia nella parte motiva della pronuncia, evidenziando come “Se si eccettua l’iniziale corretto richiamo, in esordio, al provvedimento impugnato, cioè l’ordinanza n. 58/2017 datata 29.12.2017 del Responsabile del II settore del Comune di (omissis), nessuna parte della motivazione consente di ritenere che il Collegio abbia esaminato e vagliato i motivi di ricorso proposti in primo grado avverso tale provvedimento”.
Va parimenti notato che anche il fallimento, nel secondo degli appelli, evidenzia la sovrapponibilità motivazionale delle tre sentenze emanate congiuntamente, seppur non facendone motivo di censura autonomo.
La doglianza è fondata.
4.1. – In tema di motivazione della sentenza, i riferimenti normativi valevoli sono di seguito richiamati: l’art. 111, comma 6, Cost. dispone che “Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati”; l’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. dispone che la sentenza deve contenere “la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione”; l’art. 118 disp. att. c.p.c. dispone che “La motivazione della sentenza di cui all’articolo 132, secondo comma, numero 4), del codice consiste nella succinta esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione, anche con riferimento a precedenti conformi. Debbono essere esposte concisamente e in ordine le questioni discusse e decise dal collegio ed indicati le norme di legge e i principi di diritto applicati”; l’art. 3, comma 1, c.p.a. dispone che “Ogni provvedimento decisorio del giudice è motivato”; l’art. 88 comma 2 lett. d) c.p.a. dispone che la sentenza deve contenere “la concisa esposizione dei motivi in fatto e in diritto della decisione, anche con rinvio a precedenti cui intende conformarsi”; l’art. 74 c.p.a. dispone, per quel che concerne le sentenze in forma semplificata e per quel che attiene alla motivazione, che “La motivazione della sentenza può consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo ovvero, se del caso, ad un precedente conforme.”.
Il riportato quadro normativo dimostra come l’ordinamento attribuisca alla motivazione della sentenza, quand’anche redatta in maniera sintetica, la funzione essenziale di fondamento di legittimità dell’azione giurisdizionale, in quanto strumento praticamente unico di comprensione delle modalità di esercizio di tale potere e, conseguentemente, il suo controllo, in quanto la motivazione costituisce l’iter logico attraverso cui si è formato il convincimento del giudice (Cass. civ., I, 22 febbraio 2017, n. 4605).
La motivazione espone, dunque, le ragioni della decisione, l’insieme degli argomenti sui quali essa è basata, il ragionamento di carattere fattuale e giuridico seguito dal Giudice per determinare la regola concreta della vicenda scrutinata partendo dalla norma astratta, in modo che quanto disposto non sia percepito come un responso oracolare (Cons. Stato, IV, 9 novembre 2020 n. 6896). E anche nei limiti di una esposizione sintetica, corollario del principio della ragionevole durata del processo, a sua volta collegato al principio del giusto processo (art. 111 Cost., art. 6 CEDU), resta salda la funzione di consentire l’individuazione del percorso argomentativo della pronuncia giudiziale, in quanto il rinvio a fonti esterne comporterebbe l’impossibilità di un effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice (Cass. civ., I, 22 agosto 2018, n. 20955).
Pertanto, se è necessario che la motivazione della sentenza sia sempre congruente e adeguata alle peculiarità della controversia, nonché esaustiva rispetto alle censure e ai rilievi articolati dalle parti, in modo da rendere chiaro il perché le questioni esaminate siano state decise in un determinato modo e non in un altro, a favore di una parte e a discapito dell’altra, si ricade nella situazione patologica della motivazione apparente, definita tale perché inidonea ad esplicare le ragioni fondanti la decisione, nonché gli elementi di fatto e le norme che hanno portato il giudice a decidere in un modo anziché in un altro.
Ciò ovviamente non implica che qualsiasi profilo motivazionale omesso comporti l’impossibilità di ricostruire il detto iter concettuale. Infatti la detta patologia non si riscontra nei casi di mancata motivazione su una questione di diritto qualora si pervenga comunque a un’esatta soluzione del problema giuridico, Cass. civ., sez. un., 2 febbraio 2017, n. 2731); oppure quando sussiste la possibilità per il giudice appello di integrare la motivazione carente, anche decidendo, nei limiti della domanda riproposta, sui motivi di ricorso non affrontati dal giudice di prime cure (Cons. Stato, V, 24 gennaio 2020, n. 602).
E’ invece patologica la situazione in cui manchi del tutto la pronuncia sulla domanda o il giudice decida su diversa domanda, ovvero sulla domanda fatta valere in giudizio il giudice di primo grado abbia pronunciato con motivazione inesistente o apparente. In questi casi, l’ordinamento reagisce imponendo la rimessione al primo giudice, in ragione del ricorrere della fattispecie della nullità della sentenza, perché priva degli elementi minimi idonei a qualificare la pronuncia come tale (Cons. Stato, VI, 7 gennaio 2020, n. 95; id., II, 31 maggio 2019, n. 3646).
Pertanto, solo il difetto assoluto di motivazione (che ricorre quando manca del tutto la motivazione o in caso di motivazione meramente apparente) integra un caso di nullità della sentenza, per il combinato disposto degli artt. 88, comma 2, lett. d) e 105, comma 1, c.p.a., in quanto la motivazione rappresenta un requisito formale (oltre che sostanziale) indispensabile affinché la sentenza raggiunta il suo scopo.
4.2. – Nel caso in esame, non può riscontrarsi la presenza dei ricordati requisiti di chiarezza, univocità ed esaustività e nemmeno la struttura decisionale minima per consentire l’intervento ortopedico del giudice di appello.
Le due sentenze in esame fanno parte del gruppo di tre identiche emesse dal T.A.R. Emilia Romagna emesse in relazione alla quantificazione del valore dell’immobile sito in (omissis) alla via (omissis) per l’applicazione delle sanzioni edilizie necessarie per la sua regolarizzazione e portate contestualmente all’udienza del 21 gennaio 2021. Tuttavia, mentre la motivazione della decisione si attaglia perfettamente al caso di cui all’appello nrg. 3019 del 2019, dove il Fallimento I Pa. ha impugnato la sentenza del T.A.R. Emilia Romagna n. 178/2019 data sulla delibera n. 8/2017 adottata dalla Città metropolitana di Bologna – Commissione Provinciale Valori Agricoli Medi nella seduta dell’8 giugno 2017), essa appare irrilevante in relazione agli altri due appelli, ossia i presenti qui riuniti, proposti rispettivamente contro la sentenza n. 179/2019 e la sentenza n. 180/2019 del T.A.R. Emilia Romagna, entrambe contro l’ordinanza n. 58/2017 del Comune di (omissis), ordinanza emanata in conseguenza della sopra citata delibera della Commissione VAM.
Infatti, in questi ultimi due casi non viene in rilievo la quantificazione del valore dell’immobile ma, in via derivata e autonomamente valutabile, il tema dell’imputazione dell’onere di adempiere, nella misura in cui questo spetti alla curatela del fallimento dell’originario costruttore o agli acquirenti da questo aventi causa. Peraltro, trattandosi del riparto dell’obbligazione imposta, appare necessario che la valutazione delle rispettive posizioni sia svolta congiuntamente, dovendosi individuare puntualmente i rispettivi oneri.
Su tutta questa vicenda, la motivazione delle due sentenze non interviene, non facendovi riferimento né prendendo posizione, dando così vita ad un caso di motivazione assente, che comporta la remissione al primo giudice (da ultimo, sul limitrofo caso della motivazione apparente, Cons. Stato, ad. plen. nn. 10, 11, 14 e 15 del 2018).
5. – Gli appelli vanno quindi accolti, dando preliminare e assorbente rilievo alla questione appena vagliata. Tutti gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso. Sussistono peraltro motivi per compensare integralmente tra le parti le spese processuali, determinati dalla singolarità della questione decisa.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe, così provvede:
1. Dispone la riunione degli appelli n. 3004 del 2019 e n. 3021 del 2019;
2. Accoglie gli appelli riuniti n. 3004 del 2019 e n. 3021 del 2019, per l’effetto, annulla con rinvio al primo giudice le sentenze del Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia Romagna 21 febbraio 2019 n. 179 e 21 febbraio 2019 n. 180;
3. Compensa integralmente tra le parti le spese del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 gennaio 2021 con l’intervento dei magistrati:
Giancarlo Montedoro – Presidente
Diego Sabatino – Consigliere, Estensore
Bernhard Lageder – Consigliere
Silvestro Maria Russo – Consigliere
Stefano Toschei – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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