Corte di Cassazione, penale, Sentenza|27 maggio 2021| n. 21006.
La mera segnalazione del privato nel reato di abuso di ufficio.
La mera segnalazione o raccomandazione del privato non configura il concorso morale nel reato di abuso di ufficio, in assenza di ulteriori comportamenti positivi o coattivi che abbiano efficacia determinante sulla condotta del soggetto qualificato, atteso che la raccomandazione lascia libera la volontà del soggetto attivo di aderire o meno secondo il suo personale apprezzamento. Ciò che a tal fine rileva è però la verifica in concreto se la richiesta del privato, intesa come segnalazione o raccomandazione, abbia esplicato una “efficacia determinante” sulla condotta del soggetto qualificato, costituendo in tale caso, invece, una forma di concorso morale nel reato (fattispecie in cui il reato è stato ravvisato, essendo risultato dimostrato in fatto che era stata la segnalazione, a mezzo telefono, ricevuta durante un controllo stradale, ad indurre il pubblico ufficiale ad omettere la contestazione della contravvenzione stradale più grave, essendo stato determinato alla decisione al solo scopo di arrecare un indebito vantaggio patrimoniale al soggetto sottoposto a controllo, evitandogli il ritiro della carta di circolazione e l’esborso di una maggiore somma di denaro).
Sentenza|27 maggio 2021| n. 21006. La mera segnalazione del privato nel reato di abuso di ufficio
Data udienza 30 marzo 2021
Integrale
Tag – parola: Reati – Abuso d’ufficio – Telefonata di raccomandazione – Prova stringente sull’effetto che questa ha avuto sulla determinazione del pubblico ufficiale a compiere o meno il suo dovere – Irrilevanza – Carta di circolazione per un’infrazione stradale – Integrazione del reato
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. COSTANZO Angelo – Presidente
Dott. APRILE Ercole – Consigliere
Dott. AMOROSO G. – rel. Consigliere
Dott. ROSATI Martino – Consigliere
Dott. PATERNO’ RADDUSA Benedett – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 12/07/2019 della Corte di Appello di Messina;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Riccardo Amoroso;
letta la requisitoria scritta del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. MOLINO Pietro, depositata ai sensi del Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.
La mera segnalazione del privato nel reato di abuso di ufficio
RITENUTO IN FATTO
1. Con il provvedimento indicato in epigrafe, la Corte d’Appello di Messina in riforma della sentenza emessa in data 20 aprile 2018 dal Tribunale di Messina ha rideterminato la pena inflitta nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), dopo aver assolto i predetti dal reato di falso di cui al capo B) e confermato la condanna per il reato di abuso di ufficio loro ascritto in concorso al capo A), irrogando a (OMISSIS) la pena di un anno e mesi otto di reclusione e a (OMISSIS) e (OMISSIS) la pena di anni uno e mesi due di reclusione.
Per effetto della chiamata dello (OMISSIS), il (OMISSIS), dopo aver inizialmente contestato al (OMISSIS) l’infrazione che avrebbe comportato il ritiro della carta di circolazione, cambiava atteggiamento limitandosi ad elevare una contravvenzione per una trasgressione meno grave per mancato utilizzo di luce anabbagliante fuori dal centro abitato.
2. Tramite il difensore di fiducia, (OMISSIS) ha proposto ricorso, articolando un unico motivo per mancanza di motivazione. Si duole in particolare della assenza di spiegazioni rispetto alla questione centrale posta con i motivi di appello, in merito alla reale influenza che la telefonata di (OMISSIS) ha avuto sulla condotta del pubblico ufficiale, cio’ perche’ la Corte territoriale si sarebbe limitata a presumere che la chiamata telefonica fosse stata determinante per la decisione resa dal capo pattuglia di non elevare la contravvenzione, tenuto conto che vi sono anche orientamenti contrastanti sulla infrazione al codice della strada relativa alla mancata menzione nel libretto di circolazione del gancio di traino.
Pertanto, essendosi trattato di una mera segnalazione, sarebbe stato necessario provare che avesse realmente influito sulla decisione presa dal pubblico ufficiale.
Il ricorrente richiama poi la pacifica giurisprudenza di legittimita’ sulla irrilevanza della raccomandazione rispetto al concorso nel reato di abuso di ufficio (Sez. 6, n. 35661 del 4/10/2005, Centrone, n. mass.), secondo cui la mera raccomandazione non configura il concorso morale nel reato di abuso di ufficio, in assenza di ulteriori comportamenti positivi o coattivi che abbiano efficacia determinante sulla condotta del soggetto qualificato, atteso che la raccomandazione lascia libera la volonta’ del soggetto attivo di aderire o meno secondo il suo personale apprezzamento).
3. Tramite il difensore di fiducia, (OMISSIS) ha proposto ricorso, articolando tre motivi.
3.1. Con il primo motivo deduce il vizio di motivazione e violazione di legge in merito alla ritenuta pacifica ingerenza del (OMISSIS) nella omessa contestazione della contravvenzione stradale, non essendosi tenuto conto che l’abuso di ufficio e’ un reato proprio e che il (OMISSIS) avrebbe potuto rispondervi solo ove fosse stato provato il suo concorso, tenuto conto della necessaria sussistenza del dolo intenzionale.
3.2. Con il secondo motivo deduce il vizio della motivazione in ordine alla dimostrazione della responsabilita’ dell’imputato al di la’ di ogni ragionevole dubbio
3.3. Con l’ultimo motivo deduce il vizio della motivazione in merito alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche per l’omessa considerazione dello stato di incensuratezza.
4. Tramite il difensore di fiducia, (OMISSIS) ha proposto ricorso, articolando un unico motivo per violazione di legge in relazione all’articolo 323 c.p. e all’articolo 78 C.d.S..
Si duole il ricorrente che la questione dell’infrazione al Codice della strada non e’ stata affrontata correttamente dalla sentenza impugnata atteso che la violazione dell’articolo 78 C.d.S. presuppone l’utilizzo del gancio e non la sua mera presenza, e non e’ pertanto configurabile in assenza di rimorchio.
La mera segnalazione del privato nel reato di abuso di ufficio
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Tutti i motivi addotti dai tre ricorrenti sono inammissibili perche’ afferiscono alla ricostruzione del fatto, attraverso una diversa ed alternativa lettura delle risultanze istruttorie, riproducendo gli stessi motivi che hanno costituito l’oggetto delle censure di merito avanzate in sede di appello, gia’ esaminate e respinte con adeguata motivazione, immune da vizi logici.
Ed infatti, e’ stato piu’ volte ribadito che il giudice di legittimita’ non puo’ sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di giudizio restando esclusa la possibilita’ di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o attendibilita’ delle fonti di prova.
La vicenda e’ stata ricostruita in modo coerente alle risultanze istruttorie, avendo i giudici di merito con accertamenti di fatto logicamente ed adeguatamente motivati, insuscettibili pertanto di sindacato in sede di giudizio di legittimita’, verificato la sicura incidenza causale che hanno avuto le condotte poste in essere dai due concorrenti “estranei”, nella determinazione del concorrente “intraneo” che, nell’esercizio delle proprie funzioni, ed in violazione di norme di legge a contenuto vincolante, ha deliberatamente ed intenzionalmente arrecato ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale.
Nel pervenire a tali conclusioni, la Corte territoriale si e’ attenuta al principio di diritto secondo il quale anche gli estranei al pubblico ufficio o al pubblico servizio possono concorrere nel reato di abuso d’ufficio, quando vi sia compartecipazione di questi all’attivita’ criminosa del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio (Sez. 6, n. 2140 del 25/05/1995, Tontoli, Rv. 201841), in quanto per la configurabilita’ della responsabilita’ dell’extraneus per concorso nel reato proprio, e’ sufficiente, da un lato, la cooperazione materiale ovvero, come nel caso in esame, la determinazione o l’istigazione a commettere il reato, ed e’ indispensabile, dall’altro, che l’intraneo, esecutore materiale del delitto di abuso d’ufficio, sia riconosciuto responsabile del reato proprio (Sez. 6, n. 40303 del 08/07/2014, Zappia, Rv. 260465), condizioni entrambe nel caso di specie ampiamente sussistenti.
2. I motivi di ricorso di (OMISSIS) e (OMISSIS), essendo tra loro connessi, possono essere congiuntamente esaminati.
Essi sono manifestamente infondati in quanto le doglianze non tengono conto degli accertamenti di fatto compiuti dai giudici del merito e corredati da congrua motivazione priva di vizi di manifesta illogicita’. E’ stato, infatti, accertato che il (OMISSIS), quale pubblico ufficiale, nel corso del controllo stradale svolto nei confronti di (OMISSIS), si e’ reso responsabile del reato di abuso di ufficio, per avere omesso di contestare la infrazione comportante il ritiro della carta di circolazione, sebbene avesse gia’ compiutamente accertato la sussistenza dei relativi presupposti previsti dall’articolo 78 C.d.S..
Con argomentazioni ineccepibili sul piano logico nella motivazione della sentenza impugnata e’ stato evidenziato come solo per effetto della segnalazione telefonica ricevuta mentre era in corso il controllo stradale, il predetto pubblico ufficiale abbia deciso di non contestare l’infrazione prevista per le modifiche strutturali dell’autoveicolo non omologate e non attestate dalla carta di circolazione, per la rilevata presenza di un gancio per il traino di rimorchio.
Tale condotta, integrante tutti gli elementi della fattispecie del reato di abuso, e’ stata determinata dall’istigazione posta in essere in concorso da (OMISSIS) e (OMISSIS), per evitare che al (OMISSIS), che era alla guida dell’auto, venisse ritirata la carta di circolazione.
Con riferimento alla questione della irrilevanza della raccomandazione ai fini dell’integrazione del concorso nel reato di abuso d’ufficio la Corte di merito si e’ attenuta al principio di diritto secondo cui cio’ che rileva e’ la verifica in concreto se la richiesta del privato, intesa come segnalazione o raccomandazione, abbia esplicato una efficacia determinante sulla condotta del soggetto qualificato, costituendo in tale caso una forma di concorso morale nel reato.
Nel caso in esame e’ stato ritenuto configurabile il concorso morale nel reato di abuso d’ufficio perche’ l’istigazione e’ stata ritenuta determinante della decisione presa dall’agente di polizia nell’omettere la contestazione della contravvenzione stradale piu’ grave.
Come e’ stato adeguatamente rimarcato dai Giudici di merito, se non ci fossero state le telefonate di (OMISSIS) e (OMISSIS), al (OMISSIS) sarebbe stata elevata la contravvenzione prevista dall’articolo 78 C.d.S., avendo questi testimoniato di avere avvisato poco prima il (OMISSIS) che un agente della Polizia Stradale, ad essi noto e gia’ conosciuto, gli stava ritirando la carta di circolazione.
Quindi, non puo’ ritenersi pertinente il richiamo della giurisprudenza di legittimita’ che esclude che la raccomandazione possa integrare il concorso nell’abuso di ufficio, perche’ non vincola chi la riceve (Sez. 5, n. 32035 del 16/05/2014, Paccione, Rv. 261753), essenzialmente in difetto della dimostrazione che abbia influito effettivamente sulla decisione del soggetto qualificato.
Nel caso concreto la Corte di merito ha messo in evidenza che la decisione del pubblico ufficiale e’ dipesa unicamente dalla telefonata ricevuta mentre era in corso il controllo stradale, e che, quindi, (OMISSIS) come anche (OMISSIS) hanno senz’altro concorso nell’abuso d’ufficio posto in essere da (OMISSIS), avendone determinato la decisione presa al solo scopo di arrecare un indebito vantaggio patrimoniale al soggetto sottoposto a controllo, evitandogli il ritiro della carta di circolazione e l’esborso di una maggiore somma di denaro.
Quanto al motivo sulle circostanze attenuanti generiche, dedotto dal ricorrente (OMISSIS), se ne deve rilevare l’inammissibilita’ perche’ non si confronta con le argomentazioni con cui la Corte di appello ha ribadito in modo coerente la valutazione sulla gravita’ del fatto ed il giudizio negativo sulla personalita’ dell’imputato, con conseguente congrua motivazione del relativo diniego.
3. Quanto al ricorso di (OMISSIS) l’unico motivo dedotto, in merito alla questione della violazione di legge in relazione all’articolo 323 c.p. e all’articolo 78 C.d.S., e’ manifestamente infondato.
Il ricorrente ribadisce che nel caso di specie difetterebbe la violazione di una norma di legge, perche’ il Decreto Legislativo 30 aprile 1992, n. 285, articolo 78 (Codice della strada) non sarebbe applicabile ove il gancio per il traino non risulti utilizzato, e quindi la relativa infrazione presupporrebbe la presenza effettiva di un rimorchio.
Si tratta di una questione gia’ affrontata e superata dai Giudici di merito che, oltre ad evidenziare come il comportamento del ricorrente non risulti essere stato affatto condizionato da dubbi interpretativi, hanno richiamato l’orientamento consolidato in merito alla interpretazione dell’articolo 78 cit. secondo cui la sola presenza del gancio traino costituisce una modifica strutturale del veicolo che ne impone l’omologazione e la relativa attestazione sulla carta di circolazione.
Alla stregua di quanto evidenziato sulle ragioni dell’omessa contestazione dell’infrazione prevista dall’articolo 78 cit., emerge, pertanto, la manifesta sussistenza tanto dell’elemento oggettivo del reato di abuso d’ufficio, quanto dell’elemento soggettivo di esso e risulta, con tutta evidenza, esclusa anche l’ipotesi di un errore nell’interpretazione e nell’applicazione della legge o la scusabilita’ del comportamento del ricorrente, in considerazione della confusione o dell’incertezza nell’interpretazione della suddetta normativa del codice della strada.
Ne consegue la manifesta infondatezza del motivo oltre che la inammissibilita’ delle sottese questioni di merito gia’ adeguatamente e logicamente trattate dalla sentenza impugnata.
4. Dalla declaratoria di inammissibilita’ dei ricorsi consegue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti, oltre che al pagamento delle spese del procedimento, anche a versare ciascuno una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si ritiene congruo determinare in tremila Euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Leave a Reply