La mera proposizione di un reclamo in un giudizio di ottemperanza

Consiglio di Stato, Sezione quarta, Sentenza 7 maggio 2020, n. 2880.

La massima estrapolata:

La mera proposizione di un reclamo in un giudizio di ottemperanza non è idonea ex se a incidere sul potere del Commissario ad acta di adottare ulteriori atti di adempimento, totale o parziale, essendo rimessa all’esclusiva competenza funzionale del giudice dell’ottemperanza ogni valutazione e statuizione al riguardo, da veicolare nelle forme tipiche dell’incidente di esecuzione

Sentenza 7 maggio 2020, n. 2880

Data udienza 27 aprile 2020

Tag – parola chiave: Esecuzione – Risarcimento danni – Per ritardata approvazione di piano di recupero a iniziativa privata – Giudicato – Ottemperanza – Reclamo – Voci di danno risarcibile – Quantificazione – Criteri

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6423 del 2016, proposto da
Vi. Di Gr. ed altri, tutti rappresentati e difesi dagli avv.ti An. Bo. e Ge. Be. per mandato a margine del ricorso per ottemperanza, elettivamente domiciliati presso il loro studio in Chieti alla via (…), con domicili digitali come da registri di giustizia;
contro
Comune di (omissis), in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall’avv. Ga. Mi., e elettivamente domiciliato in Roma, alla via (…), presso lo studio dell’avv. Fr. Pr., per mandato a margine della memoria di costituzione nel giudizio di ottemperanza, con domicilio digitale come da registri di giustizia;

sul ricorso numero di registro generale 9895 del 2018, proposto da
Comune di (omissis), in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall’avv. Ga. Mi., e elettivamente domiciliato in Roma, alla via (…), presso lo studio dell’avv. Fr. Pr., per mandato in calce all’atto introduttivo, con domicilio digitale come da registri di giustizia;

contro
Direttore dell’Agenzia delle Entrate e del Territorio – Ufficio Provinciale di Pescara, intimato quale commissario ad acta, non costituito in giudizio;
nei confronti
Vi. Di Gr. ed altri, tutti rappresentati e difesi dagli avv.ti An. Bo. e Ge. Be. ed elettivamente domiciliati in Chieti alla via (…), per mandato su foglio separato allegato alla memoria di costituzione, con domicilio digitale come da registri di giustizia;
quanto al ricorso n. 6423 del 2016:
sul reclamo
proposto nel giudizio di ottemperanza della sentenza del Consiglio di Stato – Sez. IV n. 5223 del 17 novembre 2015, resa tra le parti, con cui, in accoglimento dell’appello n. r. 8721/2013 e in riforma della sentenza del T.A.R. per l’Abruzzo, Sezione staccata di Pescara, n. 449 del 3 settembre 2013,l’Amministrazione comunale di (omissis) è stata condannata al risarcimento del danno conseguente alla ritardata approvazione di piano di recupero a iniziativa privata, da liquidare secondo i criteri ivi indicati ai sensi dell’art. 34 comma 4 c.p.a.
quanto al ricorso n. 9895 del 2018:
per la riforma
dell’ordinanza collegiale del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Abruzzo – Sezione staccata di Pescara n. 334 del 5 novembre 2018, resa tra le parti, nella parte recante la condanna comminata al Comune di (omissis) ai sensi dell’art. 26, commi 1 e 2, del c.p.a.;
nonché in via di riassunzione
per l’annullamento, previa sospensione, della determinazione n. 34053 del 6 settembre 2018 del Direttore Provinciale dell’Agenzia delle Entrate di Pescara, nominato Commissario ad acta con sentenza n. 2754/2017 per l’ottemperanza della sentenza di questo Consiglio di Stato n. 5223/2015 (ricorso n. 6423 del 2016);
Visti i ricorsi in epigrafe e i relativi allegati;
Vista la sentenza di questa Sezione n. 5223 del 17 novembre 2015, resa tra le parti, con cui, in accoglimento dell’appello n. r. 8721/2013 e in riforma della sentenza del T.A.R. per l’Abruzzo, Sezione staccata di Pescara, n. 449 del 3 settembre 2013, l’Amministrazione comunale di (omissis) è stata condannata al risarcimento del danno conseguente alla ritardata approvazione di piano di recupero a iniziativa privata, da liquidare secondo i criteri ivi indicati ai sensi dell’art. 34, comma 4 c.p.a.;
Vista la sentenza di questa Sezione n. 2754 del 7 giugno 2017, resa tra le parti, con cui è stato accolto il ricorso per l’ottemperanza della sentenza n. 5223 del 17 novembre 2015, fissato termine per l’adempimento e nominato per l’ipotesi di ulteriore inesecuzione quale Commissario ad acta il signor Direttore dell’Agenzia delle Entrate e del Territorio – Ufficio provinciale di Pescara, o funzionario da questi delegato, con specifiche indicazioni in ordine alle modalità di liquidazione del risarcimento;
Visto il reclamo notificato a mezzo di posta elettronica certificata in data 15 dicembre 2017 e depositato il 20 dicembre 2017, con cui il Comune di (omissis) ha impugnato la determinazione del Commissario ad acta del 16 dicembre 2017, con allegata perizia di stima, relativa alla determinazione della misura del danno;
Visto l’atto denominato ricorso in riassunzione del ricorso proposto al T.A.R. per l’Abruzzo – Sezione staccata di Pescara contro il provvedimento del Commissario ad Acta nominato di cui alla suddetta determinazione, con contestuale appello avverso l’ordinanza collegiale del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Abruzzo – Sezione staccata di Pescara n. 334 del 5 novembre 2018, quanto alla condanna ai sensi dell’art. 26 commi 1 e 2 c.p.a.;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Vi. Di Gr. ed altri;
Vista l’ordinanza collegiale n. 55 dell’11 gennaio 2019 con cui è stata disposta la riunione del ricorso n. r. 9895 del 2018 al reclamo proposto nel giudizio di ottemperanza di cui al ricorso n. r. 6423 del 2016;
Vista l’ordinanza collegiale istruttoria n. 1499 del 4 marzo 2019, con cui è stato disposto di acquisire le controdeduzioni del Commissario ad acta in ordine ai rilievi svolti nel reclamo e nel suddetto atto denominato ricorso in riassunzione;
Viste le controdeduzioni del Commissario ad acta;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 5 dicembre 2019 il Cons. Leonardo Spagnoletti e uditi l’avv. Ge. Be. per Vi. Di Gr. ed altri, e l’avv. Ga. Mi. per il Comune di (omissis);
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1.) Con sentenza della Sezione n. 5223 del 17 novembre 2015, resa tra le parti, in accoglimento dell’appello n. r. 8721/2013 e in riforma della sentenza del T.A.R. per l’Abruzzo, Sezione staccata di Pescara, n. 449 del 3 settembre 2013, l’Amministrazione comunale di (omissis) è stata condannata al risarcimento del danno conseguente alla ritardata approvazione di piano di recupero a iniziativa privata, da liquidare secondo i criteri ivi indicati ai sensi dell’art. 34, comma 4 c.p.a.
1.1) Con successiva sentenza della Sezione n. 2754 del 7 giugno 2017, resa tra le parti, è stato accolto il ricorso per l’ottemperanza della sentenza n. 5223 del 17 novembre 2015, fissato termine per l’adempimento e nominato per l’ipotesi di ulteriore inesecuzione quale Commissario ad acta il signor Direttore dell’Agenzia delle Entrate e del Territorio – Ufficio provinciale di Pescara, o funzionario da questi delegato, con specifiche indicazioni in ordine alle modalità di liquidazione del risarcimento.
1.1.1) Con provvedimento del 16 novembre 2017 il Commissario ad acta nominato ha quantificato il danno subito dai Di Gr. in complessivi Euro 2.154.276,46, a titolo di lucro cessante, al quale aggiungere, a titolo di danno emergente, somme pari a Euro 171.118,11, oltre interessi compensativi e rivalutazione monetaria dalla data dei singoli esborsi o dei mancati introiti.
1.1.2) Avverso il suddetto provvedimento il Comune di (omissis) ha proposto reclamo ai sensi dell’art. 114, comma 6 c.p.a., notificato a mezzo di posta elettronica certificata il 15 dicembre 2017 e depositato il 20 dicembre 2017.
1.2) Con deliberazione n. 1 del 6 marzo 2018, preso atto del reclamo e nelle more della sua decisione, il Commissario ad acta ha disposto, in ottemperanza parziale, il pagamento delle somme ritenute non contestate, pari a Euro 439.640,84.
1.2.1) Con ricorso n. r. 312/2018 proposto al T.A.R. per l’Abruzzo, Sezione staccata di Pescara, il Comune di (omissis) ha chiesto l’annullamento della predetta deliberazione, “…trattandosi di una determinazione amministrativa autonoma rispetto al giudicato di ottemperanza…”, e pertanto adottata in totale “assenza di attribuzione”, data l’assenza di inadempienza dell’Ente comunale e l’inesigibilità dell’importo stimato a titolo di lucro cessante alla luce della proposizione del reclamo, e quindi l’incertezza in ordine al quantum debeatur in ottemperanza.
1.2.2) Con ordinanza n. 334 del 5 novembre 2018 il T.A.R. per l’Abruzzo ha dichiarato la propria incompetenza funzionale, in relazione alla competenza funzionale, e quindi esclusiva, del Consiglio di Stato, condannando il Comune di (omissis), oltre che al pagamento delle spese processuali, della ulteriore somma di Euro 4.000 ai sensi dell’art. 26, comma 1, c.p.a., e della sanzione di cui all’art. 26 comma 2 c.p.a., determinata in misura pari al quintuplo del contributo unificato versato, in ragione del divisato abuso dello strumento processuale non solo per la evidente incompetenza funzionale del T.A.R., bensì per la richiesta di provvedimento monocratico ex art. 56 c.p.a. proposta in funzione di ragioni di estrema gravità ed urgenza, connesse a asserite difficoltà economiche dei controinteressati, rimaste indimostrate, e anzi escluse dalla titolarità in capo ai medesimi di ingente patrimonio immobiliare, atto a garantire la restituzione delle somme eventualmente versate.
1.2.3) Con atto denominato “ricorso in riassunzione” notificato a mezzo posta elettronica certificata il 30 novembre 2018 e depositato il 6 dicembre 2018, il Comune di (omissis) ha riproposto l’impugnazione della deliberazione del Commissario ad acta n. 1 del 6 marzo 2018 e ha impugnato l’ordinanza del T.A.R. n. 334 del 5 novembre 2018 nella parte relativa alle statuizioni di condanna di cui all’art. 26, commi 1 e 2 c.p.a.
1.2.4) Con ordinanza n. 55 dell’11 gennaio 2019, la Sezione ha accolto l’istanza incidentale cautelare proposta nel suddetto “ricorso in riassunzione” disponendo la riunione al reclamo proposto nel giudizio di ottemperanza, fissando per la trattazione la camera di consiglio del 28 febbraio 2019.
1.9) Con ordinanza collegiale istruttoria n. 1499 del 4 marzo 2019, all’esito della camera di consiglio del 28 febbraio 2019, è stato disposto di acquisite le controdeduzioni del Commissario ad acta in ordine ai rilievi svolti nel reclamo e nel suddetto atto denominato ricorso in riassunzione.
1.2.5) I signori Vi. Di Gr. ed altri hanno depositato, a loro volta, memorie difensive deducendo l’inammissibilità e infondatezza tanto del reclamo quanto del “ricorso in riassunzione” e contestuale appello e chiedendo nuova ulteriore condanna ai sensi dell’art. 26, comma 1 c.p.a.
1.3) Per completezza deve rammentarsi che, medio-tempore, il Comune di (omissis) ha proposto ricorso n. r. 3045/2019 per revocazione della sentenza n. 5223 del 17 novembre 2015, sul rilievo che essa sarebbe frutto di dolo processuale per avere gli interessati taciuto che le particelle di cui al piano di intervento edilizio non erano in proprietà ma in enfiteusi, sulla base della dichiarazione di un terzo asseritamente concedente e di una visura storica catastale
1.4) Alla camera di consiglio del 5 dicembre 2019 il reclamo e il “ricorso in riassunzione” con contestuale appello sono stati discussi e decisi.
2.) In limine il Collegio deve dare atto che il ricorso per revocazione, chiamato all’udienza pubblica del 5 dicembre 2019, è deciso, con separata sentenza, con declaratoria d’inammissibilità .
3.) Con riferimento al reclamo e al ricorso in riassunzione il Collegio ne rileva, rispettivamente, la parziale fondatezza e l’irricevibilità, mentre risulta infondata l’impugnativa dell’ordinanza collegiale del T.A.R. per l’Abruzzo n. 312 del 5 novembre 2018 per la parte relativa alla condanna ai sensi dell’art. 26, comma 1 e 2 c.p.a.
3.1) In relazione al reclamo, il Collegio ritiene che le modalità con cui l’organo ausiliario è pervenuto alla liquidazione del risarcimento del danno in parte non siano conformi ai criteri di liquidazione indicati nella sentenza di ottemperanza n. 2754 del 7 giugno 2017.
3.1.1) Tale sentenza ha testualmente disposto ai capi 3.4 e ss. che:
“3.4) Alla stregua dei rilievi che precedono, e secondo le chiare indicazioni contenute nella sentenza ottemperanda il danno risarcibile deve essere identificato in tre voci distinte:
a) lucro cessante, da ricondurre all’esaurimento e perdita della chance commerciale costituita dalle utilità economiche ritraibili dalla stipulazione del contratto definitivo di vendita;
b) danno emergente, rappresentato:
b1) dalle perdite economiche direttamente correlate alla restituzione al promissario acquirente dell’acconto corrisposto;
b2) dalle ulteriori perdite economiche, in termini di spese sostenute in relazione alla mancata realizzazione del contratto definitivo.
3.4.1) Orbene, quanto al lucro cessante deve chiarirsi che la chance commerciale, in quanto tale non può identificarsi nell’intero valore dell’affare, poiché è immanente a ogni operazione economica un’alea relativa alla possibilità che alla stipulazione del contratto preliminare non consegua quella del contratto definitivo, per le più varie ragioni, riconducibili sia alle condizioni del mercato immobiliare, sia a eventuali difficoltà e/o restrizioni nell’accesso al credito dell’impresa acquirente, e in generale a ogni fattore non compiutamente ponderabile; trattasi di alea che non ha alcuna attinenza e congruenza con il rischio dell’esaurimento del termine finale apposto dalle parti per la stipula del contratto definitivo, che, come già chiarito sub 3.3.1), costituisce solamente il momento temporale in cui, persistendo la mancata adozione e approvazione dello strumento urbanistico di iniziativa privata, si è inverato l’evento giuridico causativo del danno.
3.4.1.1) Il Collegio ritiene che l’incidenza di tale alea, e quindi la percentuale riduttiva dell’ammontare del danno risarcibile da lucro cessante, possa essere stabilita, in via equitativa ai sensi dell’art. 1226 cod. civ., nella misura del 25%.
3.4.1.2) Pertanto, per stabilire l’entità di tale voce di danno occorrerà provvedere nel senso di seguito indicato:
a) determinazione del valore del compendio immobiliare nel suo complesso e degli immobili a realizzarsi offerti in permuta in conto prezzi alla data del 31 dicembre 2009, in base ai dati ritraibili dall’O.M.I. e/o da contratti di vendita di immobili aventi analoghe caratteristiche ove esistenti e reperibili, secondo il criterio della media dei due (eventualmente) differenti valori;
b) detrazione dal valore come determinato sub a) della percentuale di riduzione del 25%;
c) sulla somma determinata all’esito delle operazioni sub a) e b), computare gli interessi compensativi al tasso legale e la rivalutazione monetaria, separatamente dalla data del 31 dicembre 2009 e fino a quella della stima (cfr. Ad. plen. n. 2 del 2017);
d) determinazione del valore del compendio immobiliare (attualmente rimasto in proprietà ai ricorrenti) alla data della stima, secondo i dati ritraibili dall’O.M.I. e/o da contratti di vendita di immobili aventi analoghe caratteristiche ove esistenti e reperibili, secondo il criterio della media dei due (eventualmente) differenti valori;
e) sottrazione del valore sub d) dal valore sub c) con la determinazione della somma dovuta, che rappresenta l’intero importo liquidabile a titolo di risarcimento del lucro cessante alla data della stima (effettuata dalle parti di comune accordo ovvero dal Commissario ad acta).
3.4.2) Quanto al danno emergente – alla stregua di tutta la documentazione versata in atti e della genericità delle contro deduzioni dell’Amministrazione comunale a fronte della analiticità dei calcoli sviluppati dai ricorrenti – esso deve, invece, ritenersi dovuto nella misura richiesta da questi ultimi; invero, ne è stata dimostrata la verificazione sia quanto agli oneri fiscali e agli interessi passivi per il mutuo contratto per restituzione acconto, sia quanto al mancato incasso di ratei (trentatré mensilità ) a seguito di disdetta anticipata di locazione; del pari devono riconoscersi dovute le somme relative alle documentate parcelle professionali pagate dai ricorrenti in ottemperanza, come già indicate al netto delle spese di giudizio liquidate nel corso dei giudizi amministrativi.
3.4.3) Sulle somme di cui al precedente § 3.4.2), devono poi essere computati, essendo già liquide, separatamente interessi compensativi e rivalutazione monetaria dalla data dei singoli esborsi o dei mancati introiti e sino alla stima (effettuata dalle parti di comune accordo ovvero dal Commissario ad acta).
3.5. Sugli importi dovuti a titolo di lucro cessante e danno emergente – come determinati nei precedenti § § – decorreranno, dal momento della stima (che li trasforma in debiti di valuta), gli interessi legali fino al soddisfo (cfr. Ad. plen. n. 2 del 2017)”.
3.1.2) Il Commissario ad acta, all’esito di articolata valutazione estimativa, con determinazione in data 16 dicembre 2017 ha stabilito in:
– Euro 2.154.276,46 già attualizzati il danno da lucro cessante;
– Euro171.118,11 oltre interessi compensativi e rivalutazione monetaria dalla data dei singoli esborsi o dei mancati introiti e sino all’attualità il danno emergente.
3.1.3.1.) Il Comune di (omissis) – con il primo motivo di reclamo che, in difetto di specifica numerazione delle censure, va identificato con quello sviluppato dalla pagina 5 fino al secondo periodo della pagina 10 del reclamo – sostiene, anzitutto, che il Commissario ad acta avrebbe errato nella determinazione del valore dell’affare, che avrebbe dovuto essere costituito dalla somma del prezzo in parte qua pattuito nel preliminare di vendita, pari a Euro 1.550.000 e del valore degli immobili a realizzarsi (di cui non si contesta la stima in Euro 2.961.600,0), e quindi doveva essere considerato come pari a complessivi Euro 4.511.600,00 (su cui poi applicare la descritta decurtazione del 25%); mentre l’organo ausiliario ha assunto in Euro 2.050.000,00 il valore più probabile del compendio immobiliare nel suo complesso alla data del 31 dicembre 2009 ed ha aggiunto a tale importo quello di 2.961.600,00 quale valore degli immobili a realizzarsi, pervenendo a calcolare un valore complessivo dell’affare pari a euro 5.011.600,0 (su cui ha poi applicato la prevista decurtazione del 25%).
Lamenta il Comune reclamante che, così procedendo, il Commissario ad acta “nel determinare il valore dell’affare è andato oltre le previsioni del contratto preliminare allegato agli atti del processo […]” in quanto l’articolo 3 di detto contratto prevede testualmente che: “Il corrispettivo complessivo per il trasferimento della piena proprietà degli immobili è stato concordato dalle parti nelle seguenti contro-prestazioni: a) versamento di euro 1.550.000 (un milione cinquecento cinquanta mila) di cui euro 150.000 (centocinquantamila) versati oggi a titolo di caparra e il saldo di euro 1.400.000 (un milione quattrocento mila) da pagarsi in sede di stipula dell’atto pubblico di compravendita; b) trasferimento in proprietà in favore dei venditori”, a cura dell’acquirente, di una serie di immobili costruendi nel prosieguo dell’articolo 3 puntualmente individuati.
In sostanza il Comune si duole del fatto che “la chance commerciale non può essere proiettata oltre il valore dichiarato dell’affare”.
Secondo il Comune solo facendosi riferimento al corrispettivo complessivo come definito dal citato art. 3 – con successivo abbattimento del 25% – può essere correttamente individuata la chance commerciale persa, ossia il parametro nel quale identificano il lucro cessante sia la sentenza di merito del Consiglio di Stato, Sez. IV, 17 novembre 2015, n. 5223 sia la stessa sentenza resa in sede di ottemperanza Sez. IV, 7 giugno 2017, n. 2754, rese tra le parti, mentre il criterio seguito dal Commissario ad acta sovrastima tale voce di danno di euro 500.000.
Il motivo di reclamo è fondato.
Giova premettere che effettivamente la citata sentenza di merito Sez. IV, 17 novembre 2015, n. 5223, al capo 9, precisava, quanto alla riconosciuta posta risarcitoria rappresentata dal lucro cessante, che era necessario a tal fine “valutare e quantificare a titolo di lucro cessante la perdita della chance commerciale dei ricorrenti, consistita nella decadenza dal contratto preliminare di vendita del terreno oggetto del Piano di Recupero stipulato con l’operatore immobiliare Ing. Ta. e Ca. s.r.l.”.
Nello stesso senso si poneva la citata sentenza di ottemperanza Sez. IV, 7 giugno 2017, n. 2754 che, al capo 3.4. alla lettera a), quanto al lucro cessante confermava che: “3.4) Alla stregua dei rilievi che precedono, e secondo le chiare indicazioni contenute nella sentenza ottemperanda, il danno risarcibile deve essere identificato in tre voci distinte: a) lucro cessante, da ricondurre all’esaurimento e perdita della chance commerciale costituita dalle utilità economiche ritraibili dalla stipulazione del contratto definitivo di vendita; […]”, salvo precisare, al successivo capo 3.4.1) che “la chance commerciale, in quanto tale non può identificarsi nell’intero valore dell’affare, poiché è immanente a ogni operazione economica un’alea relativa alla possibilità che alla stipulazione del contratto preliminare non consegua quella del contratto definitivo” e stabilire, di conseguenza, una “percentuale riduttiva dell’ammontare del danno risarcibile da lucro cessante”, definita “in via equitativa ai sensi dell’art. 1226 cod. civ., nella misura del 25%”.
E’, quindi, indubbio che, in base alle sentenza di merito e di ottemperanza:
il lucro cessante è costituito dalla perdita della chance commerciale dei ricorrenti;
tale chance commerciale dei ricorrenti deve calcolarsi prendendo come base di calcolo le “utilità economiche ritraibili dalla stipulazione del contratto definitivo di vendita”, ossia il valore dell’affare come negozialmente definito dalle parti, e applicando poi a tale base l’abbattimento del 25% quale percentuale riduttiva;
le “utilità economiche ritraibili dalla stipulazione del contratto definitivo di vendita” sono rappresentate, per gli alienanti, in primis dal corrispettivo negozialmente previsto dal citato articolo 3 del contratto preliminare a fronte della cessione dei loro terreni, corrispettivo consistente – per quanto detto – nella somma di una componente in denaro, pari ad euro 1.550.000, e di una componente in natura (i costruendi immobili da dare in permuta).
Nel quadro di una necessaria interpretazione sistematica della sentenza, la corretta esegesi del successivo passaggio di cui al capo 3.4.1.2 della sentenza di ottemperanza del Consiglio di Stato, Sez. IV n. 2754/ 2017 (per cui: “Pertanto, per stabilire l’entità di tale voce di danno occorrerà provvedere nel senso di seguito indicato: a) determinazione del valore del compendio immobiliare nel suo complesso e degli immobili a realizzarsi offerti in permuta in conto prezzi alla data del 31 dicembre 2009, in base ai dati ritraibili dall’O.M.I. e/o da contratti di vendita di immobili aventi analoghe caratteristiche ove esistenti e reperibili, secondo il criterio della media dei due (eventualmente) differenti valori; “) non può prescindere da tali premesse e va operata tenendo conto delle stesse.
In particolare, tale passaggio non prescriveva al Commissario ad acta di calcolare separatamente il valore effettivo e in assoluto del “compendio immobiliare nel suo complesso” al 31 dicembre 2009 e poi sommare tale valore a quello degli “immobili da realizzarsi offerti in vendita”, come ha fatto il predetto commissario; una siffatta interpretazione della sentenza sarebbe in contrasto con le descritte premesse, perché, ove l’affare fosse andato a buon fine e il contratto definitivo di compravendita fosse stato stipulato e eseguito, non sarebbe entrato né restato nel patrimonio degli alienanti il valore effettivo e in assoluto del “compendio immobiliare nel suo complesso” alla data del 31 dicembre 2009 calcolato in base ai dati ritraibili dall’O.M.I. e/o da contratti di vendita di immobili aventi analoghe caratteristiche ove esistenti e reperibili, secondo il criterio della media dei due (eventualmente) differenti valori – in quanto tale compendio era destinato, invece, in base al contratto, a passare nel patrimonio della parte acquirente – bensì il corrispettivo contrattualmente stabilito per la cessione di tale compendio immobiliare, ossia il “valore” di tale compendio come negozialmente valutato e concordato dalle parti (l’unico valore cui si riferisce la sentenza di ottemperanza con l’espressione “valore dell’affare”). Il valore in assoluto del compendio cedendo al 31 dicembre 2009 – a differenza del suo valore negoziale, identificato dal corrispettivo pattuito – non componeva, infatti, una voce di lucro cessante, non rientrando, per i venditori, fra le “utilità economiche ritraibili dalla stipulazione del contratto definitivo di vendita”.
Tale passaggio della sentenza era, invece, diretto solo a chiarire le modalità attraverso cui andava stimato il valore – quello, sì, effettivo al 31 dicembre 2009 – degli “immobili da realizzarsi offerti in vendita”, e, conseguentemente, utilizzando tale valore e aggiungendovi – come imposto dalle citate premesse – la componente in denaro di 1.550.000 euro, calcolare in via derivata il valore del “compendio immobiliare nel suo complesso” come negozialmente valutato dalle parti, ossia il reale corrispettivo complessivo della compravendita. In altri termini, il metodo di calcolo indicato in sentenza (riferimento “ai dati ritraibili dall’O.M.I. e/o da contratti di vendita di immobili aventi analoghe caratteristiche ove esistenti e reperibili, secondo il criterio della media dei due (eventualmente) differenti valori”) era prescritto dal Collegio al fine di calcolare direttamente il solo valore (effettivo) al 31 dicembre 2009 degli “immobili da realizzarsi offerti in vendita”, fermo restando che, proprio attraverso la stima di uno degli elementi costitutivi del corrispettivo e sommandovi poi la componente in denaro di euro 1.550.000, veniva derivativamente a calcolarsi anche il valore complessivo del compendio immobiliare cedendo come concordato dalle parti (il “valore dell’affare”). In tal senso va intesa la sintetica formulazione del citato capo 3.4.1.2., sub lett. a).
3.1.3.2. In tale contesto non risultano condivisibili sul punto le controdeduzioni depositate dal Commissario ad acta.
Nelle controdeduzioni acquisite il Commissario ad acta ha osservato che “…l’importo di Euro 1.550.000,00 di cui alla scrittura privata in data 21.02.2008 (preliminare di vendita), non rappresenta in alcun modo il valore riferito al 31.12.2009 del compendio immobiliare nel suo complesso, contrariamente a quanto si rileva dal ricorso in esame, bensì trattasi del semplice acconto monetario che, unitamente al valore non quantificato dei realizzandi immobili di cui ai punti b) e c) del suddetto preliminare di vendita, rappresenta il’corrispettivo complessivo per il trasferimento della piena proprietà concordato tra le partà “.
Va, infatti, evidenziato, in primo luogo, che – per quanto detto – l’importo di euro 1.550.000 non era configurato dall’articolo 3 del citato contratto preliminare come una somma da corrispondere a titolo di acconto, bensì – non da solo, ma unitamente agli immobili da realizzarsi offerti in permuta – quale una delle componenti del corrispettivo definitivo della cessione.
Deve, poi, ribadirsi quanto già anticipato circa il fatto che il valore del compendio immobiliare nel suo complesso cui fa riferimento la sentenza di ottemperanza al citato capo 3.4.1.2., sub lett. a), era quello definito convenzionalmente dalle parti, da calcolarsi derivativamente nei termini innanzi precisati.
Tali conclusioni non sono inficiate dal fatto che – come evidenziato dal Commissario ad acta – effettivamente in alcuni passaggi dell’atto di reclamo la posta di euro 1.500.000 viene talvolta qualificata in modo improprio dallo stesso Comune reclamante, perché tali imprecisioni terminologiche non impediscono di cogliere in modo inequivoco il senso del primo motivo di ricorso proposto dal Comune come innanzi illustrato.
In particolare, l’uso del termine “acconto” con riguardo a tale posta ricorre impropriamente nella legenda della tabella riportata alla pag. 6 del reclamo, in un contesto in cui è però anche precisato che trattasi di somma da corrispondersi “all’atto del definitivo”, in concreto non travisandosi il reale assetto negoziale. Con il termine “acconto”, ancorché utilizzato in modo improprio, il reclamante intende solo evidenziare che trattasi di una componente del corrispettivo che va saldata già all’atto del definitivo e, quindi, prima della corresponsione dell’altra componente, rappresentata dai costruendi immobili da conferire in permuta.
Parimenti deve osservarsi che, effettivamente, nella legenda della tabella riportata alla pagina 9 del reclamo, il Comune reclamante (probabilmente per aver tentato di copiare e riadattare in modo impreciso la struttura della precedente tabella, riprodotta alla pag. 8) qualifica l’importo di euro 1.550.000 questa volta come “valore più probabile del compendio immobiliare nel suo complesso alla data del 31 dicembre 2009”, ma anche tale affermazione, di per sé erronea, non impedisce di cogliere il reale senso e l’esattezza di fondo della tesi del Comune, sviluppata alle precedenti pagine 6-7, secondo cui “il valore dell’affare sfumato secondo il preliminare (volendo tenere ferma la valutazione della permuta offerta dal Commissario)” va calcolato in “euro 4.511.600” e l’importo di euro 1.550.000 è una componente di tale valore convenzionale quale parte del corrispettivo spettante “all’atto del definitivo” ai promittenti cedenti, come risulta in modo inequivoco anche dalla previa fedele riproduzione, nel reclamo, del testo dell’articolo 3 del contratto preliminare.
3.1.4) Il motivo di reclamo classificabile come secondo — proposto a partire dal terzo capoverso della pagine 10 del reclamo, a partire dalla frase “Ma non basta; ” fino a pag.13 – che, a sua volta si articola in due diverse doglianze, è, invece, nel suo complesso infondato.
3.1.4.1) Con la prima parte del secondo motivo il Comune reclamante lamenta che il valore più probabile del compendio immobiliare alla data del 31 dicembre 2009 avrebbe dovuto essere minore, e pari ad euro 1.199.734,20, perché a tale data non era ancora stato approvato, dal Commissario ad acta all’uopo nominato, il piano di recupero a iniziativa privata, ciò che è avvenuto soltanto nell’aprile 2010.
In senso contrario va, tuttavia, ribadito che, per le ragioni già illustrate, il calcolo diretto del valore effettivo e assoluto del compendio immobiliare cedendo nel suo complesso al 31 dicembre 2009 da parte del commissario ad acta non era previsto dalla sentenza di ottemperanza, dovendosi avere riguardo al solo valore negoziale corrispondente al corrispettivo pattuito, da calcolarsi nei termini e con il metodo innanzi precisati.
Pertanto – così come, in accoglimento del primo motivo di reclamo, deve annullarsi la determinazione del commissario ad acta nella parte in cui ha proceduto a tale stima diretta – deve parimenti escludersi che, al fine di determinare il lucro cessante, possa alternativamente procedersi alla suddetta stima facendosi riferimento – come sostiene il Comune con il secondo motivo di reclamo – a parametri comunque diversi dal corrispettivo pattuito dalle parti (euro 1.550.000 + il valore dei costruendi immobili da dare in permuta), e che quindi possa assumere rilievo a tal fine il fatto che l’area cedenda godesse o meno alla data del 31 dicembre 2009 della potenzialità edificatoria.
Risulterebbe, quindi, irrilevante a tali fini l’esame della fondatezza nel merito della tesi del Comune secondo cui l’area cedenda non godeva ancora al 31 dicembre 2009 di potenzialità edificatoria e avrebbe avuto un valore effettivo di euro 1.199.743,20.
Va, comunque, rilevato che la tesi del Comune risulta in ogni caso infondata, essendo stata correttamente ed efficacemente confutata dal Commissario ad acta nelle sue condivisibili controdeduzioni laddove ha osservato che:
– “l’area in esame godeva già a tale data della potenzialità edificatoria; infatti, così come si evince dal certificato di destinazione urbanistica citato a pagina 6 della perizia di questo Commissario ad acta, il terreno in esame, alla data del 31.12.2009, era edificabile in quanto ricadeva per la prevalente parte in zona “B”, zona sottoposta a Piano di Recupero (ove risultava possibile applicare l’indice territoriale di 2 mc/mq) e per una esigua parte in fiume Pescara”; – “sull’area in esame era già stato presentato uno specifico Piano di Recupero di iniziativa privata, per il quale la Commissione Edilizia del Comune di (omissis) aveva espresso parere favorevole con condizioni con verbale n. 21/2009 nella seduta del 23.06.2009; tale Piano sarebbe stato successivamente adottato con deliberazione del Commissario ad acta in data 26.04.2010 ed approvato con deliberazione pubblicata sul B.U.R.A. n. 52 del 31.08.2011”.
Il fatto che l’area era appunto già ex se edificabile, che era intervenuto già il parere favorevole della commissione edilizia, e che soltanto per l’inerzia colpevole dell’Amministrazione comunale l’adozione e la successiva deliberazione del piano di recupero è intervenuta in epoca successiva e ad opera di apposito Commissario ad acta è, stato, peraltro, già apprezzato dalla sentenza di merito al fine di riconoscere la sussistenza di un illecito e di una conseguente obbligazione risarcitoria.
3.1.4.2) Infondato si appalesa, poi, il secondo motivo di reclamo anche nella seconda parte (pagg. 11-13 del reclamo) in cui si censura pure la stima effettuata dal commissario ad acta del valore degli immobili da realizzarsi offerti in permuta in conto prezzi alla data del 31 dicembre 2009, valore che l’ausiliario del Giudice individuava in euro 2.961.600,00 e che il Comune reclamante individua nel valore di euro 2.675.943,00, ed il valore sub d) da calcolarsi in base al capo 3.4.1.2) della sentenza di ottemperanza (“d) determinazione del valore del compendio immobiliare (attualmente rimasto in proprietà ai ricorrenti) alla data della stima, secondo i dati ritraibili dall’O.M.I. e/o da contratti di vendita di immobili aventi analoghe caratteristiche ove esistenti e reperibili, secondo il criterio della media dei due (eventualmente) differenti valori; “), che il commissario ad acta ha stimato in euro 2.300.000 e per cui il Comune ipotizza un valore molto superiore (3.180.549,70) sulla base di perizia di parte.
In particolare, non sussistono profili di censurabilità in ordine al procedimento di stima operato dall’organo commissariale, posto che essa è avvenuta attraverso un’attenta analisi comparata dei riferimenti estimativi mediante acquisizione e studio di contratti di compravendita di immobili siti nella stessa zona, detraendo ragionevolmente i costi occorrenti per la realizzazione del plesso in questione.
Lamenta il Comune reclamante che il commissario ad acta è pervenuto a individuare tali valori sulla base di una stima “effettivamente molto articolata e precisa” ma che “sembra però discostarsi dal percorso differente, più semplice che aveva suggerito il Giudice nella presente causa e cioè il semplice riferimento ai valori OMI”.
La censura si appalesa infondata in primo luogo in quanto la specifica doglianza del Comune così come formulata – lamentandosi il fatto che il commissario ad acta non abbia fatto un “semplice riferimento ai valori OMI” – non trova corrispondenza nel ben più articolato criterio indicato dalla sentenza di ottemperanza, che non impone affatto di avere riguardo solo a tali valori.
Fermo tale rilievo, di per sé dirimente, va comunque precisato che la sentenza di ottemperanza – non imponendo di avere riguardo ai soli valori O.M.I. ma consentendo, con la formula (“e/o”), di considerare anche “i contratti di vendita di immobili aventi analoghe caratteristiche […]”, lasciava al commissario ad acta un’ampia discrezionalità tecnica circa la scelta del criterio ritenuto maggiormente adeguato. In particolare, la formula disgiuntiva “e/o” valeva ad indicare che il commissario ad acta non era tenuto necessariamente ad utilizzare congiuntamente entrambi i criteri (procedendo in tal caso alla media dei due eventualmente differenti valori), né era tenuto a considerare i soli valori OMI, ma poteva anche utilizzare in via principale il solo criterio fondato su “i contratti di vendita di immobili aventi analoghe caratteristiche […]”.
In proposito il commissario ad acta, nelle proprie controdeduzioni, che il Collegio condivide, chiarisce di aver utilizzato proprio il criterio dei contratti di vendita (salvo effettuare un mero “test di ammissibilità ” in base ai valori OMI). L’ausiliario del Giudice precisa, al riguardo, che: “Nel caso in esame, essendo esistenti e reperibili contratti di vendita di immobili siti nella medesima zona ove è ubicato quello oggetto di stima ed aventi analoghe caratteristiche intrinseche ed estrinseche, lo scrivente ha eseguito la stima del più probabile valore venale del prodotto edilizio ottenibile dalla trasformazione (ossia l’intero complesso edilizio supposto realizzato ex novo con le medesime caratteristiche di quello di cui al Piano di Recupero), a “valore di mercato” con il procedimento diretto o sintetico comparativo pluriparametrico derivato dal Market Comparison Approach (MCA), sulla base di puntuali riferimenti estimativi acquisiti da appositi atti di compravendita; si evidenzia, inoltre, che con tale procedimento di stima si è fatto ricorso anche ai valori OMI che sono stati debitamente utilizzati nella compilazione del “test di ammissibilità ” (pag. 12 della perizia e tabelle allegati n. 7, 12, 21 e 26). Al valore così ottenuto sono stati detratti tutti i costi occorrenti per la realizzazione del complesso edilizio in esame, così come previsto dal criterio di valutazione che si è adottato per individuare il più probabile valore dell’area (nella fattispecie quello a “valore di trasformazione” ricercato per differenza fra il valore del prodotto ottenibile dalla trasformazione ed i costi necessari alla trasformazione)”.
3.1.5) In conclusione, il reclamo deve essere accolto in relazione al primo motivo, con conseguente annullamento dell’impugnata determinazione del commissario ad acta nella parte in cui, ai fini della determinazione della componente di lucro cessante del danno risarcibile secondo i criteri fissati dalla sentenza di ottemperanza, ha quantificato la posta sub a) indicata nel capo 3.4.1.2 della sentenza di ottemperanza del Consiglio di Stato, Sez. IV n. 2754/ 2017 (per cui: “Pertanto, per stabilire l’entità di tale voce di danno occorrerà provvedere nel senso di seguito indicato: a) determinazione del valore del compendio immobiliare nel suo complesso e degli immobili a realizzarsi offerti in permuta in conto prezzi alla data del 31 dicembre 2009, in base ai dati ritraibili dall’O.M.I. e/o da contratti di vendita di immobili aventi analoghe caratteristiche ove esistenti e reperibili, secondo il criterio della media dei due (eventualmente) differenti valori; “) in euro 5.011.600,00 anziché nel corretto importo di euro 4.511.600,00, che dovrà essere assunto in sede di adozione della nuova determinazione commissariale.
Vanno, invece, disattese le restanti censure dedotte con il reclamo avverto la determinazione commissariale.
3.2) Il Collegio procede, poi, all’esame del “ricorso in riassunzione”, proposto avverso la deliberazione del Commissario ad acta n. 1 del 6 marzo 2018, con cui, in pendenza della decisione del reclamo, e in ottemperanza parziale, è stato disposto il pagamento della minore somma pari a 439.640,84 ritenuta comunque incontestata e dovuta.
3.2.1) In linea generale la mera proposizione di un reclamo in un giudizio di ottemperanza non è idonea ex se a incidere sul potere del Commissario ad acta di adottare ulteriori atti di adempimento, totale o parziale, essendo rimessa all’esclusiva competenza funzionale del giudice dell’ottemperanza ogni valutazione e statuizione al riguardo, da veicolare nelle forme tipiche dell’incidente di esecuzione (cfr. ex multis Consiglio di Stato sez. IV, 22 luglio 2019, n. 5123, 4 dicembre 2017, n. 5667, 15 settembre 2015, n. 4299);
3.2.2) E’ quindi del tutto insostenibile e giuridicamente privo di fondamento l’assunto, sul quale riposa il ricorso in primo grado e il ricorso in riassunzione relativo a pretesa ma inesistente “carenza assoluta di attribuzione”, con conseguente nullità della deliberazione ai sensi dell’art. 21 septies della legge n. 241/1990 con riferimento alla suddetta deliberazione
3.2.3) Il Collegio osserva che il T.A.R., con l’ordinanza n. 312 del 5 novembre 2018, ha statuito in modo ineccepibile in ordine alla propria incompetenza funzionale, posto che la contestazione della deliberazione avrebbe potuto e dovuto assumere l’unica e necessaria forma processuale del reclamo ai sensi dell’art. 114, comma 6 c.p.a. da proporre a questa Sezione, quale giudice inderogabilmente competente in via funzionale.
3.2.4) Dai rilievi che precedono consegue che il suddetto “ricorso in riassunzione”, in quanto proposto oltre i termini per il reclamo, è manifestamente irricevibile perché tardivo, mentre è infondato nella parte in cui censura l’ordinanza in relazione alla declaratoria di competenza, peraltro con mezzo processuale affatto atipico diverso da quello previsto dall’art. 15 c.p.a.; anche in disparte l’ovvio rilievo dell’insanabile contraddittorietà di tali censure con la “riassunzione”, implicante sostanziale acquiescenza all’ordinanza.
3.2.5) E’ invece infondata l’impugnazione dell’ordinanza con riferimento alla statuizione relativa alla condanna ai sensi dell’art. 26 commi 1 e 2 c.p.a., poiché la proposizione di un mezzo processuale d’impugnazione diverso da quello previsto (ricorso ordinario di cognizione in luogo di rituale reclamo nel giudizio di ottemperanza), per giunta con allegazione di motivi d’urgenza e irreparabilità del danno non suffragati, costituiscono certamente condotta processuale censurabile, dovendosi ravvisare nel caso di specie la temerarietà del ricorso proposto in primo grado, e in definitiva una forma di uso abnorme dei mezzi processuali, al di fuori delle forme tipiche e in vista dell’ulteriore dilatazione dei tempi di definizione del giudizio di ottemperanza, in funzione obiettivamente dilatoria e defatigatoria.
3.2.6) In relazione alla reiterazione di tale condotta processuale mediante la proposizione dell’atipico “ricorso in riassunzione” con consentaneo appello limitatamente alla suddetta statuizione di condanna, persistono i profili di temerarietà che giustificano, la condanna, sollecitata dalle parti private controinteressate, al pagamento di ulteriore somma, quantomeno ai sensi dell’art. 26 comma 1, che il Collegio stabilisce in Euro 5.000,00.
4.) In conclusione, mentre il reclamo deve essere accolto in parte, ossia limitatamente al primo motivo, deve dichiararsi irricevibile il suddetto “ricorso in riassunzione”, respingendosi l’impugnazione dell’ordinanza del primo giudice quanto alla statuizione relativa alle spese, con condanna al pagamento dell’ulteriore somma innanzi indicata ai sensi dell’art. 26 comma 1 c.p.a.
5.) In conseguenza delle statuizioni di cui innanzi, il Commissario ad acta provvederà all’adozione di nuovo atto di determinazione della somma dovuta dal Comune reclamante e, senza indugio, degli ulteriori atti relativi al pagamento integrale di tale somma a titolo di risarcimento e relativi accessori, ferma ogni altra statuizione della sentenza di ottemperanza in ordine alla denuncia alla Procura della Repubblica presso il Tribunale penale competente ed alla Procura regionale della Corte dei conti, nonché alla segnalazione al Prefetto di Pescara per ogni valutazione di competenza.
5.) Le spese del procedimento di reclamo, atteso l’esito di solo parziale accoglimento, sono da compensarsi fra le parti, mentre sono poste a carico del Comune di (omissis) le spese del giudizio introdotto dal predetto “ricorso in riassunzione” e dall’impugnazione dell’ordinanza del primo giudice quanto alla statuizione relativa alle spese.
6.) Il compenso del Commissario ad acta, comunque posto a carico del Comune di (omissis), sarà liquidato all’esito dei predetti incombenti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionaleSezione Quarta, definitivamente pronunciando sul reclamo proposto nel giudizio di ottemperanza di cui al ricorso n. r. 6423 del 2016 e sul ricorso n. r. 9598/2018, come in epigrafe proposto, così provvede:
1) accoglie in parte, nei limiti e sensi di cui in motivazione, il reclamo proposto avverso il provvedimento del Commissario ad acta del 16 novembre 2017, e ordina che il nominato Commissario provveda all’adozione di nuovo atto di determinazione della somma dovuta dal Comune reclamante e, senza indugio, degli ulteriori atti relativi al pagamento integrale di tale somma a titolo di risarcimento e relativi accessori, ferma ogni altra statuizione della sentenza di ottemperanza in ordine alla denuncia alla Procura della Repubblica presso il Tribunale penale competente ed alla Procura regionale della Corte dei conti, nonché alla segnalazione al Prefetto di Pescara per ogni valutazione di competenza;
2) dichiara irricevibile il ricorso in riassunzione relativo all’impugnazione della delibera del Commissario ad acta n. 1 del 6 marzo 2018;
3) rigetta l’impugnazione dell’ordinanza del T.A.R. Tribunale Amministrativo Regionale per l’Abruzzo – Sezione staccata di Pescara n. 334 del 5 novembre 2018;
4) compensa tra le parti le spese del procedimento di reclamo, mentre pone a carico del Comune di (omissis) le spese del giudizio introdotto dal predetto “ricorso in riassunzione” e dall’impugnazione dell’ordinanza del primo giudice quanto alla statuizione relativa alle spese, con conseguente condanna del Comune di (omissis), in persona del Sindaco in carica, al pagamento delle spese ulteriori del giudizio in favore dei signori Vi. Di Gr. ed altri, liquidate in complessivi Euro 5.000,00 (cinquemila/00), oltre accessori di legge (I.V.A., C.P.A. e 15% a titolo di rimborso di spese generali);
5) condanna il Comune di (omissis), in persona del Sindaco in carica, al pagamento, in favore dei signori Vi. Di Gr. ed altri, della ulteriore somma di Euro 5.000,00 (cinquemila/00) ai sensi dell’art. 26 comma 1 c.p.a.;
6) riserva all’esito dei predetti incombenti la definitiva liquidazione del compenso del Commissario ad acta, comunque posto a carico del Comune di (omissis), in persona del Sindaco in carica.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nelle camere di consiglio del giorno 5 dicembre 2019 e del 27 aprile 2020 con l’intervento dei magistrati:
Paolo Troiano – Presidente
Leonardo Spagnoletti – Consigliere, Estensore
Daniela Di Carlo – Consigliere
Francesco Gambato Spisani – Consigliere
Alessandro Verrico – Consigliere

 

 

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