Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 23 luglio 2020, n. 22065.
La mancata traduzione nella lingua nota all’indagato alloglotta, che non conosca la lingua italiana, dell’ordinanza applicativa di una misura cautelare personale non ne determina l’invalidità e comporta soltanto che i termini per l’eventuale impugnazione decorrono dal momento in cui l’indagato abbia avuto effettiva conoscenza del contenuto del provvedimento. (Fattispecie relativa alla ordinanza di ripristino dell’originaria misura cautelare custodiale, emessa dal tribunale del riesame in accoglimento dell’appello del pubblico ministero).
Sentenza 23 luglio 2020, n. 22065
Data udienza 6 luglio 2020
Tag – parola chiave: Misure cautelari – Custodia in carcere – Serie di furti aggravati – Imputato alloglotta – Obbligo di traduzione degli atti – Sussiste anche ove lo stesso abbia eletto domicilio presso il difensore di fiducia – presupposto della mancata conoscenza della lingua italiana – Non sussiste
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PALLA Stefano – Presidente
Dott. SETTEMBRE Antonio – Consigliere
Dott. MICHELI Paolo – Consigliere
Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere
Dott. RICCARDI Giusep – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 04/03/2020 del Gip del Tribunale di Spoleto;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere GIUSEPPE RICCARDI;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Epidendio Tomaso, che ha concluso chiedendo l’inammissibilita’ del ricorso;
udito il difensore, Avv., che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza emessa il 04/03/2020 il Gip del Tribunale di Spoleto ha disposto l’applicazione della misura cautelare della custodia in carcere in relazione ad una serie di reati di furto aggravato, tentato o consumato, in abitazione e ricettazione, contestati ai capi A, B, C, D ed E; ha altresi’ dichiarato l’incompetenza per territorio, disponendo la trasmissione degli atti all’A.G. di Siena.
2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso diretto per cassazione il difensore di (OMISSIS), Avv. (OMISSIS), deducendo la violazione di legge processuale, e lamentando l’omessa traduzione dell’ordinanza genetica nella lingua ungherese, l’unica conosciuta dall’indagato, come emerso nel corso dell’interrogatorio di garanzia dinanzi al Gip del Tribunale di Roma, allorquando l’indagato e’ stato costretto ad avvalersi della facolta’ di non rispondere.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Giova rammentare che, secondo il consolidato insegnamento di questa Corte, il riconoscimento del diritto all’assistenza dell’interprete non discende automaticamente, come atto dovuto e imprescindibile, dal mero “status” di straniero o apolide, ma richiede l’ulteriore presupposto, in capo a quest’ultimo, dell’accertata ignoranza della lingua italiana (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239693, in una fattispecie in cui, avendo il ricorrente lamentato la mancata traduzione, nella lingua madre o in inglese, del decreto di sequestro preventivo, la Corte ha ritenuto congruamente accertata in sede di merito la sua dimestichezza con l’idioma italiano, sottolineando, peraltro, che la non recente acquisizione della cittadinanza italiana per effetto di matrimonio gli avrebbe imposto l’onere, non assolto, della prova contraria alla presunzione stabilita nell’articolo 143 c.p.p., comma 1); l’obbligo di traduzione della ordinanza di custodia cautelare emessa nei confronti del cittadino straniero sussiste a norma dell’articolo 143 c.p.p., come modificato dal Decreto Legislativo 4 marzo 2014, n. 32, articolo 1, comma 1, lettera b, anche nel caso di provvedimento disposto a seguito di dichiarazione di incompetenza del g.i.p. che aveva emesso originariamente il titolo custodiale, ma la sua configurabilita’ non discende automaticamente dal mero “status” di straniero o apolide, essendo la stessa, subordinata all’accertamento dell’ignoranza della lingua italiana (Sez. 3, n. 11514 del 27/02/2015, Morante Zarate, Rv. 262980).
Inoltre, qualora sia applicata una misura cautelare personale nei confronti di un cittadino straniero, del quale si ignori che non e’ in grado di comprendere la lingua italiana, non e’ dovuta l’immediata traduzione dell’ordinanza che la dispone e il diritto alla conoscenza del relativo contenuto e’ soddisfatto – una volta eseguito il provvedimento – o dalla traduzione in lingua a lui nota (anche in applicazione dell’articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1-bis), ovvero dalla nomina, in sede di interrogatorio di garanzia, di un interprete che traduca le contestazioni mossegli, rendendolo edotto delle ragioni che hanno determinato l’emissione del provvedimento nei suoi confronti. In tal caso la decorrenza del termine per impugnare il provvedimento e’ differita al momento in cui il destinatario ne abbia compreso il contenuto (Sez. U, n. 5052 del 24/09/2003, dep. 2004, Zalagaitis, Rv. 226717, che, nell’occasione, ha precisato che, qualora non sia stata portata a conoscenza dello straniero, in una lingua a lui nota, l’ordinanza cautelare, quest’ultima e’ viziata da nullita’ a regime cd. intermedio solo quando risulti inequivocabilmente, dagli atti in possesso del giudice al momento della sua adozione, che lo straniero non era in grado di comprendere la lingua italiana).
Anche di recente e’ stato ribadito il principio secondo cui la mancanza di traduzione nella lingua nota all’indagato alloglotta, che non conosca la lingua italiana, dell’ordinanza che rigetta la richiesta di riesame del provvedimento applicativo di una misura cautelare personale, non ne determina l’invalidita’ e comporta soltanto che i termini per l’eventuale ricorso per cassazione decorrono dal momento in cui l’indagato abbia effettiva conoscenza del contenuto dell’ordinanza (Sez. 5, n. 10993 del 05/12/2019, dep. 2020, Chanaa, Rv. 278883).
2. Tanto premesso, il ricorso e’ inammissibile.
Nel caso in esame, viene in rilievo un ricorso per saltum – ai sensi dell’articolo 311 c.p.p., comma 2 secondo cui e’ deducibile soltanto la violazione di legge – avverso l’ordinanza genetica, non preceduta da interrogatorio, emessa da giudice incompetente per territorio.
Sicche’ l’unica nullita’ (peraltro non assoluta) deducibile riguarderebbe l’ordinanza genetica, e conseguirebbe alla circostanza, desumibile dagli atti nella disponibilita’ del giudice al momento dell’adozione della misura cautelare, che lo straniero non era in grado di comprendere la lingua italiana; in assenza di tale circostanza – che non viene dedotta neppure dal ricorrente -, ove venga successivamente accertata la mancata o insufficiente conoscenza della lingua italiana, e, dunque, l’obbligo di traduzione, l’ordinanza genetica non sarebbe comunque affetta da un vizio di invalidita’, in quanto la mancata traduzione comporterebbe soltanto che i termini per l’eventuale impugnazione decorrono dal momento in cui l’indagato abbia effettiva conoscenza del contenuto dell’ordinanza (Sez. U, n. 5052 del 24/09/2003, dep. 2004, Zalagaitis, Rv. 226717; Sez. 5, n. 10993 del 05/12/2019, dep. 2020, Chanaa, Rv. 278883).
Nella specie, va evidenziato che la mancata conoscenza della lingua italiana e’ stata oggetto di una generica ed assertiva deduzione proposta con il ricorso per cassazione, e non risulta essere stata oggetto di accertamento dinanzi all’autorita’ giudiziaria competente, ai sensi dell’articolo 143 c.p.p., comma 4, o che sia stata altrimenti richiesta; al riguardo, va rammentato che l’accertamento relativo alla conoscenza da parte dell’imputato della lingua italiana spetta al giudice di merito, costituendo un’indagine di mero fatto non censurabile in sede di legittimita’ se motivato in termini corretti ed esaustivi (Sez. 6, n. 28697 del 17/04/2012, Wu, Rv. 253250; anche in seguito alla riformulazione dell’articolo 143 c.p.p., ad opera del Decreto Legislativo 4 marzo 2014, n. 32, articolo 1, comma 1, lettera b, Sez. F, n. 44016 del 04/09/2014, Vjerdha, Rv. 260997; Sez. 2, n. 46139 del 28/10/2015, Reznikov, Rv. 265213; Sez. 5, n. 33775 del 27/02/2014, Ilie, Rv. 261640).
Peraltro, se in sede di interrogatorio di garanzia dinanzi al Gip del Tribunale di Roma risulta che l’imputato si e’ avvalso della facolta’ di non rispondere per la difficolta’ di comprendere la lingua italiana, e l’impossibilita’ di reperire un interprete di lingua ungherese – l’unica asseritamente conosciuta dall’indagato -, e’ tuttavia emerso che l’odierno ricorrente abbia consapevolmente partecipato alle operazioni di perquisizione domiciliare e di identificazione, nominando un difensore di fiducia ed eleggendo domicilio presso di lui.
Inoltre, pur prescindendo dal principio, affermato da una parte della giurisprudenza di questa Corte, secondo cui l’obbligo di traduzione degli atti in favore dell’imputato alloglotta e’ escluso ove lo stesso abbia eletto domicilio presso il difensore di fiducia, non verificandosi in tale ipotesi alcuna lesione concreta dei suoi diritti (Sez. 5, n. 57740 del 06/11/2017, Ramadan, Rv. 271860, secondo cui grava sul difensore di fiducia – e non anche su quello d’ufficio – l’obbligo-onere di traduzione degli atti nell’eventuale diversa lingua del cliente alloglotta o, quantomeno, di farne comprendere allo stesso il significato; Sez. 2, n. 31643 del 16/03/2017, Afadama, Rv. 270605; in senso contrario, Sez. 1, n. 23347 del 23/03/2017, Ebrima, Rv. 270274, secondo cui “l’obbligo di traduzione dell’atto in favore dell’imputato alloglotta sussiste – a pena di nullita’ ex articolo 178 c.p.p., lettera c) – anche nel caso in cui egli abbia eletto domicilio presso il difensore, avendo quest’ultimo solo l’obbligo di ricevere gli atti destinati al proprio assistito, ma non anche quello di procedere alla loro traduzione”, in quanto l’elezione di domicilio presso un difensore attiene solo alle modalita’ di notificazione degli atti processuali e non comporta la rinuncia dell’indagato alloglotta alla traduzione degli atti nella propria lingua; Sez. 5, n. 48916 del 28/09/2016, Dutu, Rv. 268371), va evidenziato che i militari che hanno proceduto all’esecuzione della misura cautelare ed alle connesse operazioni (di perquisizione, sequestro, elezione di domicilio e nomina del difensore, fotosegnalamento e visite di controllo presso il carcere) hanno trasmesso una annotazione evidenziando che l’indagato “ha mostrato di capire e parlare correttamente la lingua italiana”.
Non risulta, dunque, accertato, allo stato, il presupposto della mancata conoscenza della lingua italiana invocato dal ricorrente, che, in ogni caso, lungi dal fondare un’ipotesi di invalidita’, comporterebbe soltanto una diversa decorrenza dei termini per l’eventuale impugnazione, dal momento dell’effettiva conoscenza del contenuto dell’ordinanza.
3. Alla declaratoria di inammissibilita’ del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali e alla corresponsione di una somma di denaro in favore della Cassa delle Ammende, somma che si ritiene equo determinare in Euro 3.000,00.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Manda la cancelleria per gli adempimenti di cui all’articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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