La distribuzione dell’onere della prova e la valutazione del materiale probatorio

Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Ordinanza 30 settembre 2020, n. 20880.

In tema di rivendicazione, la distribuzione dell’onere della prova e la valutazione del materiale probatorio debbono essere adeguate alle esigenze della controversia: ne consegue che quando il rivendicante, dante causa mediato del convenuto, sostiene che questi si sia impossessato di una parte del suo terreno eccedente quella a suo tempo venduta, al fine di individuare se e dove fosse stata occupata altra parte del terreno rileva esclusivamente accertare – alla stregua di un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità, se correttamente e congruamente motivato – l’estensione del terreno venduto, stabilendone l’esatta individuazione e collocazione nell’ambito dell’originaria proprietà dell’attore.

Ordinanza 30 settembre 2020, n. 20880

Data udienza 26 giugno 2020

Tag/parola chiave: Proprietà – Accertamento della proprietà di un appartamento – Successore titolo particolare – Legittimità all’azione esecutiva – Sopravvenuta vendita del bene ad un terzo – Riparto dell’onere della prova in rivendicazione – Acquisito dei danti causa – Limiti – Accoglimento

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 25543/2016 proposto da:
(OMISSIS) S.R.L., elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avv. (OMISSIS), che la rappresenta e difende in virtu’ di mandato in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.R.L., elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio degli avv.ti (OMISSIS), e (OMISSIS), che la rappresentano e difendono in virtu’ di mandato in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 5457/2015 della Corte d’appello di Roma, depositata il 2/10/2015;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 26/06/2020 dal consigliere Dott. GIUSEPPE TEDESCO.

RITENUTO

che:
(OMISSIS) s.r.l. chiamava in giudizio dinanzi al tribunale di Roma la (OMISSIS) S.p.A., chiedendo accertarsi la proprieta’ di un appartamento in Roma, compreso all’interno di un complesso edilizio edificato dalla societa’ attrice dopo l’acquisto del terreno.
La convenuta si costituiva ed eccepiva di essere proprietaria dell’unita’ immobiliare oggetto della domanda, per averla acquistata dalla (OMISSIS) s.r.l., che l’aveva a sua volta acquistata dalla societa’ attrice.
Il tribunale accoglieva la domanda, ma la Corte d’appello di Roma andava in contrario avviso.
Essa accoglieva l’appello della (OMISSIS), ritenendo che (OMISSIS) non avesse assolto all’onere, imposto all’attore in rivendicazione, di dare la prova della proprieta’. In particolare, secondo la corte di merito, mancava la prova della persistenza del diritto dell’attrice dopo il frazionamento del complesso edilizio e la costituzione del condominio.
La corte d’appello escludeva che fosse rilevante, ai fini del decidere, verificare se l’interno rivendicato rientrasse o no fra i beni che la convenuta assumeva di avere acquistato acquistati dalla (OMISSIS) s.r.l., “dovendo l’indagine essere circoscritta all’esame dei titolo in capo alla societa’ rivendicante e alla verifica che la porzione della quale si chiede il rilascio vi rientri”.
Per la cassazione della sentenza la (OMISSIS) s.r.l., acquirente della unita’ immobiliare rivendicata, ha proposto ricorso, affidato a cinque motivi.
La (OMISSIS) s.r.l. ha resistito con controricorso, contenente ricorso incidentale affidato a un unico motivo. Le parti hanno depositato memoria.

CONSIDERATO

che:
Deve in primo luogo riconoscersi la legittimazione della (OMISSIS) all’impugnazione, quale successore a titolo particolare nel diritto controverso.
Il dato cronologico invocato dalla controricorrente per negare la legittimazione, e cioe’ che il trasferimento e’ avvenuto in pendenza del giudizio di merito, e’ irrilevante al fine di disconoscere la legittimazione dell’avente causa al ricorso per cassazione.
Il successore a titolo particolare nel diritto controverso non puo’ essere considerato terzo, essendo l’effettivo titolare del diritto in contestazione, tanto da poter assumere la stessa posizione del suo dante causa, con la conseguenza che, come la sentenza spiega effetto nei suoi confronti, egli e’ anche legittimato ad impugnarla, secondo quanto espressamente previsto dell’articolo 111 c.p.c., u.c., senza che questo diritto sia condizionato dal suo intervento in fasi pregresse di giudizio (Cass. n. 6644/2009).
E’ stato anche chiarito che “qualora la controversia promossa dal proprietario, per ottenere il rilascio di un immobile prosegua, nonostante la sopravvenuta vendita del bene ad un terzo, fra le parti originarie, senza intervento ne’ chiamata in causa dell’acquirente, la sentenza di accoglimento della domanda, ai sensi dell’articolo 111 c.p.c., spiega effetto anche nei confronti dell’alienante, oltre che dello acquirente, con la conseguenza che pure il primo deve essere riconosciuto legittimato all’azione esecutiva, in qualita’ di sostituto processuale del secondo (fermo restando il suo obbligo di trasferire al compratore la disponibilita’ dell’immobile ottenuta a mezzo dell’esecuzione)” (Cass. n. 6644/2009; conf. n. 15622/2017).
E’ pertanto altrettanto errata l’ulteriore obiezione della controricorrente, laddove si pretende di negare la legittimazione al ricorso in base al rilievo che la cedente aveva avviato l’azione esecutiva per il rilascio dopo la vendita. L’iniziativa del cedente, legittimato all’azione esecutiva, non contraddice il diritto del successore a titolo particolare a proporre l’impugnazione.
Il primo motivo denuncia violazione dell’articolo 832 c.c. e falsa applicazione dell’articolo 117 c.c..
E’ un dato pacifico della causa che (OMISSIS) fosse, prima della costituzione del condominio, unica ed esclusiva proprietaria dell’intero compendio immobiliare.
Almeno dal marzo 1995, per effetto di variante richiesta al Comune di Roma, l’unita’ immobiliare in contesa costituiva unita’ abitativa autonoma destinata ad uso privato, oggetto di vendita a terzi, al pari delle altre unita’ immobiliari ad uso abitativo realizzate dalla costruttrice.
Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’articolo 1117 c.c..
La corte ha riconosciuto la natura condominiale del bene, in applicazione dell’articolo 1117 c.c., pur non avendo indicato alcun elemento idoneo a giustificare la operativita’ della presunzione.
Il terzo motivo denuncia violazione degli articoli 2697 e 948 c.c..
Quando la porzione oggetto di lite non e’ destinata a uso o servizio comune, poiche’ non opera la presunzione di condominio, e’ onere del convenuto, il quale neghi l’appartenenza esclusiva, fornire la prova contraria.
Il quarto motivo denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.
La corte ha applicato la presunzione di condominio senza considerare che, nel momento in cui il condominio e’ sorto, l’unita’ abitativa aveva la destinazione ad abitazione privata.
L’unico motivo del ricorso incidentale denuncia omissione di pronuncia.
L’accertamento negativo della pretesa della Nuova Sede comportava l’accertamento della reale situazione giuridica, ossia della proprieta’ della (OMISSIS), “domanda implicita ed esplicitata dalla (OMISSIS) e, comunque, oggetto del presente giudizio”.
I motivi di ricorso principale possono essere esaminati congiuntamente. Essi sono tutti fondati.
L’onere della prova in rivendicazione non puo’ essere considerato in modo rigido ed indipendente dalla posizione che in concreto assume il convenuto nell’espletare la sua difesa. La giurisprudenza puo’ dirsi ormai pacificamente orientata nel senso che la probatio diabolica, la dimostrazione cioe’ dell’acquisto legittimo dei danti causa all’infinito, fino a trovare un acquisto originario, non e’ sempre mezzo istruttorio necessario per la vittoria giudiziale del rivendicante. Non occorre, cioe’, che egli, invocando titolo di acquisto derivativi, giunga fino ad un acquisto a titolo originario del suo autore. Il limite della esigenza probatoria a carico del rivendicante non e’ costituito, infatti, da una fattispecie legale tipica ed astratta e cioe’ da una figura di prova legale, bensi’, come per qualsiasi altro istituto giuridico, dalla sufficienza della prova rispetto all’entita’ giuridica che nelle singole fattispecie deve essere dimostrata, avuto riguardo sempre alle contestazioni fra i contendenti.
Molteplici sono i corollari del principio:
a) il rigore dell’onere probatorio imposto all’attore in rivendica, di provare la sussistenza dell’asserito diritto di proprieta’ sul bene anche attraverso i propri danti causa fino a risalire ad un acquisto a titolo originario, ovvero dimostrando il compimento dell’usucapione, risulta attenuato in caso di mancata contestazione da parte del convenuto dell’originaria appartenenza del bene ad un comune dante causa, ben potendo in tale ipotesi il rivendicante assolvere l’onere probatorio su di lui incombente limitandosi a dimostrare di avere acquistato tale bene in base ad un valido titolo di acquisto (Cass. n. 22598/2010);
b) ancora dal principio che il rigore della prova della proprieta’ nell’azione di rivendica va commisurato alle concrete particolarita’ della singola controversia e, in particolare, alla posizione assunta dal convenuto, discende che, ove quest’ultimo abbia riconosciuto la proprieta’ dell’attore, ma abbia eccepito che lo stesso aveva perduto la proprieta’ per averla ceduta a terzi, incombe al convenuto fornire la prova del fatto eccepito, non potendo onerarsi l’attore in rivendicazione della prova negativa di non aver perduto la riconosciutagli proprieta’ (Cass. n. 1787/2003);
c) discende ancora che la distribuzione dell’onere della prova e la valutazione del materiale probatorio debbono essere adeguate alle esigenze della controversia: ne consegue che quando il rivendicante, dante causa mediato del convenuto, sostiene che questi si e’ impossessato di una parte del suo terreno eccedente quella a suo tempo venduta, rileva esclusivamente accertare l’estensione del terreno venduto e stabilirne l’esatta individuazione e collocazione nell’ambito dell’originaria proprieta’ dell’attore, al fine di individuare se e dove fosse stato occupato altro terreno: e le operazioni necessarie a tal fine costituiscono accertamenti di fatto riservati al giudice di merito, insindacabili in sede di legittimita’ se correttamente e congruamente motivati (Cass. n. 5808/1978).
La sentenza impugnata e’ in palese e stridente contrasto con tali principi.
Nella specie era pacifica l’originaria proprieta’ del bene in capo al rivendicante. La convenuta aveva negato la proprieta’, assumendo di essere lei proprietaria in forza di acquisto dalla (OMISSIS) s.r.l., che l’aveva a sua volta acquistato dalla (OMISSIS) s.r.l..
In pratica la convenuta aveva eccepito di essere avente causa mediata del rivendicante, la cui proprieta’ originaria costituiva il presupposto della propria difesa.
Il solo conflitto che il giudice di merito doveva risolvere era se la porzione rivendicata fosse o meno compresa nella vendita fatta dalla rivendicante a alla (OMISSIS) s.r.l.. La corte d’appello ha inspiegabilmente considerato irrilevante tale accertamento, che rappresentava invece l’oggetto del giudizio.
La corte di merito, inoltre, in aggiunta a tale errore ne ha commesso un altro.
Ha rigettato la domanda non perche’ l’attore non avesse fornito la prova della originaria appartenenza, ma perche’ non aveva provato la persistenza del diritto dopo il frazionamento del complesso, per essersene riservata la proprieta’ in concomitanza con la vendita delle singole unita’ immobiliari e la costituzione del condominio.
In questo modo la corte d’appello non solo ha imposto all’attore una prova negativa non richiesta in base all’articolo 948 c.c., ma e’ incorsa nello stesso tempo in una palese violazione dell’articolo 1117 c.c., perche’ ha riconosciuto l’appartenenza comune della porzione senza indagare sulla attitudine funzionale del bene, in relazione alle sue caratteristiche oggettive, all’uso e al godimento comune, attitudine che costituisce il fondamento della presunzione legale di proprieta’ comune di talune parti dell’edificio in condominio (Cass. n. 9644/1987; n. 11195/2010; n. 10073/2018; n. 20599/2018).
Ma non e’ solo questo il solo errore commesso dalla corte d’appello capitolina: essa ipotizzato una proprieta’ condominiale, senza considerare che la convenuta aveva negato il diritto dell’attore, assumendo di averla acquistata a sua volta in proprieta’ esclusiva e non in considerazione di una supposta natura condominiale della porzione in contesa.
Consegue da quanto sopra che e’ fondato anche il ricorso incidentale.
Il conflitto, cosi’ come sottoposto all’esame della corte d’appello, imponeva una sola indagine, e cioe’ se effettivamente la cosa fosse o meno compresa nel titolo vantato dalla convenuta.
L’accoglimento (o il rigetto) della domanda dell’attore implicano riconoscimento (o negazione) del diritto della convenuta e viceversa.
Le diverse posizioni dovevano essere percio’ definite reciprocamente.
La sentenza impugnata deve essere cassata, in relazione al ricorso principale e al ricorso incidentale, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, che provvedera’ a nuovo esame attenendosi a quanto sopra e liquidera’ le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

accoglie il ricorso principale e il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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