La detenzione per la vendita di alimenti in cattivo stato di conservazione

Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 15 maggio 2020, n. 15226.

Massima estrapolata:

La detenzione per la vendita di alimenti in cattivo stato di conservazione, secondo l’art. 6, comma quarto, della legge 30 aprile 1962, n. 283, integra una contravvenzione punita in via alternativa con la pena dell’arresto o dell’ammenda, come tale non depenalizzata ai sensi dell’art. 1, comma 1, del d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 8, né rientrante tra le altre ipotesi di depenalizzazione di cui all’art. 3 del medesimo d.lgs.

Sentenza 15 maggio 2020, n. 15226

Data udienza 9 gennaio 2020

Tag – parola chiave: Produzione, commercio e consumo – Prodotti alimentari (in genere) – Reati – In genere – Detenzione per la vendita di alimenti in cattivo stato di conservazione – Depenalizzazione ai sensi del d.lgs. n. 8 del 2016 – Esclusione – Ragioni.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ANDREAZZA Gastone – Presidente

Dott. LIBERATI Giovanni – Consigliere

Dott. GENTILI Andrea – Consigliere

Dott. NOVIELLO Giuseppe – rel. Consigliere

Dott. ANDRONIO Alessandro – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nata a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 20/06/2019 del tribunale di Paola;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Giuseppe Noviello;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.ssa Di Nardo Marilia, che ha concluso chiedendo la dichiarazione di inammissibilita’ del ricorso.

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con sentenza del 20 giugno 2019 il tribunale di Paola condannava (OMISSIS) alla pena di Euro 400,00 di ammenda in relazione alla L. n. 283 del 1962, articolo 5, lettera b) e articolo 6 perche’ deteneva per la vendita alimenti in cattivo stato di conservazione.
2. Avverso la pronuncia del tribunale sopra indicata propone ricorso per cassazione (OMISSIS) mediante il proprio difensore, deducendo tre motivi di impugnazione.
3. Deduce con il primo i vizi di cui all’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) e c) per non avere il tribunale emesso sentenza ai sensi dell’articolo 129 c.p.p., atteso che la fattispecie di cui alla L. n. 283 del 1962, articolo 5, lettera b) sarebbe stata depenalizzata in quanto il reato in questione e’ previsto da una legge speciale non ricompresa nell’allegato al Decreto Legislativo 15 gennaio 2016, n. 8.
4. Con il secondo motivo deduce i vizi di cui all’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) in relazione all’articolo 192 c.p.p. e L. n. 283 del 1962, articolo 5, lettera b) nonche’ per mancanza, contraddittorieta’ o manifesta illogicita’ della motivazione.
Il tribunale, violando l’articolo 192 c.p.p., comma 2 avrebbe erroneamente fondato la propria decisione sulle sole modalita’ di conservazione degli alimenti, senza anche valutare la pericolosita’ delle modalita’ di detenzione e ancor prima “delle modalita’ e tempi di surgelazione dei prodotti detenuti”. Mancherebbe anche la prova che i prodotti venissero detenuti per la vendita. Di contro, a seguito dell’esame di un teste di p.g., sarebbe emerso che essi erano in buono stato di conservazione. In assenza dunque di un valido quadro indiziario a carico, anche sul piano subiettivo, la decisione contestata sarebbe stata assunta in violazione del principio di colpevolezza ex articolo 27 Cost., comma 1.
5. Con il terzo motivo deduce il vizio di cui all’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) in relazione all’articolo 131 bis c.p., non essendo stata riconosciuta la sussistenza della fattispecie pur ricorrendone i presupposti, stante anche la natura e l’esiguo quantitativo degli alimenti rinvenuti.
6. Manifestamente infondata e’ la prima censura relativa alla invocata depenalizzazione del reato di cui alla L. n. 283 del 1962, articolo 5, lettera b) ad opera del Decreto Legislativo n. 8 del 2016, atteso che come gia’ rilevato da questa Suprema Corte, il reato in esame e’ punito, in base al disposto della L. n. 283 del 1962, articolo 6, con l’arresto fino a un anno o con l’ammenda da Euro 309 e Euro 30.987 e quindi non si tratta di fattispecie punita con la sola pena pecuniaria; pertanto, non trova applicazione il Decreto Legislativo n. 8 del 2016, articolo 1, comma 1; ne’ il reato in questione rientra negli altri casi di depenalizzazione di cui al Decreto Legislativo n. 8 del 2016, articolo 3 (cfr. sez. 3 n. 19686 del 2018, Di Pilato, non massimata).
7. Manifestamente infondata e’ anche la censura riguardante l’intervenuta affermazione di responsabilita’ nei confronti della ricorrente. La contravvenzione prevista dalla L. 30 aprile 1962, n. 283, articolo 5, lettera b), vieta l’impiego nella produzione, la vendita, la detenzione per la vendita, la somministrazione, o comunque la distribuzione per il consumo, di sostanze alimentari in cattivo stato di conservazione. Ai fini della configurabilita’ del reato in esame, non vi e’ la necessita’ di un cattivo stato di conservazione riferito alle caratteristiche intrinseche delle sostanze alimentari, essendo sufficiente che esso concerna le modalita’ estrinseche con cui si realizza, che devono uniformarsi alle prescrizioni normative, se sussistenti, ovvero, in caso contrario, a regole di comune esperienza (Sez. U, n. 443 del 19/12/2001, dep.09/01/2002, Rv. 220717; in senso conforme, Sez. 3, 17 gennaio 2014, n. 6108, Rv. 258861; Sez. 3, 20 aprile 2010, n. 15094; Sez. 3, 21 settembre 2007, n. 35234; Sez. 3, 10 giugno 2004, n. 26108; Sez. 3, 24 marzo 2003, n. 123124; sez. 4, 18 novembre 2002, n. 38513; Sez. 3, 8 novembre 2002, n. 37568; Sez. 3, 3 gennaio 2002, n. 5). E’ stato chiarito che il reato di detenzione per la vendita di sostanze alimentari in cattivo stato di conservazione, previsto dalla L. 30 aprile 1962, n. 283, articolo 5, lettera b), e’ configurabile quando e’ accertato che le concrete modalita’ di conservazione siano idonee a determinare il pericolo di un danno o deterioramento dell’alimento, senza che rilevi a tal fine la produzione di un danno alla salute, trattandosi di una fattispecie volta alla tutela del c.d. ordine alimentare, diretta ad assicurare che il prodotto giunga al consumo con le garanzie igieniche imposte dalla sua natura (cfr Sez. 3, n. 40772 del 05/05/2015, Rv. 264990; Sez. 3, 2 settembre 2004, n. 35828). E’, quindi, necessario accertare che le modalita’ di conservazione siano in concreto idonee a determinare il pericolo di un danno o deterioramento delle sostanze (Sez. 3, 11 gennaio 2012, n. 439; Sez. 3, 13 aprile 2007, n. 15049), escludendosi, tuttavia, la necessita’ di analisi di laboratorio o perizie, ben potendo il giudice di merito considerare altri elementi di prova, come le testimonianze di soggetti addetti alla vigilanza, quando lo stato di cattiva conservazione sia palese e, pertanto, rilevabile a seguito di una semplice ispezione (Sez. 3 n. 35234, 21 settembre 2007, cit.). Nella specie, il Tribunale, in linea con i suesposti principi di diritto, ha accertato, in aderenza alle emergenze istruttorie costituite da testimonianze degli operanti e dal verbale di sequestro, che il cattivo stato di conservazione degli alimenti, freschi all’origine e congelati, emergeva da diversi dati: conservazione in congelatori a pozzetto in assenza della indicazione della precedente sottoposizione al processo di abbattimento, mancanza di documentazione attestante l’esecuzione corretta di tale ultimo processo di conservazione, assenza di un abbattitore presso la struttura ove erano gli alimenti, presenza di brina e “bruciature da freddo” su alcuni prodotti. Trattasi di accertamento di fatto, sorretto da argomentazioni congrue e non manifestamente illogiche che si sottrae, pertanto, al sindacato di legittimita’. Risulta dunque integrata una violazione del c.d. ordine alimentare, volto ad assicurare al consumatore che la sostanza alimentare giunga al consumo con le garanzie igieniche e di conservazione imposte per la sua natura. Tale violazione e’ sufficiente ad integrare il reato in questione. Risulta congrua anche la motivazione relativa alla destinazione alla vendita degli alimenti, atteso che gli stessi erano conservati all’interno della medesima struttura ove si svolgeva anche attivita’ di ristorazione, assieme agli altri prodotti congelati, cosi’ da rendere inverosimile e non supportata la tesi difensiva della destinazione ad uso personale.
8. Quanto al terzo motivo, l’inammissibilita’ consegue alla circostanza per cui, come emerge dal verbale dell’udienza di conclusione del processo, la richiesta di applicazione della fattispecie di cui all’articolo 131 bis c.p. non e’ stata mai avanzata dalla difesa, limitatasi a chiedere l’assoluzione o in subordine l’applicazione del minimo della pena con concessione dei benefici di legge. Tra cui certamente non rientra la previsione in esame. In proposito, deve piuttosto rilevarsi che in assenza di specifica domanda e’ insussistente il vizio di violazione di legge e carenza di motivazione in relazione all’articolo 131 bis c.p. come prospettato. Infatti, in tema di esclusione della punibilita’ per la particolare tenuita’ del fatto, la questione dell’applicabilita’ dell’articolo 131-bis c.p. non puo’ essere dedotta per la prima volta in cassazione, ostandovi il disposto di cui all’articolo 606 c.p.p., comma 3, se il predetto articolo era gia’ in vigore – come nel caso di specie – alla data della deliberazione della sentenza. Tanto in considerazione del fatto per cui la questione postula, di regola, un apprezzamento di merito precluso in sede di legittimita’, ma che poteva essere proposto al giudice procedente al momento dell’entrata in vigore della nuova disposizione (cfr. Sez. 7, Ordinanza n. 43838 del 27/05/2016 Rv. 268281 – 01 Savini; nel medesimo senso con riguardo alla medesima questione non dedotta in grado di appello Sez. 6, n. 20270 del 27/04/2016, Gravina, Rv. 266678).
9. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per la ricorrente, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi e’ ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’”, si dispone che la ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Motivazione semplificata.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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