La denuncia può costituire fonte di responsabilità civile a carico del denunciante o del querelante

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|13 maggio 2024| n. 13093.

La denuncia può costituire fonte di responsabilità civile a carico del denunciante o del querelante

 

La denuncia o la proposizione di una querela per un reato perseguibile d’ufficio possono costituire fonte di responsabilità civile a carico del denunciante o del querelante, in caso di successivo proscioglimento o assoluzione del denunciato (o querelato), solo ove contengano gli elementi costitutivi (oggettivo e soggettivo) del reato di calunnia, poiché, al di fuori di tale ipotesi, l’attività del pubblico ministero titolare dell’azione penale si sovrappone all’iniziativa del denunciante-querelante, interrompendo ogni nesso causale tra denuncia calunniosa e danno eventualmente subito dal denunciato (o querelato).

Ordinanza|13 maggio 2024| n. 13093. La denuncia può costituire fonte di responsabilità civile a carico del denunciante o del querelante

Data udienza 23 febbraio 2024

Integrale

Tag/parola chiave: Responsabilita’ civile – Denunce infondate proscioglimento o assoluzione dell’imputato – Responsabilità per danni a carico del denunciante – Condizioni – Sussistenza degli elementi (oggettivo e soggettivo) del reato di calunnia – Necessità.

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCRIMA Antonietta – Presidente

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere

Dott. AMBROSI Irene – Consigliere

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere – Rel.

Dott. SPAZIANI Paolo – Consigliere

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 20103/2021 R.G. proposto da:

Um.Fr., domiciliazione telematica

(…), dell’avvocato GI.MA. (omissis) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato AT.MA. (omissis);

– ricorrente –

contro

(…) Spa, domiciliazione telematica (omissis) dell’avvocato TA.CA. (omissis) che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO ROMA n. 325/2021 depositata il 18/01/2021.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23/02/2024 dal Consigliere PAOLO PORRECA.

RILEVATO CHE

Um.Fr. ricorre, sulla base di tre motivi, per la cassazione della sentenza n. 325 del 2021 della Corte di appello di Roma esponendo, per quanto qui ancora di utilità, che:

– aveva convenuto (…) Spa, poi divenuta (…) Spa, per ottenere la condanna al risarcimento dei danni, anche non patrimoniali, indicati come conseguenti a una denuncia che la stessa aveva sporto nei suoi confronti e alla quale era a sua volta seguìto un procedimento penale concluso con proscioglimento per insussistenza del fatto;

– a sostegno della domanda aveva allegato di aver fondato un’azienda, la società (…), che aveva partecipato a un bando di gara adottato, nel 2007, da (…), in associazione temporanea d’imprese con la società SI, controllata da (…) Spa;

– aveva quindi sottoscritto, quale amministratore di (…), unitamente all’amministratore di SI, la dichiarazione sostitutiva prevista, per la partecipazione alla gara, dall’art. 38, D.Lgs. n. 163 del 2006;

– l’ATI si era aggiudicata l’appalto;

– con la dichiarazione sostitutiva era stato attestato che nessun amministratore, munito di poteri di rappresentanza, al momento della presentazione della domanda, versava in una delle condizioni di esclusione stabilite dall’art. 38, citato, comma 1, lettera c), ma, su segnalazione del gruppo d’imprese classificato quale secondo nella graduatoria di gara, (…) aveva comunicato di aver riscontrato che uno degli amministratori di (…), con poteri rappresentativi, Bo.Ar., era stato oggetto di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell’art. 444, cod. proc. pen., per reati di corruzione;

– aveva comunicato, con nota del 18 aprile 2008, che, invece, Bo.Ar. aveva assunto l’incarico in parola nel giugno 2007, ma gli era stato revocato ogni potere nel settembre 2007, mentre la sentenza di c.d. patteggiamento era divenuta irrevocabile il 14 maggio 2004 per fatti antecedenti al triennio previsto dall’art. 38 richiamato quale limite temporale di rilevanza delle discusse condizioni;

– (…) aveva egualmente comunicato la decadenza dall’aggiudicazione in uno alla risoluzione di diritto del contratto a valle e aveva depositato denuncia presso gli uffici della Procura della Repubblica per false dichiarazioni rese nell’ambito della gara di appalto;

– Il T.A.R. Lazio aveva respinto il ricorso avverso l’annullamento della revoca dell’aggiudicazione, ritenendo violato l’art. 38, D.Lgs. n. 163 del 2006, mentre era stata accolta l’opposizione all’emesso decreto penale di condanna per insussistenza del fatto in ragione della dedotta antecedenza della revoca dei poteri rappresentativi a Bo.Ar.;

– era comunque seguita, inevitabilmente, la crisi economica, la messa in liquidazione e infine il fallimento della società (…), complessivamente imputabili, in uno al pregiudizio arrecato al deducente, alla condotta, solo formalmente legittima, della compagine (…);

– il Tribunale aveva respinto la domanda osservando che: la denuncia di un reato perseguibile officiosamente non poteva costituire fonte di responsabilità aquiliana, anche in ipotesi di successivo proscioglimento, salva solo l’ipotesi di calunnia, posta l’assorbente sovrapposizione dell’attività pubblicistica dell’organo titolare dell’azione penale interruttiva di ogni riferibilità causale; non vi era prova della condotta anche soggettivamente calunniosa come desumibile dall’art. 38, D.Lgs. n. 163 del 2006, e dalla stessa sentenza, divenuta definitiva, del giudice amministrativo;

– la Corte di appello aveva confermato la decisione di prime cure sottolineando per un verso la sussistenza dell’obbligo di dichiarazione che era stato violato in sede di gara, per altro verso, di conseguenza, l’insussistenza del reato di calunnia oltre che di diffamazione peraltro oggetto di domanda nuova, dovendosi compiere le necessarie valutazioni al momento della condotta posta in essere da (…), come poi confermato dalla decisione del T.A.R. e dall’emissione del decreto penale di condanna pur successivamente revocato, con conseguente irrilevanza anche del documento del 18 aprile 2008;

resiste con controricorso, corredato da memoria, (…) Spa, società a socio unico Regione Lazio, già (…) Spa;

RILEVATO CHE

con il primo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 1176, 2697, cod. civ., 368, cod. pen., 38, comma 1, lettera c), D.Lgs. n. 163 del 2006, poiché la Corte di appello avrebbe errato omettendo illogicamente di esaminare il documento di chiarimenti del 18 aprile 2008 da cui avrebbe dovuto dedursi l’innocenza del deducente, di cui (…) era quindi consapevole, atteso che con esso era stata evidenziata la revoca dei poteri rappresentativi a Bo.Ar. avvenuta precedentemente alla presentazione della dichiarazione sostitutiva di atto notorio annessa alla domanda di partecipazione alla gara, con conseguente dissociazione della società (…) per cui il deducente aveva agito, fermo rimanendo che il richiamato rigetto pronunciato dal giudice amministrativo non avrebbe potuto avere alcun ruolo ostativo nell’ambito del differente scrutinio della responsabilità aquiliana;

con il secondo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 112, cod. proc. civ., poiché la Corte di appello aveva inoltre dichiarato nuova la domanda risarcitoria nella distinta prospettiva della diffamazione, neppure valutata dal Tribunale, mentre la pretesa svolta dal deducente non era mai stata limitata al profilo della calunnia;

con il terzo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 115, cod. proc. civ., in uno all’omesso esame di un fatto decisivo e discusso, relativamente alla mancata considerazione, da parte della Corte di appello, del più volte menzionato documento di chiarimenti del 18 aprile 2008;

CONSIDERATO CHE

i motivi di ricorso, da esaminare congiuntamente per connessione, sono in parte inammissibili, in parte infondati;

in primo luogo, non viene compiutamente riportato, nel ricorso, il contenuto del documento del 18 aprile 2008, in violazione del requisito di specificità imposto dall’art. 366, n. 6, cod. proc. civ., “ratione temporis” applicabile (Cass., Sez. U., 27/12/2019, n. 34469);

in secondo luogo, quanto riferito (specie a pag. 6 del ricorso) del contenuto documentale in parola non appare sufficiente, perché non si comprende se e come la revoca dei poteri di rappresentanza fosse stata resa pubblica e quindi opponibile a terzi nelle forme previste dagli artt. 2383 e 2385, cod. civ., ovvero, in ogni caso, verificabile dal destinatario dei non meglio dettagliati “chiarimenti” contenuti nella nota, al tempo, logicamente, della dichiarata decadenza e connessa denuncia;

in terzo luogo, l’art. 38, comma 1, lettera c), D.Lgs. n. 163 del 2006, “ratione temporis” applicabile, stabiliva che “in ogni caso l’esclusione e il divieto” – derivanti pure dall’applicazione della pena su richiesta ex art. 444, cod. proc. pen., per i reati ivi previsti -“operano anche nei confronti dei soggetti cessati dalla carica nel triennio antecedente la data di pubblicazione del bando di gara, qualora l’impresa non dimostri di aver adottato atti o misure di completa dissociazione della condotta penalmente sanzionata”;

parte ricorrente non si misura in modo argomentato con tale profilo – che dal controricorso emerge rilevato dalla decisione del T.A.R. del Lazio – se non affermando che con la stessa e mera revoca dei poteri di rappresentanza, peraltro avvenuta solo un mese prima, vi sarebbe stata la suddetta “dissociazione”, che, però, costituisce asserzione apodittica che non circostanzia neppure i reati di cui si era trattato;

tutto ciò, comunque, non poteva escludere in alcun modo la legittimità della denuncia da parte di (…), perché gli organi requirenti competenti facessero le valutazioni ad essi spettanti (e la stessa parte ricorrente, a pag. 8 dell’atto di gravame in scrutinio, ambiguamente afferma, infatti, che la condotta di (…) era stata “formalmente legittima”);

come osservato dal Tribunale in prime cure, la denuncia di un reato perseguibile d’ufficio non è fonte di responsabilità per danni a carico del denunciante, ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., anche in caso di susseguente proscioglimento o assoluzione, se non quando essa possa considerarsi calunniosa: al di fuori di tale ipotesi, infatti, l’attività pubblicistica dell’organo titolare dell’azione penale si sovrappone all’iniziativa del denunciante, privandola di ogni efficacia causale e così interrompendo ogni nesso eziologico tra tale iniziativa e il danno eventualmente subìto dal denunciato (Cass., 20/10/2003, n. 15646, Cass., 30/11/2018, n. 30998);

questo significa altresì che non vi è alcuna omessa pronuncia sulla ritenuta domanda anche nuova della calunnia;

logicamente, colui che invochi il risarcimento del danno per avere subìto una denuncia calunniosa ha l’onere di provare la sussistenza di una condotta integrante il reato di calunnia dal punto di vista sia oggettivo sia soggettivo poiché la presentazione della denuncia di un reato costituisce adempimento del dovere, rispondente a un interesse pubblico, di segnalare fatti illeciti, che rischierebbe di essere frustrato dalla possibilità di andare incontro a responsabilità in caso di denunce semplicemente inesatte o rivelatesi infondate (Cass., 12/06/2020, n. 11271);

a mente di quanto prima evidenziato, esclusa l’ipotizzabilità della diffamazione, non emerge in alcun modo come potesse ritenersi dimostrata anche la calunnia anche sotto il profilo del necessario dolo, e questo a prescindere pure dalla pronuncia del giudice amministrativo e dall’emissione del decreto penale di condanna poi revocato;

tutto ciò sia detto rimarcando che la Corte territoriale risulta pur sempre aver considerato il documento del 18 aprile 2008, ritenendolo irrilevante (pagg. 2 e 4 della sentenza in questa sede impugnata), ferma rimanendo la indeducibilità della censura di omesso esame alla luce della doppia decisione conforme dei giudici di merito, ai sensi dell’art. 348-ter, quinto comma, cod. proc. civ., applicabile “ratione temporis”, peraltro al contempo reintrodotto dal D.Lgs. n. 149 del 2022, come previsto dall’art. 360, quarto comma, cod. proc. civ., e posto che parte ricorrente non ha dimostrato, al riguardo, nell’atto di gravame, che le ragioni di fatto poste a base delle due decisioni di merito sono state diverse (Cass., 22/12/2016, n. 26774, Cass., 28/02/2023, n. 5947) ovvero hanno seguito un difforme “iter” logico argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa (cfr. Cass., 09/03/2022, n. 7724);

spese secondo soccombenza;

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali di parte controricorrente liquidate in euro 8.000,00, oltre a 200,00 euro per esborsi, 15% di spese forfettarie e accessori legali.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte ricorrente, se dovuto e nella misura dovuta, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 23 febbraio 2024.

Depositata in Cancelleria il 13 maggio 2024.

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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