Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|30 marzo 2021| n. 8772.
La costruzione o la ristrutturazione di una strada che realizzi un’esigenza di traffico, donde derivi un’alterazione del deflusso delle acque ed un danno alle colture di un fondo, legittima il proprietario di esso alla generale azione risarcitoria, ex art. 2043 c.c. – eventualmente inclusiva dell’esborso per l’esecuzione di opere necessarie ad evitarne la reiterazione – in base al generale principio del “neminem laedere”, trattandosi di opere destinate ad assolvere esigenze generali; in tale ipotesi, pertanto, non trova applicazione la disciplina di cui all’art. 913 c.c. che, viceversa, presuppone l’esistenza di una relazione di “vicinitas” tra i fondi, l’esecuzione di opere di sistemazione agraria o comunque di modifica dello stato dei luoghi in grado di incidere sul naturale scolo delle acque e la diretta derivazione, da dette opere, di un danno per uno dei due fondi.
Ordinanza|30 marzo 2021| n. 8772
Data udienza 21 gennaio 2021
Integrale
Tag/parola chiave: Risarcimento danni – Responsabilità della Pa – Ricorso di un privato contro il Comune – Strada comunale – Caduta acqua che ha rovinato il muro sottostante del privato – Accoglimento del ricorso
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente
Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere
Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere
Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 4565/2016 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
COMUNE DI CIVITELLA ROVETO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 833/2015 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 24/06/2015;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 21/01/2021 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.
FATTI DI CAUSA
Con ricorso per danno temuto del 30.3.2004 (OMISSIS), proprietaria di un immobile sito in (OMISSIS), evocava in giudizio innanzi il Tribunale di Avezzano il Comune di Civitella Roveto, lamentando di aver subito il crollo del muro di delimitazione del confine della sua proprieta’ a causa dello scolo delle acque proveniente dalla sovrastante strada comunale, non adeguatamente mantenuta dall’ente locale, ed invocando la condanna del Comune all’esecuzione delle opere necessarie ad assicurare la corretta canalizzazione degli scoli e ad eliminare la causa del danno lamentato.
Con ordinanza del 9.11.2004 veniva accolto l’interdetto, con ordine al Comune di ampliare le caditoie di scolo esistenti a servizio della strada.
Nel successivo giudizio di merito, la (OMISSIS) invocava l’accertamento della derivazione del crollo dalla cattiva manutenzione della strada comunale e la condanna del Comune al rifacimento dell’opera diruta, o in alternativa al risarcimento del danno.
Con sentenza n. 507/2008 il Tribunale rigettava la domanda.
Interponeva appello avverso la decisione di prime cure la (OMISSIS) e la Corte di Appello di L’Aquila, con la sentenza oggi impugnata, n. 833/2015, rigettava l’impugnazione.
Propone ricorso per la cassazione della predetta decisione (OMISSIS), affidandosi a due motivi.
Resiste con controricorso il Comune di Civitella Roveto.
La parte controricorrente ha depositato memoria in prossimita’ dell’adunanza camerale.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’articolo 913 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perche’ la Corte di Appello avrebbe deciso la controversia sulla base della disposizione di cui anzidetto, senza considerare tuttavia che nel caso di specie non si controverteva di rapporti tra proprietari di fonti confinanti, ma di danno derivante dall’omessa custodia e manutenzione di bene di proprieta’ pubblica.
La censura e’ fondata.
La (OMISSIS) aveva agito, nella forma della denuncia di danno temuto, in primis, ed in sede di merito, una volta ottenuto l’interdetto, invocando l’accertamento della derivazione causale del crollo del muro di confine della sua proprieta’ dallo scolo delle acque proveniente dalla soprastante strada comunale e la condanna del Comune al ripristino dell’opera crollata, ovvero al risarcimento del danno.
La Corte di Appello ha ritenuto che, in base al principio posto dall’articolo 913 c.c., in caso di dislivello tra due fondi vicini, “… il proprietario del fondo superiore non abbia alcun obbligo di intervenire con riferimento alle acque piovane che dal proprio fondo scolano naturalmente in quello inferiore e se vuole puo’ farlo, a condizione che le innovazioni apportate non rendano lo scolo piu’ gravoso per il fondo inferiore (Cass. n. 7579/1994)” (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata). Su tale presupposto, la Corte aquilana ha ritenuto che la (OMISSIS) fosse onerata non soltanto di dimostrare il danno e la sua derivazione causale dallo scolo di acque proveniente dalla strada comunale, ma anche “… che vi fosse stato un intervento” del Comune “.. e che questo avesse aggravato il deflusso delle acque si’ da determinare una situazione di pericolo per il proprio fondo” (cfr. pagg. 4 e 5 della sentenza impugnata).
In realta’, l’articolo 913 c.c., richiama, al comma 1, il concetto di naturale deflusso delle acque, e prevede, al comma 3, che la modifica del detto deflusso naturale derivante da “opere di sistemazione agraria dell’uno o dell’altro fondo” comporti l’obbligo di riconoscere una indennita’ a favore del proprietario del fondo cui la modificazione abbia recato pregiudizio. Si tratta dunque di una disposizione che fa riferimento al rapporto tra fondi agricoli e che e’ suscettibile di applicazione, al di la’ di detto ambito, alle ipotesi in cui si configuri una modifica della naturale conformazione dei luoghi, dovuta ad un intervento dell’uomo, che sia tale da causare un effetto modificativo del naturale deflusso delle acque idonea a recar danno diretto ad uno dei due fondi. I presupposti per l’applicabilita’ della norma in esame, dunque, sono tre:
1) l’esistenza di una relazione di vicinitas tra i fondi;
2) l’esecuzione di opere di sistemazione agraria o comunque di modificazione dello stato dei luoghi in grado di incidere sul naturale scolo delle acque;
3) la diretta derivazione, da dette opere, di un danno per uno dei due fondi.
Viceversa, la costruzione o ristrutturazione di una strada, che realizzi una esigenza di traffico, non avvantaggia, neanche in modo indiretto, la produttivita’ di un dato fondo piu’ di quanto giovi a tutti gli altri fondi con cui lungo il suo percorso essa confina, e non e’, quindi, riconducibile alle superiori esigenze della produzione agraria che, ai sensi dell’articolo 913 c.c., u.c., possono eccezionalmente giustificare la modificazione del flusso naturale delle acque piovane, con corresponsione di una indennita’ al proprietario del fondo pregiudicato. Pertanto, ove dalla esecuzione dell’opera predetta derivi un’alterazione del deflusso delle acque che rechi danno alle colture di un fondo, il proprietario del medesimo e’ legittimato alla generale azione risarcitoria ex articolo 2043 c.c., per il ristoro del danno, eventualmente comprensivo dell’esborso per l’esecuzione di opere necessarie ad evitarne la reiterazione (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 2831 del 22/04/1986, Rv. 445869; nonche’ Cass. Sez. 3, Sentenza n. 4822 del 25/07/1980, Rv. 408647).
In presenza di opere destinate ad assolvere ad esigenze generali, quali la regolazione del traffico, non e’ pertanto applicabile la norma di cui all’articolo 913 c.c., ma occorre fare riferimento al generale principio del neminem laedere, con conseguente applicazione del canone generale della responsabilita’ da fatto illecito, e dunque dell’articolo 2043 c.c., sia con riferimento alla costruzione, che alla manutenzione e custodia, delle predette opere.
Sotto tale profilo, questa Corte ha affermato, in una fattispecie del tutto sovrapponibile a quella della quale si discute, che “La discrezionalita’ – e la conseguente insindacabilita’ da parte del giudice ordinario – dei criteri e dei mezzi con cui la P.A. realizzi e mantenga un’opera pubblica (nella specie, una strada comunale dalla quale era tracimata acqua piovana con conseguente danneggiamento di un immobile adiacente di proprieta’ privata) trova un sicuro limite nell’obbligo di osservare, a tutela della incolumita’ dei cittadini e dell’integrita’ del loro patrimonio, le specifiche disposizioni di legge e regolamenti disciplinanti detta attivita’, nonche’ le comuni norme di diligenza e prudenza, con la conseguenza che, dall’inosservanza di queste disposizioni e di dette norme, deriva la configurabilita’ della responsabilita’ della stessa P.A. per i danni arrecati a terzi” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2566 del 06/02/2007, Rv. 594401; conf. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 907 del 20/01/2010, Rv. 611120; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 23562 del 11/11/2011, Rv. 620513; nonche’ Cass. Sez. U., Sentenza n. 2693 del 13/07/1976, Rv. 381482).
Di conseguenza, “Pur essendo vero che il proprietario del fondo sovrastante non puo’ rendere piu’ gravoso per il proprietario del fondo inferiore il deflusso delle acque che, dal terreno superiore, scolano verso quello sottostante e pur potendosi ritenere che questo principio, dettato dall’articolo 913 c.c., e’ da considerarsi applicabile anche ai rapporti tra i Comuni confinanti, escludendosi, cosi’, la legittimita’ di opere, quali le strade pubbliche, eseguite nei territori posti a maggiore quota, in tutti quei casi in cui queste, siccome prive di impianti di smaltimento delle acque piovane, accrescano la quantita’ e la velocita’ del deflusso delle acque stesse verso i suoli posti a minore quota, tuttavia tale regola riguarda solo il rapporto tra i proprietari dei due territori, che possono – come detto – identificarsi anche con due enti pubblici. Viceversa, questo principio non si estende al rapporto tra il Comune ed i suoi abitanti, verso i quali l’Amministrazione e’, comunque, tenuta all’osservanza del divieto del “neminem laedere”, che di per se’ implica l’obbligo di adottare, nella costruzione delle strade pubbliche, gli accorgimenti e i ripari necessari per evitare che, dalla strada, le acque che nella medesima si raccolgono o che sulla stessa sono convogliate, legalmente o illegalmente, senza opposizione del Comune proprietario, possano defluire in modo anomalo nei fondi confinanti, cosi’ impedendo di arrecare loro un danno ingiusto” (cfr. ancora Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2566 del 06/02/2007, Rv. 594400).
Ne’ sussistono dubbi sulla competenza del giudice ordinario, posto che “… la competenza del giudice specializzato delle acque pubbliche postula, ai sensi del Regio Decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, articolo 140, la diretta derivazione del danno dall’esecuzione o manutenzione di opere riguardanti il regime delle acque pubbliche e non acque pluviali scorrenti su pubbliche strade, non convogliate ne’ disciplinate per un uso determinato, che non possono essere considerate pubbliche”e non, quindi, la diversa domanda di risarcimento per i danni che si assumono derivati al proprietario di un immobile in virtu’ della inadeguata efficienza del sistema di smaltimento delle acque piovane defluenti da strade comunali (cfr. ancora Cass. Sez. 3 Sentenza n. 2566 del 06/02/2007, Rv. 594399).
La Corte di Appello, dunque, avrebbe dovuto applicare al caso di specie la norma generale di cui all’articolo 2043 c.c. e non invece l’articolo 913 c.c., Di conseguenza, la (OMISSIS) non era tenuta a dimostrare, oltre all’esistenza del danno ed alla sua derivazione causale dallo scolo delle acque provenienti dalla superiore strada comunale, anche l’esecuzione, da parte del Comune, di opere atte a modificare lo stato dei luoghi, poiche’ la responsabilita’ dell’ente locale non deriva dalla condizione di superiorita’ della strada, bensi’ dall’inadempimento – ove in concreto accertato – dell’obbligo generale di manutenzione dei beni pubblici o destinati ad uso pubblico.
L’accoglimento della prima doglianza implica l’assorbimento del secondo motivo, con il quale la ricorrente lamenta la violazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per difetto, carenza e illogicita’ della motivazione della decisione impugnata.
La sentenza impugnata va dunque cassata in relazione alla censura accolta e la causa rinviata, anche per le spese del presente giudizio di legittimita’, alla Corte di Appello di L’Aquila, in differente composizione. Il giudice del rinvio avra’ cura di conformarsi al contenuto della presente decisione, in particolare valutando la sussistenza della responsabilita’ del Comune di Civitella Roveto con applicazione dei criteri previsti dall’articolo 2043 c.c..
P.Q.M.
la Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimita’, alla Corte di Appello di L’Aquila, in differente composizione.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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