Corte di Cassazione, penale, Sentenza|14 luglio 2021| n. 26802.
Integra la condotta del delitto di ricettazione l’attività di intromissione nella catena di possibili condotte successive ad un delitto già consumato, posta in essere nella consapevolezza dell’origine illecita del bene, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto. (Fattispecie nella quale gli imputati, che avevano costituito un’associazione a delinquere a tal fine, avevano acquisito una serie di assegni bancari di provenienza delittuosa e li avevano negoziati dopo averli contraffatti e clonati).
Sentenza|14 luglio 2021| n. 26802. La condotta del delitto di ricettazione
Data udienza 10 giugno 2021
Integrale
Tag – parola: Associazione a delinquere – Accordo di carattere generale e continuativo per l’attuazione di un programma delinquenziale – Sussistenza di una struttura organizzativa ben definita – Consapevolezza e volontà di ciascun partecipe di far parte del sodalizio criminoso – Ricettazione – Utilizzo e negoziazione di assegni bancari di provenienza delittuosa – Valutazione dei fatti e delle prove – Giudizio di merito – Rigetto
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GALLO Domenico – Presidente
Dott. BORSELLINO Maria Daniela – Consigliere
Dott. PARDO Ignazio – Consigliere
Dott. COSCIONI Giuseppe – Consigliere
Dott. DI PISA Fabio – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nata a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nata a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nata a (OMISSIS);
(OMISSIS), nata a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nata a (OMISSIS);
(OMISSIS), nata a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 12/02/2020 della CORTE APPELLO di BOLOGNA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. FABIO DI PISA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. TAMPIERI LUCA, che ha concluso chiedendo il rigetto di tutti i ricorsi;
udito l’Avvocato (OMISSIS), in difesa di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), il quale dopo avere chiesto di depositare atti relativi al procedimento trattato presso il Tribunale di Napoli per i medesimi assegni oggetto di (OMISSIS)sa, produzione non ammessa dalla Corte, ha concluso chiedendo l’accoglimento dei ricorsi;
udito il medesimo legale in sostituzione dei difensori di fiducia di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) che ha concluso riportandosi ai motivi dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 19/02/2019, emessa a seguito di giudizio abbreviato, il G.U.P. del Tribunale di Ravenna condannava gli imputati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) alle pene ritenute di giustizia in relazione ai reati, rispettivamente ascritti, di cui agli articolo 416 e 648 bis c.p..
Secondo la ricostruzione del primo giudice, dalle attivita’ captative delle utenze in uso a (OMISSIS) ed al coimputato (OMISSIS) – oggetto di riscontro tramite attivita’ controllo e pedinamento nonche’ in virtu’ degli esiti delle perquisizioni -, era emersa l’esistenza di una associazione a delinquere dedita all’approvvigionamento, alla contraffazione nonche’ all’incasso di assegni di provenienza illecita da parte di coloro che, partecipanti all’associazione, erano indicati quali beneficiari dei titoli; il denaro veniva versato sui conti correnti appositamente aperti, quindi, prelevato e consegnato agli organizzatori, previa detrazione del 15% trattenuto dai negoziatori.
In particolare (OMISSIS) comunicava a (OMISSIS) una serie di nominativi di persone, fra cui taluni degli odierni imputati, da indicare quali beneficiari degli assegni contraffatti, (OMISSIS) valutava l’opportunita’ di tale intestazione anche in base ai titoli gia’ negoziati ed alle transazioni non andate a buon fine; i titoli di credito di provenienza illecita – vale a dire furto, violazione della corrispondenza o peculato – venivano contraffatti mediante la sostituzione del solo nome del beneficiario.
Il G.U.P. accertava che il gruppo aveva una organizzazione gerarchica, (OMISSIS) era in posizione sovraordinata anche rispetto al suo referente ravennate, (OMISSIS), il quale riceveva direttive finalizzate a monitorare la correttezza dell’operato dei c.d. “cambiatori” i quali avevano il compito di prelevare le somme lasciandone una parte sul conto corrente per non destare sospetti ed, in caso di mancata conclusione della transazione, dovevano giustificare la circostanza mediante la stampa del movimento di conto corrente.
1.1. La Corte di Appello di Bologna, pronunziando sugli appelli proposti dai suddetti imputati, confermava la sentenza impugnata quanto al reato associativo di cui al capo sub. 1) e riteneva che tutti i fatti contestati di cui ai capi da 2) a 21) – per i quali confermava l’affermazione della penale responsabilita’ degli imputati – andavano qualificati ai sensi dell’articolo 648 c.p., ritenendo che le condotte in questione non erano, di per se’, idonee ad ostacolare la provenienza delittuosa dei titoli di credito che avevano mantenuto identici tutti i restanti elementi identificativi, a parte la falsificazione della identita’ del beneficiario; procedeva, quindi, alla rideterminazione del trattamento sanzionatorio a carico di tutti gli imputati.
2. Contro detta sentenza hanno proposto ricorsi per cassazione, a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia, (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).
2.1. (OMISSIS) formula quattro motivi.
2.1.1. Con il primo motivo lamenta, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), erronea applicazione degli articoli 416 e 110 c.p. nonche’ manifesta illogicita’ della motivazione in relazione alla ritenuta configurabilita’ della sua partecipazione all’associazione a delinquere contestata al capo 1) dell’imputazione; insufficienza probatoria quanto all’asserito ruolo di promotore.
Evidenzia che la durata del presunto sodalizio, l’origine spontanea ed occasionale delle condotte de quibus poste in essere all’interno di un bar di una piccola cittadina e l’assenza di una struttura criminale organizzata rendevano configurabile una semplice ipotesi di concorso di persone nel reato ex articolo 110 c.p..
Deduce che la corte di appello aveva confermato la sussistenza del reato associativo con argomentazioni illogiche ed incongrue, pur in difetto di prova di tutti gli elementi costitutivi del reato e non motivando in alcun modo in ordine alle ragioni per le quali aveva ritenuto comprovato un pactum sceleris, una durata potenzialmente indeterminata dell’associazione de qua e l’indeterminatezza del programma criminoso della stessa.
Rileva che le attivita’ captative e di indagine, in generale, non avevano fornito elementi utili all’individuazione di un collegamento fra l’imputato ed i vertici della presunta organizzazione criminale, che il suo asserito ruolo di “promotore” non risultava in alcun modo comprovato e che non era emersa alcuna prova che il predetto aveva la disponibilita’ o movimentava ingenti somme di denaro.
2.1.2. Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., lettera d), la mancata assunzione di una prova decisiva.
Rileva che la corte di appello, con una motivazione del tutto illogica ed arbitraria, aveva ritenuto superflua la chiesta acquisizione degli assegni clonati, non considerando che l’assenza agli atti del fascicolo degli assegni di cui al capo di imputazione aveva pregiudicato il diritto di difesa dell’imputato.
2.1.3. Con il terzo motivo lamenta, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), erronea applicazione dell’articolo 648 c.p. ed erronea mancata riqualificazione dei fatti contestati quali ipotesi di truffa.
Rileva che gli assegni in questione erano stati contraffatti al fine di ingannare la fede pubblica e poiche’, secondo i principi affermati dalle SS.UU. con la pronunzia n. 40256/2018, non costituisce reato la contraffazione di un assegno bancario non trasferibile per effetto della depenalizzazione dell’articolo 485 c.p., non sussistendo un reato presupposto, trattandosi di falso penalmente irrilevante, la condotta andava riqualificata ai sensi dell’articolo 640 c.p., non essendo configurabile una ipotesi di ricettazione, bensi’ un reato di truffa da dichiarare improcedibile per difetto di valida querela.
Osserva che, in ipotesi di ritenuta configurabilita’ del reato di ricettazione, tenuto conto del numero dei titoli di importo esiguo e del numero dei titoli di cui l’imputato aveva tentato l’incasso, senza riuscirvi, ben poteva trovare applicazione l’ipotesi attenuata di cui al cpv dell’articolo 648 c.p..
2.4. Con il quarto motivo deduce, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla determinazione della pena, all’eccessivita’ dell’aumento ex articolo 81 c.p., al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche nonche’ delle attenuanti ex articolo 62 c.p., n. 4 e articolo 114 c.p..
Assume che nel caso di specie la pena appariva eccessiva, dovendosi riconoscere le attenuanti invocate tenuto conto del modesto pregiudizio arrecato con l’azione criminosa e degli assai risalenti precedenti dell’imputato e che andava ridotto l’aumento per la continuazione.
2.2. (OMISSIS) formula tre motivi.
2.2.1. Con il primo motivo lamenta, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), erronea applicazione dell’articolo 416 c.p. nonche’ manifesta illogicita’ della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza della sua partecipazione all’associazione a delinquere contestata al capo 1).
Deduce che la corte di appello, con motivazione del tutto carente, aveva confermato la sussistenza del reato associativo, pur in difetto di prova di una affectio societatis e della indeterminatezza del disegno criminoso, risultando palese il contrario in quanto il progetto criminoso in questione era unicamente finalizzato alla spendita di assegni falsi, condotta ripetutasi secondo le medesime finalita’ e terminata con il compimento della condotta contestata, risultando evidente che ogni soggetto aveva accettato di svolgere un solo compito, vale a dire cambiare gli assegni contraffatti dietro corrispettivo.
Assume che risultava chiaramente dagli atti che l’unico e solo obiettivo di tutti gli imputati era chiaro sin dall’inizio e si era concretizzato in una condotta identica per tutti, esauritasi nel compimento dell’azione tipica ovvero la monetizzazione dei titoli contraffatti, risultando del tutto assente la prova dell’elemento psicologico del reato di cui all’articolo 416 c.p..
Rileva che la corte di appello non aveva considerato che nessuno dei partecipi, ivi compresa l’imputata, erano consapevoli della fitta rete di meccanismi sottesi alla realizzazione dei reati-scopo e dei vari soggetti coinvolti e che la condotta dell’imputata poteva, tutt’ al piu’, integrare un’ipotesi di concorso di persone nel reato ex articolo 110 c.p., quanto all’incasso dei titoli di cui al capo di imputazione.
2.2.2. Con il secondo motivo lamenta, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), violazione di legge e vizio di motivazione quanto al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
Assume che la corte territoriale, violando il dettato di cui all’articolo 133 c.p., aveva negato dette attenuanti in ragione della circostanza che l’imputata si era avvalsa della facolta’ di non rispondere, ragionamento questo illegittimo non potendosi fondare il diniego su un giudizio negativo riguardante la condotta dell’imputata, assumendo, sotto altro profilo, che le argomentazioni della corte apparivano viziate, non avendo la stessa tenuto conto che l’imputata aveva risposto alle domande del P.M. in fase di indagini.
2.2.3. Con il terzo motivo lamenta, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla determinazione della pena a suo dire eccessiva anche in raffronto agli altri coimputati.
Evidenzia che pur a fronte dello specifico motivo di censura la corte di appello aveva adottato una motivazione del tutto apodittica, non attenendosi al criterio della proporzionalita’ della pena secondo in criteri di cui all’articolo 133 c.p. ed applicando una pena incongrua rispetto a quella irrogata ad altri coimputati i quali avevano posto all’incasso un maggior numero di assegni.
2.3. (OMISSIS) formula sei motivi.
2.3.1. Con il primo motivo lamenta, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b, erronea applicazione dell’articolo 416 c.p. in relazione all’articolo 530 c.p.p. ed inosservanza degli articoli 192 e 533 c.p.p.; ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera E) manifesta illogicita’ della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza della sua partecipazione all’associazione a delinquere contestata al capo 1) dell’imputazione nonche’ omesso esame del motivo inerente il lasso temporale durante il quale l’imputato avrebbe partecipato all’attivita’ associativa.
Deduce che la corte di appello aveva laconicamente confermato la sussistenza del reato associativo in difetto di prova di tutti gli elementi costitutivi del reato e non aveva motivato in alcun modo in ordine alle ragioni per le quali aveva ritenuto comprovata, in capo allo (OMISSIS), la consapevolezza dell’esistenza di una associazione a delinquere e la sua adesione alla stessa ed in ordine alla sussistenza dell’elemento psicologico del reato associativo.
Assume che, quanto agli argomenti addotti dalla corte di appello, la valorizzata mancata partecipazione all’interrogatorio di garanzia non poteva essere assunto quale elemento di prova neanche indiziario dal momento che rientrava nei suoi diritti di difesa; l’incasso degli assegni di cui al capo 11) non poteva, di per se’, dimostrare la sua partecipazione all’associazione de qua; la sua conoscenza con il coimputato (OMISSIS), il sequestro di assegni a (OMISSIS) in un paio dei quali risultava quale beneficiario e l’annotazione del proprio nome fra i dati contabili del predetto (OMISSIS) erano tutti elementi che potevano confermare, semmai, il concorso nel reato di ricettazione ovvero di truffa ma, giammai, la sua consapevole partecipazione al sodalizio criminoso in questione secondo il criterio dell'”oltre ogni ragionevole dubbio”.
Rileva che la corte di appello non aveva considerato che la condotta dell’imputato poteva, tutt’ al piu’, integrare un’ ipotesi di concorso di persone nel reato ex articolo 110 c.p., unitamente al coimputato (OMISSIS), quanto all’incasso dei titoli di cui al capo 11) dell’imputazione.
Evidenzia che la corte di appello aveva omesso, del tutto, di pronunziarsi sul motivo di censura afferente la rideterminazione del periodo di durata della sua partecipazione all’associazione de qua, statuizione in ordine alla quale sussisteva uno specifico interesse dell’imputato al fine di non essere ritenuto responsabile dei fatti accaduti dopo la sua cessata partecipazione per i quali, altrimenti, doveva rispondere in solido con gli altri sodali nel confronti delle persone offese.
2.3.2 Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), inosservanza dell’articolo 640 c.p. ed erronea applicazione dell’articolo 648 c.p. in relazione ai singoli reati scopo fra cui i reati contestati ai capi di imputazione sub. 11) per essere stati riqualificati nella fattispecie giuridica della ricettazione in luogo di quella di truffa; ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) manifesta illogicita’ della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del reato di ricettazione sebbene dal testo impugnato nonche’ dalla documentazione in atti fra cui la relazione del Comando dei Carabinieri Antifalsificazione Monetaria di Roma risultava che i titoli de quibus erano totalmente contraffatti e non meramente alterati nel nome del beneficiario ed omessa pronunzia sullo specifico motivo di appello afferente la riqualificazione giuridica dei reati scopo – compresi quelli di cui al capo 11) – in truffa ex articolo 640 c.p..
Rileva che poiche’, nelle specie, risultava che gli assegni in questione erano stati contraffatti e costituivano una copia fedele degli originali, si’ da ingannare la fede pubblica, dal momento che secondo i principi affermati dalle SS.UU. con la pronunzia n. 40256/2018 non costituisce reato la contraffazione un assegno bancario non trasferibile per effetto della depenalizzazione dell’articolo 485 c.p., non sussistendo un reato presupposto, trattandosi di falso penalmente irrilevante, la condotta andava riqualificata ai sensi dell’articolo 640 c.p., non essendo configurabile un’ipotesi di ricettazione.
2.3.3. Con il terzo motivo lamenta, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), inosservanza degli articoli 120 e 124 c.p. nonche’ degli articoli 336, 337 e 529 c.p.p. ed, inoltre, difetto di motivazione, in relazione a reati-scopo, fra cui i reati di cui al capo 11), a seguito di omessa pronunzia di non doversi procedere per mancanza di valida querela nonche’ difetto di motivazione non avendo la corte di appello considerato che per taluni degli assegni oggetto di denunce-querele tali atti non erano presenti nel fascicolo delle indagini.
Deduce che la derubricazione dei reati-scopo dalla fattispecie di ricettazione a quella di truffa doveva comportare la declaratoria di improcedibilita’ per quei fatti per i quali non risultava sporta valida querela nonche’ per quei fatti, in relazione ad assegni specificamente indicati in ricorso, per i quali non era dato rinvenire la querela in atti.
2.3.4 Con il quarto motivo lamenta, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), violazione di legge e vizio di motivazione quanto al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
Assume che la corte territoriale aveva omesso di pronunziarsi sullo specifico motivo di censura relativo alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche all’imputato.
2.3.5. Con il quinto motivo deduce, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla determinazione della pena a suo dire eccessiva anche in raffronto agli altri coimputati.
Evidenzia che, pur a fronte dello specifico motivo di censura, la corte di appello aveva adottato una motivazione del tutto apodittica, non attenendosi al principio della proporzionalita’ della pena secondo i criteri di cui all’articolo 133 c.p. ed applicando una pena identica a quella irrogata ad altri coimputati gravati da precedenti penali, laddove il ricorrente era incensurato, e che avevano posto all’incasso un maggior numero di assegni.
2.3.6. Con il sesto motivo lamenta, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), violazione degli articoli 163 e 175 c.p. assumendo che l’imputato avrebbe avuto diritto ad un trattamento sanzionatorio inferiore ad anni due di reclusione, con conseguente applicazione della sospensione condizionale della pena e del beneficio della non menzione.
2.4. (OMISSIS) propone quattro motivi.
2.4.1. Con il primo motivo lamenta, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), erronea applicazione dell’articolo 416 c.p. in relazione all’articolo 530 c.p.p. ed inosservanza degli articoli 192 e 533 c.p.p.; ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) manifesta illogicita’ della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza della sua partecipazione all’associazione a delinquere contestata al capo 1) dell’imputazione nonche’ omesso esame del motivo inerente il lasso temporale durante il quale l’imputato avrebbe partecipato all’attivita’ associativa, proponendo censure analoghe a quelle formulate con il primo motivo di impugnazione dallo (OMISSIS).
Deduce che la corte di appello aveva laconicamente confermato la sussistenza del reato associativo, pur in difetto di prova di tutti gli elementi costitutivi, non motivando in alcun modo in ordine alle ragioni per le quali aveva ritenuto comprovata in capo allo (OMISSIS) la consapevolezza dell’esistenza di una associazione a delinquere e la sua adesione alla stessa e quanto alla sussistenza dell’elemento psicologico del reato associativo.
Precisa che tutti gli elementi valorizzati a suo carico della corte di appello non erano inidonei a dimostrare la sua compartecipazione al sodalizio di cui al capo 1) secondo il criterio dell'”oltre ogni ragionevole dubbio”.
Rileva che la corte di appello non aveva considerato che la condotta dell’imputato poteva, tutt’ al piu’, integrare un’ipotesi di concorso di persone nel reato ex articolo 110 c.p., unitamente al coimputato (OMISSIS), quanto all’incasso dei titoli di cui al capo 6) dell’imputazione.
Assume che la corte di appello aveva omesso del tutto di pronunziarsi sul motivo di censura afferente la rideterminazione del periodo di durata della sua partecipazione all’associazione de qua, statuizione in ordine alla quale sussisteva uno specifico interesse dell’imputato al fine di non essere ritenuto responsabile dei fatti accaduti dopo la sua cessata partecipazione, per i quali altrimenti doveva rispondere in solido con gli altri sodali nel confronti delle persone offese.
Evidenzia che in ragione della assoluta occasionalita’ della sua condotta del tutto immotivato ed irragionevole era estendere la sua compartecipazione dal novembre 2016 alla data della notifica delle ordinanze cautelari di cui erano stati destinatari gli imputati, vale a dire sino al 14 giugno 2018.
2.4.2. Con il secondo motivo, nel proporre una censura sostanzialmente sovrapponibile al secondo motivo del ricorso dello (OMISSIS), lamenta, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) inosservanza dell’articolo 640 c.p. ed erronea applicazione dell’articolo 648 c.p. in relazione ai singoli reati, scopo fra cui i reati contestati ai capi di imputazione sub. 6) per essere stati riqualificati nella fattispecie giuridica della ricettazione in luogo di quella di truffa; ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) manifesta illogicita’ della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del reato di ricettazione sebbene dal testo impugnato nonche’ dalla documentazione in atti fra cui la relazione del Comando dei Carabinieri Antifalsificazione Monetaria di Roma risultava che i titoli de quibus erano totalmente contraffatti e non meramente alterati nel nome del beneficiario ed omessa pronunzia sullo specifico motivo di appello afferente la riqualificazione giuridica dei reati scopo – compresi quelli di cui al capo 6) – in truffa ex articolo 640 c.p..
2.4.3. Con il terzo motivo lamenta, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), inosservanza degli articoli 120 e 124 c.p. nonche’ degli articoli 336, 337 e 529 c.p.p. ed, inoltre, difetto di motivazione, in relazione a reati scopo, fra cui il reato di cui capo 6) a seguito di omessa pronunzia di non doversi procedere per mancanza di valida querela.
Deduce che la derubricazione dei reati scopo dalla fattispecie di ricettazione a quella di truffa doveva comportare la declaratoria di improcedibilita’ del reato contestato all’imputato in quanto nel caso in esame la querela risultava proposta dalla moglie della persona offesa priva di procura speciale.
2.4.4. Con il quarto motivo lamenta, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), violazione di legge relativamente al mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’articolo 648 c.p., comma 2 nonche’ ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla determinazione della pena, a suo dire eccessiva anche in raffronto agli altri coimputati.
Rileva che, nel caso di specie, tenuto conto di tutte le componenti oggettive e soggettive del fatto e valutata, in particolare, l’occasionalita’ della condotta ben poteva trovare applicazione l’ipotesi attenuta di cui al cpv dell’articolo 648 c.p..
Evidenzia, poi, che, a fronte dello specifico motivo di censura, la corte di appello aveva adottato una motivazione del tutto apodittica non attenendosi al principio della proporzionalita’ della pena secondo i criteri di cui all’articolo 133 c.p. ed applicando una pena non proporzionata rispetto a quella irrogata ad altri coimputati ben piu’ attivi nell’incasso dei titoli e che anche l’aumento per la continuazione con il reato ex articolo 416 c.p. era stato maggiore rispetto a quello applicato ad altri coimputati che avevano incassato un numero maggiore di assegni.
2.5. (OMISSIS) propone sei motivi.
2.5.1. Con il primo motivo lamenta, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b erronea applicazione dell’articolo 416 c.p. in relazione all’articolo 530 c.p.p. ed inosservanza degli articoli 192 e 533 c.p.p.; ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) manifesta illogicita’ della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza della sua partecipazione all’associazione a delinquere contestata al capo 1) dell’imputazione nonche’ omesso esame del motivo inerente il lasso temporale durante il quale avrebbe partecipato all’attivita’ associativa, proponendo censure analoghe a quelle sopra indicate proposte dai coimputati (OMISSIS) e (OMISSIS).
Deduce che la corte di appello aveva laconicamente confermato la sussistenza del reato associativo pur in difetto di prova di tutti gli elementi costitutivi e non motivando in alcun modo in ordine alle ragioni per le quali aveva ritenuto comprovata a suo carico la consapevolezza dell’esistenza di una associazione a delinquere e la sua adesione alla stessa e quanto alla sussistenza dell’elemento psicologico del reato associativo.
Osserva che tutti gli elementi valorizzati dalla corte di appello erano inidonei a dimostrare la sua compartecipazione al sodalizio di cui al capo 1) secondo il criterio dell'”oltre ogni ragionevole dubbio”.
Rileva che la corte di appello non aveva considerato che la condotta dell’imputata poteva, tutt’ al piu’, integrare una ipotesi di concorso di persone nel reato ex articolo 110 c.p., unitamente al coimputato (OMISSIS), quanto all’incasso dei titoli di cui al capo 10) dell’imputazione.
Assume che la corte di appello aveva omesso del tutto di pronunziarsi sul motivo di censura afferente la rideterminazione del periodo di durata della sua partecipazione all’associazione de qua, statuizione in ordine alla quale sussisteva uno specifico interesse al fine di non essere ritenuto responsabile dei fatti accaduti dopo la sua cessata partecipazione, per i quali altrimenti doveva rispondere in solido con gli altri sodali nel confronti delle persone offese.
Evidenzia che, in ragione dell’assoluta occasionalita’ della sua condotta, del tutto immotivato ed irragionevole era estendere la sua compartecipazione dal novembre 2016 alla data della notifica delle ordinanze cautelari di cui erano stati destinatari gli imputati vale a dire sino al 14 giugno 2018, essendo cessati da prima i suoi rapporti con gli asseriti sodali, come dimostrato dalla messaggistica intercorsa fra le date dell’8 e del 10 Marzo 2018 in occasione del ricorso al Tribunale del Riesame.
2.5.2. Con il secondo motivo, nel proporre una censura sostanzialmente sovrapponibile alle altre proposte da (OMISSIS) e (OMISSIS), lamenta, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) inosservanza dell’articolo 640 c.p. ed erronea applicazione dell’articolo 648 c.p. in relazione ai singoli reati scopo contestati per essere stati riqualificati nella fattispecie giuridica della ricettazione in luogo di quella di truffa; ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) manifesta illogicita’ della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del reato di ricettazione sebbene dal testo impugnato nonche’ dalla documentazione in atti fra cui la relazione del Comando dei Carabinieri Antifalsificazione Monetaria di Roma risultava che i titoli de quibus erano totalmente contraffatti e non meramente alterati nel nome del beneficiario ed omessa pronunzia sullo specifico motivo di appello afferente la riqualificazione giuridica dei reati scopo – compresi quelli di cui al capo 10) – in truffa ex articolo 640 c.p..
2.5.3. Con il terzo motivo lamenta ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) inosservanza degli articoli 120 e 124 c.p. nonche’ degli articoli 336, 337 e 529 c.p.p. ed, inoltre, difetto di motivazione, in relazione a reati scopo, fra cui i reati di cui al capo 10) a seguito di omessa pronunzia di non doversi procedere per mancanza di valida querela nonche’ difetto di motivazione non avendo la corte di appello considerato che per taluni degli assegni oggetto di denunce-querele tali atti non erano presenti nel fascicolo delle indagini, formulando una censura sostanzialmente sovrapponibile a quelle analoghe proposte da (OMISSIS) e (OMISSIS).
Deduce che la derubricazione dei reati scopo dalla fattispecie di ricettazione a quella di truffa doveva comportare la declaratoria di improcedibilita’ per quei fatti per i quali non risultava sporta valida querela nonche’ per quei fatti, in relazione agli assegni specificamente indicati in ricorso, per i quali non era dato rinvenire la querela in atti.
2.5.4. Con il quarto motivo lamenta ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) c.p.p. violazione di legge e vizio di motivazione quanto al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
Rileva che la corte territoriale aveva omesso di pronunziarsi sullo specifico motivo di censura relativo alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche all’imputata.
2.5.5. Con il quinto motivo lamenta ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla determinazione della pena a suo dire eccessiva anche in raffronto agli altri coimputati.
Evidenzia che a fronte dello specifico motivo di censura la corte di appello aveva adottato una motivazione del tutto apodittica non attenendosi al criterio della proporzionalita’ della pena secondo in criteri di cui all’articolo 133 c.p. ed applicando alla stessa, incensurata, una pena identica a quella irrogata ad altri coimputati, che avevano posto all’incasso un maggior numero di assegni.
2.5.6. Con il sesto motivo lamenta, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) violazione degli articoli 163 e 175 c.p. assumendo che l’imputata avrebbe avuto diritto ad un trattamento sanzionatorio inferiore ad anni due di reclusione, con conseguente applicazione del beneficio della non menzione.
2.6. (OMISSIS) formula tre motivi.
2.6.1. Con il primo motivo lamenta, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), erronea applicazione dell’articolo 416 c.p. nonche’ manifesta illogicita’ della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza della sua partecipazione all’associazione a delinquere contestata al capo 1).
Deduce che la corte di appello, con motivazione del tutto carente, aveva confermato la affermazione della penale responsabilita’, pur in difetto di prova dell’elemento psicologico del reato ovvero di una consapevole partecipazione della stessa all’associazione contestata, non considerando che il mero dato numerico dei reati-fine commessi, in assenza di contatti con soggetti diversi dal (OMISSIS), non costituiva elemento, di per se’ idoneo, a fondare l’accusa.
Assume che non vi era prova alcuna che l’imputata conoscesse il legame che intercorreva fra il (OMISSIS) e gli altri correi a lui collegati e che fosse a conoscenza dell’esistenza di altri soggetti con il medesimo ruolo di persone che scambiavano gli assegni clonati in questione.
2.6.2. Con il secondo motivo lamenta ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) violazione di legge e vizio di motivazione quanto al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. Rileva che la corte territoriale, omettendo di esaminare compiutamente i motivi di censura proposti avevano adottato una motivazione del tutto carente.
2.7. (OMISSIS) formula due motivi.
2.7.1. Con il primo motivo lamenta, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), erronea applicazione dell’articolo 416 c.p. nonche’ manifesta illogicita’ della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza della partecipazione dell’imputato all’associazione a delinquere contestata al capo 1) dell’imputazione.
Deduce che la corte di appello aveva confermato la sussistenza del reato associativo con argomentazioni illogiche ed incongrue, pur in difetto di prova di tutti gli elementi costitutivi del reato e non motivando in alcun modo in ordine all’effettivo ruolo dell’imputato.
Rileva che la corte non aveva tenuto in debita considerazione la certificazione medica attestante il notevole deficit mnesico-cognitivo in capo al (OMISSIS) tale da escludere che lo stesso avesse potuto partecipare consapevolmente ad una associazione dedita ad attivita’ di riciclaggio e che non risultavano enucleati gli elementi da cui era dato desumere il dolo del reato associativo a carico del predetto.
2.7.2. Con il secondo motivo lamenta, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), mancanza, contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione relativamente alla mancata riqualificazione dei fatti contestati quali ipotesi d truffa e non di ricettazione.
Evidenzia che a fronte della specifica contestazione secondo cui nella specie era configurabile il reato di truffa, in ragione della sussistenza, attraverso la clonazione dell’assegno, di artifici e raggiri diretti ad ingannare gli istituti di credito, la corte aveva del tutto omesso di considerare il profilo dedotto.
2.8. (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), con un unico atto ed a mezzo del medesimo difensore, formulano i seguenti motivi.
2.8.1. Con il primo motivo lamentano, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), violazione di legge nonche’ manifesta illogicita’ della motivazione in relazione alla mancata assoluzione degli imputati in relazione ai reati loro ascritti.
Deducono che la corte di appello, non esaminando i molteplici elementi fattuali emersi nel corso del giudizio, si era limitata a richiamare le argomentazioni del giudice di primo grado senza considerare che non erano emersi elementi attestanti la consapevolezza in capo agli imputati di dare un contributo al sodalizio e che il rinvenimento del nominativo dei ricorrenti nella documentazione del (OMISSIS) non consentiva di ritenere i predetti responsabili dei fatti contestati.
2.8.2. Con il secondo motivo lamentano, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1 lettera e), vizio di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio a loro dire eccessivo. Osservano che la motivazione era del tutto carente, non risultando specificate le ragioni per le quali i giudici avevano ritenuto di discostarsi dei minimi edittali.
2.8.3. Il solo (OMISSIS), con l’ultimo motivo, deduce il vizio di motivazione quanto alla mancata ingiustificata concessione della sospensione condizionale della pena.
2.9. (OMISSIS) formula tre motivi.
2.9.1. Con i primi due motivi, da esaminare congiuntamente in quanto fra loro connessi lamenta, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) erronea applicazione dell’articolo 416 c.p. in relazione alla ritenuta sussistenza della partecipazione dell’imputata dell’associazione a delinquere contestata al capo 1) e quanto al riconosciuto dolo associativo.
Deduce che la corte di appello, con motivazione del tutto carente, aveva confermato l’affermazione della penale responsabilita’ dell’imputata quanto al reato associativo contestato pur in difetto di prova degli elementi costitutivi e omettendo di considerare che la ricorrente non conosceva alcuno dei suoi ipotetici sodali, non aveva mai avuto contatti telefonici o personali con alcuno di essi (ad eccezione di un’ unica telefonata con il (OMISSIS)), non aveva partecipato a nessun incontro con essi, non era stata coinvolta in alcuno dei reati-fine contestati agli altri sodali, non aveva fornito alcun contributo al gruppo ne’ aveva consapevolezza di partecipare ad alcuna organizzazione.
Rileva che il collegio giudicante aveva ritenuto rilevante una sola telefonata in cui la stessa si era limitata a riferire la frase “tutto a posto”, non potendo da cio’ in alcun modo desumersi la prova dell’elemento psicologico del reato associativo.
2.9.2. Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), mancanza, contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione in ordine al mancato riconoscimento dell’ipotesi concorsuale ed all’omesso riconoscimento dell’attenuante di cui all’articolo 114 c.p..
Osserva che, in difetto di prova di uno stabile vincolo associativo al fine di commettere una serie indeterminata di reati, doveva configurarsi una mera condotta concorrente a carico dell’imputata e che la corte territoriale del tutto erroneamente ai fini della conferma della affermazione della responsabilita’ dell’imputata aveva valorizzato la mancata risposta all’interrogatorio di garanzia, che per contro rappresentava l’estrinsecazione di un diritto riconosciuto dalla legge all’imputato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Osserva questa Corte che dal momento che i ricorsi prospettano, sovente, analoghe censure ed in termini, talvolta, interamente sovrapponibili, prima di analizzare i motivi delle singole impugnazioni, anche al fine di evitare inutili ripetizioni, appare opportuno operare alcune considerazioni in ordine a profili di carattere generale circa i limiti sindacato di legittimita’ ed esaminare, congiuntamente, talune questioni comuni.
2. I limiti del controllo di legittimita’.
Va, in primo luogo, rilevato che al giudice di legittimita’ e’ preclusa – in sede di controllo della motivazione – la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perche’ ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacita’ esplicativa. Tale modo di procedere trasformerebbe, infatti, la Corte nell’ennesimo giudice del fatto, mentre la Corte, anche nel quadro della nuova disciplina, e’ – e resta – giudice della motivazione.
Secondo le Sezioni Unite “l’indagine di legittimita’ sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per espressa volonta’ del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilita’ di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si e’ avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali; l’illogicita’ della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioe’ di spessore tale da risultare percepibile “ictu oculi”, dovendo il sindacato di legittimita’ al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purche’ siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Cass. Sez. Un. sent. n. 24 del 24.11.1999 dep. 16.12.1999 rv 214794).
Deve, pure, essere rimarcato che ai fini del controllo di legittimita’ sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello, trattandosi di c.d. doppia conforme, si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando il giudice del gravame, esaminando le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordi nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione (Cass. Sez. 3, sent. n. 44418 del 16/07/2013, dep. 04/11/2013, Rv. 257595).
Nel giudizio di appello e’ pertanto consentita la motivazione “per relationem” alla pronuncia di primo grado, nel caso in cui le censure formulate dall’appellante non contengano come nel caso di specie – elementi di novita’ rispetto a quelle gia’ condivisibilmente esaminate e disattese dalla sentenza richiamata (Cass. Sez. 2, sent. n. 30838 del 19/03/2013, dep. 18/07/2013, Rv. 257056).
Va, anche, osservato che l’omesso esame di un motivo di appello da parte della Corte di merito non da luogo a un difetto di motivazione rilevante a norma dell’articolo 606 c.p.p., ne’ determina incompletezza della motivazione della sentenza allorche’, pur in mancanza di espressa disamina, il motivo proposto debba considerarsi implicitamente disatteso perche’ incompatibile con la struttura e con l’impianto della motivazione, nonche’ con le premesse essenziali, logiche e giuridiche che compendiano la ratio decidendi della sentenza medesima. Secondo il disposto dell’articolo 597 c.p.p., comma 1, l’appello attribuisce al giudice di secondo grado la cognizione nel procedimento (limitatamente ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti).
Pertanto il giudice d’appello deve tenere presente, dandovi risposta in motivazione, quali sono state le doglianze dell’appellante in ordine ai punti (o capi articolo 581, comma 1, lettera e) investiti dal gravame, ma non e’ tenuto ad indagare su tutte le argomentazioni elencate in sostegno dell’appello quando esse siano incompatibili con le spiegazioni svolte nella motivazione, poiche’ in tal modo quelle argomentazioni si intendono assorbite e respinte dalle spiegazioni fornite dal giudice di secondo grado. (Sez. 1, Sentenza n. 1778 del 21/12/1992 Ud. (dep. 23/02/1993) Rv. 194804).
Occorre rilevare, altresi’, che in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicita’, dalla sua contraddittorieta’ (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasivita’, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualita’, la stessa illogicita’ quando non manifesta, cosi’ come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilita’, della credibilita’, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento”. (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015 – dep. 31/03/2015, 0., Rv. 26296501).
Deve, inoltre, ricordarsi che mentre e’ consentito dedurre con il ricorso per cassazione il vizio di “travisamento della prova”, che ricorre nel caso in cui il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova obiettivamente ed incontestabilmente diverso da quello reale, non e’ affatto permesso dedurre il vizio del “travisamento del fatto”, stante la preclusione per il giudice di legittimita’ a sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, e considerato che, in tal caso, si domanderebbe alla Cassazione il compimento di una operazione estranea al giudizio di legittimita’, qual e’ quella di reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (cosi’, tra le tante, Sez. 3, n. 39729 del 18/06/2009, Belluccia, Rv. 244623; Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007, Casavola, Rv. 238215).
E questo e’ tanto piu’ vero laddove con l’impugnazione venga posto un mero problema di interpretazione di espressioni o frasi, trattandosi di questione di fatto, rimessa all’apprezzamento del giudice di merito, che si sottrae al giudizio di legittimita’ se – come nella fattispecie e’ accaduto – la valutazione risulta logica in rapporto alle massime di esperienza utilizzate.
Va, quindi, rilevato che secondo il diritto vivente, e’ preclusa alla Corte di cassazione “la possibilita’ di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o comunque di attendibilita’ delle fonti di prova” (cosi’ Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273217; in senso conforme, ex plurimis, v. Sez. 5, n. 15041 del 24/10/2018, dep. 2019, Battaglia, Rv. 275100, in motivazione; Sez. 4, n. 1219 del 14/09/2017, dep. 2018, Colomberotto, Rv. 271702; Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv. 269217; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482).
Occorre, infine, evidenziare che la valutazione dei dati probatori, il giudizio sull’attendibilita’ dei testi e sulla credibilita’ di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute piu’ idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento (Sez. 5, n. 8188 del 04/12/2017, dep. 2018, Grancini, Rv. 272406, in motivazione; Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, D’Ippedico, Rv. 271623; Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, Cammarota, Rv. 262575; Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, Tosto, Rv. 250362).
3. La regola di giudizio dell'”oltre ogni ragionevole dubbio”.
Per quel che concerne il significato da attribuire alla locuzione “oltre ogni ragionevole dubbio”, presente nel testo novellato dell’articolo 533 c.p.p. quale parametro cui conformare la valutazione inerente all’affermazione di responsabilita’ dell’imputato, e’ opportuno evidenziare che, al di la’ dell’icastica espressione, mutuata dal diritto anglosassone, ne costituiscono fondamento il principio costituzionale della presunzione di innocenza e la cultura della prova e della sua valutazione, di cui e’ permeato il nostro sistema processuale.
Si e’, in proposito, esattamente osservato che detta espressione ha una funzione meramente descrittiva piu’ che sostanziale, giacche’, in precedenza, il “ragionevole dubbio” sulla colpevolezza dell’imputato ne comportava pur sempre il proscioglimento a norma dell’articolo 530 c.p.p., comma 2, sicche’ non si e’ in presenza di un diverso e piu’ rigoroso criterio di valutazione della prova rispetto a quello precedentemente adottato dal codice di rito, ma e’ stato ribadito il principio, gia’ in precedenza immanente nel nostro ordinamento costituzionale ed ordinario (tanto da essere gia’ stata adoperata dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema – per tutte, Sez. un., sentenza n. 30328 del 10 luglio 2002, CED Cass. n. 222139 -, e solo successivamente recepita nel testo novellato dell’articolo 533 c.p.p.), secondo cui la condanna e’ possibile soltanto quando vi sia la certezza processuale assoluta della responsabilita’ dell’imputato (Cass. pen., Sez. 2, sentenza n. 19575 del 21 aprile 2006, CED Cass. n. 233785; Sez. 2, sentenza n. 16357 del 2 aprile 2008, CED Cass. n. 239795).
Cio’ comporta che il vizio di motivazione va escluso quando il ragionamento sia effettivamente adeguato a superare il ragionevole dubbio e, per converso, sussiste quando le alternative proposte dalla difesa siano logiche e fondate su elementi di prova acquisiti al processo e regolarmente prospettati.
Infatti, la condanna puo’ essere pronunciata a condizione che il dato probatorio acquisito lasci fuori soltanto eventualita’ remote, pur astrattamente formulabili e prospettabili come possibili “in rerum natura” ma la cui effettiva realizzazione, nella fattispecie concreta, risulti priva del benche’ minimo riscontro nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori dell’ordine naturale delle cose e della normale razionalita’ umana (Cass. 17921/2010 Rv. 247449; Cass. 2548/2015 Rv. 262280; Cass. 20461/2016 Rv. 266941).
4. L’associazione a delinquere di cui al capo 1).
Occorre premettere, quanto al profilo prospettato da numerosi ricorrenti relativo alla mera configurabilita’ di ipotesi di concorso e non gia’ di un sodalizio criminoso, che “Come e’ stato piu’ volte affermato da questa Corte, alla stregua del paradigma della disposizione di cui all’articolo 416 c.p., per potersi ritenere sussistente un’associazione per delinquere, occorre un accordo, tra piu’ persone, di carattere generale e continuativo, per l’attuazione di un programma delinquenziale, affidato ad una stabile organizzazione, con predisposizione, da parte del sodalizio, di attivita’ e di mezzi. Da cio’ discende che criterio distintivo tra il delitto di associazione per delinquere e concorso di persone nel reato continuato, deve incentrarsi essenzialmente nel carattere dell’accordo criminoso, che, nella seconda ipotesi, si concretizza in via meramente occasionale ed accidentale, essendo diretto alla commissione di uno o piu’ reati determinati (eventualmente ispirati da un medesimo disegno criminoso, che, tutti, comprenda e preveda), con la realizzazione dei quali, si esaurisce l’accordo dei correi – con cessazione di ogni motivo di pericolo di allarme sociale – mentre nella prima, l’accordo criminoso risulta diretto all’attuazione di un piu’ vasto programma criminoso, per la commissione di una serie indeterminata di delitti, con la permanenza di un vincolo associativo tra i partecipanti, anche indipendentemente ed al di fuori dell’effettiva commissione dei singoli reati programmati, che, come si sa, non e’ richiesta per la sussistenza del reato”: ex plurimis Cass. 42635/2004 Rv. 229906; Cass. 933/2014 Rv. 258009.
E va, pure, richiamato l’orientamento secondo cui “il discrimine tra la fattispecie plurisoggettiva e quella concorsuale non e’ qualificabile come rapporto di specialita’, bensi’ deve essere individuato nella necessaria qualificazione dell’accordo associativo come una struttura permanente, nella quale i singoli associati divengono – ciascuno nell’ambito dei propri compiti assunti od affidati – parti di un tutto, con il fine di commettere una serie indeterminata di delitti”: ex plurimis Cass. 7957/2004 Rv. 228482.
Cio’ posto in diritto, ben puo’ affermarsi che il tribunale e la corte di appello – nella due sentenze le cui motivazioni, come detto, si integrano – hanno effettuato una corretta disamina dei fatti in contestazione pervenendo, con argomentazioni che non appaiono ne’ carenti ne’ illogiche ne’ contraddittorie, alla affermazione della sussistenza della contestata associazione a delinquere cui hanno presso parte tutti i suindicati ricorrenti, individuando una serie di elementi fattuali, anche indiziari, idonei a comprovare la cointeressenza dei predetti nella contestata associazione criminale.
I giudici di merito, con una motivazione ampia, adeguata, logica e coerente hanno puntualmente ricostruito la struttura oggettiva e soggettiva dell’associazione de qua, precisando come dall’ingente materiale captativo (dal contenuto chiaro ed univoco), confortato dagli esiti dei servizi di osservazione, controllo e pedinamento e, soprattutto, dalle perquisizioni a carico di (OMISSIS) e (OMISSIS), con il rinvenimento di titoli contraffatti oltre che dell’elenco dei negoziatori degli assegni, con a fianco di ciascuno l’indicazione dei relativi istituti di credito o postali, era emersa, in modo evidente, la prova dell’esistenza e dell’operativita’ di una struttura organizzata diretta a dare attuazione ad un programma criminoso indeterminato, finalizzato a consentire ai compartecipi di percepire un profitto illecito attraverso l’impiego di assegni, bancari o postali, di varia provenienza illecita oggetto di contraffazione
I giudici (v., in particolare, ff. 13 e segg. della sentenza di primo grado) hanno correttamente rilevato come la riscontrata elevatissima frequenza e la continuita’ dei contatti telefonici e personali tra gli imputati, l’interdipendenza dei loro comportamenti e la comune predisposizione di mezzi per raggiungere scopi illeciti comuni apparivano ampiamente dimostrativi dell’esistenza di un vero e proprio pactum sceleris, risultando dalle conversazioni captate che taluni degli imputati si consultavano, vicendevolmente, sugli assetti organizzativi e gestionali dell’attivita’ illecita (ed in tale senso sono state ritenute, condivisibilmente, emblematiche le telefonate fra (OMISSIS) ed il coimputato (OMISSIS), per concordare l’elenco dei negoziatori da utilizzare “a colpo sicuro” oppure per stabilire le modalita’ di approvvigionamento dei titoli contraffatti, con trasferte settimanali in Campania) ed, ancora, si raccordavano per l’inserimento di nuovi associati o nella gestione delle problematiche conseguenti ai mancati incassi degli assegni (in tal caso sono state citate le telefonate fra (OMISSIS) e (OMISSIS) quanto alla necessita’ di coprire il debito lasciato da quest’ultimo, prima di ricevere dei nuovi assegni nonche’ in relazione alla pressante necessita’ di trovare altre persone di fiducia disponibili a cambiare gli assegni contraffatti, all’indomani del sequestro dei titoli, subito dallo (OMISSIS)).
Ed e’ stato, altresi’, chiarito, con adeguata motivazione, come tutti gli elementi probatori acquisiti consentivo di ritenere configurabile, in capo a ciascuno degli imputati odierni ricorrenti, “oltre ogni ragionevole dubbio” la volonta’ di far parte di un’associazione criminale, al fine di commettere una serie indeterminata di delitti (della medesima specie) e che la stabilita’ del legame creato fra i sodali era comprovata anche dal numero, dalla frequenza e dalle (identiche) modalita’ di commissione dei reati-scopo, i quali, pur essendo concettualmente autonomi rispetto alla fattispecie associativa, ne rappresentavano chiara ed univoca manifestazione esterna.
Risulta, poi, accertata la costante ricerca da parte di taluno dei ricorrenti di nuovi associati quali demandare il compito di negoziare i titoli contraffatti, dato tale da escludere la perpetrazione occasionale di isolate od estemporanee condotte di illecite oggetto dei capi di imputazione sub. 2/21 e sintomatico di comportamenti reiterati e seriali dimostrativi dell’esistenza di un sodalizio stabile, volto alla realizzazione di una serie indeterminata di reati.
Va, del resto, osservato che la prova dell’esistenza di un’associazione a delinquere ben puo’ essere desunta, anche in via indiretta, da facta concludentia fra i quali assume una particolare pregnanza la consumazione di numerosi reati fine svolti con modalita’ seriale e che richiedono, per la loro consumazione, una distribuzione di ruoli fra vari soggetti, come precisato cfr. Cass. Sez. I, 29.3.1994, n. 348, Bellomo; vedi anche (Sez. 2, n. 486 del 21/12/1998 – dep. 15/01/1999, Avezzano, Rv. 21225101; Sez. 5, n. 6446 del 22/12/2014 -dep. 13/02/2015, Boschetti, Rv. 26266201.
E’ stato, pure, correttamente affermato che in tema di associazione per delinquere, devesi ritenere che la persona la quale attui piu’ volte – in concorso con i partecipi al sodalizio criminoso – reati-fine di questo, sia raggiunta per cio’ stesso da gravi, precisi e concordanti indizi in ordine alla commissione del reato associativo, i quali possono essere superati solo con la prova contraria che il contributo fornito non e’ dovuto ad alcun vincolo preesistente con i correi, fermo restando che detta prova, stante la natura permanente del reato “de quo”, non puo’ essere assolta con l’allegazione della limitata durata dei rapporti con essi correi intercorsi.(Sez. 5, Sentenza n. 6026 del 25/03/1997 Ud. (dep. 21/06/1997) Rv. 208088 – 01
Sicche’ anche sotto tale profilo la sentenza che, al fine di ritenere comprovata la compagine associativa de qua, ha valutato complessivamente le condotte degli imputati e le identiche modalita’ dai reati-fine commessi, si appalesa immune da censure.
Il tribunale e la corte di appello, con congrua ricostruzione in fatto non sindacabile in questa sede, hanno, poi, rilevato come dalle risultanze istruttorie emergeva che l’associazione poteva contare su un’adeguata organizzazione di uomini con diversi ruoli (informatori, ladri, falsari, referenti per l’arruolamento dei c.d. “cambiatori” ed i “cambiatori” stessi) e mezzi (quali strumenti necessari per la individuazione delle buste contenenti i titoli di credito, per commettere i furti e clonare gli assegni) nonche’ di una vera e propria “contabilita’”, affinatasi con l’esperienza operativa in ragione del protrarsi delle condotte criminose, chiarendo, pure, come dalle intercettazioni telefoniche emergeva che l’associazione, oltre ad essere ben organizzata, era pure strutturata gerarchicamente e vedeva quale “organizzatore” del sodalizio, il suindicato (OMISSIS) e quale “promotore”, (OMISSIS).
Invero in tema di associazione per delinquere, la esplicita manifestazione di una volonta’ associativa non e’ necessaria per la costituzione del sodalizio, potendo la consapevolezza dell’associato essere provata attraverso comportamenti significativi che si concretino in una attiva e stabile partecipazione. (Sez. 2 -, Sentenza n. 28868 del 02/07/2020 Ud. (dep. 19/10/2020) Rv. 279589 – 01.
In ordine all’elemento psicologico va considerato che: “Per quanto riguarda il dolo del delitto di associazione per delinquere e’ necessario che vi sia da parte dell’agente la coscienza e la volonta’ di compiere un atto di associazione, cioe’ la manifestazione di “affectio societatis scelerum” come tale e la commissione di uno o piu’ delitti programmati dall’associazione non dimostra automaticamente l’adesione alla stessa. Tuttavia l’attivita’ delittuosa conforme al piano associativo costituisce un elemento indiziante di grande rilevanza ai fini della dimostrazione della appartenenza ad essa quando attraverso le modalita’ esecutive e altri elementi di prova possa risalirsi all’esistenza del vincolo associativo e quando la pluralita’ delle condotte dimostri la continuita’, la frequenza e l’intensita’ dei rapporti con gli altri associati. Anche la partecipazione ad un episodio soltanto della attivita’ delittuosa programmata puo’ costituire elemento indiziante dell’appartenenza all’associazione, ma in tal caso il valore di tale indizio e’ sicuramente ridotto ed e’ necessario che dalla partecipazione al singolo episodio sia desumibile “l’affectio societas” dell’agente, e che essa sia fonte di penale responsabilita’ a carico di chi la mette in atto…..(Sez. 6, n. 11446 del 10/05/1994 – dep. 17/11/1994, Nannerini, Rv. 20093801)”, vedi in senso conforme (Sez. 6, n. 50334 del 02/10/2013 – dep. 13/12/2013, La Chimia e altri, Rv. 25784501), apparendo del tutto infondate le censure formulate dai ricorrenti quanto alla insussistenza del dolo del reato associativo in capo agli stessi.
Ed, infatti, un indice univoco della sussistenza di tale elemento psicologico e’ stato desunto dalla circostanza che risultava incontrovertibilmente accertato, sulla scorta delle complessive risultanze processuali, che i predetti soggetti, come detto, di comune accordo avevano deliberatamente impiegato una vera e propria struttura organizzata per la reiterata commissione delle menzionate ricettazioni.
Invero quando il ruolo svolto da un soggetto presupponga un sicuro rapporto fiduciario con gli altri compartecipi ed, al tempo stesso, rappresenti un tassello indispensabile nell’organigramma criminoso, tutto cio’ puo’ ritenersi sufficiente a provare l’appartenenza alla societas scelerum, dal momento che quel contributo, secondo i comuni criteri della logica, non puo’ certamente dirsi frutto di un comportamento estemporaneo, occasionale o fortuito.
Vale la pena di rilevare, dovendosi conseguentemente disattendere le censure formulate da taluni dei ricorrenti, come gli elementi essenziali del delitto ex articolo 416 c.p. consistono nella esistenza di un vincolo associativo consapevolmente teso a commettere un numero indeterminato di delitti e nella predisposizione di mezzi necessari al compimento delle singole azioni criminose e, pertanto, non occorre, non essendo un simile requisito rinvenibile nel dato normativo come costantemente interpretato dalla giurisprudenza di legittimita’, un contatto diretto fra agli associati essendo irrilevante la loro “materiale” riunione, la loro reciproca conoscenza nonche’ la divisione del ricavato.
4.1. Vanno, quindi, effettuate alcune considerazioni sulle condotte dei singoli imputati dovendosi premettere che risulta accertata dai giudici di merito la partecipazione degli stessi alla associazione in questione oltre ogni ragionevole dubbio con argomentazioni che resistono alle censure dei vari ricorrenti.
4.1.1. In merito alla figura di (OMISSIS), risultato in costante contatto con (OMISSIS) soggetto al vertice dell’organizzazione, e’ stato correttamente ricostruito come l’attivita’ d’intercettazione telefonica nonche’ i servizi di osservazione, controllo e pedinamento e gli esiti delle perquisizioni, consentivano di dimostrate univocamente il suo ruolo di “promotore” (vale a dire la sua funzione di soggetto chiamato ad implementare attivamente gli scopi illeciti del gruppo) svolto, costantemente, mediante l’individuazione di soggetti disposti a partecipare all’attivita’ del sodalizio ed, in particolare, a negoziare i titoli contraffatti.
La corte di appello, nel disattendere identiche censure oggi reiterate dalla difesa dell’imputato spesso in modo del tutto generico ed aspecifico, ha chiarito come stesso svolgeva un fondamentale ruolo di “referente” nel territorio del ravennate, attivo nella continua individuazione di potenziali “scambiatori” cui dava frequenti indicazioni e direttive ed ha precisato, altresi’, come il suo ruolo di rilievo all’interno dell’associazione era univocamente comprovato dal rinvenimento in occasione della sua perquisizione personale e domiciliare di quindici assegni gia’ contraffatti ed intestati a falsi beneficiari nonche’ di documentazione attestante il versamento di assegni da parte di (OMISSIS) e di altri coimputati, ed ancora di un documento riassuntivo ove erano annotati gli istituiti bancari e gli uffici postali sui cui erano stati negoziati alcun degli assegni oggetto del presente giudizio.
4.1.2. Per quanto concerne la condotta posta in essere dalla sodale (OMISSIS) la stessa e’ stata, correttamente, individuata quale soggetto avente un ruolo centrale e decisivo per la vita dell’associazione, una “sorta di “quadro intermedio” fra i due soggetti apicali” ( (OMISSIS) e (OMISSIS)) e gli altri partecipanti al sodalizio, non soltanto per la sua disponibilita’ a negoziare i titoli contraffatti, ma anche e soprattutto per l’impegno profuso nel tentativo arginare qualsiasi contingenza pericolosa per la sopravvivenza dell’associazione; la suindicata imputata, secondo quanto ricostruito dai giudici di merito, spesso agiva in sostituzione di (OMISSIS) in caso di “impedimento di questi”, anche per approvvigionarsi, da (OMISSIS), degli assegni da distribuire agli associati, nonche’ per consegnare a quest’ultimo i proventi dell’attivita’ illecita ed era stata incaricata dal (OMISSIS) di occultare (dopo il sequestro degli assegni da parte della Guardia di Finanza di Napoli), la documentazione compromettente detenuta presso il suo domicilio, con l’elenco degli associati e dei relativi istituti di credito o postali, risultando, quindi, evidente la sua condotta partecipativa all’associazione a delinquere de qua nella piena e chiara consapevolezza di essere impegnata a dare il proprio contributo per il perseguimento dei fini illeciti del sodalizio, in un rapporto di stabile collaborazione con i vari componenti.
Orbene la contestazione formulata in ricorso della predetta imputata secondo cui alla stessa poteva essere imputata unicamente la monetizzazione dei titoli contraffatti non essendo in alcun modo compartecipe ovvero a conoscenza della fitta rete di meccanismi sottesi alla realizzazione dei reati-scopo e dei vari soggetti coinvolti non appare diretta a contestare la logicita’ dell’impianto argomentativo delineato nella motivazione della decisione impugnata, ma piuttosto si risolve nella contrapposizione, a fronte del giudizio espresso dai giudici di merito, di una alternativa ricostruzione dei fatti, evidentemente sottratta alla delibazione di questa Suprema Corte in ragione dei limiti posti alla cognizione di legittimita’ dall’articolo 606 c.p.p..
4.1.3. In merito ai restanti imputati odierni ricorrenti (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), e (OMISSIS) la corte di appello, con argomentazioni che adeguate e corrette in diritto, ha chiarito come il contributo offerto da ciascuno al funzionamento dell’organizzazione criminale, appariva comunque, rilevante, considerato che il sodalizio non sarebbe mai riuscito a raggiungere i propri scopi se non avesse potuto contare sulla disponibilita’ dei vari sodali pronti, in piu’ occasioni, a negoziare gli assegni contraffatti, versandoli sui rispettivi conti e prelevandone il controvalore per restituirlo all’associazione, al netto della percentuale riconosciuta per il servizio espletato, con la giusta precisazione che la circostanza che i singoli associati trattenevano il 15% del valore nominale dell’assegno incassato, non escludeva affatto la sussistenza del vincolo associativo, atteso che – pur agendo per un fine di profitto personale – gli imputati, al contempo, contribuivano consapevolmente alla realizzazione degli scopi del sodalizio.
Orbene i suindicati ricorrenti tentano, in realta’, di far leva sulla asserita autonomia dei singoli elementi indiziari e, quindi, di frazionare l’insieme del quadro probatorio al fine di meglio confutarlo. Per contro, come ha ripetutamente ritenuto la Suprema Corte, la rilevanza dei singoli dati non puo’ essere accertata estrapolandoli dal contesto in cui essi sono inseriti, ma devono essere posti a confronto con il complesso probatorio, dal momento che soltanto una valutazione globale e una visione di insieme permettono di verificare se essi rivestano realmente consistenza decisiva oppure se risultino inidonei a scuotere la compattezza logica dell’impianto argomentativo, dovendo intendersi, in quest’ultimo caso, implicitamente confutati.
Le censure formulate mirano, per lo piu’, ad una rilettura del materiale probatorio non considerando che come sopra precisato il giudizio sulla rilevanza ed attendibilita’ delle fonti di prova e’ devoluto insindacabilmente ai giudici di merito e la scelta che essi compiono, per giungere al proprio libero convincimento, con riguardo alla prevalenza accordata a taluni elementi probatori, piuttosto che ad altri, ovvero alla fondatezza od attendibilita’ degli assunti difensivi, quando non sia fatta con affermazioni apodittiche o illogiche, si sottrae al controllo di legittimita’ della Corte Suprema.
4.1.3.1. Rileva, quindi, la Corte che i giudici di appello, confermando la ricostruzione di cui alla sentenza di primo grado, hanno evidenziato come risultava accertato che (OMISSIS) e (OMISSIS) (legati da una relazione affettiva e conviventi e le cui posizioni vanno esaminate congiuntamente operando sovente gli stessi di comune intesa) avevano incassato un numero ragguardevole di assegni contraffatti rispettivamente dieci e venti, i loro nominativi quali beneficiari erano risultati da taluni degli assegni rinvenuti in sede di sequestro, il nominativo della (OMISSIS), quale persona addetta ad incamerare gli assegni in questione, era emerso anche dalle captazioni telefoniche e numerosi erano stati i contatti organizzativi di quest’ultima con il (OMISSIS) ritenuti sintomatici dell’inserimento degli stessi nella organizzazione illecita de qua.
A fronte di tali dati probatori le tesi difensive secondo cui tutti gli elementi valorizzati dai giudici di merito potevano confermare, semmai, il loro concorso nel reato di ricettazione ovvero di truffa ma, giammai, la loro consapevole partecipazione al sodalizio criminoso in questione secondo il criterio dell'”oltre ogni ragionevole dubbio” appaiono prive di pregio alcuno, risultando palese il tentativo dei predetti ricorrenti di sollecitare una rivisitazione nel merito dei fatti de quibus, preclusa a questa Corte.
Va chiarito, quanto alle specifiche censure avanzate dalla (OMISSIS), che non coglie in alcun modo nel segno la contestazione secondo cui “in ragione della assoluta occasionalita’ della sua condotta del tutto immotivato ed irragionevole era estendere la sua compartecipazione dal novembre 2016 alla data della notifica dell’ordinanze cautelari di cui erano stati destinatari gli imputati vale a dire sino al 14 giugno 2018, essendo cessati da prima i suoi rapporti con gli asseriti sodali come dimostrato dalla messaggistica intercorsa fra la data del 8 del 10 Marzo 2018 in occasione del ricorso al Tribunale del Riesame”: anche sotto tale profilo la ricorrente, lungi dal prospettare carenze motivazionali rilevabili in questa sede, mira ad una alternativa ricostruzione dei fatti cercando di sminuire il proprio ruolo.
Occorre, pervero, ribadire che in tema di associazione per delinquere, e’ consentito al giudice, pur nell’autonomia del reato mezzo rispetto ai reati fine, dedurre la prova dell’esistenza del sodalizio criminoso e delle singole partecipazioni degli associati dalle stesse modalita’ esecutive dei delitti rientranti nel programma comune, perche’ attraverso quelle modalita’ si manifesta in concreto l’operativita’ dell’associazione medesima. Conseguentemente, quando il ruolo svolto da un soggetto presupponga un sicuro rapporto fiduciario con gli altri compartecipi ed, al tempo stesso, rappresenti un tassello indispensabile nell’organigramma criminoso, tutto cio’ puo’ ritenersi sufficiente a provare l’appartenenza alla societas scelerum, dal momento che quel contributo, secondo i comuni criteri della logica, non puo’ certamente dirsi frutto di un comportamento occasionale o fortuito.
In altre parole, vuole evidenziarsi – e siffatta valutazione appare correttamente operata nelle sedi di merito – che, a prescindere dal periodo in considerazione, del tutto correttamente i giudici di merito hanno ritenuto i predetti ricorrenti, fra cui l’ (OMISSIS), soggetti appieno coinvolti nell’organizzazione de qua, proprio in ragione del fatto che le attivita’ di “scambiatori” degli stessi, non certo occasionali, ma, al contrario, accuratamente preparate, rappresentavano uno snodo rilevantissimo, addirittura essenziale, nell’ottica della riuscita della strategia criminosa in questione.
4.1.3.2. La motivazione e’ immune da vizi logico-giuridici anche laddove ha ritenuto sussistente in capo all’altro coimputato ricorrente (OMISSIS) la consapevolezza dell’esistenza di una associazione a delinquere e la sua adesione alla stessa e quanto alla sussistenza dell’elemento psicologico del reato associativo muovendo dalla sua attivita’ di “cambiatone” di un assegno contraffatto ed, altresi’, valorizzando il tenore delle intercettazioni da cui era emerso il futuro coinvolgimento dello stesso in relazione al versamento di altro assegno contraffatto, desumendo logicamente il suo ruolo di vero e proprio compartecipe dalla circostanza che l’indicazione di un soggetto quale beneficiario di assegni “comportava una attivita’ tecnica complessa necessariamente posta in essere in caso di certa e preventiva dichiarazione di disponibilita’ da parte del cambiatore”.
Del resto, l’appartenenza di un soggetto ad un sodalizio criminoso puo’ essere ritenuta anche sulla base della partecipazione ad un solo reato-fine (cfr. Cass. Sez. 9/12/2002 n. 2838). Cio’ che si richiede, in tal caso, e’ la verifica che il ruolo svolto dal soggetto e le modalita’ dell’azione posta in essere siano tali da evidenziare con certezza la sussistenza del vincolo; cio’ si verifica quando detto ruolo dimostri che esso sia stato affidato proprio a quel soggetto, e non ad altri, in modo non occasionale.
Correttamente i giudici di merito hanno, pure, valorizzato la circostanza che lo stesso non aveva fornito alcuna plausibile diversa ricostruzione dei fatti, ragionamento che deve ritenersi corretto contrariamente a quanto contestato dall’imputato.
Va, infatti, rilevato che in tema di valutazione della prova, il silenzio serbato dall’imputato in sede di interrogatorio non puo’ essere utilizzato come elemento di prova a suo carico, ma da tale comportamento processuale il giudice puo’ comunque trarre argomenti utili per la valutazione di circostanze “aliunde” acquisite, senza che cio’ possa determinare alcun sovvertimento del riparto dell’onere probatorio. (Sez. 3 -, Sentenza n. 43254 del 19/09/2019 Ud. (dep. 22/10/2019) Rv. 277259 – 01, apparendo corretto quindi e tale resistere alle censure generiche ed in fatto del predetto imputato il ragionamento dei giudici di merito i quali alla luce dei gravi elementi a suo carico hanno valorizzato il silenzio serbato del medesimo al fine di ricostruire le condotte allo stesso imputabili.
4.1.3.3. Prive di fondamento alcuno devono ritenersi, altresi’, le censure formulate da (OMISSIS) e (OMISSIS), che possono essere esaminate congiuntamente in quanto in parte sovrapponibili quanto all’affermazione della loro responsabilita’ per il reato associativo di cui al capo 1) avendo la corte correttamente valorizzato il similare ruolo di “cambiatori” dei predetti (la prima risulta avere incassato, fra fine ottobre 2016 e meta’ febbraio 2017, ben diciannove assegni, falsamente intestati a suo nome e versati su tre diversi conti correnti ed il secondo, nel periodo fra la fine di ottobre del 2016 e la meta’ del febbraio 2017, diciotto assegni contraffatti, intestati a suo nome, versandoli su due conti correnti bancari ed un libretto postale) nonche’ la circostanza che gli stessi erano risultati intestatari di ulteriori assegni contraffatti oggetto di sequestro e che risultavano avere costanti contatti con il (OMISSIS), come emerso anche dalla perquisizione domiciliare presso l’abitazione di quest’ ultimo.
Cio’ detto, si noti che nel caso di specie i motivi dei ricorsi sul tema non evidenziano l’uso di inesistenti massime di esperienza ne’ violazioni di regole inferenziali, ma si limitano a segnalare, soltanto, possibili difformi valutazioni degli elementi raccolti, il che costituisce compito precipuo del giudice del merito, non di quello di legittimita’, che non puo’ prendere in considerazione quale ipotetica illogicita’ argomentativa la mera possibilita’ di un’ipotesi alternativa rispetto a quella ritenuta in sentenza.
Occorre, pure, precisare che la contestazione del (OMISSIS) secondo cui la corte di appello non avrebbe tenuto in debita considerazione la certificazione medica attestante il suo notevole deficit mnesico-cognitivo tale da escludere che lo stesso avesse potuto partecipare consapevolmente ad una associazione dedita ad attivita’ illecite e’ meramente reiterava di una censura gia’ disattesa dalla corte di appello la quale ha chiarito, con congrue argomentazioni, come a fronte dei gravi elementi conclamati a suo carico attestanti un ruolo dello stesso di certo e sicuro rilievo all’interno dell’organizzazione criminale de qua, le problematiche legate all’eta’ ed ai prospettati problemi cognitivi non escludevano in alcun modo la sua capacita’ nella comprensione della articolata attivita’ illecita nella quale lo stesso risultava fattivamente inserito gia’ dall’ottobre 2016.
4.1.3.4. Per quanto concerne la posizione di (OMISSIS), alla quale non e’ stato contestato alcun reato oltre quello di cui al capo 1) nonostante l’imputata, secondo quanto ricostruito in fatto dai giudici di merito aveva incassato, in data 27 gennaio 2017, tre assegni contraffatti versati su un conto corrente aperto da (OMISSIS) (suo “patrigno”), presso la Banca Nazionale del Lavoro – ragione per cui il giudice di primo grado ha disposto la trasmissione degli atti presso l’Ufficio di Procura – va osservato che l’appartenenza dell’imputata (al pari del predetto) al sodalizio criminale di cui al capo 1), e’ stata riscontrata anche sulla scorta di una assai significativa conversazione telefonica del 22 febbraio 2017, ampiamente valorizzata dai giudici di merito, nella quale Gian (OMISSIS) contattava la (OMISSIS) per sapere se gli assegni consegnati erano stati pagati dalla banca, dopo di che la donna lo rassicurava, ed il (OMISSIS) le raccomandava di dire a “(OMISSIS)”, cioe’ a (OMISSIS), che l’importo da consegnargli era di 2.252,00 Euro, precisando che a tal proposito gli inquirenti avevano verificavano che su un conto corrente bancario (OMISSIS) dell’agenzia di (OMISSIS), intestato a (OMISSIS), in data 17 febbraio 2017, venivano versati tre assegni (rilasciati dalla Allianz Bank) dell’importo complessivo, di 2.650,00 Euro; da detta ultima somma, detratto il 15% di competenza del “cambiatore”, residuavano (non a caso) 2.252,50 Euro, vale a dire proprio la cifra richiesta dal (OMISSIS), alla (OMISSIS).
Va, invero, rilevato che la responsabilita’ per il reato di cui all’articolo 416 c.p. sussiste anche per colui che presta la sua adesione ed il suo contributo all’attivita’ associativa, anche per una fase temporalmente limitata: e’ stato, infatti, rilevato che in tema di associazione per delinquere, non e’ necessario che il contributo offerto dall’associato sia indispensabile, potendo essere anche minimo e di qualsiasi forma o contenuto. (Sez. 2, n. 5424 del 22/01/2010 – dep. 11/02/2010, Syndial e altri, Rv. 24644201)”.
Cio’ premesso la sentenza impugnata appare immune da censure anche nella parte in cui, con motivazione congrua e corretta (vedi sent. pag. 15-16), ha ritenuto configurabile l’elemento del dolo a carico dell’imputata ed, infatti, un indice univoco della sussistenza di tale elemento psicologico e’ stato individuato dai giudici di merito nella circostanza che la (OMISSIS) era chiaramente al corrente della provenienza illecita dei titoli, dell’illecito incasso mediante accredito sul conto corrente di (OMISSIS) nonche’ dell’accordo intervenuto con il (OMISSIS) quanto al compenso spettante allo scambiatore, precisando, altresi’, come significativo appariva il dato che la predetta si era interessata dell’incasso e della restituzione al predetto dell’85%.
In ordine alla valenza delle intercettazioni in questione, per come interpretate dai giudici di merito, va richiamato l’orientamento secondo cui “in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimita’” (cfr., Cass. SS.UU. n. 22471 del 26.02.2015 – dep. 28.05.2015, Sebbar, Rv. 26371501), sicche’ appare manifestamente infondata la contestazione dell’imputata secondo cui giudici di merito avrebbero del tutto illogicamente valorizzato il contenuto di un’unica conversazione ove la stessa si sarebbe limitata a profferire frasi di scarso rilievo e per altro nei confronti di una sola persona, sollecitando in tal modo la ricorrente una mera rilettura dei dati probatori
Deve, piu’ in generale, rilevarsi che l’accertamento in fatto compiuto dai giudici di merito – i quali hanno ritenuto dimostrato che la stessa, unitamente al “patrigno” (OMISSIS) ed al (OMISSIS), aveva agito in piena intesa con i correi per lucrare in forza del ben collaudato meccanismo illecito sicche’ doveva essere qualificata come vera e propria consociata e non gia’ quale semplice concorrente in singoli reati-fine, pure valorizzando il fatto che la Mulitiello si era avvalsa della facolta’ di non rispondere e non aveva mai fornito del corso del giudizio fornito elementi per incrinare tale ricostruzione (dato questo da ritenere significativo sulla scorta del principio giurisprudenziale sopra richiamato) – resiste alle mosse censure.
La ricorrente solo formalmente ha indicato vizi della motivazione della decisione gravata, ma non ha, invero, prospettato alcuna reale contraddizione logica, intesa come implausibilita’ delle premesse dell’argomentazione, irrazionalita’ delle regole di inferenza, ovvero manifesto ed insanabile contrasto tra quelle premesse e le conclusioni ne’ e’ stata lamentata, come pure sarebbe stato astrattamente possibile, una incompleta descrizione degli elementi di prova rilevanti per la decisione, intesa come incompletezza dei dati informativi desumibili dagli atti del procedimento, dati per conto compiutamente valutati dai giudici di merito.
Invero, come sopra precisato quando il ruolo svolto da un soggetto presupponga un sicuro rapporto fiduciario con gli altri compartecipi ed, al tempo stesso, rappresenti un tassello indispensabile nell’organigramma criminoso (come avvenuto nel caso in questione secondo quanto accertato dai giudici di merito), tutto cio’ puo’ ritenersi sufficiente a provare l’appartenenza alla societas scelerum, dal momento che quel contributo, secondo i comuni criteri della logica, non puo’ certamente dirsi frutto di un comportamento meramente occasionale o fortuito.
4.1.3.5 Per quanto concerne la posizione di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), a fronte di una c.d. doppia conforme quanto alla partecipazione dei predetti alla associazione a delinquere de qua fondata su una pluralita’ di elementi i ricorrenti prospettano, semplicemente, una diversa lettura dei dai probatori ampiamente valorizzati dai giudici di merito e muovono censure in parte del tutto generiche – perche’ i ricorrenti non si confrontano con gli effettivi argomenti utilizzati in sede di motivazione del provvedimento impugnato- ed in parte infondate.
Osserva questa Corte come appare di palmare evidenza che per la realizzazione dei reati-fine come quelli riassunti nelle imputazioni e’ necessaria un organizzazione di uomini e mezzi a partire da chi entra nella disponibilita’ di assegni di provenienza illecita, a chi e’ disposto a clonarli fino al reperimento dei ricettatori con i quali perfezionare le ulteriori attivita’ finalizzata all’incameramento delle somme mentre contrario alla logica e’ semmai il ritenere che gli imputati, a fronte di un simile tanto sofisticato quanto reiterato meccanismo fraudolento non si siano prospettato l’esistenza di una simile organizzazione di due o piu’ soggetti con i quali intratteneva direttamente i rapporti ai detti fini.
In un simile quadro probatorio e muovendo dai cennati principi di diritto, il fatto, ad esempio, che i predetti abbiano posto all’incasso un solo assegno ciascuno appare in se’ irrilevante avendo i giudici di merito precisato come la circostanza che gli stessi erano inserita nell’elenco del (OMISSIS) quali soggetto di sicuro affidamento sui cui poteva contare per incassare gli assegni contraffati era certamente indicativa di una disponibilita’ a monte dei predetti di concorrere a tale meccanismo illecito ben collaudato, apparendo anche in questo caso decisivo il silenzio serbato dai suindicati imputati.
La Suprema Corte ha avuto modo di precisare, infatti, che al giudice non e’ precluso valutare la condotta processuale dell’imputato, coniugandola con ogni altra circostanza sintomatica, con la conseguenza che egli, nella formazione del suo libero convincimento, ben puo’ considerare, in concorso di altre circostanze, la portata significativa del silenzio su circostanze potenzialmente idonee a scagionarlo (Sez. 2, n. 22651 del 21/04/2010 Rv. 247426). Peraltro in molte decisioni la stessa Corte Europea risulta essersi anche preoccupata di definire i limiti del diritto al silenzio. Piu’ precisamente, lo ius tacendi, pur essendo al centro della nozione di processo equo, non e’ espressione di un diritto assoluto. Una condanna, come si e’ visto, non puo’ fondarsi esclusivamente o essenzialmente sul silenzio dell’imputato, ma non e’ esclusa la configurabilita’ di situazioni in cui la mancata risposta puo’ indirettamente nuocere all’imputato.
Difatti, secondo la Corte di Strasburgo, qualora lo svolgimento del processo abbia evidenziato un quadro probatorio sfavorevole all’imputato, che gia’ dimostri sufficientemente la colpevolezza, tale comunque da esigergli concretamente di dare spiegazioni in chiave difensiva, l’esercizio della facolta’ di non rispondere ben potra’ costituire un elemento apprezzabile come “riscontro” a suo carico (vedi Corte e.d.u., 8 febbraio 1996, Murray c. Regno Unito; Corte e.d.u., 6 giugno 2000, Averill c. Regno Unito).
Del resto l’appartenenza di un soggetto ad un sodalizio criminale puo’ essere ritenuta, anche in base alla partecipazione ad un solo reato fine, qualora il ruolo svolto e le modalita’ dell’azione siano tali da evidenziare la sussistenza del vincolo e cio’ puo’ verificarsi solo quando detto ruolo non avrebbe potuto essere affidato a soggetti estranei, oppure quando l’autore del singolo reato impieghi mezzi e sistemi propri del sodalizio in modo da evidenziare la sua possibilita’ di utilizzarli autonomamente e cioe’ come membro e non gia’ come persona a cui il gruppo li ha posti occasionalmente a disposizione. (Sez. 5, Sentenza n. 6446 del 22/12/2014 Cc. (dep. 13/02/2015) Rv. 262662 – 01.
Pertanto, non essendo evidenziabile alcuno dei vizi motivazionali deducibili in questa sede quanto alla affermazione della penale responsabilita’ in ordine al reato di cui sopra, le censure, essendo incentrate tutta su una nuova rivalutazione di elementi fattuali e, quindi, di mero merito, appaiono infondate e per taluni versi manifestamente infondate.
5. Il reato di ricettazione di cui capi da 2) a 21).
Appaiono infondate le censure dei ricorrenti che hanno lamentato erronea applicazione dell’articolo 648 c.p. ed erronea mancata riqualificazione dei fatti contestati quali ipotesi di truffa, con conseguenti refluenze sulla procedibilita’ dell’azione.
La tesi propugnata da numerose difese e’ quella secondo cui dal momento che gli assegni in questione erano stati contraffatti al fine di ingannare la fede pubblica e poiche’, secondo i principi affermati dalle SS.UU. con la pronunzia n. 40256/2018, non costituisce reato la contraffazione un assegno bancario non trasferibile per effetto della depenalizzazione dell’articolo 485 c.p., non sussistendo un reato presupposto, trattandosi di falso penalmente irrilevante, la condotta andava riqualificata ai sensi dell’articolo 640 c.p., non essendo configurabile una ipotesi di ricettazione.
Tali censure appaiono prive di pregio dovendosi ritenere configurabili le contestate ipotesi di ricettazione per le ragioni appresso specificate, ben potendosi, semmai, ritenere configurabili oltre alle condotte ex articolo 648 c.p., anche (concorrenti) condotte truffaldine (non oggetto di specifica contestazione).
In punto di fatto va premesso che le condotte addebitate sono relative all’utilizzo ed alla negoziazione di assegni bancari di provenienza delittuosa, clonati e posti all’incasso.
Invero integra gli estremi del reato di ricettazione, e non di riciclaggio, la condotta dell’imputato consistente nel versamento sul proprio conto corrente di assegni di provenienza illecita, previa sostituzione delle generalita’ del beneficiario con i propri dati ed apposizione della propria firma sui titoli per girata, senza alcuna manomissione degli elementi identificativi dell’istituto bancario emittente o del numero di serie degli assegni. (Sez. 2 -, Sentenza n. 12894 del 05/03/2015 Ud. (dep. 26/03/2015) Rv. 262931 – 01, come avvenuto nella specie.
Orbene occorre evidenziare che tutti gli assegni in questione erano di provenienza illecita in quanto, secondo quanto ricostruito dai giudici di merito con un ragionamento non contestato dai ricorrenti, a seconda delle concrete modalita’ di realizzazione ed anche dei profili soggettivi dei vari personaggi coinvolti, le condotte a monte erano sussumibili nell’alveo delle norme incriminatrici di cui agli articolo 624 c.p. e segg. (in caso di sottrazione furtiva degli assegni genuini) o 616 c.p. (in caso di violazione o sottrazione della corrispondenza contenente detti assegni) ovvero 314 c.p. (ove la condotta risultava posta in essere da pubblici ufficiali od incaricati di pubblico servizio, che abbiano la disponibilita’ dei titoli genuini, in conseguenza del ruolo ricoperto o, comunque, in concorso con tali soggetti)
Va ricordato che il presupposto del delitto della ricettazione non deve essere necessariamente accertato in ogni suo estremo fattuale, poiche’ la provenienza delittuosa del bene posseduto puo’ ben desumersi dalla natura e dalle caratteristiche del bene stesso. (Sez. 1, n. 29486 del 26/06/2013 – dep. 10/07/2013, Cavalli, Rv. 25610801).
Deve, quindi, richiamarsi il principio secondo cui per la configurabilita’ del delitto di ricettazione e’ necessaria la consapevolezza della provenienza illecita del bene ricevuto, senza che sia indispensabile che tale consapevolezza si estenda alla precisa e completa conoscenza delle circostanze di tempo, di modo e di luogo del reato presupposto, potendo anche essere desunta da prove indirette, purche’ gravi, univoche e tali da generare in qualsiasi persona di media levatura intellettuale, e secondo la comune esperienza, la certezza della provenienza illecita di quanto ricevuto. (Sez. 2, n. 18034 del 07/04/2004 – dep. 19/04/2004, Cristarelli, Rv. 22879701).
Osserva la Corte che la tesi degli imputati, al fine di escludere la configurabilita’ nella fattispecie in esame, si basa oltre che sulla richiamata depenalizzazione del falso in assegno, sui i principi fissati da Cass. n. 37538/2009 (richiamata dalla difesa in sede di discussione) che ha escluso, a carico dell’imputato, il reato di cui all’articolo 648 c.p. per aver acquistato o comunque ricevuto da persona sconosciuta uno stampato di polizza assicurativa della (OMISSIS) risultato provento di furto.
In detta fattispecie la Corte di Cassazione, nell’annullare senza rinvio la pronunzia di condanna, ha rilevato come agli atti non vi era alcuna prova che l’imputato avesse acquistato o comunque ricevuto la polizza in questione, in quanto i documenti sequestrati presso la sua abitazione consistevano in mere fotocopie a colori dello stampato di polizza assicurativa oggetto di furto e l’imputato era stato trovato in possesso, non del documento trafugato, bensi’ di alcune fotocopie di tale documento, precisandosi come il possesso di fotocopie di un documento oggetto di furto, non integrava gli estremi della condotta punibile del reato di ricettazione in quanto l’elemento oggettivo del reato consiste nella ricezione della cosa proveniente da un qualsiasi delitto e non nella ricezione di una copia della cosa provento di reato.
Ma l’applicazione di detti principi al caso in esame non puo’ condurre all’accoglimento della tesi difensiva.
Ed, invero, secondo quanto ampiamente accertato in fatto dai giudici di merito (e giova ribadire non contestato) tutti gli assegni in questione erano di provenienza illecita in quanto oggetto di furto, violazione di corrispondenza o peculato e tutti gli odierni imputati, secondo la ricostruzione operata dai giudici di merito e non oggetto di specifica censura, ne erano ben consapevoli avendo preso parte a pieno titolo all’associazione de qua dedita all’approvvigionamento, alla contraffazione nonche’ all’incasso di assegni di provenienza illecita in questione da parte di coloro che, partecipanti all’associazione, erano indicati quali beneficiari dei titoli.
Al riguardo deve pure essere rilevato che, ai fini della sussistenza del delitto di ricettazione, occorre tenere presente che la fattispecie criminosa delineata dall’articolo 648 c.p. e’ comprensiva di una multiforme serie di attivita’ successive ed autonome, rispetto alla consumazione del delitto presupposto, finalizzate al conseguimento di un profitto (acquisto, ricezione, occultamento o qualunque forma di intervento nel far acquistare il bene), sicche’ e’ proprio in questa particolare direzione della volonta’ del soggetto che deve essere individuato l’elemento di inequivocabile caratterizzazione del delitto in esame.
E’ chiaro, quindi, che si configura la ricettazione quante volte l’attivita’ di intromissione – nella catena di possibili condotte successive ad un delitto gia’ consumato – sia posta in essere nella consapevolezza dell’origine illecita del bene e sia determinata dal fine di procurare a se’ o ad altri un profitto, come avvenuto nel caso in esame.
Non puo’, pertanto, ritenersi insussistente il reato presupposto di cui al contestato reato di ricettazione per effetto della intervenuta depenalizzazione del falsificazione degli assegni in questione, rappresentando la vera e propria “clonazione” dell’assegno un post factum rispetto alla acquisizione, imputabile ai ricorrenti, di titoli di certa provenienza illecita, circostanza di cui tutti gli imputati erano sicuramente consapevoli, come ricostruito dai giudici di merito, in ragione del sofisticato meccanismo fraudolento posto in essere di comune accordo.
Alla luce delle considerazioni che precedono sono, dunque, da rigettare tutte le censure finalizzate alla derubricazione delle condotte ex articolo 648 c.p. quale ipotesi di truffa.
6. Le circostanze attenuati generiche ed il trattamento sanzionatorio.
6.1. Occorre osservare che la sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai sensi dell’articolo 62-bis c.p. e’ oggetto di un giudizio di fatto e puo’ essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, di talche’ la stessa motivazione, purche’ congrua e non contraddittoria, non puo’ essere sindacata in cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato (Cass. 28535/2014, rv. 259899; Cass. 34364/2010, rv. 248244; Cass. 42688/2008, rv 242419).
Il giudice, nell’esercizio del suo potere discrezionale, deve quindi motivare nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l’adeguamento della pena concreta alla gravita’ effettiva del reato ed alla personalita’ del reo.
Pertanto il diniego delle circostanze attenuanti generiche puo’ essere legittimamente fondato anche sull’apprezzamento di un solo dato negativo, oggettivo o soggettivo, che sia ritenuto prevalente rispetto ad altri, disattesi o superati da tale valutazione. E’ pertanto sufficiente il diniego anche soltanto in base ai precedenti penali dell’imputato, perche’ in tal modo viene formulato comunque, sia pure implicitamente, un giudizio di disvalore sulla sua personalita’ (Cass. 3896/2016, rv. 265826; Cass. 3609/2011, rv. 249163; Cass. 41365/2010, rv. 248737).
Le circostanze attenuanti generiche hanno, invero, lo scopo di estendere le possibilita’ di adeguamento della pena in senso favorevole all’imputato, in considerazione di situazioni e circostanze che effettivamente incidano sull’apprezzamento dell’entita’ del reato e della capacita’ a delinquere del reo, sicche’ il riconoscimento di esse richiede la dimostrazione di elementi di segno positivo. (Sez. 2 -, Sentenza n. 9299 del 07/11/2018 Ud. (dep. 04/03/2019) Rv. 275640 – 01.
Deve, quindi, osservarsi che in tema di determinazione del trattamento sanzionatorio, nel caso in cui la richiesta dell’imputato di riconoscimento delle attenuanti generiche non specifica le circostanze di fatto che fondano l’istanza, l’onere di motivazione del diniego dell’attenuante e’ soddisfatto con il mero richiamo da parte del giudice alla assenza di elementi positivi che possono giustificare la concessione del beneficio. (Sez. 3 -, Sentenza n. 54179 del 17/07/2018 Ud. (dep. 04/12/2018) Rv. 275440 – 01.
6.2. In ordine alla graduazione della pena va, quindi, sottolineato che tale potere rientra nella discrezionalita’ del giudice di merito, che la esercita, cosi’ come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli articoli 132 e 133 c.p.; ne discende che e’ inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruita’ della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013 – 04/02/2014, Ferrario, Rv. 259142).
Invero, una specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantita’ di pena irrogata, specie in relazione alle diminuzioni o aumenti per circostanze, e’ necessaria soltanto se la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale, potendo altrimenti essere sufficienti a dare conto dell’impiego dei criteri di cui all’articolo 133 c.p. le espressioni del tipo: âEuroËœpena congrua’, âEuroËœpena equa’ o âEuroËœcongruo aumento’, come pure il richiamo alla gravita’ del reato o alla capacita’ a delinquere (Sez. 2, n. 36245 del 26/06/2009, Denaro).
In tema di determinazione della pena nel reato continuato, non sussiste, poi, l’obbligo di specifica motivazione per gli aumenti di pena relativi ai reati satellite, valendo a questi fini le ragioni a sostegno della quantificazione della pena-base. (Sez. 2, Sentenza n. 50699 del 04/10/2016 Ud. (dep. 29/11/2016) Rv. 268908 – 01.
Ed, ancora, giova chiarire che in tema di ricorso per cassazione, non puo’ essere considerato come indice del vizio di motivazione il diverso trattamento sanzionatorio riservato nel medesimo procedimento ai coimputati, anche se correi, salvo che il giudizio di merito sul diverso trattamento del caso, che si prospetta come identico, sia sostenuto da asserzioni irragionevoli o paradossali. (Sez. 3, Sentenza n. 27115 del 19/02/2015 Ud. (dep. 30/06/2015) Rv. 264020 – 01.
6.3. Muovendo da tali principi e valutato il tenore complessivo delle motivazioni delle due sentenze di merito devono escludersi, in generale, i vizi paventati da (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) relative al diniego della circostanze generiche (oggetto di valutazione congrua e corretta in diritto da parte dei giudici di merito) nonche’ quelle avanzate da (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) in ordine alla pena irrogata, dovendosi precisare che, a fronte di trattamenti sanzionatori assai miti, le “incongruenze” lamentate dai singoli ricorrenti appaiono certamente di scarso rilievo ed inidonee ad integrare vizi motivazionali deducibili in questa sede.
7. Occorre, quindi, procedere all’esame dei singoli ricorsi che devono essere tutti rigettati.
7.1. Il ricorso di (OMISSIS).
7.1.1. Il primo motivo e’ manifestamente infondato per le ragioni gia’ evidenziate ai §§. 4 e 4.1.1. del “considerato in diritto”
7.1.2. Il secondo motivo relativo alla mancata acquisizione degli assegni bancari in questione e’ manifestamente infondato sulla scorta del condivisibile principio secondo cui in tema di giudizio abbreviato non condizionato, non e’ deducibile come motivo di ricorso per cassazione la mancata assunzione di una prova decisiva al cui esercizio l’imputato ha rinunziato formulando la richiesta di rito alternativo. (Sez. 1, Sentenza n. 3253 del 12/06/2018 Ud. (dep. 23/01/2019) Rv. 276395 – 02.
La censura appare, in generale, inammissibile nella misura in cui il ricorrente non ha chiarito sotto quale profilo e per quali ragioni il mancato espletamento dei detto incombente istruttorio avrebbe compromesso il suo diritto di difesa.
7.1.3. Il terzo motivo e’ infondato per le ragioni gia’ evidenziate al § 5 del “considerato in diritto”.
7.1.4. Per quanto concerne l’ultimo motivo va osservato le censure avanzate sono meramente reiterative rispetto a quelle dedotte nel giudizio di appello e vanno tutte ritenute manifestamente infondate in quanto i giudici di appello con argomentazioni, congrue in fatto e corrette in diritto, hanno escluso l’ipotesi attenuata di cui all’articolo 648 cpv., in ragione della complessita’ dell’organizzazione basata sul’utilizzo di mezzi sofisticati, escluso l’attenuante di cui all’articolo 62, n. 4. non potendosi in alcun modo parlare di danno di lieve tenuita’ ed escluso le attenuanti generiche negate dal primo giudice in ragione in assenza di elementi di segno positivo.
La questione relativa all’applicabilita’ dell’articolo 114 c.p. non puo’ essere esaminata in quanto, a tacer d’ altro, non risulta tempestivamente dedotta in appello.
7.2. Il ricorso di (OMISSIS).
7.2.1. Il primo motivo, relativo ai profili di responsabilita’ della ricorrente per il reato di cui al capo 1), e’ manifestamente infondato per le ragioni gia’ evidenziate ai §§ 4. e 4.1.2 del “considerato in diritto”.
7.2.2. Quanto al secondo motivo, richiamati i principi enunciati al § 6. del “considerato in diritto”, va ulteriormente precisato che la motivazione della corte di appello e’ da ritenere congrua in fatto e corretta in diritto nella parte in cui sono state negate le chieste circostanze attenuanti generiche valorizzandosi i numerosi precedenti penali e l’assenza di elementi di segno positivo.
Ne’ coglie nel segno la censura dell’imputata secondo cui la corte territoriale, violando il dettato di cui all’articolo 133 c.p., aveva negato dette attenuanti in ragione della circostanza che l’imputata si era avvalsa della facolta’ di non rispondere, ragionamento questo illegittimo non potendosi fondare il diniego su un giudizio negativo riguardante la condotta dell’imputata e sotto altro profilo le argomentazioni della corte apparivano viziate, non avendo la stessa tenuto conto che l’imputata aveva risposto alle domande del P.M. in fase di indagini.
Va, invero, rilevato che ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, il pieno esercizio del diritto di difesa, se faculta l’imputato al silenzio e persino alla menzogna, non lo autorizza, per cio’ solo, a tenere comportamenti processualmente obliqui e fuorvianti, in violazione del fondamentale principio di lealta’ processuale che deve comunque improntare la condotta di tutti i soggetti del procedimento, e la cui violazione e’ indubbiamente valutabile da parte del giudice di merito. (Fattispecie nella quale il diniego delle predette circostanze attenuanti era stato motivato evidenziando il censurabile comportamento processuale dell’imputato, improntato a reticenza ed ambiguita’). (Sez. U, Sentenza n. 36258 del 24/05/2012 Ud. (dep. 20/09/2012) Rv. 253152 – 01.
Non puo’, comunque, trascurarsi che gli elementi su cui i giudici di merito hanno fondato, nell’esercizio dei poteri discrezionali di loro competenza, il diniego delle circostanze generiche sono molteplici sicche’ il rilievo in questione non vale, comunque, ad inficiare le complessive argomentazioni sul punto della sentenza impugnata.
7.2.3. Anche il terzo motivo relativo al complessivo trattamento sanzionatorio e’ da disattendere per le ragioni indicate al richiamato § 6. del “considerato in diritto”.
7.3. Il ricorso di (OMISSIS).
7.3.1. Il primo motivo, relativo alla affermazione della responsabilita’ dell’imputato per il reato di associazione a delinquere, e’ manifestamente infondato per le ragioni di cui ai §§ 4. 4.1.3. e 4.1.3.1. del “considerato in diritto”.
Va, poi, precisato che priva di pregio alcuno e’ la contestazione del ricorrente secondo cui la motivazione sarebbe viziata in quanto la corte di appello aveva omesso del tutto di pronunziarsi sul motivo di censura afferente la rideterminazione del periodo di durata della sua partecipazione all’associazione de qua, statuizione in ordine alla quale sussisteva uno specifico interesse dell’imputato al fine di non essere ritenuto responsabile dei fatti accaduti dopo la sua cessata partecipazione, per i quali altrimenti doveva rispondere in solido con gli altri sodali nel confronti delle persone offese.
Dal momento che in tema di impugnazioni, il riconoscimento del diritto al gravame e’ subordinato alla presenza di un interesse immediato, concreto ed attuale a rimuovere una situazione di svantaggio processuale derivante da una decisione giudiziale di cui si contesta la correttezza e a conseguire un’utilita’, ossia una decisione dalla quale derivi per il ricorrente un risultato piu’ vantaggioso. (Sez. 1, Sentenza n. 8763 del 25/11/2016 Cc. (dep. 22/02/2017) Rv. 269199 – 01, e’ evidente che nel caso in esame l’imputato non ha alcun in questa sede motivo di dolersi di questo profilo dal momento che non vi e’ stata alcuna costituzione di parte civile ed alcuna pronunzia risarcitoria.
7.3.2. Il secondo ed il terzo motivo riguardati la qualificazione degli ulteriori reati contestati sono infondati per le ragioni gia’ evidenziate al § 5. del “considerato in diritto”.
7.3.3. Il quarto, il quinto ed il sesto motivo relativi al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche ed al complessivo trattamento sanzionatorio sono da ritenere in parte infondati ed in parte manifestamente infondati alla luce dei principi e delle considerazioni richiamate al § 6. del “considerato in diritto”.
7.4. Il ricorso di (OMISSIS).
7.4.1. Il primo motivo, relativo alla affermazione della responsabilita’ dell’imputato per il reato di associazione a delinquere, e’ manifestamente infondato per le ragioni di cui ai §§ 4, 4.1.3. e 4.1.3.2. del “considerato in diritto”
Va, poi, precisato che priva di pregio alcuno e’ la contestazione del ricorrente secondo cui la motivazione sarebbe viziata in quanto la corte di appello aveva omesso del tutto di pronunziarsi sul motivo di censura afferente la rideterminazione del periodo di durata della sua partecipazione all’associazione de qua, per le ragioni gia’ esplicitate al § 7.3.1. relativamente all’analogo motivo di doglianza proposto dallo (OMISSIS).
7.4.2. Il secondo ed il terzo motivo riguardati la qualificazione degli ulteriori reati contestati sono infondati per le ragioni gia’ evidenziate al § 5. del “considerato in diritto”.
7.4.3. In ordine al mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’articolo 648, comma 2 deve ritenersi che la questione e’ stata solo genericamente prospettata in grado di appello sicche’ il relativo profilo, peraltro manifestamente infondato, e’ da ritenere a monte inammissibile in forza del principio secondo cui “In tema di ricorso per cassazione, non costituisce (OMISSIS)sa di annullamento della sentenza impugnata il mancato esame di un motivo di appello che, per la sua assoluta indeterminatezza e genericita’, doveva essere dichiarato inammissibile” (sez. VI, 07 aprile 2009, n. 17891).
Il quarto motivo, sotto il profilo relativo alla asserita illegittimita’ della pena comminata e’ infondato alla luce dei principi richiamati al § 6. del “considerato in diritto”.
7.5. Il ricorso di (OMISSIS).
7.5.1. Il primo motivo, relativo alla affermazione della responsabilita’ dell’imputata per il reato di associazione a delinquere e’ manifestamente infondato per le ragioni di cui ai §§ 4., 4.1.3.1. e 4.1.3.3. del “considerato in diritto”.
Va, poi, precisato che priva di pregio alcuno e’ la contestazione della ricorrente secondo cui la motivazione sarebbe viziata in quanto la corte di appello aveva omesso del tutto di pronunziarsi sul motivo di censura afferente la rideterminazione del periodo di durata della sua partecipazione all’associazione de qua, per le ragioni gia’ esplicitate al § 7.3.1. relativamente al medesimo motivo di doglianza proposto dallo (OMISSIS).
7.5.2. Il secondo ed il terzo motivo riguardati la qualificazione degli ulteriori reati contestati sono infondati per le ragioni gia’ evidenziate al § 5. del “considerato in diritto”.
7.5.3. I motivi relativi al trattamento sanzionatorio sono da ritenere infondati alla luce dei principi richiamati al § 6. del “considerato in diritto”.
7.6. Il ricorso di (OMISSIS).
7.6.1. Il primo motivo relativo all’affermazione della responsabilita’ dell’imputata per il reato di associazione a delinquere e’ manifestamente infondato per le ragioni di cui §§ 4., 4.1.3.1. e 4.1.3.3. del “considerato in diritto”.
7.6.2. Il motivo relativo al trattamento sanzionatorio e’ da ritenere infondato sulla scorta dei principi richiamati al § 6. del “considerato in diritto”.
7.7. Il ricorso di (OMISSIS).
7.7.1. Il primo motivo relativo alla affermazione della responsabilita’ dell’imputato per il reato di associazione a delinquere e’ manifestamente infondato per le ragioni di cui §§. 4., 4.1.3.1. e 4.1.3.3. del “considerato in diritto”.
7.7.2. Il secondo motivo riguardate la qualificazione degli ulteriori reati contestati e’ infondato per le ragioni gia’ evidenziate al §. 5 del “considerato in diritto”. 7.8. Il ricorso di (OMISSIS).
7.8.1. I motivi relativi alla affermazione della responsabilita’ dell’imputata per il reato di associazione a delinquere sono infondato per le ragioni di cui ai §§. 4., 4.1.3. e 4.1.3.4. del “considerato in diritto”, dovendosi precisare che l’articolo 114 c.p. per giurisprudenza costante e’ inapplicabile alla fattispecie associativa.
7.9. I ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).
7.9.1. Il primo motivo relativo alla affermazione della responsabilita’ degli imputati per il reato di associazione a delinquere e’ manifestamente infondato per le ragioni di cui ai §§ 4., 4.1.3. e 4.1.3.5. del “considerato in diritto”.
Del tutto generiche ed aspecifiche sono, poi, le censure relative alla affermazione della responsabilita’ degli imputati in ordine agli altri reati contestati, a fronte di una motivazione che sul punto non appare ne’ carente ne’ illogica ne’ contraddittoria.
7.9.2. I motivi relativi al trattamento sanzionatorio sono da ritenere infondati alla luce dei principi richiamati al § 6. del “considerato in diritto”.
7.9.3. La motivazione e’ da ritenere congrua e corretta in diritto nella parte in cui e’ stata rigettata la richiesta del (OMISSIS) di concessione della sospensione condizionale della pena, avendo la corte di appello considerato, nel negarla, i suoi precedenti penali.
8. Per le considerazioni esposte, dunque, i ricorsi devono essere rigettati con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Leave a Reply