Corte di Cassazione, civile, Sentenza 3 novembre 2020 n. 24395
La censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli articoli 115 e 116 del Cpc non può avere a oggetto l’erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo il fatto che questi abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti o disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, ovvero abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, o abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione, restando conseguentemente escluso che il vizio possa concretarsi nella censura di apprezzamenti di fatto difformi da quelli propugnati da una delle parti o, in più in generale, nella denuncia di un cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali, non essendo tale vizio inquadrabile né nel paradigma dell’articolo 360, n. 5, del Cpc, né in quello del precedente n. 4, che, per il tramite dell’articolo 132, n. 4, del Cpc, attribuisce rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante.
Sentenza 3 novembre 2020, n. 24395
Data udienza 22 settembre 2020
Integrale
Tag/parola chiave: INPS – Rivalutazione contributiva – Esposizione all’amianto – Travisamento della prova – Indeducibilità in caso di “doppia conforme” – Errore di percezione sul contenuto oggettivo di una prova – Proponibilità del ricorso per revocazione – Censure di merito – Rigetto
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Antonio – Presidente
Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere
Dott. MANCINO Rossana – Consigliere
Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere
Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 6382-2018 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 377/2017 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 29/11/2017 R.G.N. 101/2017;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22/09/2020 dal Consigliere Dott. CAVALLARO LUIGI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VISONA’ STEFANO che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega verbale Avvocato (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS).
FATTI DI CAUSA
Con sentenza depositata il 29.11.2017, la Corte d’appello di Ancona ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva dichiarato decaduto (OMISSIS) dalla domanda volta ad ottenere la rivalutazione contributiva di cui alla L. n. 257 del 1992, articolo 13, in relazione ai periodi di lavoro e di servizio militare in cui era stato esposto ad amianto.
La Corte, in particolare, ha condiviso la ricostruzione del primo giudice secondo cui nella richiesta di estratto conto contributivo inoltrata dall’appellante all’INPS in data 5.2.2002 era contenuta anche una domanda di rivalutazione dei contributi relativi ai periodi in cui si era avuta esposizione ad amianto, che era stata rigettata dall’INPS con provvedimento del successivo 8.5.2002, di talche’, avuto riguardo al disposto del Decreto del Presidente della Repubblica n. 639 del 1970, articolo 47, tardiva doveva reputarsi la domanda giudiziale proposta solo in data 18.3.2016.
Avverso tali statuizioni (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione, deducendo cinque motivi di censura, successivamente illustrati con memoria. L’INPS ha resistito con controricorso. La causa, all’esito d’infruttuosa trattazione camerale, con ordinanza n. 19065 del 2019 della Sesta sezione civile di questa Corte e’ stata rimessa all’udienza pubblica, in vista della quale il ricorrente ha depositato ulteriore memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’articolo 115 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 5, per avere la Corte di merito omesso l’esame della richiesta di estratto conto contributivo, il quale, benche’ richiamato nel contenuto della sentenza, aveva a suo dire contenuto inequivoco in ordine alla richiesta effettivamente inoltrata all’INPS, di talche’, ponendo in dubbio che quest’ultima fosse esclusivamente una richiesta di rilascio dell’estratto conto contributivo, i giudici di merito avrebbero rassegnato una motivazione apparente, perplessa e obiettivamente incomprensibile.
Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta violazione dell’articolo 116 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, per avere la Corte territoriale ritenuto che egli fosse perfettamente consapevole di aver presentato una domanda volta ad ottenere la rivalutazione dei contributi per pregressa esposizione ad amianto.
Con il terzo motivo, il ricorrente si duole di violazione e falsa applicazione dell’articolo 115 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, per avere la Corte di merito ritenuto che la comunicazione dell’INPS relativa al rigetto del beneficio della rivalutazione contributiva potesse spiegarsi soltanto in relazione ad una pregressa domanda volta a conseguire il beneficio della rivalutazione contributiva, che invece, nel caso di specie, non era stata affatto presentata.
Con il quarto motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 639 del 1970, articolo 47, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, per avere la Corte territoriale ritenuto la sua decadenza dal beneficio della rivalutazione contributiva nonostante che, in concreto, egli non avesse presentato alcuna domanda volta al suo conseguimento.
Con il quinto motivo, il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione del L. n. 88 del 1989, articolo 54, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, per avere la Corte di merito avallato il comportamento dell’Istituto, che – in luogo di limitarsi a provvedere sulla richiesta di estratto conto contributivo aveva ritenuto di potervi accompagnare una pronuncia di rigetto dell’istanza di rivalutazione contributiva pur in assenza di alcuna domanda in tal senso da parte sua.
Il primo, il secondo e il terzo motivo debbono essere esaminati congiuntamente, tutti ruotando intorno all’interpretazione del contenuto della richiesta che l’odierno ricorrente presento’ all’INPS in data 5.2.2002 (debitamente riportata a pagg. 17-19 del ricorso per cassazione) e nella quale i giudici di merito hanno concordemente ravvisato non soltanto una richiesta di estratto conto certificativo L. n. 88 del 1989, ex articolo 54, ma altresi’ una domanda di rivalutazione contributiva L. n. 257 del 1992, ex articolo 13 e sono inammissibili. Per costante orientamento di questa Corte di legittimita’, l’interpretazione degli atti di autonomia privata si concreta in un accertamento di fatto che e’ demandato al giudice di merito ed e’ censurabile in sede di legittimita’ soltanto per violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale oppure per omesso esame circa un qualche fatto decisivo ex articolo 360 c.p.c., n. 5 (cfr., fra le numerose, Cass. nn. 4178 e 5273 del 2007, 19044 del 2010); e, nella specie, l’accertamento compiuto dai giudici di merito deve ritenersi affatto intangibile in questa sede, non essendo stati prospettati vizi afferenti alla violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale (ne’ potendo essi risolversi nell’avversare l’interpretazione che i giudici di merito hanno dato di un testo che sia suscettibile di piu’ significati: cosi’ espressamente Cass. n. 4178 del 2007, cit.) e sussistendo, per cio’ che concerne la denuncia ex articolo 360 c.p.c., n. 5, la preclusione derivante dall’articolo 348-ter c.p.c., u.c..
Sostiene, per vero, parte ricorrente che, essendo stato denunciato in specie un travisamento del contenuto della richiesta di estratto conto contributivo, la preclusione derivante dalla c.d. doppia conforme non potrebbe trovare applicazione. Si tratta tuttavia di assunto che, nonostante abbia trovato riscontro in Cass. n. 28174 del 2018 (secondo la quale il vizio di motivazione fondato sul travisamento della prova escluderebbe che si verta in ipotesi di c.d. doppia conforme quanto all’accertamento dei fatti, preclusivo del ricorso per cassazione ai sensi del novellato articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, giusta l’articolo 348-ter c.p.c., u.c.), non puo’, a parere del Collegio, essere condiviso.
Va premesso, al riguardo, che la nozione di travisamento della prova come vizio deducibile in sede di legittimita’ e’ stata elaborata in talune pronunce di questa Corte (e in specie da Cass. n. 10749 del 2015, espressamente richiamata da Cass. n. 28174 del 2018, cit., e successivamente ripresa da Cass. nn. 1163 e 3796 del 2020) in un contesto normativo dominato da un testo dell’articolo 360 c.p.c., n. 5 precedente alla riformulazione che ne ha operato il Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54 (conv. con L. n. 134 del 2012): piu’ precisamente, in un contesto che permetteva di denunciare per cassazione non solo l'”omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti”, ma, ben piu’ ampiamente, l'”omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”. Ed e’ stata definita come fattispecie in cui il ricorrente chiederebbe a questa Corte di esaminare un atto specificamente indicato perche’ si accerti che l’informazione probatoria riportata ed utilizzata dal giudice per fondare la decisione e’ diversa e inconciliabile con quella contenuta nell’atto o addirittura non esiste, per modo che ad essere domandata non sarebbe una (inammissibile) rivalutazione di fatti di causa, ma una constatazione o un accertamento che quella informazione probatoria, utilizzata in sentenza, e’ contraddetta da uno specifico atto processuale (cosi’, in motivazione, Cass. n. 10749 del 2015, cit.).
Vale la pena di evidenziare che, sebbene Cass. n. 10749 del 2015, cit., pretenda di derivare la possibilita’ di censurare per cassazione il travisamento della prova dalla precedente Cass. n. 12362 del 2006, nulla in tal senso e’ dato evincere dalla motivazione di tale ultima pronuncia: in essa, infatti, se ne tratteggia la nozione semplicemente per affermare che quello che in concreto era fatto valere era piuttosto un vizio di “mancata valutazione di elementi decisivi della controversia” (cosi’ Cass. n. 12362 del 2006, cit., in parte motiva). Ne’ cio’ e’ casuale, giacche’ la verifica di un travisamento della prova, per come ricostruito nelle sentenze citate, comporta in realta’ un’operazione pressoche’ meccanica di raffronto fra testi e la constatazione di un errore di percezione o ricezione della prova da parte del giudice di merito (nella dottrina processualpenalistica, dove l’istituto ha trovato compiuta sistemazione, se ne parla come di un caso limite in cui un testo, per quanto lo si torca e lo si scavi, non puo’ dire quello che il giudice nella sentenza impugnata gli fa dire), vale a dire di un tipico errore revocatorio.
La riprova e’ che come tale lo ha sempre considerato l’orientamento affatto maggioritario della giurisprudenza di questa Corte, almeno a far data da Cass. nn. 1536 del 1968 e 478 del 1969: la prima avendo affermato che, in sede di legittimita’, e’ precluso non solo il riesame delle prove la cui valutazione sia stata fatta in modo difforme da quella prospettata dal ricorrente, ma altresi’ l’accertamento di un eventuale travisamento delle prove stesse, e la seconda avendo precisato che il rimedio tipico per il travisamento e’ per l’appunto la revocazione di cui all’articolo 395 c.p.c., n. 4.
Vero e’ che, nel vigore del testo dell’articolo 360 c.p.c., n. 5 precedente alla citata novella apportata dal Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54, cit., un residuo controllo in sede di legittimita’ veniva ammesso qualora il travisamento delle prove avesse messo capo ad un vizio logico di insufficienza di motivazione (cosi’, espressamente, Cass. n. 1536 del 1968, cit., seguita sul punto da Cass. nn. 2963 del 1971, 952 del 1973, e numerose altre). Ma affatto diversa dev’essere ora la conclusione, non essendo piu’ consentita la possibilita’ di censurare per cassazione l’insufficienza o contraddittorieta’ della motivazione se non quando il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali, e dovendo piuttosto il vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5 necessariamente tradursi nell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, nel senso che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (cosi’ Cass. S.U. n. 8053 del 2014 e innumerevoli successive conformi).
Se dunque, alla luce della novella apportata all’articolo 360 c.p.c., n. 5, non appare in alcun modo ammissibile la deducibilita’ per cassazione di un vizio di travisamento della prova (e del resto, la giurisprudenza maggioritaria di questa Corte e’ saldamente orientata nel senso che la denuncia di un errore consistente nell’inesatta percezione da parte del giudice di circostanze presupposte come sicura base del suo ragionamento, in contrasto con quanto risulta dagli atti del processo, non costituisce motivo di ricorso per cassazione ex articolo 360 c.p.c., n. 5, ma di revocazione a norma dell’articolo 395 c.p.c., comma 1, n. 4: cfr., ex multis, Cass. n. 2529 del 2016, 5149 del 2003, 2932 del 1999, 5351 del 1983), a fortiori deve escludersi che la denuncia della sua occorrenza possa scansare la preclusione della c.d. doppia conforme di cui all’articolo 348-ter c.p.c., u.c., come invece ritenuto da Cass. n. 28174 del 2018: semplicemente perche’ non vi e’ alcuna base normativa per poterlo ragionevolmente sostenere.
Si deve piuttosto aggiungere che a diverse conclusioni non e’ dato pervenire nemmeno configurando il supposto vizio di percezione circa il contenuto della richiesta di estratto conto contributivo sub specie di violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., come pure argomentato da parte ricorrente e specialmente illustrato nelle memorie dep. ex articolo 378 c.p.c..
Questa Corte ha da tempo consolidato il principio secondo cui una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., non puo’ avere ad oggetto l’erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo il fatto che questi abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti o disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, ovvero abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, o abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (cfr., fra le piu’ recenti, Cass. nn. 1229 del 2019, 4699 e 26769 del 2018, 27000 del 2016), restando conseguentemente escluso che il vizio possa concretarsi nella censura di apprezzamenti di fatto difformi da quelli propugnati da una delle parti (Cass. n. 18665 del 2017) o, in piu’ in generale, nella denuncia di un cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali, non essendo tale vizio inquadrabile ne’ nel paradigma dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, ne’ in quello del precedente n. 4, che, per il tramite dell’articolo 132 c.p.c., n. 4, attribuisce rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante (Cass. n. 11892 del 2016).
Non ignora il Collegio che, recentemente, questa Corte ha ritenuto che, mentre l’errore di valutazione in cui sia incorso il giudice di merito nell’apprezzamento dell’idoneita’ dimostrativa della fonte di prova non sarebbe mai sindacabile in sede di legittimita’, sarebbe invece sindacabile, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 4 e per violazione dell’articolo 115 del medesimo codice, l’errore di percezione che sia caduto sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova, qualora investa una circostanza che abbia formato oggetto di discussione tra le parti (cosi’ Cass. n. 9356 del 2017, cui hanno dato seguito, tra le altre, Cass. nn. 19293 e 27033 del 2018).
Nemmeno tale assunto, tuttavia, appare condivisibile.
L’errore di percezione (che, per orientamento maggioritario di questa Corte di legittimita’, puo’ essere soltanto motivo di revocazione) consiste in effetti in una falsa percezione della realta’ o in una svista materiale che abbia portato ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso oppure l’inesistenza di un fatto positivamente accertato dagli atti o documenti di causa (cosi’, da ult., Cass. n. 26890 del 2019). E un errore siffatto puo’ essere soltanto motivo di revocazione, ai sensi dell’articolo 395 c.p.c., n. 4, giacche’, concretandosi nella “supposizione di un fatto la cui verita’ e’ incontrastabilmente esclusa” dagli atti e documenti di causa, ovvero (e specularmente) nella supposizione dell'”inesistenza di un fatto la cui verita’ e’ positivamente stabilita” dai medesimi atti e documenti di causa, esclude che su quel fatto, che non era affatto “controverso” tra le parti, il giudice abbia reso un qualsiasi giudizio.
E’ precisamente l’insussistenza di alcun giudizio a rendere possibile il rimedio della revocazione e a segnare, in parallelo, la differenza rispetto al giudizio errato sulla sussistenza o insussistenza di un fatto: nell’un caso, infatti, su quel dato fatto non vi e’ tecnicamente giudizio, perche’ viene erroneamente supposto come vero o non vero, mentre tale non e’ secondo le incontroverse risultanze di causa;
nell’altro caso, che presuppone naturalmente che le risultanze probatorie siano controverse, su quel fatto ci sara’ sempre un giudizio, che potra’ essere errato o meno e dunque censurabile secondo la legge propria dei mezzi d’impugnazione predisposti per gli errori di giudizio.
Sono questi, per risalente insegnamento di questa Corte di legittimita’, gli errori-vizio in cui puo’ incorrere una sentenza, in disparte restando l’errore ostativo, che da’ luogo a semplice correzione ex articolo 287 c.p.c. (cosi’ gia’ Cass. n. 1688 del 1962; piu’ recentemente, nello stesso senso, Cass. n. 7647 del 2005). E si capisce, di conseguenza, il motivo per cui la costante giurisprudenza di questa Corte abbia affermato che l’apprezzamento dei fatti compiuto dal giudice di merito, qualora sia fondato sulla mera assunzione acritica di un fatto, puo’ configurare un travisamento, denunciabile solo con istanza di revocazione, ex articolo 395 c.p.c., n. 4, mentre e’ sindacabile in sede di legittimita’, ex articolo 360 c.p.c., n. 5, ove si ricolleghi ad una valutazione ed interpretazione degli atti del processo e del comportamento processuale delle parti (cfr., tra le piu’ recenti, Cass. nn. 4893 del 2016, 19921 del 2012, 1427 del 2005, tutte rese, beninteso, su ricorsi ratione temporis assoggettati al previgente testo dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5): il punto e’ che l’errore di percezione esclude in radice il giudizio, al punto che puo’ essere lo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza a rilevarlo (articolo 398 c.p.c., comma 1), laddove l’errore di valutazione da’ luogo ad un giudizio errato, che dev’essere necessariamente denunciato al giudice dell’impugnazione, s’intende nei limiti in cui la legge dell’impugnazione lo consente.
Proprio per cio’ non puo’ logicamente ammettersi, come invece ritenuto da Cass. n. 9356 del 2017, cit., la censurabilita’ per cassazione un errore di percezione su un fatto controverso: una volta stabilito che l’errore di percezione si risolve in un contrasto antitetico tra due rappresentazioni del medesimo oggetto, l’una contenuta nella sentenza e l’altra risultante dai documenti di causa, la configurabilita’ di un errore di percezione su un fatto controverso presupporrebbe l’esistenza di “prove chiare” o, peggio ancora, che esista un “fatto” distinto dal giudizio di fatto, cioe’ al di fuori dalla sola interpretazione giuridicamente rilevante di quel fatto, che e’ quella propria del giudice di merito. La qual cosa, com’e’ noto, e’ cio’ che la nozione di “travisamento” storicamente sottintendeva, al fine di indurre il giudice di legittimita’ ad un piu’ ampio riesame del fatto oggetto della controversia, ma che non e’ piu’ possibile ammettere senza surrettiziamente trasformare questa Corte in un giudice di merito di terza istanza.
Dovendo pertanto ribadirsi che l’errore di percezione sul contenuto oggettivo di una prova non e’ altra cosa dal travisamento della prova e puo’ dar luogo, se del caso, esclusivamente a revocazione ex articolo 395 c.p.c., n. 4, mentre l’unico vizio del giudizio di fatto deducibile per cassazione, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, consiste nell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio, salva la preclusione della doppia conforme in fatto, di cui all’articolo 348-ter c.p.c., u.c., i motivi in esame vanno dichiarati inammissibili.
Parimenti inammissibile e’ il quarto motivo.
Questa Corte ha da tempo chiarito che il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, mentre l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa e’ esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimita’ se non nei ristretti limiti dell’articolo 360 c.p.c., n. 5 (cfr. tra le piu’ recenti Cass. nn. 24155 del 2017 e 3340 del 2019).
Nella specie, il motivo di censura incorre precisamente nella confusione dianzi chiarita, dal momento che, pur essendo formulato con riguardo ad una presunta violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 639 del 1970, articolo 47, pretende in realta’ di revocare in dubbio l’accertamento di fatto compiuto dai giudici di merito in ordine all’effettivo contenuto della richiesta di estratto conto contributivo presentata a suo tempo dal ricorrente: che e’, come dianzi s’e’ detto, accertamento ormai intangibile in questa sede di legittimita’.
Infondato, infine, e’ il quinto motivo: e’ sufficiente, sul punto, rilevare che, una volta acclarato che il contenuto della richiesta avanzata dal ricorrente concerneva non soltanto il rilascio dell’estratto conto contributivo, ma altresi’ la domanda di rivalutazione contributiva dei periodi di esposizione ad amianto, del tutto correttamente la sentenza impugnata ha ascritto alla risposta dell’INPS il valore di provvedimento di reiezione di quest’ultima.
Il ricorso, conclusivamente, va rigettato, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimita’, che seguono la soccombenza.
Tenuto conto del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimita’, che si liquidano in Euro 3.700,00, di cui Euro 3.500,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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