Corte di Cassazione, penale, Sentenza|11 gennaio 2021| n. 650.
La causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, di cui all’articolo 131-bis del codice penale, non può essere applicata ai reati eventualmente abituali che siano stati posti in essere mediante la reiterazione della condotta tipica (in applicazione del principio, la Corte ha escluso la ricorrenza della particolare tenuità del fatto con riferimento alla condotta di smaltimento senza autorizzazione di rifiuti speciali non pericolosi, sul rilievo della rilevante quantità degli stessi, di per sé significativa della reiterazione della condotta contestata).
Sentenza|11 gennaio 2021| n. 650
Data udienza 9 ottobre 2020
Integrale
Tag – parola chiave: Rifiuti speciali non pericolosi – Smaltimento illecito – Tenuità del fatto – Esclusione
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SARNO Giulio – Presidente
Dott. SOCCI Angelo Matteo – Consigliere
Dott. ANDREAZZA Gastone – rel. Consigliere
Dott. ACETO Aldo – Consigliere
Dott. SEMERARO Luca – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 16/01/2020 del TRIBUNALE di SANTA MARIA CAPUA VETERE;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. GASTONE ANDREAZZA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. CORASANITI GIUSEPPE, che ha concluso chiedendo il rigetto.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del Tribunale di S. Maria Capua Vetere del 16/01/2020 (OMISSIS) veniva ritenuto responsabile del reato di cui al Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 256, comma 1, lettera a) commesso in qualita’ di legale rappresentante della societa’ (OMISSIS) S.r.l. in relazione alla condotta di smaltimento senza autorizzazione di rifiuti speciali non pericolosi costituiti da liquami dell’attivita’ casearia, e veniva pertanto condannato alla pena dell’ammenda di Euro 3.000,00.
2. Avverso la sentenza l’imputato ha proposto ricorso per Cassazione articolato in due motivi.
Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge e difetto di motivazione in relazione al mancato riconoscimento della esclusione della punibilita’ per particolare tenuita’ del fatto ex articolo 131 bis c.p..
Il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui non avrebbe motivato sulla richiesta avanzata in primo grado di sentenza di non doversi procedere ai sensi dell’articolo 131 bis cit. per particolare tenuita’ del fatto. In particolare, il giudice di primo grado non avrebbe tenuto in considerazione la presenza dei registri di spandimento dei reflui, poi depositati, dai quali emergerebbe la non pericolosita’ degli stessi. Inoltre, il giudice, nell’irrogare la pena, non si sarebbe attenuto ai parametri indicati dall’articolo 133 c.p. ed avrebbe errato nell’imporre la pubblicazione della sentenza di condanna, con cio’ recando un danno d’immagine alla persona e.all’attivita’ commerciale’ gestita dall’imputato:
3. Con il secondo ed ultimo motivo si censura la violazione di legge e il difetto assoluto di motivazione in relazione agli articoli 62 bis e 133 c.p..
Si sottolinea come il giudice di primo grado, se avesse considerato attentamente i parametri di cui all’articolo 133 c.p., avrebbe irrogato una pena meno severa, con la concessione delle attenuanti generiche. In particolare, si sostiene che il giudice avrebbe dovuto valorizzare, ai fini della concessione delle attenuanti, il tempestivo ripristino dei luoghi, nonche’ l’ottemperanza alle prescrizioni impartite dal Nucleo operativo Nas di Caserta e il deposito in udienza dei registri di spandimento dei liquami; tali elementi, unitamente allo stato di incensuratezza e alle condotte antecedenti alla contestazione de qua, avrebbero dovuto portare a concedere il beneficio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo e’ manifestamente infondato.
L’articolo 131-bis c.p. prevede, al comma 1, quale necessaria condizione di applicabilita’ dell’istituto della particolare tenuita’ del fatto, che il comportamento del soggetto attivo deve essere “non abituale” precisando poi, al comma 3, che comportamento abituale, e dunque ostativo al riconoscimento della esclusione della punibilita’, e’ anche quello di condotte plurime, abituali, e reiterate.
E la giurisprudenza di questa Corte ha rilevato che la causa di esclusione della punibilita’ per particolare tenuita’ del fatto, di cui all’articolo 131-bis c.p., non puo’ essere applicata ai reati eventualmente abituali che siano stati posti in essere mediante la reiterazione della condotta tipica (tra le altre, Sez. 3, n. 30134 del 05/04/2017, Dentice, Rv. 270255).
Cio’ posto, la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione del principio appena ricordato laddove ha sottolineato, con motivazione logica, e dunque insindacabile in questa sede, l’ostacolo rappresentato dalla rilevante quantita’ dei reflui smaltiti illecitamente e pari a ben 496.560 chilogrammi (pari alla differenza tra circa 579.000 di acque reflue in totale prodotte dalla ditta nel periodo considerato e 83.000 chilogrammi di acque smaltite sulla base dei Fir regolarmente consegnati e prodotti agli atti), di per se’ significativa della reiterazione, nell’arco di tempo contestato, delle condotte considerate.
Di qui, pertanto, la recessivita’ di ogni altra considerazione, tra cui la non pericolosita’ dei rifuti, di per se’, nella specie, non sufficiente, evidentemente, tanto piu’ essendo una necessaria componente del reato atta a distinguere la fattispecie in esame da quella dell’articolo 256, comma 1, lettera b), ad imporre il riconoscimento della invocata non punibilita’.
Quanto alla pubblicazione della sentenza apposta, ex articolo 165 c.p., come condizione alla concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, e’ evidente l’incongruita’ di una prospettazione che, senza censurare la logicita’ della motivazione resa sul punto dalla sentenza impugnata (ovvero la espressione dell’efficacia deterrente e della forma di riparazione del danno arrecato) e paventando il danno di immagine alla persona e all’attivita’ commerciale, verrebbe a negare proprio la ratio stessa della sanzione, la cui deterrenza e’ necessariamente collegata alla natura diffusiva del mezzo.
2. Anche il secondo motivo e’ inammissibile.
Premesso che la pena della ammenda di Euro 3.000 irrogata si situa in prossimita’ evidente del minimo edittale pari ad Euro 2.600 con conseguente sufficienza, secondo i costanti principi sul punto espressi da questa Corte (Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283; Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, Serratore, Rv. 256197), di una motivazione che si rapporti anche solo alla menzione dei criteri di cui all’articolo 133 c.p., va osservato che, nella specie, la sentenza impugnata ha pertinentemente richiamato, anche con riferimento al profilo sanzionatorio, il notevole quantitativo di acque illecitamente smaltite; quanto, poi, alla concessione delle circostanze attenuanti generiche, sono in questa sede non valorizzabili elementi fattuali, tra cui in particolare il tempestivo ripristino dei luoghi (di cui peraltro non e’ dato comprendere la connessione con la condotta contestata) e l’ottemperanza alle prescrizioni, unicamente riferiti dal ricorrente e oggettivamente non risultanti sicche’ appare insindacabile la motivazione della sentenza impugnata che ha fatto leva sulla inidoneita’ del mero stato di incensuratezza.
3. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di denaro di Euro 3.000 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000 in favore della Cassa delle Ammende.
Motivazione semplificata.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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