Corte di Cassazione, penale, Sentenza|17 marzo 2021| n. 10381.
La causa di esclusione della colpevolezza prevista dall’art. 384, primo comma, cod. pen., è applicabile analogicamente anche a chi ha commesso uno dei reati ivi indicati per esservi stato costretto dalla necessità di salvare il convivente more uxorio da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell’onore.
Sentenza|17 marzo 2021| n. 10381
Data udienza 26 novembre 2020
Integrale
Tag – parola chiave: Reati contro l’amministrazione della giustizia – Esimente ex articolo 384 comma 1 del cp – Estensione al convivente more uxorio
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE PENALI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CASSANO Margherita – Presidente
Dott. DI TOMASSI Mariastefania – Consigliere
Dott. FIDELBO Giorgio – rel. Consigliere
Dott. SARNO Giulio – Consigliere
Dott. MOGINI Stefano – Consigliere
Dott. VERGA Giovanna – Consigliere
Dott. DI SALVO Emanuela – Consigliere
Dott. ROCCHI Giacomo – Consigliere
Dott. PISTORELLI Luca – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nata il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 14/05/2019 della Corte di appello di Cagliari;
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal componente Giorgio Fidelbo;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato generale Dott. GAETA Pietro, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
lette le conclusioni del difensore dell’imputata, avvocato (OMISSIS), che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la decisione indicata in epigrafe la Corte di appello di Cagliari ha confermato la sentenza del 10 ottobre 2017 con cui il Tribunale di Cagliari aveva condannato (OMISSIS) alla pena di sei mesi di reclusione per il reato di favoreggiamento personale. Dalla ricostruzione dei fatti ritenuta nelle sentenze di merito – ricostruzione peraltro non oggetto di contestazione risulta che l’imputata, al fine di aiutare (OMISSIS) che, quale conducente della Ford Fiesta tg. (OMISSIS), aveva provocato un incidente stradale in (OMISSIS) in cui erano state coinvolte altre due autovetture, dichiarava falsamente ai Carabinieri di essere stata lei alla guida dell’auto, su cui invece viaggiava come terzo trasportato. La falsa dichiarazione era diretta a favorire la posizione di (OMISSIS), che oltre ad essere privo della patente di guida, perche’ revocata, dopo l’incidente si era allontanato senza prestare assistenza alle persone coinvolte nel sinistro dallo stesso provocato.
2. Il Tribunale ha riconosciuto la sussistenza del favoreggiamento personale, in quanto l’imputata, con le sue dichiarazioni, avrebbe aiutato il conducente dell’autovettura ad eludere le investigazioni dell’autorita’ in relazione al reato di cui al Decreto Legislativo 30 aprile 1992, n. 285, articolo 189, comma 7, non avendo prestato assistenza alle persone ferite (il riferimento alla contravvenzione di guida senza patente e’ venuto meno trattandosi di reato depenalizzato).
La Corte d’appello nel confermare tale impostazione ha tuttavia individuato come reato presupposto del favoreggiamento il diverso delitto previsto dal Decreto Legislativo n. 285 del 1992, articolo 189, comma 6, (che sanziona l’inottemperanza all’obbligo di fermarsi in presenza di un incidente con danni alle persone) e, soprattutto, ha escluso che nella specie potesse trovare applicazione la causa di non punibilita’ di cui all’articolo 384 c.p., invocata dall’imputata sul presupposto dell’esistenza di un rapporto di convivenza con (OMISSIS).
3. Nell’interesse di (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione il suo difensore di fiducia.
Con il primo motivo deduce vizio di motivazione e violazione dell’articolo 603 c.p.p., per avere la Corte d’appello omesso di pronunciarsi sulla richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, finalizzata ad accertare l’esistenza di una convivenza more uxorio tra (OMISSIS) e (OMISSIS), rilevando un evidente errore nella motivazione della sentenza la’ dove esclude che l’imputata abbia richiesto con l’appello tale rinnovazione istruttoria, istanza che, invece, era stata puntualmente proposta.
Con il secondo motivo denuncia la violazione della legge penale, per aver escluso l’applicabilita’ della causa di non punibilita’ di cui all’articolo 384 c.p.: assume che l’invocata causa di non punibilita’ puo’ rilevare anche in presenza di convivenze di fatto, sebbene non regolate sul piano normativo, censurando la motivazione con cui la sentenza impugnata ne ha negato l’applicazione ai rapporti di mera convivenza, caratterizzati da una relazione informale. Con lo stesso motivo deduce anche il vizio di motivazione, in quanto la Corte territoriale avrebbe comunque ritenuto non dimostrata la sussistenza di una relazione more uxorio, ignorando le prove prodotte, attestanti l’esistenza di una vera convivenza come coppia di fatto (certificato anagrafico, documenti di identita’, notifiche relative al procedimento penale).
4. La Sesta Sezione, cui il ricorso e’ stato originariamente assegnato, ha osservato, preliminarmente, come la questione alla base del ricorso riguardi la possibilita’ di applicare la causa scriminante di cui all’articolo 384 c.p., al convivente more uxorio, questione ritenuta pregiudiziale rispetto alla decisione sulla responsabilita’ dell’imputata e su cui ha rilevato l’esistenza di un contrasto di giurisprudenza, sicche’ ha rimesso il ricorso alle Sezioni Unite, ai sensi dell’articolo 618 c.p.p., comma 1.
5. Con decreto dell’11 febbraio 2020 il Presidente Aggiunto ha fissato per il 23 aprile 2020 la trattazione del ricorso in pubblica udienza, trattazione rinviata d’ufficio, ai sensi del Decreto Legge n. 18 del 2020, articolo 83, convertito dalla L. n. 27 del 2020, prima al 25 giugno 2020 e, successivamente, al 24 settembre 2020, udienza in cui, su richiesta delle parti, il ricorso e’ stato ulteriormente rinviato al 26 novembre 2020, data in cui e’ stato deciso in camera di consiglio senza l’intervento delle parti, secondo la procedura prevista dal Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8.
6. La Procura generale ha depositato una memoria in cui, ribadita la portata eccezionale della causa di non punibilita’ prevista dall’articolo 384 c.p., comma 1, ha escluso ogni possibilita’ di ricomprendere nella categoria di “coniugi” anche i conviventi more uxorio, sottolineando come proprio la L. 20 maggio 2016, n. 76 (c.d. legge Cirinna’), nel regolamentare esclusivamente le unioni civili tra persone dello stesso sesso, avrebbe “seppellito” definitivamente ogni possibile interpretazione estensiva della nozione di coniuge finalizzata a ricomprendervi anche i conviventi. Si sostiene che l’aver lasciato immutata la disciplina penalistica delle convivenze di fatto, intervenendo invece con disposizioni di adeguamento relative alle unioni civili – ad esempio, modificando l’articolo 307 c.p., – sta a significare che il legislatore non ha inteso realizzare alcuna parificazione dei conviventi ai coniugati. Inoltre, nella memoria si evidenzia come la stessa giurisprudenza costituzionale, soprattutto con le sentenze n. 8 del 1996 e n. 237 del 1986, negando che la mancata parificazione sia in contrasto con la Costituzione, abbia escluso ogni suo possibile intervento additivo funzionale a estendere la portata dell’articolo 384 c.p., anche ai conviventi, escludendo altresi’ che vi sia spazio per una interpretazione conforme da parte del giudice comune.
7. Una memoria e’ stata depositata anche dal difensore dell’imputata, secondo cui il fatto che il legislatore del 2016 si sia preoccupato di coordinare le norme penali solo con la nuova disciplina delle unioni civili, senza nulla prevedere per le convivenze di fatto, non puo’ impedire in sede interpretativa di estendere anche a quest’ultime la disciplina che si ricava dal “quadro storico evolutivo della materia”, giungendo alla unificazione, anche sul piano penale, tra famiglia di fatto e famiglia legittima. In particolare, si assume che se la ratio dell’articolo 384 c.p., comma 1, e’ costituita dalla inesigibilita’ di un comportamento conforme al precetto penale, cosi’ come parte della dottrina sostiene, risulta irragionevole affermare che il convivente di fatto non si trovi nella identica situazione di pressione psicologica del coniuge.
Sotto un distinto profilo rappresenta come, nella specie, troverebbe applicazione l’articolo 384, comma 2, nel testo modificato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 416 del 1996.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. La questione di diritto rimessa alle Sezioni Unite puo’ essere cosi’ sintetizzata: “se l’ipotesi di cui all’articolo 384 c.p., comma 1, sia applicabile al convivente more uxorio”.
2. La Sezione rimettente ha correttamente rilevato l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale avente ad oggetto l’ambito applicativo dell’articolo 384 c.p., comma 1, con riferimento alla possibilita’ di farvi rientrare anche i casi di convivenze di fatto.
2.1. L’orientamento, allo stato prevalente, che esclude l’applicabilita’ dei casi di non punibilita’ previsti dalla norma in questione alle situazioni di convivenza more uxorio, giustifica tale soluzione in base ad almeno tre ordini di ragione.
Innanzitutto, si ritiene determinante l’espresso riferimento contenuto nell’articolo 384 c.p., ai “prossimi congiunti”, la cui definizione e’ offerta dall’articolo 307 c.p., comma 4, disposizione generale all’interno del codice penale, che identifica la categoria dei prossimi congiunti esclusivamente nel coniuge, oltre che negli ascendenti, discendenti, fratelli, affini nello stesso grado, zii e nipoti, senza ricomprendervi il convivente.
In questo modo la nozione di prossimi congiunti viene ricondotta esclusivamente ai membri della famiglia fondata sul matrimonio, negando ogni possibile parificazione della convivenza more uxorio (in questo senso, Sez. 2, n. 7684 del 09/03/1982, Turatello, Rv. 154880; Sez. 6, n. 6365 del 20/02/1988, Melilli, Rv. 178467; Sez. 1, n. 9475 del 05/05/1989, Creglia, Rv. 181759; Sez. 6, n. 132 del 18/01/1991, Izzo, Rv. 187017; Sez. 2, n. 20827 del 17/02/2009, Agate, Rv. 244725, Sez. 5, n. 41139 del 22/10/2010, Migliaccio, Rv. 248903).
In secondo luogo, le decisioni che formano oggetto di questo indirizzo interpretativo escludono l’assimilabilita’ del rapporto di fatto al vincolo coniugale e, richiamando la giurisprudenza costituzionale che in piu’ occasioni ha ritenuto infondate le questioni di costituzionalita’ dell’articolo 384 c.p., sottolineano la diversita’ tra il rapporto coniugale, caratterizzato da stabilita’ e reciprocita’ di diritti e doveri, e la convivenza di fatto, fondata, invece, su una affectio che puo’ essere revocata in ogni momento, evidenziando, inoltre, la differente tutela riservata alle due situazioni dalla stessa Costituzione, che solo nell’articolo 29 riconosce i diritti della famiglia come societa’ naturale fondata sul matrimonio, mentre la famiglia di fatto viene presa in considerazione sulla base dell’articolo 2 Cost. (cfr., Corte Cost. n. 8 del 1996 e n. 121 del 2004). Proprio sulla base di questi argomenti la Corte di cassazione ha ritenuto inammissibile la questione di costituzionalita’ dell’articolo 384 c.p., sollevata in riferimento agli articoli 2, 3 e 29 Cost., tenendo conto della diversa copertura costituzionale del rapporto di convivenza e di quello coniugale, rilevando come la piena assimilazione di tali situazioni rientri nelle scelte discrezionali del legislatore (Sez. 6, n. 35967 del 28/09/2006, Cantale, Rv. 234862).
L’esclusione dell’equiparazione sul piano interpretativo del convivente al coniuge, in vista dell’applicabilita’ della causa di non punibilita’ ai sensi dell’articolo 384 c.p., viene motivata evidenziando anche le conseguenze in malam partem di una tale operazione, conseguenze rinvenibili in tutti quei casi in cui il vincolo familiare rileva per la configurabilita’ di taluni reati, come ad esempio quelli previsti dall’articolo 570 c.p., articolo 577 c.p., comma 2, n. 1, articolo 605 c.p., comma 1, n. 1.
Infine, l’esclusione della estensibilita’ fa leva sulla qualificazione della norma come causa di non punibilita’ che, in quanto norma eccezionale, non puo’ essere applicata analogicamente (in questo senso si esprime anche l’ordinanza di rimessione). Si sostiene che spetterebbe sempre al legislatore prevedere l’estensione della non punibilita’ attraverso un giudizio di ponderazione a soluzione aperta tra ragioni diverse, sicche’ andrebbe operato un confronto tra “l’esigenza della repressione di delitti contro l’amministrazione della giustizia, da un lato, e la tutela di beni afferenti la vita familiare, dall’altro”, rilevando come non possa dirsi “che i beni di quest’ultima natura debbano avere necessariamente lo stesso peso a seconda che si tratti della famiglia di fatto o della famiglia legittima, per la quale sola esiste un’esigenza di tutela non solo delle relazioni affettive, ma anche dell’istituzione familiare come tale, di cui elemento essenziale e caratterizzante e’ la stabilita’”. Per queste ragioni si assume che debbano ritenersi legittime soluzioni legislative differenziate con riferimento alla causa di non punibilita’ di cui all’articolo 384 cit. (cosi’, Sez. 5, n. 41139 del 22/10/2010, Rv. 248903, nonche’ Sez. 2, n. 20827 del 17/02/2009, cit.; in termini analoghi, Sez. 1, n. 9475, del 05/05/1989, cit.; Sez. 6, n. 6365 del 20/02/1988, cit. e Sez. 2, n. 7684 del 09/03/1982, cit.), non essendo consentito al giudice ricercare cause ultralegali di esclusione della punibilita’ attraverso l’analogia (Sez. 3, n. 38593 del 23/01/2018, Del Stabile, Rv. 273833).
Da ultimo, si e’ sottolineato il rilievo che deve essere attribuito al recente intervento legislativo con cui, a seguito della riforma che ha disciplinato le unioni civili tra persone dello stesso sesso e regolamentato le convivenze (L. 20 maggio 2016, n. 76, c.d. legge Cirinna’), e’ stata espressamente ampliata la cerchia dei “prossimi congiunti” di cui all’articolo 307 c.p., comma 4, ricomprendendovi i soggetti uniti civilmente, ma non anche i conviventi di fatto (Decreto Legislativo 19 gennaio 2017, n. 6): secondo l’ordinanza di rimessione, si sarebbe trattato di una scelta ben precisa del legislatore, non di una semplice “svista”, dal momento che la legge delega non lasciava alcun margine per includere anche i conviventi di fatto nell’articolo 307 cit..
2.2. L’orientamento favorevole all’estensione della causa di non punibilita’ anche al convivente more uxorio si e’ sviluppato piu’ di recente ed annovera un minor numero di decisioni.
La prima in ordine temporale e’ Sez. 6, n. 22398 del 22/01/2004, Esposito, Rv. 229676, che pero’ afferma il principio della applicabilita’ dell’articolo 384 c.p., al convivente senza un particolare approfondimento, prospettando una possibile applicazione analogica della causa di non punibilita’.
Piu’ articolato e’ il ragionamento condotto da Sez. 2, n. 34147 del 30/04/2015, Agostino, Rv. 264630: in questo caso la Corte di cassazione, disattendendo la soluzione offerta dalla precedente sentenza Esposito, riconosce che l’articolo 384 c.p., in quanto causa speciale di non punibilita’, ha natura di norma eccezionale che, quindi, non puo’ ricevere un’applicazione analogica, e si basa, invece, su una lettura aperta delle nozioni di famiglia e di coniugio, sottolineando come oggi termini come “matrimonio” e “famiglia” hanno un significato diverso e piu’ ampio rispetto a quello risalente all’epoca dell’entrata in vigore del codice penale, evidenziando, inoltre, come “la stabilita’ del rapporto, con il venire meno dell’indissolubilita’ del matrimonio, non costituisce piu’ una caratteristica assoluta e inderogabile ed anzi spesso caratterizza maggiormente unioni non fondate sul matrimonio”. La sentenza registra una vistosa contraddizione nella stessa giurisprudenza di legittimita’, che, da un lato, nega l’equiparazione tra famiglia di fatto e famiglia legittima, dall’altro, invece, attribuisce rilievo alla convivenza: questa giurisprudenza ondivaga, anche quando e’ produttiva di effetti in malam partem, come e’ avvenuto ritenendo configurabile il reato di maltrattamenti anche nel caso in cui la condotta delittuosa sia commessa ai danni di una persona convivente (prima dell’ultima modifica dell’articolo 572 c.p.), ha fornito comunque una nozione “moderna” di famiglia, intesa come un consorzio di persone tra le quali, per strette relazioni e consuetudini di vita, siano sorti rapporti di assistenza e di solidarieta’ per un apprezzabile periodo di tempo (tra le tante, Sez. 6, n. 20647 del 29/01/2008, Rv. 239726); lo stesso e’ accaduto in tema di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, in cui la Corte di cassazione ha preso in considerazione tra i redditi dei familiari anche quello del convivente more uxorio (cfr., nell’ambito di un orientamento consolidato, Sez. 4, n. 109 del 26/10/2005, Curatolo, Rv. 232787).
Analoga tendenza a favore di una assimilazione tra le due tipologie di “famiglia” si e’ verificata, secondo la sentenza Agostino, nelle interpretazioni che hanno portato ad effetti in bonam partem, ad esempio in materia di riconoscimento dell’attenuante della provocazione e dell’estensione della causa di non punibilita’ dell’articolo 649 c.p., al convivente: anche in questi casi la giurisprudenza di legittimita’ ha valorizzato l’esistenza di un rapporto affettivo che puo’ dar luogo ad una convivenza more uxorio. Nei due esempi sopra indicati, l’attenuante della provocazione e la causa di non punibilita’ ex articolo 649 c.p., hanno trovato applicazione con riguardo a soggetti legati da un vincolo non matrimoniale, ma comunque caratterizzato da una convivenza duratura, fondata sulla reciproca assistenza e su comuni ideali e stili di vita (cfr., Sez. 6, n. 12477 dl 18/10/1985, Cito, Rv. 171450 e Sez. 4, n. 32190 del 21/05/2009, Trasatti, Rv. 244692).
A sostegno di questa interpretazione estensiva la sentenza Agostino ha invocato anche la nozione di famiglia accolta dall’articolo 8 Cedu, come interpretato dalla Corte di Strasburgo, che vi fa rientrare anche i legami di fatto particolarmente stretti, fondati su una stabile convivenza (Corte EDU, 13/06/1979, Marchx c. Belgio; Corte EDU, 13/12/2007, Emonet c. Svizzera).
In conclusione, la sentenza in esame, in presenza della “mutevole rilevanza penale della famiglia di fatto emergente dalle applicazioni giurisprudenziali” conclude ritenendo che solo accogliendo una nozione di famiglia e di coniugio in linea con i mutamenti sociali avvenuti negli ultimi anni e’ possibile “ricondurre il sistema a coerenza, evitando soluzioni che contrastano – prima ancora che con una visione unitaria del tema – con il senso comune”.
Alle medesime conclusioni e’ pervenuta, piu’ recentemente, Sez. 6, n. 11476 del 19/09/2018, Cavassa, Rv. 275206, che per la prima volta ha esaminato la questione relativa alla estensibilita’ della causa di non punibilita’ alla luce della nuova normativa introdotta dalla L. 20 maggio 2016, n. 76, che, come e’ noto, ha istituito l’unione civile tra persone dello stesso sesso e ha, inoltre, offerto una regolamentazione anche per le convivenze di fatto. La sentenza, preso atto che a seguito della L. n. 76 del 2016, il coordinamento circa le ricadute sul piano penale della nuova disciplina ha riguardato solo le unioni civili, prevedendo, in particolare, l’inclusione, ad opera del Decreto Legislativo n. 6 del 2017, di tale nuova formazione sociale nella nozione di “prossimi congiunti” attraverso la modifica dell’articolo 307 c.p., comma 4, nonche’ l’introduzione, per mezzo dello stesso Decreto Legislativo cit., di una disposizione generale come il nuovo articolo 574 ter c.p. – che riferisce, agli effetti penali, il termine matrimonio anche alla costituzione di un’unione civile tra persone dello stesso sesso -, senza operare alcun coordinamento dei profili penali con lo statuto delle convivenze more uxorio, ha comunque escluso che i “silenzi” sulle convivenze di fatto attribuibili alla L. n. 76 del 2016, e ai provvedimenti successivi possano “costituire un insormontabile impedimento per estendere a ogni forma di convivenza la disciplina che si ricava, in tema di equivalenza della figura del convivente a quella del coniuge, dal complesso quadro storico-evolutivo della materia”.
In sostanza, il riferimento e’ soprattutto al quadro e ai principi cui e’ pervenuta quella giurisprudenza di legittimita’ che, seppure in limitati settori, ha riconosciuto la parificazione giuridica delle convivenze di fatto al coniugio. Secondo la sentenza in esame “una diversa impostazione, fondata sul dato formale, obiettivamente significativo, ma, tuttavia, non conformata con il sistema normativo di riferimento (…) porta con se’ il rischio di implicare quanto meno con riguardo agli effetti in “bonam partem” – profili di incerta compatibilita’ costituzionale in punto di diversificazione delle tutele offerte alla parte dell’unione civile rispetto al convivente di fatto”. In altri termini, si assume come la ricerca di una effettiva coerenza all’interno del sistema non puo’ che condurre ad una parita’ di trattamento, anche sul terreno penale, della famiglia legittima e di quella more uxorio ed e’ la stessa sentenza a sostenere che, attraverso quella che definisce “interpretazione valoriale”, puo’ essere superato il contrasto con la Costituzione e riconoscere applicabile l’istituto dell’articolo 384 c.p., comma 1, ai rapporti di convivenza, anche dopo la L. n. 76 del 2016.
Segue l’impostazione della sentenza Cavassa anche Sez. 1, n. 40122 del 16/05/2019, Balice (non mass.), che ai fini della verifica della sussistenza di un effettivo rapporto di convivenza richiama la L. n. 76 del 2016, articolo 1, comma 37, secondo cui per l’accertamento della stabile convivenza deve farsi riferimento alla dichiarazione anagrafica di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 23 maggio 1989, n. 223, articolo 4, e articolo 13, comma 1, lettera b).
Possono essere ricomprese in questo secondo orientamento anche Sez. 4, n. 23118 del 21/03/2017, De Paola (non mass.) e Sez. 3, n. 6218 del 12/01/2018, Giacono (non mass.) che si limitano a ribadire, senza ulteriori argomentazioni, le conclusioni della sentenza Agostino.
2.3. Nell’ordinanza di rimessione questo orientamento viene criticato, riportando le perplessita’ della dottrina secondo cui il tentativo di operare il superamento della giurisprudenza consolidata rischia di porsi in “tensione con le regole generali dell’interpretazione estendendo oltre il dato letterale una norma eccezionale e tassativa quanto ai soggetti che la possono invocare, tanto da far prospettare (…) un necessario interpello del Giudice delle leggi o un piu’ auspicabile intervento del legislatore”.
3. Prima di procedere all’esame della questione rimessa, appare necessario verificare se la fattispecie concreta possa essere comunque risolta attraverso l’applicazione dell’articolo 384 c.p., comma 2, cosi’ come ipotizzato dalla difesa nella memoria da ultimo depositata.
Tale norma, che prevede una speciale causa di non punibilita’ in favore, tra l’altro, di soggetti che per legge avrebbero dovuto essere avvertiti della facolta’ di astenersi dal rendere informazioni al pubblico ministero o dichiarazioni nel corso delle indagini difensive ovvero testimonianza al giudice, richiamando i corrispondenti reati di cui agli articoli 371 bis, 371 ter e 372 c.p., (oltre all’articolo 373 c.p., che riguarda la falsa perizia), e’ stata, come noto, dichiarata costituzionalmente illegittima, perche’ contraria al canone di razionalita’ delle scelte legislative (articolo 3 Cost.), nella parte in cui non prevede l’esclusione della punibilita’ per false o reticenti informazioni fornite alla polizia giudiziaria da chi avrebbe dovuto essere avvertito della facolta’ di astenersi a norma dell’articolo 199 c.p.p. (Corte Cost. n. 416 del 1996).
Con l’aggiunta di questo nuovo caso di non punibilita’, per effetto della sentenza costituzionale citata, sono oggi ricomprese nell’articolo 384 c.p., comma 2, anche le condotte di favoreggiamento poste in essere attraverso false informazioni rese alla polizia giudiziaria da parte dei soggetti indicati nell’articolo 199 c.p.p., tra cui e’ menzionato espressamente anche il convivente.
E’ evidente che, se si dovesse ritenere applicabile il citato articolo 384, comma 2, sarebbe superata la questione oggetto della rimessione.
Invero, un tale esito non puo’ trovare spazio nella fattispecie concreta, in quanto deve escludersi che l’imputata dovesse essere avvertita della facolta’ di astenersi. Infatti, nel corso delle indagini preliminari l’avvertimento della facolta’ di astenersi di cui all’articolo 199 c.p.p., che si riferisce alle c.d. dichiarazioni endo-processuali, non e’ dovuto ai prossimi congiunti – e ai conviventi – del soggetto che non abbia ancora assunto la qualita’ di indagato (cfr., Sez. 1, n. 41142 del 17/07/2017, Z., Rv. 273971; Sez. 1, n. 16215 del 30/01/2008, Taddeo, Rv. 239497). Nella specie, (OMISSIS) ha reso informazioni alla polizia giudiziaria nell’immediatezza dell’incidente stradale, in una fase di primissimo accertamento, in cui non vi era alcun elemento indiziario o di mero sospetto che potesse far ritenere sussistente un reato, tanto e’ vero che le sue dichiarazioni non risultano formalmente verbalizzate dalla polizia giudiziaria, bensi’ raccolte come “osservazioni delle parti interessate”, cioe’ come dichiarazioni rese ai fini della responsabilita’ civile da incidente stradale.
Peraltro, in quella fase non era emerso alcun elemento da cui la polizia giudiziaria avrebbe potuto desumere l’esistenza di un rapporto di convivenza tra (OMISSIS) e (OMISSIS), tale da giustificare l’avvertimento di cui all’articolo 199 c.p.p..
4. L’esame della questione posta dall’ordinanza di rimessione, che ha il suo fulcro nell’ampiezza applicativa dell’articolo 384 c.p., si intreccia, necessariamente, con il tema della mancata equiparazione, nel nostro ordinamento, della convivenza more uxorio alla famiglia legittima.
La famiglia di fatto condivide con la famiglia legittima la scelta di una condivisione di un percorso di vita comune, basato sull’affectio, sulla stabilita’, sulla convivenza e sulla responsabilita’ della cura ed educazione dei figli.
La differenza attiene alla formalizzazione del rapporto, un elemento che non assume una veste solo convenzionale, ma rappresenta l’esteriorizzazione del diverso atteggiamento che caratterizza le due convivenze, la prima, quella matrimoniale, basata su una dichiarata volonta’ di assumere reciproci obblighi di “fedelta’, di assistenza morale e materiale e di collaborazione”, la seconda connotata dalla spontaneita’ di una scelta liberamente revocabile dalle parti.
E’ questa distinzione che impedisce, nelle decisioni della giurisprudenza costituzionale a cui si e’ gia’ fatto cenno (Corte Cost. n. 45 del 1980; n. 237 del 1986; n. 423 e n. 404 del 1988; n. 140 del 2009; n. 138 del 2010), che le due situazioni possano trovare uguale fondamento nell’articolo 29 Cost., con la conseguenza che, pur riconoscendo “la rilevanza costituzionale del “consolidato rapporto” di convivenza”, occorre tenerlo distinto dal rapporto coniugale, riconducendo il primo nell’ambito della protezione, offerta dall’articolo 2 Cost., dei diritti inviolabili dell’uomo nelle formazioni sociali e il secondo nello schema del citato articolo 29.
Le due situazioni non differiscono soltanto in ragione del dato estrinseco della sanzione formale del vincolo, poiche’, fermi in ogni caso i diritti e i doveri che ne derivano verso i figli e i terzi, nella dimensione della convivenza di fatto si tende a riconoscere spazio alla soggettivita’ individuale, mentre in quella del rapporto di coniugio si attribuisce maggior rilievo alle esigenze obiettive della famiglia come tale, intesa cioe’ come stabile comunita’ di persone legate da vincoli di solidarieta’, di fedelta’ e di condivisione su base paritaria.
4.1. L’indirizzo che porta a negare l’estensione della causa di non punibilita’ alle semplici convivenze di fatto, indirizzo a cui sembra ispirata anche l’ordinanza che ha rimesso la questione alle Sezioni Unite, trova forza nella giurisprudenza della Corte costituzionale, che ha sempre escluso la irragionevolezza della mancata inclusione nell’articolo 384 c.p., comma 1, dei conviventi more uxorio, sostenendo, reiteratamente, che una tale questione fuoriuscisse dai limiti delle sue attribuzioni, spettando al legislatore la scelta di operare una simile modifica rientrante nella materia penale (Corte Cost., n. 237 del 1986; n. 352 del 1989; n. 8 del 1996; n. 121 del 2004, n. 140 del 2009).
In sostanza, la giustificazione circa la diversa regolamentazione viene rintracciata nella maggiore “stabilita’” della famiglia legittima – anche dopo che e’ venuta meno l’indissolubilita’ del vincolo coniugale -, considerando che il differente regime della famiglia more uxorio si fonda sulla volonta’ delle parti, che liberamente decidono di non contrarre matrimonio, optando per una tipologia di unione con minori vincoli giuridici, ma in una comunione materiale e spirituale di vita che puo’ coincidere in cio’ che caratterizza il matrimonio stesso.
Si e’ precisato che “quando il legislatore ha inteso attribuire rilevanza giuridica al rapporto di convivenza, anziche’ intervenire sulla definizione generale della nozione di “prossimi congiunti” contenuta nell’articolo 307 c.p., comma 4, includendovi anche il convivente, ha ritenuto operare scelte selettive e mirate a casi determinati” (cosi’, Corte Cost. n. 140 del 2009). Peraltro, sempre secondo la Corte costituzionale “un’eventuale dichiarazione di incostituzionalita’, la quale assumesse a base la pretesa identita’ di posizione tra convivente e coniuge, rispetto all’altro convivente o coniuge, avrebbe effetti di sistema eccedenti l’ambito del singolo giudizio di costituzionalita’”, in quanto l’estensione al convivente del complesso delle norme penali che si riferiscono al rapporto di coniugio avrebbe forti ricadute sull’intero sistema – anche relativamente a disposizioni extrapenali – compresi possibili effetti in malam partem, con conseguenze che solo il legislatore potrebbe regolare attraverso una riforma organica (Corte Cost., n. 352 del 2000).
4.2. Le decisioni della Corte di cassazione favorevoli ad un allargamento della portata applicativa dell’articolo 384 c.p., alle coppie di fatto richiamano spesso la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, che invece dalle sentenze ascrivibili nell’orientamento contrario, tra cui la stessa ordinanza di rimessione, viene svalutata o, meglio, ritenuta scarsamente significativa.
Invero, anche la Corte EDU, cosi’ come la Corte costituzionale, riconosce la discrezionalita’ del legislatore nel prevedere diverse soglie di tutela dei vincoli discendenti dal matrimonio e dalla convivenza di fatto in relazione alla necessita’ di proteggere i contro-interessi in gioco. La Corte EDU, infatti, da un lato riconduce nella sfera applicativa dell’articolo 8 CEDU, nella parte in cui protegge la “vita familiare”, la tutela dei vincoli affettivi discendenti dalla convivenza di fatto; dall’altro lato, tuttavia, considera legittima la limitazione di tale diritto in ragione dell’esigenza di tutelare gli interessi connessi all’amministrazione della giustizia penale, riconoscendo altresi’ la possibilita’ di bilanciamenti differenziati per le coppie sposate e le convivenze di mero fatto, secondo la discrezionale valutazione del legislatore (cfr., Corte EDU, 03/04/ 2012, Van der Heijdel c. Netherlands).
Risulta interessante rilevare come la vita dei conviventi di fatto rientri nella concezione di vita “familiare” ormai da tempo elaborata dalla Corte EDU in sede di interpretazione dell’articolo 8, par. 1, CEDU (cfr., Corte EDU, 13/06/1979, Marckx c. Belgio; Corte EDU, 26/05/1994, Keegan c. Irlanda; Corte EDU, 05/01/2010, Jaremowicz c. Polonia; Corte EDU, 27/04/2010, Moretti e Benedetti c. Italia; Corte EDU, 24/06/2010, Schalk and Kopf c. Austria; da ultimo, Corte EDU, 21/07/2015, Oliari ed altri c. Italia).
L’ambito soggettivo della nozione di “vita familiare” ai sensi dell’articolo 8 CEDU include, secondo la giurisprudenza Europea, sia le relazioni giuridicamente istituzionalizzate (famiglia legittima), sia le relazioni fondate sul dato biologico (famiglia naturale), sia, infine, quelle che costituiscono “famiglia” in senso sociale, alla condizione che sussista l’effettivita’ di stretti e comprovati legami affettivi.
Una nozione, dunque, dalla portata applicativa assai ampia, senza dubbio piu’ estesa rispetto a quella cui fa riferimento la diversa disposizione normativa dell’articolo 12 CEDU (riferibile alla sola famiglia fondata sul matrimonio), che permette alla Corte Europea di ricomprendervi sia quest’ultima, sia quella basata sulla relazione di fatto tra conviventi (Corte EDU, 26/05/1994, Keegan c. Ireland; Corte EDU, 18/12/1986, Johnston c. Irlanda, § 55; Corte EDU, 13/06/1979, Marckx c. Belgio; v., inoltre, Corte EDU, 13/12/2007, Emonet ed altri c. Svizzera).
Tuttavia, la prospettiva seguita dalla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo – con le su citate disposizioni di cui agli articoli 8 e 12, cosi’ come interpretate dalla Corte di Strasburgo – non presenta, in relazione alla materia qui esaminata, sostanziali punti di divergenza rispetto alle linee direttrici del modello normativo disegnato nella Costituzione italiana (ex articoli 2 e 29 Cost.), poiche’ sia nel sistema convenzionale che in quello interno sono riconosciuti, e costituiscono oggetto di tutela, i diritti dei singoli che nascono, si esprimono e si sviluppano all’interno di un nucleo familiare, fatta salva la possibilita’ di un trattamento non omogeneo correlato alla diversita’ dei modelli di relazioni familiari, alla luce di un giusto bilanciamento operato, a livello nazionale, fra le legittime istanze di tutela di interessi generali (ad es., sicurezza nazionale, protezione della salute o della morale, difesa dell’ordine e prevenzione dei reati, ecc.) e le esigenze di protezione dei diritti fondamentali della persona (Corte EDU, 07/07/ 1989, Soering c. Regno Unito).
Non e’ riconoscibile, allora, alcun contrasto nel panorama delle ragioni argomentative che sorreggono i moduli interpretativi utilizzati dalla Corte costituzionale e dalla Corte EDU, poiche’ sia nel sistema interno che in quello convenzionale le diverse tipologie di unioni familiari rappresentano fenomeni distinti l’uno dall’altro, il cui pacifico riconoscimento, fondato sulla non esclusivita’ della specifica tutela garantita alla famiglia fondata sul matrimonio e, al contempo, sulla consapevolezza della pari dignita’ delle scelte legate all’avvio di una convivenza senza matrimonio, non determina l’effetto di una generale equiparazione fra modelli che restano comunque diversi e, come tali, non possono essere appiattiti l’uno sull’altro, ne’ fra loro integralmente assimilati.
5. Invece, un significativo avanzamento nelle possibilita’ di tutela della molteplicita’ e varieta’ delle relazioni di tipo familiare si registra nella piu’ recente previsione normativa dell’articolo 9 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, approvata dal Parlamento Europeo il 14 novembre 2000, formalmente proclamata a Nizza il 7-8 dicembre 2000 e divenuta giuridicamente vincolante (ex articolo 6, par. 1, TUE) a seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona.
La su citata disposizione normativa – peraltro rafforzata dall’ulteriore previsione di garanzia dettata nell’articolo 33, par. 1, della Carta (secondo cui “e’ garantita la protezione della famiglia sul piano giuridico, economico e sociale”) – pur ispirandosi al contenuto di altre norme internazionali (ad es., l’articolo 12 CEDU, l’articolo 23, comma 2, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici adottato dall’Assemblea generale dell’ONU il 16 dicembre 1966, ratificato con L. n. 881 del 1977, nonche’ l’articolo 16 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo), che regolano la materia enunciando in forma unitaria il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia, presenta una formulazione letterale piu’ ampia, poiche’, nel rinviare alle diverse legislazioni nazionali che ne disciplinano l’esercizio, riconosce e garantisce separatamente i due diritti, isolando il diritto di fondare una famiglia dal vincolo matrimoniale stricto sensu inteso e in tal modo creando le condizioni per estenderne la tutela anche in favore di altre forme di relazione familiare.
Il “diritto di sposarsi”, infatti, viene riconosciuto, tra le liberta’ fondamentali tutelate dal capo secondo, in modo disgiunto rispetto al “diritto di fondare una famiglia”, cosi’ realizzando una significativa apertura nei confronti delle famiglie di fatto, in quanto la meritevolezza degli interessi perseguiti attraverso la scelta, del tutto legittima, di convivere senza matrimonio viene riconosciuta e tutelata anche al di fuori della presenza di vincoli formali nei rapporti familiari.
Al tradizionale favor per il matrimonio, come si e’ osservato in dottrina, si sostituisce in tal modo la pari dignita’ di ogni forma di convivenza alla quale una legislazione nazionale decida di dare la sua regolamentazione.
6. Si e’ visto come sia nell’ordinanza di rimessione, sia nella memoria dell’Avvocato generale, una delle critiche piu’ “forti” alla possibile estensione dell’articolo 384 cit., alle coppie di fatto riguardi la circostanza che il legislatore, con la L. 20 maggio 2016, n. 76 (c.d. legge Cirinna’), ha introdotto una disciplina per le unioni civili tra persone dello stesso sesso, dettando anche una minima regolamentazione relativa alle convivenze di fatto, senza tuttavia inserire nessuna disposizione riguardante una piena equiparazione tra le due diverse situazioni, riscrivendo l’articolo 307 c.p., con l’inserimento tra i “prossimi congiunti” anche della “parte di un’unione civile tra persone dello stesso sesso”, ma omettendo ogni riferimento alle coppie di fatto e senza “toccare” l’articolo 384 c.p.. In questo modo, si assume, il legislatore avrebbe manifestato la sua volonta’ di non operare alcuna equiparazione delle convivenze di fatto, escludendo definitivamente ogni possibile interpretazione estensiva della nozione di “coniuge” che ricomprenda anche il “convivente”. Come dire che non si e’ in presenza di una “lacuna” dell’ordinamento, dal momento che il legislatore non vuole alcuna equiparazione, tanto meno ai fini dell’applicazione della scusante ex articolo 384 c.p..
Invero, deve ritenersi che con la legge c.d. Cirinna’ il legislatore ha inteso offrire una tutela legale a situazioni affettive mai regolamentate prima, offrendo una disciplina, di fatto, analoga a quella prevista per le famiglie legittime, prevedendo anche le necessarie ricadute penalistiche, con il successivo Decreto Legislativo 19 gennaio 2017, n. 6. Si e’ trattato, quindi, di un intervento volto ad occuparsi di situazioni del tutto diverse dalle convivenze di fatto, che, come si e’ visto, basano la loro unione sulla spontaneita’ di una scelta liberamente revocabile dalle parti; la disciplina delle “unioni civili” si e’ basata, invece, proprio sulla richiesta di stabilita’ del rapporto, sul modello della famiglia legittima.
Il fatto che con la legge del 2016 il legislatore nulla abbia previsto per le convivenze, ad eccezione di un tentativo di definizione e della equiparazione alle coppie coniugate per una serie di profili analiticamente elencati, tra cui l’unico riguardante la materia penale e’ quello sulla parificazione dei diritti del convivente a quelli del coniuge nei casi previsti dall’ordinamento penitenziario (L. n. 76 del 2016, articolo 1, comma 38), non puo’ certo significare una implicita contrarieta’ alla possibilita’ di riconoscere una serie di diritti in favore delle convivenze more uxorio, ne’ tanto meno alla estensibilita’ della scusante di cui all’articolo 384 c.p., al convivente. Il legislatore, semplicemente, si e’ occupato di disciplinare le situazioni riguardanti le unioni tra persone dello stesso sesso, avendo ben presente il percorso legislativo e giurisprudenziale che ha condotto verso una tendenziale equiparazione tra la convivenza coniugale e quella more uxorio, ferme restando le differenze di base delle due situazioni.
7. L’assenza di una legge che disciplini organicamente il fenomeno della convivenza more uxorio non significa che tale modello di relazione ed i suoi effetti giuridici siano sforniti di tutela nel diritto positivo. I numerosi interventi normativi e la stessa evoluzione degli orientamenti giurisprudenziali hanno consentito, sia pure frammentariamente, di riconoscere ai componenti la famiglia di fatto singole posizioni soggettive meritevoli di tutela analogamente a quelle proprie dei membri della famiglia legittima.
7.1. Si pensi, sul piano normativo, al tema della filiazione. In questo delicatissimo settore si e’ stabilito nell’ordinamento una completa identita’ tra la famiglia matrimoniale e quella non matrimoniale con riguardo al rapporto genitori-figli, che oggi risulta unitariamente disciplinato dall’articolo 315 bis c.c. e ss., uniche essendo le regola in materia di diritti e doveri del figlio e di responsabilita’ genitoriale.
Fra le disposizioni normative espressamente riferite ai conviventi devono poi menzionarsi, per la loro oggettiva rilevanza, quelle che consentono: a) di richiedere l’interdizione o la nomina di un amministratore di sostegno per il partner (articolo 417 c.c.); b) di ammettere la coppia non coniugata ad avvalersi della procreazione assistita (L. 15 febbraio 2004, n. 40, articolo 5); c) di astenersi dal rendere dichiarazioni nel processo penale (articolo 199 c.p.p., comma 3, per il convivente dell’imputato); d) di presentare domanda di grazia al Presidente della Repubblica in favore del condannato (articolo 681 c.p.p.).
Nella medesima linea vanno altresi’ richiamate, a mero titolo esemplificativo, le disposizioni normative che riguardano la possibilita’ di adottare ordini di protezione contro gli abusi familiari, pur se commessi da conviventi o in danno di conviventi (L. 4 aprile 2001, n. 154); quella che prevede la rilevanza del periodo di mera convivenza ai fini della verificazione della stabilita’ della coppia in vista dell’adozione (L. n. 149 del 2001, articolo 6); quelle, infine, dettate dal legislatore in tema di disciplina dei congedi parentali (L. n. 53 del 2000; Decreto Legislativo n. 151 del 2001) e di assicurazione sulla responsabilita’ civile (L. n. 209 del 2005, ex articolo 129, comma 2, lettera b)).
7.2. E’ soprattutto nella giurisprudenza, sia civile che penale, che si assiste ad una progressiva e continua tendenza a garantire analoghi diritti alle convivenze di fatto.
A titolo esemplificativo, si pensi che la giurisprudenza civile riconosce al convivente separato l’assegnazione della casa familiare, analogamente a quanto si prevede per il coniuge separato o divorziato, in presenza di prole (Sez. civ. 1, n. 10102 del 26/05/2004, Rv. 573134). L’assegnazione della casa familiare in favore del convivente separato e’ stata poi normativamente regolata ex articolo 337 sexies c.c..
Va evidenziato anche l’orientamento giurisprudenziale secondo cui il risarcimento del danno da uccisione di un prossimo congiunto spetta non soltanto ai membri della famiglia legittima della vittima, ma anche a quelli della famiglia naturale, come il convivente “more uxorio” ed il figlio naturale non riconosciuto, a condizione che gli interessati dimostrino la sussistenza di un saldo e duraturo legame affettivo tra essi e la vittima assimilabile al rapporto coniugale (Sez. civ. 3, n. 12278 del 07/06/2011, Rv. 618134); Sez. civ. 3, n. 23725 del 16/09/2008, Rv. 604690; v., inoltre, Sez. civ. 3, n. 7128 del 21/03/2013, Rv. 625496).
Nella giurisprudenza penale, che piu’ interessa in questa sede, si afferma un’esplicita equiparazione tra la convivenza coniugale e quella more uxorio a proposito della valutazione della sussistenza dei requisiti per l’ammissione al gratuito patrocinio per i non abbienti. (tra le tante, Sez. 4, n. 15715 del 20/03/2015, Rv. 263153; v., inoltre, Sez. 4, n. 44121 del 20/09/2012, Rv. 253643).
Analoga estensione, ancora, e’ avvenuta in tema di costituzione di parte civile, ove si e’ precisato che la lesione di qualsiasi forma di convivenza, purche’ dotata di un minimo di stabilita’ tale da fondare una ragionevole aspettativa di un futuro apporto economico, rappresenta legittima causa petendi di un’azione risarcitoria proposta dinanzi al giudice penale competente per l’illecito che ha causato detta lesione (Sez. 4, n. 33305 del 08/07/2002, dep. 04/10/2002, Rv. 222366; Sez. 4, n. 19487 del 05/11/2013, dep. 2014, Rv. 262350).
Ulteriori ampliamenti della tutela penale riconosciuta alla convivenza di fatto sono riscontrabili con riferimento al diritto all’inviolabilita’ del domicilio, con il riconoscimento anche al convivente dell’esercizio del diritto di esclusione (Sez. 5, n. 6419 del 05/04/1974, Rv. 128059).
Particolarmente rilevante deve poi ritenersi l’evoluzione della giurisprudenza di legittimita’ formatasi in merito ai presupposti di configurabilita’ del reato di cui all’articolo 572 c.p., che nel perseguire la condotta di colui che “maltratta una persona della famiglia” considera famiglia – sulla base di una pacifica linea interpretativa – non soltanto quella legittima fondata sul matrimonio, ma anche quella di fatto, connotata da un rapporto tendenzialmente stabile, fondato su legami di reciproca assistenza e protezione.
Si e’ cosi’ affermato che sono da considerare persone della famiglia anche i componenti della famiglia di fatto, fondata sulla reciproca volonta’ di vivere insieme, di generare figli, di avere beni in comune e di dare vita ad un nucleo stabile e duraturo (v., ex plurimis, Sez. 6, n. 21239 del 24/01/2007, Gatto Rv. 236757; Sez. 6, n. 20647 del 29/01/2008, B., Rv 239726; Sez. 5, n. 24688 del 17/03/2010, B., Rv. 248312; Sez. 6, n. 31121 del 18/03/2014, C., Rv. 261472).
Si tratta di una giurisprudenza risalente gia’ agli anni settanta, che questa volta, nell’equiparare la convivenza al rapporto coniugale vero e proprio, di fatto ha operato una estensione in malam partem, seppur finalizzata alla tutela della vittima del reato, fino a quando il legislatore con la novella del 1 ottobre 2012, n. 172, ha parzialmente riformato la previsione della norma incriminatrice in esame, cambiando la rubrica da “maltrattamenti in famiglia” in “maltrattamenti contro familiari e conviventi”, cosi’ precisando che soggetto passivo del reato non e’ soltanto “una persona della famiglia”, ma “una persona della famiglia o comunque convivente”.
8. Il legislatore del 2016, con la legge c.d. Cirinna’ e’, quindi, intervenuto in presenza di un quadro complessivo, normativo e giurisprudenziale, in cui risulta evidente l’interesse di salvaguardare la famiglia, sia legittima che di fatto, come pure, sotto altro e piu’ specifico versante, tutelare l’interesse del soggetto passivo al rispetto della sua personalita’ nello svolgimento dei rapporti che lo legano, affettivamente, ma non solo, con altra persona con la quale ha istaurato uno stabile rapporto di convivenza e dalla quale puo’ e deve pretendere assoluto rispetto verso condotte che risultino abitualmente lesive della propria integrita’ fisica o morale. Un quadro complesso, sicuramente disorganico, che non poteva essere ignorato, sicche’ il relativo “silenzio” sulle coppie di fatto acquista un significato neutro, spiegabile con l’obiettivo principale della legge di occuparsi delle c.d. unioni civili e con la consapevolezza che le convivenze di fatto non sono certo prive di tutela, anzi sono oggetto di una regolamentazione dovuta, soprattutto, ma non solo, agli interventi della giurisprudenza.
L’ordinamento, dunque, sia pure all’infuori di una visione organica del fenomeno, e procedendo sempre attraverso interventi eterogenei e settoriali posti in essere nelle piu’ varie direzioni, avverte il rilievo delle implicazioni legate alla esigenza di preservare la sostanza delle strutture fondamentali della societa’, non mancando di valorizzare, entro tale prospettiva, anche le numerose potenzialita’ applicative sottese alla progressiva introduzione di specifiche forme di garanzia della tendenziale continuita’ dei rapporti a vario titolo riconducibili al diverso modello della relazione familiare de facto.
Le forme di tutela sinora illustrate, assai spesso ricorrenti nella prassi, confermano la rilevanza assunta dal riconoscimento del carattere “familiare” delle relazioni che si sviluppano all’interno della convivenza di fatto e delle connesse esigenze di protezione che, in quanto “relazioni di famiglia”, ad essa competono.
Tuttavia, l’assenza di una disciplina organica della materia lascia trasparire evidenti incoerenze del sistema, se non veri e propri “effetti paradossali”, alcuni dei quali, nei limiti dell’attivita’ interpretativa, possono essere quantomeno ridotti.
9. Escluso che la disciplina introdotta dalla legge c.d. Cirinna’ sulle unioni civili, con le successive, conseguenti integrazioni inserite nel codice penale, possano avere l’effetto di “impedire” un’interpretazione estensiva dell’articolo 384 c.p., alle coppie di fatto e ricostruito il quadro normativo complessivo, cosi’ come interpretato dalla giurisprudenza costituzionale e anche da quella Europea, nonche’ dalla giurisprudenza di legittimita’, questo Collegio rileva come entrambi gli orientamenti contrapposti, cui si e’ fatto riferimento nei paragrafi precedenti, sebbene con approcci diversi, diano per scontato il carattere eccezionale della norma contenuta nell’articolo 384 c.p., comma 1.
Cosi’, la stessa ordinanza che ha rimesso la questione, coerentemente, indica come uno dei principali ostacoli all’estensione applicativa dell’articolo 384, comma 1, la natura eccezionale della disposizione, che ne preclude l’applicazione analogica in favore delle coppie di fatto, rifacendosi peraltro alla stessa giurisprudenza costituzionale, secondo cui “l’estensione di cause di non punibilita’, le quali costituiscono altrettante deroghe a norme penali generali, comporta strutturalmente un giudizio di ponderazione a soluzione aperta tra ragioni diverse confliggenti, in primo luogo quelle che sorreggono la norma derogatoria: un giudizio che e’ da riconoscersi ed e’ stato riconosciuto da questa Corte appartenere primariamente al legislatore” (Corte Cost., n. 140 del 2009).
Peraltro, anche le sentenze che propongono di estendere l’ambito applicativo dell’articolo 384 facendo leva sull’evoluzione normativa, attraverso una lettura aperta dell’istituto della “famiglia” nella Costituzione e nella Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, finiscono per riconoscere il carattere eccezionale della norma in questione (cosi’, Sez. 2, n. 34147 del 30/04/2015, Agostino, cit.).
Ebbene, se si dovesse convenire che siamo in presenza di una disposizione avente natura di norma eccezionale occorrerebbe riconoscere l’estrema difficolta’ di operare un’estensione dell'”esimente” al di la’ del suo tenore letterale, perche’ si violerebbe il disposto dell’articolo 14 preleggi.
La questione, invece, deve essere affrontata verificando la natura dell’articolo 384 c.p., comma 1, attraverso una lettura costituzionalmente orientata che valorizzi l’elemento della colpevolezza e, soprattutto, inserita nell’ambito delle disposizioni penali che regolamentano istituti analoghi.
10. Sembra definitivamente superato l’orientamento secondo cui l’articolo 384 c.p., comma 1, contiene una causa di non punibilita’ in senso stretto, in cui la rinuncia alla pena ubbidisce a ragioni di opportunita’ politica, che sono del tutto estranee al tema del disvalore oggettivo del fatto o della “situazione esistenziale psicologica dell’agente”, come pure l’altro, meno recente, che qualifica la disposizione come una causa di giustificazione, in cui vengono bilanciati contrapposti interessi, istituto somigliante allo stato di necessita’, in cui pure viene esclusa la responsabilita’ di colui che pone in essere una condotta costretto dalla necessita’ di evitare un grave nocumento.
Vanno, invece, condivise le riflessioni della dottrina piu’ avvertita che ravvisa nella previsione in esame una causa di esclusione della colpevolezza, meglio una “scusante” soggettiva, che investe la colpevolezza.
Come e’ noto, vengono ricomprese in questa definizione le ipotesi in cui l’agente pone in essere un fatto antigiuridico, agendo anche con dolo, nella consapevolezza di violare la legge, e in cui l’ordinamento si astiene dal muovergli un rimprovero, prendendo atto che la sua condotta e’ stata determinata dalla presenza di circostanze peculiari, che hanno influito sulla sua volonta’, sicche’ non si puo’ esigere un comportamento alternativo. Con riferimento all’articolo 384 c.p., comma 1, i legami di natura affettiva che legano l’agente con il prossimo congiunto (sia esso il genitore o il figlio o il fratelli o il coniuge o lo zio o il nipote…) fanno si’ che l’ordinamento sceglie di non punire i reati considerati nella disposizione citata quando siano stati realizzati per salvare la liberta’ o l’onore di un prossimo congiunto.
A queste conclusioni e’ pervenuta anche la giurisprudenza di legittimita’ piu’ recente, che in alcune decisioni ha stabilito che l’articolo 384 c.p., comma 1, esclude la colpevolezza, non l’antigiuridicita’ della condotta, trattandosi di una esimente “connessa alla particolare situazione soggettiva in cui viene a trovarsi l’agente, che rende inesigibile un comportamento conforme alle norme indicate dallo stesso articolo 384, comma 1” (Sez. 5, n. 18110 del 12/03/2018, Esposito, Rv.273181, in un caso in cui si e’ negato che l’esimente in questione potesse essere applicata anche al concorrente nel reato commesso dal soggetto non punibile; nello stesso senso, Sez. 6, n. 34543 del 23/05/2019, Germino, non mass.; Sez. 6, n. 15327 del 14/02/2019, Quaranta, Rv. 275320; Sez. 6, n. 51910 del 29/11/2019, Buonaiuto, Rv. 278062; Sez. 6, n. 34777 del 23/09/2020, Nitti, Rv. 280148 che, proprio in tema di favoreggiamento personale, ha precisato che l’articolo 384 c.p., quale causa di esclusione della colpevolezza e non di esclusione della antigiuridicita’ della condotta, opera solo nel caso in cui, tenuto conto delle circostanze del caso concreto, valutate secondo il parametro della massima diligenza esigibile, si presenti all’agente come l’unica in grado di evitare un grave pregiudizio per la liberta’ o per l’onore proprio o altrui; inoltre, v., Sez. 6, n. 11476 del 19/09/2018, Cavassa, cit., in motivazione). Si tratta di sentenze che, seppure con motivazioni non sempre dedicate specificamente alla questione, prendono una posizione decisa sulla natura dell’esimente, dando luogo ad un vero indirizzo giurisprudenziale.
Peraltro, analogo orientamento lo si rintraccia anche in decisioni meno recenti che, nel considerare l’articolo 384, comma 1, oltre a negarne la natura di causa oggettiva di esclusione dell’antigiuridicita’, lo qualificano come un’esimente “basata sul principio dell’inesigibilita’ di un comportamento diverso, come tale da escludere la colpevolezza” (cosi’, Sez. 1, n. 11855 del 03/07/1980, Mastini, Rv. 146627; nonche’ Sez. 6, 25/10/1989, Milioto; Sez. 6, 10/02/1997, Puzone).
Infine, su questa stessa linea interpretativa si sono poste le Sezioni Unite (Sez. U, n. 7208 del 29/11/2007, dep. 2008, Genovese, non massimata sul punto), le quali hanno asserito che “coglie certamente nel segno” quell’orientamento della giurisprudenza di legittimita’ (ad es., Sez. 6, n. 44761 del 04/10/2001, Mariotti, Rv. 220326) che afferma, concordemente con la dottrina, che l’articolo 384 c.p., trova la sua giustificazione nell’istinto alla conservazione della propria liberta’ e del proprio onore (nemo tenetur se detegere) e nell’esigenza di tener conto, agli stessi fini, dei vincoli di solidarieta’ “familiare” in senso lato, essendo l’intenzione del legislatore quella di riconoscere prevalenti e quindi tutelare i motivi di ordine affettivo.
In questa decisione, le Sezioni Unite hanno affermato che “deve darsi atto della sussistenza di una strettissima connessione tra l’istituto, di natura sostanziale, dell’articolo 384 c.p., e la prescrizione processuale contenuta nell’articolo 199 c.p.p.”, dal momento che a fondamento di tali disposizioni vi e’ la medesima giustificazione e perche’ la ratio dell’astensione dal rendere testimonianza in capo ai prossimi congiunti dell’imputato, riconosciuta dalla citata norma del codice di rito, va “unanimemente ravvisata proprio nella tutela del sentimento familiare (latamente inteso) e nel riconoscimento del conflitto che puo’ determinare, in colui che e’ chiamato a rendere testimonianza, tra il dovere di deporre e dire la verita’, e il desiderio o la volonta’ di non danneggiare il prossimo congiunto”.
Il riconoscimento alla disposizione di cui all’articolo 384, comma 1, della valenza di causa di esclusione della colpevolezza, comporta che la ragione della non punibilita’ va ricercata nella “particolare situazione emotiva vissuta dal soggetto”, tale da rendere “inesigibile” l’osservanza del comando penale.
A differenza delle cause di giustificazione, in cui la rinuncia alla pena avviene perche’, in presenza di quelle situazioni considerate dal legislatore, l’ordinamento non riconosce piu’ l’antigiuridicita’ della condotta, invece nelle cause di esclusione della colpevolezza (c.d. scusanti soggettive) il disvalore oggettivo della condotta non viene meno, ma l’ordinamento prende in considerazione “i riflessi psicologici della situazione esistenziale che il soggetto si trova a vivere” ed e’ proprio in considerazione di questa particolare situazione che, come e’ stato efficacemente detto da autorevole dottrina, “l’ordinamento penale non se la sente di incrudelire con la sua sanzione”.
L’articolo 384 c.p., non si basa su considerazioni di mera opportunita’ che giustificano la non punibilita’, ne’ appare fondato su un bilanciamento di interessi contrapposti, che lo farebbero qualificare come una causa di giustificazione, ma tipizza una situazione oggettiva in cui il procedimento motivazionale del soggetto risulta “alterato”, tanto da poter escludere la colpevolezza attraverso la valorizzazione del coinvolgimento psichico: infatti, l’esimente prevede che il soggetto deve aver commesso il fatto perche’ costretto dalla necessita’ di salvare se’ medesimo o un prossimo congiunto da un nocumento grave che attenti alla liberta’ o all’onore, presupposti e condizioni che danno rilievo a situazioni che, come gia’ si e’ detto, determinano una alterazione della “motivabilita’” della condotta realizzata dall’agente. Alla condotta dell’agente, che risulti “motivata” secondo quanto prevede la norma, corrisponde un abbassamento della pretesa statuale, in base alla ratio dell’inesigibilita’.
11. Il superamento di quelle posizioni che attribuiscono alla disposizione in questione natura di causa di non punibilita’ in senso stretto e il riconoscimento all’esimente in parola della natura di scusante a struttura soggettiva, quindi che investe direttamente la colpevolezza, ha delle importanti ricadute sul piano ermeneutico quando si va a verificarne l’applicabilita’ ai casi non espressamente considerati
Il tema e’ quello della possibilita’ di applicazione analogica in bonam partem dell’articolo 384 c.p., comma 1, una volta che sia stata esclusa la sua natura di causa di non punibilita’ in senso stretto.
A seguito di un lungo dibattito oggi puo’ dirsi superata l’opinione che attribuisce al divieto di analogia un carattere assoluto, nel senso che sia rivolto tanto alle norme penali incriminatrici, quanto alle norme di “favore”, funzionale ad assicurare la certezza del comando penale; infatti, il divieto di analogia e’ finalizzato ad assicurare, piu’ che la certezza, l’esigenza di garantire le liberta’ del cittadino, liberta’ che vengono messe in pericolo se si riconosce al giudice il potere di applicare analogicamente – in senso sfavorevole – norme incriminatrici, mentre un tale pericolo non ricorre in presenza di una applicazione di norme di favore. Il divieto di analogia in materia penale, ricondotto all’articolo 25 Cost., del quale si sottolinea, appunto, la dimensione garantistica, non si riferisce all’intera materia penale, ma si rivolge alle sole disposizioni punitive: in sostanza, si esclude che vi siano impedimenti di carattere costituzionale che consentano operazioni di interpretazione analogica che operino nel senso di un restringimento dei confini di cio’ che e’ penalmente rilevante, ammettendo l’esperibilita’ di un intervento analogico in bonam partem. In sostanza, l’articolo 25 Cost., comma 2, proibisce solo l’analogia in malam partem.
Si tratta di posizioni condivise dalla giurisprudenza di legittimita’ che considera l’interpretazione analogica in bonam partem pacificamente ammessa nel campo penale (tra le tante, Sez. 5, n. 10054 del 22/05/1980, Taormina, Rv. 146121).
11.1. Riconosciuto il carattere “relativo” del divieto di analogia, riferito alla sola interpretazione delle norme penali sfavorevoli, occorre verificare i limiti di un’interpretazione analogica in bonam partem, in presenza di una disposizione generale, come l’articolo 14 preleggi, che esclude comunque l’applicazione analogica delle leggi eccezionali. In altri termini, si tratta di vedere se anche l’interpretazione analogica in bonam partem sia ostacolata in presenza di leggi eccezionali.
Si e’ visto che proprio il riconoscimento all’articolo 384 c.p., comma 1, della natura di norma di carattere eccezionale ha costituito una delle ragioni prevalenti per far negare alla Corte costituzionale (sent. n. 140 del 2009) la possibilita’ di applicazione dell’esimente alle coppie di fatto, impostazione seguita, in parte, dalla giurisprudenza di legittimita’ e ripresa in questo processo anche nell’ordinanza di rimessione nonche’ nella memoria dell’Avvocato generale.
Tradizionalmente sono ritenute eccezionali quelle norme che introducono discipline derogatorie rispetto alla portata di leggi generali, sebbene in questo caso il rapporto che viene a stabilirsi e’ tra legge speciale e legge generale; piu’ corretta appare l’impostazione, suggerita da un’attenta e autorevole dottrina, che individua la disposizione eccezionale la’ dove deroga ad un principio generale dell’ordinamento.
Dall’eccezionalita’ della norma deriva l’impossibilita’ di attivare il procedimento di interpretazione analogica.
Le cause di non punibilita’ in senso stretto, in quanto norme eccezionali, sono considerate escluse dall’applicazione analogica. In questo caso, l’esclusione del ricorso all’analogia e’ affermato in quanto esse derivano il carattere eccezionale dal fatto che sono “riconducibili a valutazioni di opportunita’ estrinseche rispetto al fatto di reato”.
Al contrario, si ritiene che non abbiano carattere eccezionale le cause di giustificazione e quelle di esclusione della colpevolezza, per le quali puo’ riconoscersi uno spazio per l’applicazione analogica.
In particolare, per le scusanti si ritiene che possa negarsi la natura di norme eccezionali ogni qualvolta siano espressione di un principio generale dell’ordinamento, sebbene non manchino opinioni contrarie, secondo cui le “eventuali lacune in materia di scusanti possono essere colmate solo dal legislatore e non dal giudice in via analogica”, opinioni che, d’altra parte, non sono condivise da chi sottolinea come la stessa “inesigibilita’” sia una causa generale di esclusione della colpevolezza.
Si e’ visto che la disposizione dell’articolo 384 c.p., comma 1, non puo’ essere considerata come una causa di non punibilita’ in senso stretto, ma piuttosto una scusante soggettiva, che investe la colpevolezza, impedendo la punizione in presenza di una condotta che viene percepita come inesigibile. Queste caratteristiche portano ad escludere la valenza eccezionale della norma – cosi’ come intesa dall’articolo 14 preleggi – che non introduce una deroga alle norme generali e che puo’ essere oggetto di un procedimento di applicazione analogica proprio perche’ espressione dei principi generali nemo tenetur se detegere e ad impossibilia nemo tenetur, riconducibili al principio di colpevolezza di cui all’articolo 27 Cost., comma 1, sotto il profilo della necessaria valutazione della possibilita’ per il soggetto di poter agire diversamente.
L’esimente in questione costituisce manifestazione di un principio immanente al sistema penale, quello cioe’ della “inesigibilita’” di una condotta conforme a diritto in presenza di circostanze particolari, tali da esercitare una forte pressione sulla motivazione dell’agente, condizionando la sua liberta’ di autodeterminazione.
Nel nostro ordinamento e’ ben presente il principio generale volto ad escludere che possa esservi una condotta colpevole in presenza di un precetto penale che non risulti esigibile. La causa di esclusione della colpevolezza di cui al citato articolo 384, e’ espressione del principio generale contenuto nell’articolo 27 Cost. (Corte Cost. n. 364 del 1988), tale da giustificare un’applicazione analogica nei “casi simili”.
12. Una volta riconosciuta all’articolo 384 c.p., comma 1, la natura di scusante soggettiva ed esclusa di conseguenza ogni valenza eccezionale della disposizione stessa, la sua applicazione anche alle coppie di fatto trova piena giustificazione.
Una giustificazione la cui legittimazione trova forza non solo nel complessivo quadro normativo e giurisprudenziale cui si e’ fatto riferimento univocamente diretto a offrire una piena tutela alle situazioni di convivenza di fatto -, quanto piuttosto nella stessa struttura, funzione e natura della disposizione in esame.
Va riconosciuto che nella specie l’applicazione della scusante al “convivente” si pone in linea proprio con la ratio della causa di esclusione della colpevolezza.
Insomma, si tratta di operare una interpretazione di una norma di favore concernente la colpevolezza in piena conformita’ alla ratio della scusante stessa, che determina una lettura “analogica” della norma che le consente di esplicare tutta la sua portata con coerenza e razionalita’.
Infatti, in presenza di una scusante basata su una situazione soggettiva della persona chiamata a rendere una dichiarazione all’autorita’ giudiziaria ovvero a fornire indicazioni alla polizia giudiziaria contro un proprio parente, che si trovi dinanzi alla alternativa – che puo’ risultare drammatica – tra l’adempimento di un dovere sanzionato penalmente e la protezione dei propri affetti, risulta del tutto “incoerente” negare che non ricorra la medesima condizione soggettiva, sia che si tratti di persone coniugate, sia che si tratti di persone conviventi. In entrambi i casi il conflitto interiore e’ identico. In entrambi i casi l’articolo 384 cit. considera inesigibile la condotta oggetto della norma penale violata, per mancanza della “colpevolezza” dell’agente.
D’altra parte, l’articolo 384 c.p., comma 1, piu’ che funzionale alla tutela dell'”unita’ familiare”, appare volto a garantire il singolo componente che si trovi nell’alternativa di porre in essere un reato ovvero di non nuocere a un prossimo congiunto. In questo senso, si e’ evidenziato come la disposizione sia posta a “tutela del singolo familiare sull’interesse della collettivita’ e dello Stato alla punizione”.
La ratio corrisponde perfettamente a quella dell’articolo 199 c.p.p., come hanno evidenziato le Sezioni Unite (sent. n. 7208 del 29/08/2007, Genovese, cit.), riconoscendo che l’articolo 384 c.p. si ricollega al principio generale dell’ordinamento nemo tenetur se detegere, allo scopo di salvaguardare i vincoli di solidarieta’ “familiare”, scopo che ha di mira anche l’articolo 199 cit., relativo alla facolta’ di astensione dei prossimi congiunti dell’imputato dal rendere testimonianza. Anche nella disposizione processuale l’oggetto della tutela e’ il “sentimento affettivo”, la motivabilita’ dell’agente, in presenza di un conflitto interiore tra rendere una dichiarazione pregiudizievole per il “parente” e non danneggiarlo.
Una simile lettura del rapporto tra le due norme citate e dell’inserimento di esse nella tematica della “famiglia”, trova conferma anche nella sentenza n. 352 del 2000 della Corte costituzionale, secondo cui “la disposizione del codice di rito sancisce la prevalenza delle relazioni affettive familiari sull’interesse della collettivita’ alla punizione dei reati, ma in un’ottica di preminente salvaguardia del membro della famiglia, chiamato a rendere testimonianza, al quale e’ riconosciuta la facolta’ (…) di sottrarsi al relativo obbligo e, cosi’, all’alternativa fra deporre il falso o nuocere al congiunto”.
Puo’ dirsi che l’articolo 199 c.p.p., acquista una funzione di indirizzo interpretativo in ordine alla estensione della scusante prevista dall’articolo 384 alle coppie di fatto, considerato che la facolta’ di astensione e’ riferita anche a chi, pur non essendo coniuge dell’imputato, conviva o abbia convissuto con lui. Il mancato riconoscimento dell’estensione della scusante di cui all’articolo 384 c.p., comma 1, anche al convivente determinerebbe un problematico rapporto con il comma 2 dello stesso articolo, dal momento che il convivente more uxorio, sebbene gli sia riconosciuto, come per il coniuge, il diritto all’avvertimento in funzione dell’astensione di cui all’articolo 199 c.p.p., con conseguente non punibilita’ in caso di omissione, non sarebbe invece tutelato nell’ipotesi prevista dal comma 1 in cui abbia posto in essere un comportamento che sia ritenuto inesigibile.
Insomma, l’articolo 384, comma 1, cosi’ come l’articolo 199 c.p.p., e’ volto a tutelare la liberta’ del singolo componente della “famiglia”. Cio’ avviene valorizzando il coinvolgimento psicologico dell’agente, dando rilievo alla situazione di conflitto che altera “il procedimento di motivabilita’”, che coinvolge la sfera della “colpevolezza”.
La struttura, la funzione e la natura della scusante dell’articolo 384, comma 1, cosi’ come ricostruita, consente di concludere riconoscendo una assoluta parita’ delle situazioni in cui possono venirsi a trovare il coniuge e il convivente, nel senso che l’esistenza di un conflitto determinato da sentimenti affettivi, non puo’ essere valutato differentemente a seconda che l’unione tra due persone sia fondata o meno sul vincolo matrimoniale.
13. Affermata la possibilita’ di applicare “analogicamente” la causa di esclusione della colpevolezza anche nei confronti di chi abbia commesso uno dei reati indicati nell’articolo 384 c.p., comma 1, per “salvare” il convivente di fatto, ne deriva la necessita’ che la situazione di “convivenza” risulti in base ad elementi di prova rigorosi.
La dimostrazione della ricorrenza della situazione della convivenza potra’ essere dimostrata anche dall’imputato, attraverso allegazioni da cui risultino elementi specifici che pongano il giudice in condizione di accertarne l’esistenza.
Riguardo ai caratteri della “convivenza”, la L. n. 76 del 2016, definisce conviventi due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, di fatto utilizzando i risultati di una consolidata giurisprudenza civile e anche penale, che richiede la sussistenza di un grado di stabilita’ e di continuativita’ del legame affettivo, in qualche modo assimilabile al rapporto coniugale. A seguito della citata legge del 2016 la stabilita’ della convivenza puo’ oggi essere accertata anche attraverso la dichiarazione anagrafica di cui all’articolo 4, e all’articolo 13, comma 1, lettera b), del regolamento di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223, dichiarazione che, secondo alcuni, avrebbe istituito il nuovo genere di coppie di fatto “registrate”, sebbene sia discussa la valenza costitutiva di tale dichiarazione, tuttavia ai fini penali potra’ costituire un forte elemento di prova, ferma restando che la convivenza potra’ comunque essere dimostrata attraverso qualsiasi mezzo di prova.
14. Puo’, quindi, formularsi il seguente principio di diritto: “l’articolo 384 c.p., comma 1, in quanto causa di esclusione della colpevolezza, e’ applicabile analogicamente anche a chi ha commesso uno dei reati ivi indicati per esservi stato costretto dalla necessita’ di salvare il convivente more uxorio da un grave e inevitabile nocumento nella liberta’ o nell’onore”.
15. Passando all’esame del ricorso, preliminarmente deve escludersi che il reato, commesso il 31 luglio 2012, sia estinto per prescrizione: infatti, al termine massimo di sette anni e sei mesi previsto per la prescrizione del reato di favoreggiamento personale, vanno aggiunti i periodi di sospensione verificatisi nel corso del primo grado di giudizio, come gia’ indicati dalla Corte di appello (per complessivi 343 giorni), nonche’ le sospensioni di ufficio dal 9 marzo all’11 maggio 2020 (pari a 64 giorni), per effetto dei “rinvii di ufficio” disposti con i Decreto Legge 8 marzo 2020, n. 11, Decreto Legge 17 marzo 2020, n. 18, e Decreto Legge 8 aprile 2020, n. 23, e quella dal 12 maggio al 30 giugno (pari a 50 giorni), in base alla previsione contenuta nell’articolo 83, comma 9, del Decreto Legge n. 18 cit., in considerazione del rinvio dell’udienza al 26 giugno 2020 (v., Sez. U, n. 5292, del 27/11/2020, Sanna); infine, va calcolata la sospensione dal 24 settembre 2020 al 26 novembre 2020 (pari a 62 giorni) per il rinvio di cortesia dell’udienza richiesto dalla difesa.
15.1. Cio’ premesso, il ricorso e’ fondato.
La Corte di appello di Cagliari ha ritenuto inapplicabile l’estensione dell’articolo 384 c.p., comma 1, al convivente more uxorio, assumendo trattarsi di una norma eccezionale, che prevede la non punibilita’ in casi ben individuati e caratterizzati da presupposti formali indiscutibili, riferendosi, a titolo esemplificativo, al matrimonio, all’unione civile, al rapporto di filiazione, sottolineando, al contrario, la “fluidita’ e fragilita’ del rapporto di mera convivenza”.
Ha, inoltre, rilevato che all’imputata incombeva l’onere di dare una dimostrazione dell’esistenza della convivenza, dimostrazione che non vi e’ stata, non avendo chiesto neppure la rinnovazione dell’istruttoria in appello.
Infine, ha ritenuto non decisivo il fatto che (OMISSIS) avesse la residenza anagrafica presso (OMISSIS).
L’interpretazione che la Corte di appello ha dato dell’articolo 384 cit. si rivela erronea alla luce del principio di diritto che si e’ affermato.
Inoltre, va evidenziato che, contrariamente a quanto sostenuto dai giudici di secondo grado, la difesa della ricorrente nell’atto di appello, dopo aver sostenuto che la esistenza della convivenza more uxorio tra (OMISSIS) e (OMISSIS) avrebbe potuto essere desunta dal certificato anagrafico e dalla carta di identita’ di quest’ultima, depositati in atti, ha espressamente richiesto la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale per acquisire la testimonianza di (OMISSIS), padre di (OMISSIS), sul rapporto di convivenza tra i due.
Ne deriva che l’erronea applicazione dell’articolo 384, comma 1, cit., unitamente all’omessa considerazione del motivo di appello sulla rinnovazione, oggetto di una specifica deduzione con il ricorso per cassazione, determina l’annullamento della sentenza impugnata, con il rinvio degli atti ad altra sezione della Corte di appello di Cagliari che, nel caso in cui risultera’ accertata la convivenza della ricorrente con (OMISSIS), al momento della dichiarazione resa alla polizia giudiziaria, applichera’ il principio di diritto affermato con la presente sentenza.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Cagliari.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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