Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 8 giugno 2020, n. 17348.
Massima estrapolata:
Integra un’ipotesi di concorso in falsità ideologica in atto pubblico la condotta del proprietario di un autoveicolo che istighi il proprietario, amministratore o collaboratore di un’officina autorizzata alla revisione – investito, come tale, della qualità di pubblico ufficiale – ad attestare falsamente sul libretto di circolazione l’avvenuta revisione, dando atto che sono state compiute tutte le operazioni all’uopo necessarie, con esito positivo quanto alle prove di regolarità delle parti esaminate.
Sentenza 8 giugno 2020, n. 17348
Data udienza 20 gennaio 2020
Tag – parola chiave: Veicoli – Revisione – Attività regolata da norme di diritto pubblico – Soggetto che la effettua – Funzione giuridica del pubblico ufficiale – Semplice adesivo sulla carta di circolazione attestante l’avvenuta revisione – Mero certificato di un adempimento amministrativo – Falsa revisione – Reato di falso ideologico
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MORELLI Francesca – Presidente
Dott. SESSA Renata – rel. Consigliere
Dott. TUDINO Alessandrina – Consigliere
Dott. MOROSINI Elisabetta M. – Consigliere
Dott. BRANCACCIO Matilde – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 03/12/2018 della CORTE APPELLO di NAPOLI;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. RENATA SESSA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore BIRRITTERI LUIGI, che ha concluso chiedendo l’inammissibilita’ del ricorso.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Napoli ha confermato la pronuncia del GIP del Tribunale di Torre Annunziata, la quale, all’esito di giudizio abbreviato, aveva riconosciuto (OMISSIS) colpevole di concorso in falso ideologico in atti pubblici e condannato il medesimo alla pena condizionalmente sospesa – di anni uno e mesi quattro di reclusione.
Il (OMISSIS), in particolare, e’ imputato del reato di cui agli articoli 110 e 479 c.p. in relazione all’articolo 80 C.d.S., comma 13, perche’ in qualita’ di istigatore e beneficiario, in concorso con altri, che agivano in qualita’ di pubblici ufficiali, attestava falsamente nel referto di revisione relativo ad un’autovettura di proprieta’ del (OMISSIS) l’esito regolare della stessa ed apponeva sulla carta di circolazione del veicolo il falso tagliando di revisione “regolare” n. (OMISSIS), revisione in realta’ mai eseguita in (OMISSIS), atteso che il medesimo giorno e nel medesimo arco temporale l’autovettura circolava in (OMISSIS).
2. Con atto a firma dell’Avv. (OMISSIS) e’ proposto ricorso per Cassazione nell’interesse del (OMISSIS), articolato in due motivi.
2.1 Con il primo motivo si deduce manifesta illogicita’ della motivazione in relazione al riconoscimento del concorso ex articolo 110 c.p..
Nel caso di specie, la responsabilita’ concorsuale dell’imputato si basa sull’assunto che il (OMISSIS) sarebbe il diretto beneficiario della condotta illecita materialmente posta in essere dalla coimputata (OMISSIS), firmataria del referto di revisione.
Tale supporto motivazionale risulta affetto da illogicita’ sotto tre diversi aspetti.
In primo luogo, esso addebita una sorta di responsabilita’ oggettiva al proprietario del veicolo, o comunque presume che l’utilizzo del mezzo comporti automaticamente la responsabilita’ penale per tutto cio’ che concerne la sua gestione.
In secondo luogo, pare desumere la responsabilita’ della condotta illecita di istigazione semplicemente individuando il soggetto che ha tratto beneficio da questa, senza addurre ulteriori elementi idonei a suffragare la tesi.
Infine, asserire che l’imputato non poteva essere all’oscuro della falsita’ non equivale a dire che egli abbia istigato il pubblico ufficiale a redigere l’atto falso, poiche’ il solo fatto di essere a conoscenza di una condotta illecita posta in essere da altri potrebbe al limite integrare un’ipotesi di connivenza non punibile.
2.2 Con il secondo motivo si eccepisce erronea applicazione della legge penale in relazione all’articolo 479 c.p..
Si contesta che i giudici del merito abbiano errato nella qualificazione giuridica del fatto, dal momento che la fattispecie prevista dall’articolo 479 c.p. presuppone la qualifica di pubblico ufficiale del soggetto attivo e la natura pubblica dell’atto destinato a provare la veridicita’ di quanto ivi attestato.
A tal proposito si osserva che, oltre al ricorrente, e’ stata condannata, in concorso ex articolo 110 c.p., la sola (OMISSIS), la quale rivestiva la qualita’ di socia della s.r.l. ” (OMISSIS)” e non era stata autorizzata ne’ abilitata alla gestione delle revisioni.
La condotta di quest’ultima potrebbe tutt’al piu’ integrare la violazione di cui all’articolo 483 c.p. (trattandosi di falsita’ ideologica commessa da un privato), solo a patto di qualificare il tagliando di revisione alla stregua di un atto pubblico.
Dopo aver richiamato le condizioni poste dalla sentenza Battaglia di questa Corte (Sez II n. 46273/11), il ricorrente ritiene di aderire all’orientamento espresso dalla Sezione V della medesima Corte di legittimita’, in virtu’ della quale il tagliando di revisione apposto sulla carta di circolazione rimane distinto da essa, assumendo natura di certificato amministrativo e non di atto pubblico in quanto riproducente attestazione gia’ documentata.
In altre parole, il certificato di revisione rilasciato (che si identifica nel tagliando-etichetta apposto sulla carta di circolazione) non ha una autonoma efficacia giuridica poiche’ riproduce il solo esito di una serie di operazioni gia’ compiute e i cui risultati sono gia’ documentati da altri atti in possesso della pubblica amministrazione. Diversamente opinando, dovrebbe ritenersi che l’adesivo apposto sulla carta di circolazione faccia fede in relazione a tutte le attivita’ di controllo eseguite sul mezzo, attivita’ che pero’ non vengono annotate sul documento e per le quali non si menziona nemmeno il pubblico ufficiale che vi ha proceduto.
Di conseguenza, la condotta posta in essere dall’imputato non puo’ sussumersi nella fattispecie di cui all’articolo 479 c.p., difettando l’elemento dell’atto pubblico oggetto del falso nonche’ la qualifica di pubblico ufficiale nella persona di (OMISSIS).
3. Il ricorso e’ inammissibile essendo i motivi manifestamente infondati.
Esso non si confronta, innanzitutto, con lo stesso capo di imputazione che fa espresso riferimento sia al referto di revisione che al tagliando apposto sulla carta di circolazione. E’ lo stesso ricorrente peraltro ad indicare che agli atti del procedimento vi sono sia la copia della carta di circolazione della vettura dell’imputato recante l’etichetta di revisione, sia due documenti – allegati al ricorso – a firma della (OMISSIS) – che ha sottoscritto gli atti apponendo la propria sottoscrizione sulla stampigliatura del timbro della societa’ di revisione – che descrivono analiticamente le operazioni compiute per l’espletamento della revisione del veicolo, e che si qualificano pertanto a tutti gli effetti come atto pubblico – cd. referto di revisione – in quanto atti primari e non derivati – a differenza della etichetta di revisione contenente una mera certificazione; atto di natura pubblica in quanto da ricondursi a un pubblico ufficiale, trattandosi di un’attivita’, quella di revisione – direttamente compiuta o di un fatto avvenuto alla sua presenza – della P.A., disciplinata da norme di diritto pubblico (articolo 80, commi 1 e 17, c.s.), di guisa che a coloro che la svolgono e’ riservata la qualifica di pubblici ufficiali in quanto formano o concorrono a formare la volonta’ della P.A. per mezzo dei poteri certificativi ad essi conferiti dalla legge (cfr. Cass., sez. 5, 7.3.2008, n. 14256, B. e altro, rv. 239437).
Ed allora, e’ ben vero che, secondo un condivisibile orientamento della giurisprudenza di legittimita’, in tema di falso documentale, l’etichetta di revisione applicata alla carta di circolazione di motocicli ed autoveicoli non ha natura giuridica di atto pubblico, bensi’ di certificato amministrativo, in quanto destinato ad attestare l’esito positivo dell’attivita’ documentata dalla pratica di revisione, di cui si limita a riprodurre gli effetti (Sez. 5, n. 49221 del 04/10/2017 – dep. 26/10/2017, Borrega, Rv. 27141401), ma e’ altrettanto vero che integra gli estremi del reato di falsita’ ideologica in atto pubblico la condotta di colui che, in qualita’ di proprietario, amministratore o collaboratore di un’officina autorizzata alla revisione delle auto, attesti falsamente l’avvenuta revisione delle auto, dando atto che sono state compiute tutte le operazioni necessarie per l’espletamento della revisione del veicolo e con esito positivo quanto alla prova di regolarita’ delle parti esaminate.
4. Che la falsa attestazione in atto pubblico fosse stata eseguita nell’interesse del proprietario del veicolo committente, e quindi in concorso con questi, e’ spiegato parimenti in maniera piu’ che esaustiva nella motivazione della sentenza impugnata, con la quale quindi il ricorso mostra di non confrontarsi neppure in parte qua; ed invero, evidenzia la sentenza impugnata – rispetto a rilievo analogo gia’ sollevato in sede di appello e qui ripetuto – come non solo fosse del tutto inverosimile cio’ che aveva dedotto la difesa, senza che peraltro l’imputato avesse mai reso una siffatta spiegazione nell’ambito del procedimento neppure mediante spontanee dichiarazioni – ovvero che l’attestazione era stata apposta sulla carta di circolazione lasciata per distrazione presso la societa’ di revisione ma anche come costituisse l’unica ipotesi logicamente apprezzabile ritenere che la falsita’ fosse stata concordata con l’imputato; questi, infatti, nonostante sapesse che il veicolo non era stato lasciato presso la sede sociale per essere revisionato, si giovo’ della falsa certificazione sulla carta di circolazione corredata dai documenti che attestavano anche l’avvenuto espletamento delle attivita’ propedeutiche alla verifica del caso, essendo egli l’unico ad avervi interesse.
I motivi sono quindi manifestamente infondati, oltre che, sostanzialmente, versati in fatto quelli che attraverso vizi deducibili in questa sede, quale quello argomentativo, comportano, in buona sostanza, la verifica di circostanze afferenti il merito della vicenda.
5. Dalle ragioni sin qui esposte deriva la declaratoria di inammissibilita’ del ricorso, cui consegue, per legge, ex articolo 606 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di procedimento, nonche’, trattandosi di causa di inammissibilita’ determinata da profili di colpa emergenti dal medesimo atto impugnatorio, al versamento, in favore della Cassa delle Ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 3.000,00 in relazione alla entita’ delle questioni trattate.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3000 in favore della Cassa delle ammende.
Motivazione semplificata.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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