Corte di Cassazione, sezione lavoro, Sentenza 28 gennaio 2019, n. 2298.
La massima estrapolata:
In ipotesi di astensione collettiva dalle prestazioni delle associazioni e degli organismi rappresentativi dei lavoratori autonomi, professionisti o piccoli imprenditori, l’articolo 4, comma 4, seconda parte, della legge 12 giugno 1990, n. 146 recante norme sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali deve essere interpretato nel senso che costituisce comportamento valutabile dalla Commissione di garanzia, ai fini della eventuale deliberazione della sanzione amministrativa pecuniaria prevista dalla disposizione richiamata, ogni condotta, attiva od omissiva, in violazione dei precetti desumibili dalla disciplina che regolamenta tale astensione collettiva, tra cui anche il comportamento omissivo attuato da detti soggetti in violazione del dovere di dissociarsi pubblicamente e in modo inequivoco da forme di protesta che, inserendosi nella rivendicazione di categoria indetta dalle associazioni e dagli organismi rappresentativi, siano esercitate senza il rispetto delle misure dirette a consentire l’erogazione delle prestazioni indispensabili al fine di garantire nei servizi pubblici essenziali il godimento di diritti della persona, costituzionalmente tutelati.
Sentenza 28 gennaio 2019, n. 2298
Data udienza 11 dicembre 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere
Dott. PONTERIO Carla – Consigliere
Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere
Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 13551/2013 proposto da:
A.T.A. CASARTIGIANI, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
COMMISSIONE DI GARANZIA PER L’ATTUAZIONE DELLA LEGGE SULLO SCIOPERO NEI SERVIZI PUBBLICI ESSENZIALI, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI 12;
– controricorrente –
e contro
COORDINAMENTO TAXI ITALIANO, CNA-FITA, ACAI-ASSOCIAZIONE CRISTIANA ARTIGIANI ITALIANI, S.A.T.A.M. – SINDACATO ARTIGIANI TAXISTI DI MILANO E PROVINCIA, CONFCOOPERATIVE;
– intimati –
avverso la sentenza n. 3685/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 29/05/2012 R.G.N. 2213/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/12/2018 dal Consigliere Dott. FABRIZIO AMENDOLA;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FRESA Mario, che ha concluso per il rigetto.
FATTI DI CAUSA
1. Con Delib. adottata 19 settembre 2006 la Commissione di garanzia per l’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali, all’esito dell’istruttoria compiuta, valuto’ negativamente il comportamento del Coordinamento Taxi Italiano, con riferimento alle astensioni collettive dalle prestazioni poste in essere, in numerose citta’ italiane, dagli addetti al servizio taxi nei giorni dal 30 giugno 2006 e successivi, nonche’ 13 luglio 2006 e seguenti, rilevando la violazione della L. n. 146 del 1990, articolo 2-bis, come modificata dalla L. n. 83 del 2000, tenuto conto dell’incidenza sul servizio pubblico essenziale con grave pregiudizio dei diritti degli utenti costituzionalmente tutelati; applico’ dunque, ai sensi dell’articolo 4, comma 4, della detta legge la sanzione amministrativa pecuniaria fissata in Euro 25.000,00 nei riguardi del Coordinamento Taxi Italiano.
2. Con ricorso promosso ai sensi della L. n. 146 del 1990, articolo 20 bis, il Coordinamento Taxi Italiano, la ATA Casartigiani e la CNA-Fita chiesero al Tribunale di Roma l’annullamento di detta deliberazione, sostenendo che, in realta’, le richiamate astensioni dalle prestazioni si erano concretate in manifestazioni di protesta meramente spontanee attuate da gruppi di tassisti in sede locale.
Nel giudizio intervennero ad adiuvandum ACAI – Associazione Cristiana Artigiani Italiani, SATAM Sindacato Artigiani Taxisti di Milano e Provincia e Confcooperative.
3. Instaurato il contraddittorio con la Commissione di garanzia, il Tribunale adito, con sentenza del 28 maggio 2007, accoglieva il ricorso.
Il primo giudice, pur considerando le proteste in controversia illegittime per inosservanza degli obblighi posti dalla L. n. 146 del 1990 e dalla Regolamentazione provvisoria delle prestazioni indispensabili nel settore del trasporto taxi, adottata con Delib. Commissione 22 gennaio 2002, tuttavia riteneva che le astensioni collettive dal servizio attuate dai tassisti non potessero essere ricondotte allo stato di mobilitazione nazionale della categoria, proclamato il 30 giugno 2006 dal Coordinamento Taxi Italiano.
4. Interposto gravame dalla Commissione soccombente, la Corte di Appello di Roma, con sentenza del 29 maggio 2012, costituitasi la sola ATA Casartigiani e nella contumacia degli altri appellati, ha riformato la sentenza del Tribunale, rigettando la domanda proposta con il ricorso di primo grado e condannando in solido i soccombenti al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio.
In estrema sintesi la Corte territoriale, premesso che l’illegittimita’ delle manifestazioni di protesta in controversia non aveva costituito oggetto di impugnazione per cui la statuizione sul punto del primo giudice era da considerarsi passata in giudicato, ha ritenuto che la responsabilita’ delle associazioni e degli organismi rappresentativi configurata dalla L. n. 146 del 1990, articolo 4, comma 4, come sostituito dalla L. n. 83 del 2000, articolo 3, comma 4, in solido con i lavoratori autonomi, professionisti o piccoli imprenditori che aderendo alla protesta si siano astenuti dalle prestazioni, e’ realizzabile anche attraverso un comportamento omissivo, che sia qualificabile in termini “di inadempimento di un obbligo giuridico di agire, rectius di impedire quei fatti illeciti cosi’ configurati dalla L. n. 146 del 1990”.
Ha considerato che detto illecito e’ integrato sia che la protesta indetta o proclamata dalle associazioni o dagli organismi rappresentativi di categoria risulti illegittima di per se’, perche’ contraria alle prescrizioni contenute nella legge o nella regolamentazione provvisoria, sia nell’ipotesi in cui la protesta, pur indetta o proclamata in modo legittimo, si riveli illegittima per la sua attuazione a causa di una “selvaggia” astensione dalle prestazioni.
La Corte ha quindi espresso l’avviso che il regime particolarmente rigoroso di responsabilita’ solidale previsto dalla legge trovi la sua ratio nel conferire alle associazioni ed agli organismi di categoria la funzione di “garanti”, imponendo ai medesimi un “obbligo giuridico di agire” di contenuto duplice: “1) assumere l’iniziativa di protesta in modo legittimo, 2) controllare che i singoli (lavoratori autonomi, professionisti o piccoli imprenditori) attuino la protesta in modo legittimo, ossia con astensione dalle prestazioni che siano conformi alle legittime modalita’ indette o proclamate”.
Ha aggiunto, per altra via, che “l’obbligo giuridico di impedire il fatto altrui, cioe’ di impedire l’attuazione di proteste illegittime da parte dei singoli tassisti, ossia dei soggetti appartenenti alla categoria rappresentata” e’ altresi’ desumibile dalla L. n. 689 del 1981, articolo 6, comma 2, in base al quale la persona incaricata della direzione o della vigilanza della persona capace di intendere e di volere e’ obbligata in solido con l’autore della violazione amministrativa al pagamento della somma da questo dovuta, salvo che provi di non aver potuto impedire il fatto.
5. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la ATA Casartigiani con due motivi. Ha resistito la Commissione di garanzia per l’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali con controricorso dell’Avvocatura Generale dello Stato. Non hanno svolto attivita’ difensiva gli altri intimati.
6. Il 17 gennaio 2018 il Collegio, “in relazione alla novita’ della questione ed alla sua rilevanza nomofilattica”, ha rinviato la causa poi pervenuta all’udienza pubblica dell’undici dicembre 2018.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 146 del 1990, articolo 4, in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto la fattispecie concreta, cosi’ come accertata dai giudici del merito, non sarebbe sussumibile nell’ambito della fattispecie astratta delineata da detta norma.
Si rileva che il Coordinamento Taxi Italiano aveva indetto esclusivamente due giornate di fermo nazionale del servizio taxi, entrambe revocate, mentre le manifestazioni di protesta erano state attuate in giorni diversi e precedenti rispetto a quelli per i quali era stato proclamato il fermo del servizio, per cui le stesse erano completamente avulse ed estranee rispetto alle iniziative promosse dal Coordinamento. Si sostiene che le astensioni censurate dalla Commissione di Garanzia erano state autonomamente decise ed attuate da gruppi di tassisti, in sede locale ed in modo assolutamente spontaneo, al punto che la repentinita’ e l’incontrollabilita’ delle proteste avevano indotto il Coordinamento a revocare le programmate giornate di fermo. Si deduce che difetta nella specie uno degli elementi costitutivi della fattispecie prevista dalla L. n. 146 del 1990, articolo 4, comma 4, secondo cui l’astensione dalle prestazioni deve essere attuata dai lavoratori autonomi, professionisti o piccoli imprenditori, “aderendo alla protesta” indetta dalle menzionate associazioni ed organismi rappresentativi, mentre nella specie l’astensione programmata non si era mai tenuta.
Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, articolo 6, nonche’ omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
Si eccepisce che la disposizione richiamata dalla Corte territoriale a fondamento dell’obbligo giuridico di agire riguarda la persona capace di intendere e di volere ma soggetta all’altrui autorita’, direzione o vigilanza, mentre nella specie non risultava ne’ era stato allegato che ci fossero elementi che concretassero una posizione di direzione e di vigilanza in capo alle associazioni, ne’ tanto meno che tali poteri fossero esercitabili effettivamente rispetto a soggetti che non erano stati neanche individuati. Sotto il profilo motivazionale si deduce che non era stato condotto dalla Corte del merito alcun accertamento circa l’enunciato rapporto di direzione o di vigilanza, “senza accertare chi fossero gli autori delle manifestazioni di protesta, senza appurare se gli stessi fossero o meno legati al Coordinamento o alle organizzazioni che lo avevano costituito, senza verificare che in concreto vi fossero e quali fossero i poteri di direzione e di vigilanza”.
2. La Corte giudica i motivi di ricorso, congiuntamente esaminabili per reciproca connessione, fondati nei termini espressi dalla motivazione che segue.
2.1. In premessa, al fine di un ordinato iter argomentativo, e’ opportuno comporre il quadro normativo di riferimento con l’indicazione delle disposizioni rilevanti nella presente controversia.
La L. 12 giugno 1990, n. 146 – recante “Norme sull’esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e sulla salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati. Istituzione della Commissione di garanzia dell’attuazione della legge” – “allo scopo di contemperare l’esercizio del diritto di sciopero con il godimento dei diritti della persona, costituzionalmente tutelati… dispone le regole da rispettare e le procedure da seguire in caso di conflitto collettivo, per assicurare l’effettivita’, nel loro contenuto essenziale, dei diritti medesimi”, avuto anche riguardo, per quanto qui interessa, ai servizi concernenti “la tutela della liberta’ di circolazione” e “limitatamente all’insieme delle prestazioni individuate come indispensabili” (cfr. articolo 1, comma 2).
Dopo l’articolo 2 della legge, che regola “il diritto di sciopero… nei servizi pubblici essenziali”, e’ stato inserito dalla L. 11 aprile 2000, n. 83, articolo 2 bis, per stabilire che anche “L’astensione collettiva delle prestazioni, ai fini di protesta o di rivendicazione di categoria, da parte di lavoratori autonomi, professionisti o piccoli imprenditori, che incida sulla funzionalita’ dei servizi pubblici (essenziali), e’ esercitata nel rispetto di misure dirette a consentire l’erogazione delle prestazioni indispensabili” (articolo 2 bis, comma 1).
A tal fine la Commissione di garanzia “promuove l’adozione, da parte delle associazioni o degli organismi di rappresentanza delle categorie interessate, di codici di autoregolamentazione che realizzino, in caso di astensione collettiva, il contemperamento con i diritti della persona costituzionalmente tutelati”. I codici di autoregolamentazione devono in ogni caso prevedere un termine di preavviso minimo, l’indicazione della durata e delle motivazioni dell’astensione collettiva ed assicurare in ogni caso un livello di prestazioni compatibile con le finalita’ della legge. Se tali codici mancano o non sono valutati idonei, la Commissione di garanzia Delibera la provvisoria regolamentazione (cfr. articolo 2 bis, comma 1).
“In ogni caso di violazione dei codici di autoregolamentazione”, e “fermo restando quanto previsto dell’articolo 2, comma 3” (secondo il quale “i soggetti che promuovono lo sciopero con riferimento ai servizi pubblici essenziali… o che vi aderiscano, i lavoratori che esercitano il diritto di sciopero, le amministrazioni e le imprese erogatrici dei servizi sono tenuti all’effettuazione delle prestazioni indispensabili, nonche’ al rispetto delle modalita’ e delle procedure di erogazione e delle altre misure di cui al comma 2”), “la Commissione di garanzia valuta i comportamenti e adotta le sanzioni di cui all’articolo 4” (articolo 2 bis, comma 1, u.p.).
2.2. In ordine all’apparato sanzionatorio della legge, infatti, l’articolo 13, comma 1, lettera i), attribuisce alla Commissione di garanzia il potere di valutare, “con la procedura prevista dall’articolo 4, comma 4-quater, il comportamento delle parti e se rileva eventuali inadempienze o violazioni degli obblighi che derivano dalla presente legge, degli accordi o contratti collettivi sulle prestazioni indispensabili, delle procedure di raffreddamento e conciliazione e delle altre misure di contemperamento, o dei codici di autoregolamentazione, di cui all’articolo 2, commi 1 e 2 e articolo 2 bis, considerate anche le cause di insorgenza del conflitto, Delibera le sanzioni previste dall’articolo 4 e, per quanto disposto dell’articolo 4, comma 1, prescrive al datore di lavoro di applicare le sanzioni disciplinari”.
La procedura prevista dall’articolo 4, comma 4-quater, stabilisce che, su richiesta di una serie di soggetti o di propria iniziativa, “la Commissione di garanzia apre il procedimento di valutazione del comportamento delle organizzazioni sindacali che proclamano lo sciopero o che vi aderiscono, o delle amministrazioni e delle imprese interessate, ovvero delle associazioni o organismi di rappresentanza dei lavoratori autonomi, professionisti o piccoli imprenditori, nei casi di astensione collettiva di cui agli articoli 2 e 2 bis”.
“L’apertura del procedimento viene notificata alle parti, che hanno trenta giorni per presentare osservazioni e chiedere di essere sentite”. “Decorso tale termine… la Commissione formula la propria valutazione e, se valuta negativamente il comportamento, tenuto conto anche delle cause di insorgenza del conflitto, Delibera le sanzioni” (articolo 4, comma 4-quater).
“Contro le deliberazioni della Commissione di garanzia in materia di sanzioni e’ ammesso ricorso al giudice del lavoro” (articolo 20-bis).
2.3. L’articolo 4 della legge in discorso, nei suoi vari commi, individua le sanzioni applicabili in relazione ai possibili destinatari delle medesime.
Al comma 1 “I lavoratori che si astengono dal lavoro in violazione delle disposizioni dell’articolo 2, commi 1 e 3 o che, richiesti dell’effettuazione delle prestazioni di cui al comma 2 del medesimo articolo, non prestino la propria consueta attivita’”, sono soggetti “a sanzioni disciplinari proporzionate alla gravita’ dell’infrazione” inflitte dal datore di lavoro su “prescrizione” della Commissione di garanzia (cfr. articolo 13, comma 1, lettera i, cit.).
Per il comma 2 “Nei confronti delle organizzazioni dei lavoratori che proclamano uno sciopero, o ad esso aderiscono in violazione delle disposizioni di cui all’articolo 2, sono sospesi i permessi sindacali retribuiti ovvero i contributi sindacali comunque trattenuti sulla retribuzione, ovvero entrambi” e “le medesime organizzazioni sindacali possono altresi’ essere escluse dalle trattative alle quali partecipano per un periodo di due mesi dalla cessazione del comportamento”. Qualora tali sanzioni non risultino applicabili, perche’ le organizzazioni sindacali non fruiscono di benefici di ordine patrimoniale o non partecipano alle trattative, la Commissione Delibera “in via sostitutiva una sanzione amministrativa pecuniaria a carico di coloro che rispondono legalmente per l’organizzazione sindacale responsabile” (cfr. articolo 4, comma 4-bis).
In base al comma 4, prima parte, “i dirigenti responsabili delle amministrazioni pubbliche e i legali rappresentanti delle imprese e degli enti che erogano i servizi pubblici” essenziali, che non osservino le disposizioni della legge o gli obblighi loro derivanti dagli accordi o contratti collettivi o dalla regolazione provvisoria della Commissione di garanzia o che non prestino corretta informazione agli utenti, “sono soggetti alla sanzione amministrativa pecuniaria da Lire 5.000.000 a Lire 50.000.000 (ndr. importi vigenti al momento della Delibera impugnata) tenuto conto della gravita’ della violazione, dell’eventuale recidiva, dell’incidenza di essa sull’insorgenza o l’aggravamento di conflitti e del pregiudizio eventualmente arrecato agli utenti”.
La seconda parte del comma 4 – che riguarda specificamente la sanzione oggetto del presente contendere – testualmente dispone: “Alla medesima sanzione sono soggetti le associazioni e gli organismi rappresentativi dei lavoratori autonomi, professionisti o piccoli imprenditori, in solido con i singoli lavoratori autonomi, professionisti o piccoli imprenditori, che aderendo alla protesta si siano astenuti dalle prestazioni, in caso di violazione dei codici di autoregolamentazione di cui all’articolo 2 bis o della regolamentazione provvisoria della Commissione di garanzia e in ogni altro caso di violazione dell’articolo 2, comma 3”.
3. All’interpretazione di tale disposizione e’ chiamata questa Corte, nell’ambito del contesto normativo innanzi richiamato, non essendo qui in discussione che gli episodi di astensione collettiva dalle prestazioni degli addetti al servizio taxi a fini di protesta e di rivendicazione di categoria (cfr. articolo 2 bis), per i quali e’ stata comminata la sanzione impugnata, abbiano inciso sulla funzionalita’ di un servizio pubblico essenziale, concernente la tutela della liberta’ di circolazione (cfr. articolo 1, comma 2, lettera b), e siano state poste in essere in violazione della legge che dispone le regole da rispettare e le procedure da seguire in caso di conflitto collettivo, per assicurare l’effettivita’, nel loro contenuto essenziale, di diritti della persona costituzionalmente tutelati (cfr. articolo 1, commi 1 e 2).
4. Nell’operazione ermeneutica di ascrizione di significato all’enunciato normativo, laddove si procede all’interpretazione di una legge che ha lo scopo dichiarato “di contemperare l’esercizio del diritto di sciopero con il godimento dei diritti della persona, costituzionalmente tutelati”, non puo’ evidentemente prescindersi dagli arresti della giurisprudenza costituzionale che sovente si e’ occupata della disciplina in materia.
4.1. Risalente l’affermazione che il diritto di sciopero possa essere oggetto di particolari limitazioni, relativamente agli addetti ai servizi pubblici essenziali, proprio in ragione della tutela di interessi generali assolutamente preminenti che trovano diretta protezione in principi consacrati dalla Costituzione (Corte cost. n. 123 del 1962), ovverosia di una tutela che attiene alla soddisfazione di interessi assolutamente essenziali (Corte cost. n. 124 del 1962) o di valori fondamentali legati alla integrita’ della vita e della personalita’ dei singoli, principi e limitazioni, cioe’, diretti ad evitare la compromissione di funzioni da considerare essenziali per il loro carattere di preminente interesse generale (Corte cost. n. 31 del 1969, n. 290 del 1974, n. 222 del 1976, n. 125 del 1980 e n. 165 del 1983).
E’ stato dunque affermato dalla Corte costituzionale che la disciplina dello sciopero nei servizi pubblici essenziali e’ riservata allo Stato, tenuto conto dell’esigenza di una regolamentazione omogenea in tutto il territorio nazionale, in modo da assicurare all’intera comunita’ una garanzia uniforme dei diritti fondamentali della persona, e che la L. n. 146 del 1990, costituisce attuazione dell’articolo 40 Cost., per contemperare l’esercizio del diritto di sciopero con diritti costituzionalmente tutelati (Corte Cost. n. 32 del 1991), garantendo detto articolo “le condizioni giuridiche di effettivita’ dello sciopero nei limiti segnati dal bilanciamento con altri interessi di maggiore rilievo costituzionale” (Corte Cost. n. 276 del 1993).
Si e’ quindi descritto l’apparato sanzionatorio della L. n. 146 del 1990, come “funzionale a garantire i servizi minimi essenziali”, “a tutela degli interessi degli utenti” e con verifica dei presupposti per l’applicabilita’ della sanzione “sempre affidata a quel soggetto super partes ad alta competenza, che il legislatore ha configurato nella Commissione di garanzia” (Corte cost. n. 57 del 1995).
4.2. Rimasto senza risposta del legislatore l’auspicio contenuto nella sentenza n. 114 del 1994 – in cui la Corte costituzionale aveva sollecitato un intervento teso a regolamentare la “adesione alle manifestazioni di protesta deliberate dagli organismi di categoria” degli avvocati, idonee a compromettere il pieno esercizio della funzione giurisdizionale – il Giudice delle leggi ha poi dichiarato “l’illegittimita’ costituzionale della L. n. 146, articolo 2, commi 1 e 5, nella parte in cui non prevede, nel caso dell’astensione collettiva dall’attivita’ giudiziaria degli avvocati e dei procuratori legali, l’obbligo d’un congruo preavviso e d’un ragionevole limite temporale dell’astensione e non prevede, altresi’, gli strumenti idonei a individuare (e assicurare) le prestazioni essenziali durante l’astensione stessa, nonche’ le procedure e le misure consequenziali nell’ipotesi di inosservanza” (Corte Cost. n. 171. del 1996).
Nella pronuncia, premesso che le astensioni collettive in esame non potevano configurarsi “come diritto di sciopero”, non ricadenti pertanto “sotto la specifica protezione dell’articolo 40”, si e’ rilevato che “la salvaguardia degli spazi di liberta’ dei singoli e dei gruppi che ispira l’intera prima parte della Costituzione non esclude, tuttavia, che vi siano altri valori costituzionali meritevoli di tutela”; sicche’ “quando la liberta’ degli avvocati e procuratori si eserciti in contrasto con la tavola di valori (rappresentata dal diritto di azione e di difesa), essa non puo’ non arretrare per la forza prevalente di quelli”.
Si constata che “l’obiettivo della L. n. 146, e’ la garanzia dei servizi pubblici essenziali, costruita com’e’ in funzione della tutela dei beni fondamentali della persona: l’articolo 1, comma 1, e’ in tal senso emblematico, ma la restante parte della legge – nel mirare esclusivamente alla protezione dall’abuso del diritto di sciopero – non appresta una razionale e coerente disciplina che includa tutte le altre manifestazioni collettive capaci di comprimere detti valori primari”.
Pertanto, secondo la Consulta, “avendo l’esperienza rivelato le carenze della L. n. 146, si impone una piu’ ampia regolamentazione anche in riferimento all’astensione collettiva dal lavoro non qualificabile, per l’assenza dei suoi tratti tipici, come esercizio del diritto di sciopero”; di qui la declaratoria di illegittimita’ costituzionale in parte qua della legge scrutinata che ponesse come “indilazionabile” un intervento legislativo “strumentale alla salvaguardia dei principi e valori costituzionali piu’ volte menzionati”.
4.3. Ne scaturisce, dopo qualche anno, la gia’ citata L. 11 aprile 2000, n. 83, di recente letta dalla Corte costituzionale (sent. n. 180 del 2018) come frutto della seguente “scelta di fondo, che appartiene alla discrezionalita’ legislativa”: “non piu’ una disciplina diretta da parte della legge delle fattispecie che richiedono l’effettuazione di “prestazioni indispensabili”, ma il coinvolgimento delle associazioni di categoria mediante il richiamo del “codice di autoregolamentazione” in un’ottica, piu’ avanzata, di assetto partecipativo degli strumenti di composizione del conflitto, insito nella proclamazione dell’astensione collettiva di categoria”. Secondo la Corte costituzionale “il legislatore, da una parte, ha riconosciuto, in linea di continuita’ con la citata sentenza n. 171 del 1996, il diritto di astensione collettiva anche a lavoratori autonomi, professionisti o piccoli imprenditori, ma, d’altra parte, ha chiamato in causa le loro associazioni rappresentative per individuare le fattispecie di “prestazioni indispensabili” che comunque devono essere assicurate perche’ non siano lesi i diritti della persona costituzionalmente tutelati”. Si rammenta e si ribadisce la “forza prevalente” di tali diritti, privilegiando “l’interpretazione costituzionalmente orientata” che riconosce “al giudice il potere di bilanciare i valori in conflitto e, conseguentemente, di far recedere la “liberta’ sindacale” di fronte a valori costituzionali primari”.
4.4. Il breve ma significativo excursus della giurisprudenza costituzionale si rivela denso di indicazioni per l’interprete della disciplina sanzionatoria dettata dalla legge in caso di astensione dalle prestazioni di lavoratori autonomi, professionisti o piccoli imprenditori.
Il godimento dei diritti della persona, costituzionalmente tutelati, garantito dai servizi pubblici essenziali ha valore primario e prevalente.
La L. n. 146 del 1990, con le successive modifiche introdotte dalla L. n. 83 del 2000, ha lo scopo di tutelare beni fondamentali della persona ed impone giustificate limitazioni dirette ad evitare la compromissione di funzioni da considerare essenziali per il loro carattere di preminente interesse generale.
Viene avallata la scelta del legislatore di consentire sia l’esercizio del diritto di sciopero sia l’astensione collettiva dalle prestazioni da parte di lavoratori autonomi, professionisti o piccoli imprenditori a condizione che siano osservate le regole e le procedure previste dalla legge per garantire l’erogazione delle prestazioni indispensabili; ne consegue che ogni conflitto collettivo incidente su servizi pubblici essenziali che non rispetti tali limiti si pone contra legem ed e’ suscettibile di essere sanzionato.
In particolare – per quanto qui interessa – l’astensione collettiva di lavoratori non subordinati, siano essi autonomi, professionisti o piccoli imprenditori, che peraltro non e’ manifestazione del diritto di sciopero e non ricade sotto la specifica protezione dell’articolo 40 (cosi’ Corte Cost. n. 171/96 cit.), puo’ trasformarsi da esercizio lecito di una liberta’ in un comportamento illegittimo lesivo di diritti della persona di maggiore rilievo costituzionale, i quali ultimi hanno forza necessariamente prevalente per cui rispetto ad essi il diritto dei singoli di astenersi e’ recessivo e deve necessariamente arretrare.
Le prestazioni individuate come indispensabili vanno in ogni caso assicurate e proprio a tal fine e’ predisposto un apparato sanzionatorio funzionale a garantire i servizi minimi essenziali ed a tutela degli interessi degli utenti; alla Commissione di garanzia, quale autorita’ pubblica super partes ad alta competenza, e’ affidato il compito istituzionale di verificare i presupposti per l’applicabilita’ delle sanzioni collettive ed individuali nei confronti di tutti i protagonisti del conflitto.
Dall’insieme di tali postulati discende coerente che vanno perseguite interpretazioni della disciplina in esame adeguate all’esigenza di garantire la prevalenza dei diritti della persona “alla vita, alla salute, alla liberta’ ed alla sicurezza, alla liberta’ di circolazione, all’assistenza e previdenza sociale, all’istruzione ed alla liberta’ di comunicazione” (cfr. articolo 1, comma 1) rispetto ad astensioni collettive incidenti sulla funzionalita’ di servizi pubblici essenziali, e, all’opposto, vanno disattese interpretazioni che possano minare l’effettivita’ del godimento, nel loro contenuto fondamentale, dei diritti medesimi.
5. Nella ricostruzione della struttura dell’illecito che puo’ essere sanzionato dalla Commissione di garanzia, dal punto di vista dell’individuazione dei soggetti attivi questa Corte (v. Cass. n. 17288 del 2015) ha gia’ evidenziato che il procedimento di valutazione previsto dall’articolo 4, comma 4-quater, riguarda espressamente il comportamento delle organizzazioni sindacali che abbiano proclamato lo sciopero o vi abbiano aderito, o delle amministrazioni e delle imprese interessate, ovvero delle associazioni od organismi di rappresentanza dei lavoratori autonomi, professionisti o piccoli imprenditori, nei casi di astensione collettiva.
Pertanto si tratta d’un procedimento che si svolge nei confronti dei “soggetti collettivi” indicati dalla disposizione e con i quali viene instaurato il contraddittorio.
In caso di valutazione negativa del comportamento la Commissione puo’ deliberare la sanzione che varia di tipologia a seconda del destinatario finale della medesima.
Sanzioni disciplinari nei confronti dei “lavoratori che si astengono dal lavoro”, inflitte tuttavia dal datore di lavoro su “prescrizione” della Commissione di garanzia (cfr. articolo 4, comma 1 e articolo 13, comma 1, lettera i). Sospensione dei permessi sindacali retribuiti e/o dei contributi sindacali ovvero esclusione dalle trattative nei confronti delle “organizzazioni dei lavoratori che proclamano uno sciopero, o ad esso aderiscono” (cfr. articolo 4, comma 2 e Corte cost. n. 57 del 1995); nel caso tali sanzioni non risultino applicabili sono sostituite da “una sanzione amministrativa pecuniaria a carico di coloro che rispondono legalmente per l’organizzazione sindacale responsabile” (articolo 4, comma 4-bis). Sanzione amministrativa pecuniaria nei confronti dei “dirigenti responsabili delle amministrazioni pubbliche e legali rappresentanti delle imprese e degli enti che erogano i servizi pubblici” essenziali (articolo 4, comma 4, prima parte). Alla stessa sanzione amministrativa pecuniaria sono soggetti “le associazioni e gli organismi rappresentativi dei lavoratori autonomi, professionisti o piccoli imprenditori”, in solido con i singoli aderenti alla protesta, nei casi di astensione collettiva dalle prestazioni (articolo 4, comma 4, seconda parte).
Le sanzioni amministrative pecuniarie deliberate dalla Commissione di garanzia sono applicate con ordinanza-ingiunzione della direzione provinciale del lavoro e questa Corte ha chiarito che le ragioni di contestazione che attengono alla Delibera di competenza della Commissione devono essere formulate con il ricorso al giudice del lavoro specificamente previsto dall’articolo 20 bis, mentre in sede di opposizione ad ordinanza ingiunzione possono essere proposte solo le ragioni di impugnazione che attengono specificamente al provvedimento applicativo (in termini: Cass. n. 24207 del 2010).
6. Dal punto di vista dell’individuazione della struttura oggettiva del comportamento delle associazioni e degli organismi rappresentativi dei lavoratori autonomi, professionisti o piccoli imprenditori – che puo’ essere assoggettato a sanzione amministrativa pecuniaria da parte della Commissione di garanzia – la seconda parte dell’articolo 4, comma 4, della legge in esame si riferisce a tutti i casi di “violazione dei codici di autoregolamentazione di cui all’articolo 2 bis o della regolamentazione provvisoria della Commissione di garanzia e in ogni altro caso di violazione dell’articolo 2, comma 3”.
La portata testualmente onnicomprensiva della disposizione consente di ricondurre nell’ambito di essa tutte le condotte, attive od omissive, in violazione di precetti desumibili dalla disciplina che regolamenta l’astensione collettiva dalle prestazioni nei servizi pubblici essenziali, potendo poi la sanzione pecuniaria essere graduata tra il minimo ed il massimo edittale “tenuto conto della gravita’ della violazione, dell’eventuale recidiva, dell’incidenza di essa sull’insorgenza o l’aggravamento di conflitti e del pregiudizio eventualmente arrecato agli utenti”.
L’illecito in questione e’ tipizzato con riferimento a tutti gli obblighi gravanti sui soggetti collettivi – rappresentativi dei lavoratori autonomi, professionisti o piccoli imprenditori che partecipano al conflitto – e che sono ricavabili dalla L. n. 146 del 1990 e dai codici di autoregolamentazione o dalle regolamentazioni provvisorie (che hanno efficacia erga omnes, cfr. Cass., Sezioni unite penali, n. 40187 del 2014 e Corte Cost. n. 180 del 2018), regole tutte la cui fitta trama concorre al fine primario e prevalente di garantire il godimento dei diritti del cittadino-utente, costituzionalmente tutelati.
La struttura aperta della fattispecie sanzionatoria, oltre che dal tenore testuale della disposizione innanzi richiamata, e’ confermata da ulteriori e plurime indicazioni rivelatrici del medesimo senso.
Innanzitutto il richiamo espresso (contenuto sia nell’articolo 4, comma 4, ma anche nell’articolo 2-bis, comma 1), all’articolo 2, comma 3, che prescrive per tutti coloro che partecipano al conflitto collettivo, dai promotori a coloro che individualmente vi aderiscono, sino alle amministrazioni ed alle imprese erogatrici del servizio pubblico, un obbligo generale: tutti “sono tenuti all’effettuazione delle prestazioni indispensabili, nonche’ al rispetto delle modalita’ e delle procedure di erogazione e delle altre misure di cui al comma 2”.
In secondo luogo l’articolo 13, comma 1, lettera i), conferisce alla Commissione di garanzia il potere di “rilevare” tutte le “eventuali inadempienze o violazioni degli obblighi che derivano dalla presente legge, degli accordi o contratti collettivi sulle prestazioni indispensabili, delle procedure di raffreddamento e conciliazione e delle altre misure di contemperamento, o dei codici di autoregolamentazione”, con la conseguente possibilita’, ove valutato negativamente “il comportamento delle parti”, di deliberare le sanzioni.
Infine l’articolo 2-bis specificamente prescrive che l’astensione collettiva dalle prestazioni, a fini di protesta o di rivendicazione di categoria, da parte di lavoratori autonomi, professionisti o piccoli imprenditori venga esercitata nel rispetto di tutte le “misure dirette a garantire l’erogazione delle prestazioni indispensabili” e ribadisce che in ogni caso di “violazione dei codici di autoregolamentazione” la Commissione di garanzia “valuta i comportamenti e adotta le sanzioni di cui all’articolo 4”.
7. Se l’identificazione del comportamento del soggetto collettivo rappresentativo di lavoratori non subordinati assoggettabile a sanzione puo’ essere effettuata avuto riguardo a ciascuno degli obblighi e degli adempimenti imposti dalla complessa disciplina che regola le astensioni collettive nei servizi pubblici essenziali, evidentemente se ne puo’ proporre solo una ricognizione di contenuto esemplificativo.
Cosi’, ad esempio, se l’articolo 2-bis, stabilisce che il termine di preavviso non puo’ essere inferiore a dieci giorni, l’eventuale indizione di un’astensione collettiva dalle prestazioni ad opera di un’associazione rappresentativa di lavoratori autonomi, professionisti o piccoli imprenditori senza il rispetto di tale termine sara’ comportamento valutabile dalla Commissione di garanzia ai fini della deliberazione della sanzione amministrativa pecuniaria prevista dall’articolo 4, comma 4.
Parimenti, sempre a titolo di esempio, se la Regolamentazione provvisoria predisposta dalla Commissione di garanzia nel settore del servizio taxi, adottata con Delib. 24 gennaio 2002, n. 2/11 (in G.U. n. 54 del 5.3.2002), prevede periodi in cui non possono essere effettuate sospensioni del servizio, l’eventuale proclamazione di un fermo nel periodo di franchigia da parte di un organismo rappresentativo della categoria costituira’ comportamento suscettibile di essere colpito con detta sanzione pecuniaria.
Piu’ in generale alla medesima sanzione saranno soggetti le associazioni e gli organismi rappresentativi dei lavoratori non subordinati tutte le volte in cui direttamente promuovano ovvero in ogni caso aderiscano ad astensioni collettive dalle prestazioni esercitate senza il rispetto delle regole dettate per tali azioni allorquando incidano sulla funzionalita’ di servizi pubblici essenziali.
8. La Corte reputa tuttavia, con riguardo alle questioni poste dalla fattispecie concreta all’attenzione del Collegio, che sia comportamento valutabile dalla Commissione di garanzia non esclusivamente quello che comprovi una diretta partecipazione o organizzazione o promozione o comunque adesione del soggetto collettivo all’astensione illegittima.
L’assunto da cui si e’ partiti, che ha riscontro in solide basi normative, in ragione del quale la potesta’ sanzionatoria della Commissione di garanzia si estende a qualsivoglia tipologia di violazione della disciplina sui servizi pubblici essenziali, induce a patrocinare esegesi orientate al rispetto della tutela effettiva dei diritti fondamentali della persona coinvolti dalle astensioni dal lavoro in tali servizi, in coerenza con le indicazioni fornite dagli arresti della giurisprudenza costituzionale innanzi richiamati.
Pertanto nella nozione di “comportamento valutabile” da parte dell’Autorita’ di garanzia preposta vanno ricomprese tutte le forme di azione od omissione dei soggetti collettivi che possano, direttamente o indirettamente, pregiudicare i diritti costituzionalmente garantiti dell’utenza, onde evitare che degenerazioni della protesta obiettivamente idonee a ledere tali diritti si traducano nel sostanziale aggiramento delle regole.
Dunque, nel caso di indizione di astensioni collettive che rientrino nel campo di applicazione della L. n. 146 del 1990, la sfera obbligatoria dei soggetti che promuovono l’agitazione si amplia e si arricchisce di contenuti derivanti dal dovere di protezione dei beni-interessi di rilievo costituzionale, suscettibili di essere lesi dalla mancanza di prestazioni in servizi pubblici essenziali.
Pertanto, laddove nell’ambito di uno stato di mobilitazione in cui e’ programmata un’astensione di appartenenti a categorie di lavoratori autonomi, professionisti o piccoli imprenditori, si inseriscano forme anomale di protesta collettiva finalisticamente indirizzate alla stessa rivendicazione di categoria, in palese violazione della regolamentazione che garantisce le prestazioni indispensabili, il soggetto collettivo che ha indetto o comunque promosso lo stato di agitazione e l’astensione ha il dovere di dissociarsi pubblicamente ed in modo inequivoco da tali episodi, dal momento in cui ne viene a conoscenza.
Tale dovere e’ desumibile dall’insieme delle norme di disciplina valide erga omnes che regolano le astensioni collettive dalle prestazioni di lavoratori autonomi, professionisti o piccoli imprenditori, teleologicamente interpretate al fine di garantire la massima protezione di diritti della persona costituzionalmente tutelati.
Esso prende corpo dall’assunzione di responsabilita’ che deriva dalla promozione di uno stato di agitazione prodromico ad un’astensione collettiva incidente sulla funzionalita’ di servizi pubblici essenziali, la quale genera obblighi di protezione dovuti anche all’affidamento nel quale la generalita’ dei consociati che fruisce di un tale servizio deve poter confidare circa l’osservanza delle regole imposte dalla legge, anche con il contributo non inerte dei soggetti che detta azione collettiva hanno patrocinato.
La violazione di tale dovere di dissociazione costituisce comportamento valutabile dalla Commissione di garanzia che, all’esito dell’istruttoria, puo’ deliberare la sanzione pecuniaria prevista dall’articolo 4, comma 4, tenuto conto di tutte le circostanze del caso concreto in relazione ai parametri di graduazione individuati dallo stesso comma nella gravita’ della violazione, nella eventuale recidiva, nell’incidenza della violazione sull’insorgenza ma anche sull’aggravamento di conflitti, nella diversa intensita’ del pregiudizio eventualmente arrecato agli utenti.
All’opposto, l’adempimento di esso realizza un duplice effetto virtuoso, convergente con l’esigenza fondamentale di salvaguardia degli interessi della collettivita’ di preminente rilievo costituzionale in gioco.
Scoraggia condotte ambigue degli organismi di categoria che vogliano giovarsi delle pressioni derivanti da forme incontrollate di protesta, altamente lesive dei diritti degli utenti ed allarmanti per l’opinione pubblica, per acquisire indebite posizioni di maggiore forza al tavolo delle trattative.
Costituisce manifestazione di influenza verso gli autori materiali delle condotte illegittime con potenziale effetto dissuasivo, affinche’ le stesse non vengano portate ad ulteriori conseguenze in assenza di una visibile condanna da parte di chi ha innescato la rivendicazione collettiva, nell’alveo della quale i singoli agenti possano rafforzare l’intento illecito senza il dissenso manifesto dell’organismo che ha promosso la protesta.
Perfino in ambito penale e’ riconosciuto che l’assenza di una manifestazione esplicita di volonta’ contraria possa avere attitudine criminogena laddove e’ considerata punibile anche la sola mancata assunzione di qualsiasi iniziativa e il mantenimento di un atteggiamento di “non intervento” esprima una condotta obiettivamente e logicamente valutabile come adesione all’altrui azione delittuosa, potendosi configurare finanche un concorso nel reato (in termini: Cass. pen. n. 2 del 22 novembre 1994, Sbrana ed altro; sulla semplice presenza sul luogo del delitto dalla quale l’autore materiale tragga uno stimolo all’azione ed un maggior senso di sicurezza nella propria condotta cfr., tra molte, Cass. pen. n. 26542 del 2009, n. 40420 del 2008, n. 7957 del 1993, n. 8389 del 1992).
9. Si delinea una responsabilita’ che, lungi dal connotarsi come oggettiva o per fatto altrui, e’ invece una responsabilita’ per fatto proprio delle associazioni rappresentative dei lavoratori autonomi, professionisti o piccoli imprenditori: essa si sostanzia in una condotta omissiva esigibile a fronte del dovere giuridico di manifestare aperto e fermo dissenso nei confronti di forme di protesta illegittime innescate nel corso di azioni collettive cui detti organismi rappresentativi hanno dato origine, ingenerando altresi’ il ragionevole affidamento dei cittadini nel rispetto delle regole che presiedono alla tutela dei diritti della persona anche nel momento attuativo della rivendicazione di categoria proclamata.
Del resto il nostro ordinamento gia’ conosce ipotesi in cui il legislatore configura illeciti amministrativi cd. “di mera trasgressione” in fattispecie sanzionatorie destinate a salvaguardare procedure e funzioni di particolare rilevanza collettiva ed “incentrate sulla mera condotta secondo un criterio di agire o di omettere doveroso” (v. in materia di intermediazione finanziaria Cass., Sezioni unite civili, n. 20930 del 2009; piu’ di recente, conformi, Cass. n. 1529 e n. 9546 del 2018).
In tali casi, secondo i precedenti richiamati, la stessa morfologia degli illeciti rende impraticabili indagini di tipo introspettivo volte alla ricostruzione dei tratti dell’atteggiamento interiore, per cui l’azione illecita, esaurendosi in una mera trasgressione, si identifica appunto nella condotta inosservante (la cd. suitas) ed e’ sufficiente per il giudice individuare l’autore imputabile di essa ed escludere l’esistenza di circostanze anomale che abbiano reso incolpevole il comportamento trasgressivo e, quindi, inesigibile quello osservante.
10. L’esegesi accolta appare sistematicamente compatibile con l’inciso contenuto nella seconda parte dell’articolo 4, comma 4, secondo cui la sanzione cui sono soggetti le associazioni e gli organismi rappresentativi e’ “in solido con i singoli lavoratori autonomi, professionisti o piccoli imprenditori, che aderendo alla protesta si siano astenuti dalle prestazioni”, che pure tratteggia una peculiare e discussa forma di solidarieta’.
Infatti puo’ ritenersi che tutte le volte in cui la Commissione di garanzia sanzioni un soggetto collettivo a mente di detta disposizione, e quindi anche nel caso di violazione del dovere di manifestare fermo dissenso rispetto a forme anomale di protesta, i singoli lavoratori autonomi, professionisti o piccoli imprenditori, che a tali proteste illegittime abbiano aderito astenendosi dalle prestazioni, risultano esposti all’azione di regresso del soggetto collettivo sanzionato che faccia valere il vincolo legale di solidarieta’.
Pertanto, anche a non voler ritenere percorribile la strada (stante il tenore letterale dell’articolo 4, comma 4-quater, che identifica i soggetti collettivi ammessi al contraddittorio) della sanzione direttamente comminata dalla Commissione ai singoli aderenti alla protesta illegittima, costoro, ove identificabili, saranno comunque possibili destinatari di una condanna al pagamento di somme in seguito all’azione eventuale del soggetto collettivo sanzionato in via principale dall’Autorita’ di garanzia.
Diversamente sarebbe con difficolta’ giustificabile una cosi’ radicale disparita’ di trattamento tra i lavoratori subordinati, comunque soggetti alle sanzioni disciplinari “prescritte” dalla Commissione in caso di astensione dal lavoro in violazione delle disposizioni richiamate dall’articolo 4, comma 1, ed i singoli lavoratori non subordinati che, pur ledendo con astensioni collettive illegittime gli stessi beni costituzionalmente tutelati dalla legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali e senza neanche la copertura dell’articolo 40 Cost., non sarebbero esposti ad alcuna possibile sanzione.
Cosi’ la speciale forma di solidarieta’ disegnata dalla legge in esame non assume la funzione di rafforzamento della garanzia patrimoniale dell’amministrazione creditrice, bensi’ una funzione di prevenzione e di deterrenza – sebbene indiretta ed eventuale ma non meno efficace considerato il rischio di esborso di importi anche elevati salvo riparto interno – nei confronti di coloro che attuano la protesta con modalita’ illegali.
11. Una volta compiuta da questa Corte l’operazione ermeneutica di ascrizione di significato alla L. n. 146 del 1990, articolo 4, comma 4, seconda parte, con risultati compatibili con l’esigenza di garantire l’effettivita’ dell’apparato repressivo disegnato dalla legge che contempera l’esercizio della liberta’ di astenersi collettivamente da parte di lavoratori autonomi, professionisti o piccoli imprenditori con il godimento di diritti della persona costituzionalmente tutelati – la sentenza impugnata della Corte di Appello di Roma, che ha confermato la responsabilita’ delle associazioni dei tassisti seguendo un altro percorso, deve essere cassata, avendo attribuito alla disposizione citata un contenuto precettivo diverso da quello qui definito in funzione nomofilattica.
Non puo’ essere infatti condivisa, nonostante la dovizia di argomentazioni, la tesi della Corte territoriale che costruisce in capo all’organismo promotore dell’astensione collettiva un vero e proprio obbligo di agire per impedire che altri pongano in essere condotte illecite.
Una cosa e’ individuare dall’ordito normativo esaminato un dovere del soggetto che ha promosso l’azione collettiva di dissociarsi apertamente dalle manifestazioni di protesta che, nel solco della medesima rivendicazione di categoria, siano attuate in violazione delle regole che governano il rispetto della funzionalita’ dei servizi pubblici essenziali.
Ben altra cosa e’ porre a carico delle associazioni o degli organismi di categoria rappresentativi un indiscriminato ed inesigibile obbligo di impedire che qualsivoglia singolo manifestante ponga in essere una protesta deviata e irrispettosa di dette regole, che inevitabilmente sconfinerebbe in una forma di responsabilita’ oggettiva o per fatto altrui, priva di adeguato supporto normativo, in spregio del canone che considera eccezionali e non estensibili analogicamente tali tipologie di responsabilita’.
Ne’ soccorre la L. n. 689 del 1981, articolo 6, comma 2 – pure richiamato dalla Corte di Appello senza che pero’ sia chiaro se quale parametro normativo di disciplina della fattispecie concorrente o alternativo – per l’impossibilita’ di ravvisare un rapporto di preposizione diretta di direzione o di vigilanza tra il soggetto collettivo che indice l’astensione e coloro che attuano la protesta in forma illegale.
Invero non e’ riconoscibile nella specie alcun vincolo di autorita’, di direzione o di vigilanza tale da essere esercitabile anche nei confronti di soggetti che non siano neanche iscritti all’associazione promotrice e considerato che, secondo questa Corte, nessuna estensione di responsabilita’ e’ consentita alla stregua della L. n. 689 del 1981, articolo 6, trovando ripetuta conferma che il sistema di detta legge “preserva il principio della natura personale della responsabilita’, disciplinando rigorosamente i profili della “imputabilita’” (articolo 2), dell'”elemento soggettivo” della violazione (articolo 3), delle “cause di esclusione della responsabilita’” (articolo 4), del “concorso di persone” (articolo 5); e la stessa deroga al principio di responsabilita’ personale apportata mediante l’istituto della “solidarieta’” (articolo 6) resta rigorosamente circoscritta e delimitata non essendo consentite interpretazioni che, estendendo l’ambito delle fattispecie espressamente contemplate, comportino il mancato rispetto del principio della “riserva di legge” fissato nell’articolo 1″ (cfr. Cass. n. 12321 del 2004 e Cass. n. 11954 del 2003).
12. Conclusivamente il ricorso deve essere accolto con cassazione della sentenza impugnata e rinvio al giudice indicato in dispositivo il quale procedera’ a nuovo esame della controversia uniformandosi a quanto statuito ed al seguente principio di diritto enunciato ex articolo 384 c.p.c.:
“In ipotesi di astensione collettiva dalle prestazioni delle associazioni e degli organismi rappresentativi dei lavoratori autonomi, professionisti o piccoli imprenditori, della L. 12 giugno 1990, n. 146, articolo 4, comma 4, seconda parte – recante norme sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali – deve essere interpretato nel senso che costituisce comportamento valutabile dalla Commissione di garanzia, ai fini della eventuale deliberazione della sanzione amministrativa pecuniaria prevista dalla disposizione richiamata, ogni condotta, attiva od omissiva, in violazione dei precetti desumibili dalla disciplina che regolamenta tale astensione collettiva, tra cui anche il comportamento omissivo attuato da detti soggetti in violazione del dovere di dissociarsi pubblicamente ed in modo inequivoco da forme di protesta che, inserendosi nella rivendicazione di categoria indetta dalle associazioni e dagli organismi rappresentativi, siano esercitate senza il rispetto delle misure dirette a consentire l’erogazione delle prestazioni indispensabili al fine di garantire nei servizi pubblici essenziali il godimento di diritti della persona, costituzionalmente tutelati”.
Il giudice del rinvio provvedera’ anche alla regolazione delle spese.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese.
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