Intervento chirurgico ed elevata percentuale di rischio

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|23 settembre 2024| n. 25466.

Intervento chirurgico che presenta un’elevata percentuale di rischio

In caso di intervento chirurgico che presenta un’elevata percentuale di rischio di provocare conseguenze pregiudizievoli, ove sia accertato il nesso causale tra la condotta colposa del sanitario e i postumi permanenti riportati dal paziente, il danno deve essere risarcito integralmente, senza che possa procedersi ad una liquidazione parametrata alla perdita di chance di conseguire un risultato totalmente favorevole. (In applicazione del principio la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza che, in relazione ad un intervento che presentava una percentuale di rischio del 70%, aveva liquidato il danno riportato dalla paziente, in conseguenza della condotta gravemente superficiale del sanitario, nella misura del 30% dell’invalidità permanente conseguitane).

Ordinanza|23 settembre 2024| n. 25466. Intervento chirurgico che presenta un’elevata percentuale di rischio

Data udienza 17 giugno 2024

Integrale

Tag/parola chiave: Responsabilita’ civile – Causalita’ (nesso di) intervento chirurgico presentante elevata percentuale di rischio – Accertamento del nesso causale – Risarcimento integrale del danno – Necessità – Liquidazione parametrata alla perdita di chance di conseguire un risultato totalmente favorevole – Ammissibilità – Esclusione – Fattispecie – Intervento chirurgico che presenta un’elevata percentuale di rischio

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere

Dott. RUBINO Lina – Consigliere Rel.

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 20072/2022 R.G. proposto da:

Ce.Ro., Br.Gi., Ce.An., Ce.Pa., domiciliati ex lege in ROMA, PIAZZA CA. presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato GI.GI. (Omissis)

– ricorrenti –

Contro

GE.IT. Spa, elettivamente domiciliata in ROMA VIA DE.MO., presso lo studio dell’avvocato FR.TA. (Omissis) che la rappresenta e difende

– controricorrente –

nonché contro

Pa.Pi., domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA CA. presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato GI.DE. (Omissis)

– controricorrente –

nonché contro

CA.DI. Spa, elettivamente domiciliata in ROMA VIALE DE.MI., presso lo studio dell’avvocato PI.CO. (Omissis) che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ST.CO. (Omissis)

– controricorrente –

avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA n. 1487/2022 depositata il 28/06/2022.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17/06/2024 dal Consigliere LINA RUBINO.

Intervento chirurgico che presenta un’elevata percentuale di rischio

FATTI DI CAUSA

1.- Ce.Ro., Ce.An., Ce.Pa. e Br.Gi. propongono un motivo di ricorso per cassazione nei confronti di Pa.Pi., della CA.DI. Spa e delle GE.IT. Spa per la cassazione della sentenza n. 1487 del 2022, emessa dalla Corte d’Appello di Bologna, pubblicata in data 28 giugno 2022 e notificata il 4 luglio 2022.

2.- Resistono con distinti controricorsi il Pa.Pi., la Casa di cura e la GE.IT. Spa Tutte le parti controricorrenti hanno depositato memoria, puntualizzando che tutti gli altri capi della sentenza di merito, non toccati dal ricorso, sono comunque ormai passati in giudicato.

3.- Questa è la vicenda processuale per quanto ancora di interesse in questa sede:

– i ricorrenti convenivano in giudizio la casa di cura e il chirurgo, dott. Pa.Pi., esponendo che la Br.Gi., affetta da una neoformazione glomica ovvero da un tumore al terzo stadio sul glomo carotideo, veniva operata presso la casa di cura dal chirurgo dott. Pa.Pi., con una operazione condotta con assoluta superficialità, nel corso della quale subiva un infarto ischemico cerebrale da trombosi della carotide sx, con gravi conseguenze permanenti (per le quali l’INPS accertava una invalidità permanente totale e una inabilità lavorativa al 100%);

– chiedevano il risarcimento del danno non patrimoniale patito dalla paziente e dai prossimi congiunti, assumendo che l’operazione fosse stata affrontata con assoluta negligenza, imperizia e imprudenza.

Intervento chirurgico che presenta un’elevata percentuale di rischio

4.- Il Tribunale, previo espletamento di una CTU, accoglieva la domanda degli attori, accertava la responsabilità per inadempimento sia del chirurgo sia della casa di cura e li condannava in solido al risarcimento dei danni cagionati alla Br.Gi. nella misura di 498.285,36 Euro, ancorato ad una invalidità permanente, successiva all’esecuzione dell’intervento e alle complicazioni che ne erano derivate, pari al 60% del totale; li condannava inoltre a risarcire i danni ai Ce., prossimi congiunti della danneggiata principale, condannando le Assicurazioni Generali alla manleva.

5.- I ricorrenti proponevano appello principale per ottenere una più congrua liquidazione del danno non patrimoniale e il riconoscimento del diritto al risarcimento anche del danno patrimoniale; la casa di cura e il chirurgo proponevano a loro volta appello incidentale.

6.- La Corte d’Appello di Bologna con la sentenza qui impugnata rigettava l’appello principale spiegato dagli attuali ricorrenti, mentre accoglieva in parte l’appello incidentale proposto dalla casa di cura e dal chirurgo e, in riforma della sentenza di primo grado, condannava gli appellanti incidentali al risarcimento dei danni in favore della Br.Gi. nella minor somma di 149.484 euro, liquidando 36.000 Euro ciascuno a titolo di danno non patrimoniale per il marito e il figlio convivente e 24.000 Euro per la figlia non convivente. Rigettava invece l’appello principale spiegato dagli attuali ricorrenti.

Intervento chirurgico che presenta un’elevata percentuale di rischio

6.1.- Giungeva a questa diversa quantificazione del danno recuperando, valorizzando e ponendo a fondamento della propria motivazione alcune affermazioni contenute nella c.t.u. espletata in primo grado, secondo le quali il danno subito dalla donna per le modalità imprudenti e superficiali di esecuzione dell’intervento da parte del chirurgo era pari non all’intero equivalente monetario della invalidità permanente riportata a seguito dell’intervento ma alla perdita di chance della donna di sottoporsi ad un intervento consimile con pieno successo, chance che stima in misura non superiore al 25/30 % della invalidità permanente conseguente all’intervento, trattandosi comunque (anche se fosse stato eseguito con le dovute cautele) di intervento ad alto rischio.

La causa è stata avviata alla trattazione in camera di consiglio all’esito della quale il Collegio ha riservato la decisione nei successivi sessanta giorni.

Intervento chirurgico che presenta un’elevata percentuale di rischio

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo di ricorso proposto i signori Br.Gi. e Ce. denunciano la violazione e falsa applicazione degli articoli 1218 e 1228 c.c., nonché dell’articolo 7 della legge 8 Marzo 2017 n. 24, in riferimento al passaggio della sentenza impugnata che, pur confermando la responsabilità del chirurgo e della casa di cura e l’esistenza di postumi di invalidità permanente nella misura del 60%, liquida in favore della Br.Gi. non il danno biologico calcolato sulla base di quella percentuale di invalidità, ma il danno da perdita di chance di conseguire il pieno recupero funzionale a seguito dell’intervento chirurgico, ridimensionando in tal modo il risarcimento nella minor misura del 25/30% della somma liquidata in primo grado sulla base della invalidità effettivamente conseguente all’intervento chirurgico.

Sottolineano che la sentenza ha pienamente confermato la responsabilità del sanitario, integrata dalla superficialità con la quale aveva affrontato l’intervento chirurgico relativo a un tumore già al terzo stadio, di vaste dimensioni, che insisteva nella zona della carotide, per il quale avrebbe dovuto essere preventivamente eseguito uno studio angiografico sia della carotide sinistra sia della vascolarizzazione del circolo intracranico per scongiurare la ischemia poi verificatasi e ha confermato anche la mancata somministrazione di eparina sodica, che sarebbe stata necessaria per impedire la trombosi dell’arteria carotidea.

Censurano quindi il punto della sentenza impugnata in cui la Corte d’Appello, pur avendo pienamente confermato la responsabilità sanitaria, ritiene che il danno non debba essere qualificato come danno biologico da invalidità permanente come ha ritenuto il primo giudice ma piuttosto come danno da perdita di chance di integrale guarigione, in quanto il trattamento chirurgico del tumore glomico, anche se eseguito correttamente, consente una ripresa funzionale completa solo in un numero limitato di casi, per cui la Br.Gi. era comunque soggetta a un rischio elevato di andare incontro a danni neurologici.

Intervento chirurgico che presenta un’elevata percentuale di rischio

Il motivo è fondato.

La sentenza da un lato afferma che l’intervento di rimozione del tumore al terzo stadio era indispensabile ma anche che l’operazione necessaria per la sua asportazione presentava una elevata percentuale di rischio, del 70/75%. Al contempo, afferma che senza l’intervento chirurgico la paziente sarebbe andata incontro a morte sicura. Quindi, accerta la responsabilità del medico e della casa di cura per le modalità di esecuzione dell’intervento, ma ridetermina la misura del risarcimento del danno affermando che il pregiudizio effettivamente subito in conseguenza dell’errore medico dalla Br.Gi. non è pari all’equivalente economico della invalidità permanente del 60% riportata a seguito dell’intervento dalla paziente, ma la circoscrive in una misura più ridotta, rapportandola alla perdita di chance di conseguire un risultato totalmente favorevole, pari nella fattispecie in esame solamente al 25/30%.

Ritiene quindi che il comportamento negligente del sanitario abbia causato alla paziente un danno pari non all’intero equivalente monetario della invalidità permanente stabilizzatasi dopo l’operazione, ma solo al controvalore monetario delle chances perdute, pari al 30% dell’invalidità (pari al 60% del totale) derivante dall’operazione per la vittima principale, e ridetermina in proporzione il danno non patrimoniale spettante, estraendo il 70% dalla somma calcolata in primo grado e parametrata al 60% di invalidità permanente residuante.

La Corte d’Appello ritiene quindi di dover risarcire solo la percentuale di possibilità di conseguire il risultato sperato – individuato nella guarigione completa dal tumore senza alcuna conseguenza permanente – che la paziente ha perso in conseguenza della superficialità con la quale un chirurgo neppure specializzato in chirurgia vascolare ha affrontato un intervento così complesso.

Intervento chirurgico che presenta un’elevata percentuale di rischio

Il ragionamento non è corretto.

Nel caso di specie, si trattava effettivamente di un intervento complesso e rischioso, ma è stato accertato che è stata la negligenza del chirurgo a causare l’invalidità della paziente, perché sono state le carenze di diligenza e di cautele elementari che avrebbero dovuto essere adottate in relazione ad un intervento di siffatte caratteristiche che gli stessi giudici di merito hanno posto in connessione con i danni provocati alla paziente.

Spetta a chi agisce in giudizio provare che un determinato evento di danno è stato provocato dalla condotta negligente del sanitario, in applicazione dell’ordinario criterio di accertamento del nesso eziologico basato sulla regola del più probabile che non. Fornita questa prova, l’evento provocato dalla condotta del sanitario, sia esso la morte del paziente o un peggioramento della qualità della vita del paziente fondato su una invalidità permanente, non deve essere valutato in termini di perdita di chance ma soltanto di responsabilità medica e quindi, se è accertato il nesso causale tra il comportamento poco diligente del sanitario e il danno, il risarcimento deve essere liquidato nella sua pienezza, pari all’equivalente monetario del danno conseguenza, ovvero va liquidato l’intero danno effettivamente verificatosi, condannando a seconda dei casi i sanitari al risarcimento del danno da morte o da riduzione della durata della vita o da perdita di qualità della stessa o da invalidità permanente prodotta a causa della loro condotta imperita o negligente nella sua interezza.

Intervento chirurgico che presenta un’elevata percentuale di rischio

Si aggiunga che nel caso di specie gli attori non hanno mai chiesto il risarcimento dei danni in termini di perdita di chance, mentre in appello è stato liquidato il danno da perdita di chance senza che la danneggiata lo avesse mai chiesto, e senza quindi che il relativo thema decidendum fosse mai stato introdotto, ragionando come se il danno da perdita di chance fosse un minus del danno biologico “intero” piuttosto che una diversa tipologia di danno.

La sentenza quindi contiene un errore che si fonda, sostanzialmente, sulla obliterazione della alterità e della autonomia del danno biologico rispetto al danno da perdita di chance, che consiste nella perdita della seria e consistente possibilità di ottenere il risultato sperato, siano esse chances di sopravvivenza, o di sostenere una operazione senza riportare conseguenze permanenti, con l’ulteriore precisazione che l’accertamento del nesso di causa avente ad oggetto la perdita di “chance” di conseguire un risultato utile non richiede anche l’accertamento della concreta probabilità di conseguire il risultato stesso (sul danno da perdita di chance v. Cass. n. 28993 del 2019, Cass. n. 24050 del 2022, Cass. n. 26851 del 2023, Cass. n. 24050 del 2023).

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Il corretto ragionamento causale doveva essere volto invece ad accertare se i postumi permanenti conseguenti all’operazione, secondo la regola della regolarità causale, era più probabile che non che fossero frutto dell’accertato errore medico. Accertato ciò, la Corte d’Appello avrebbe dovuto liquidare in favore della paziente il risarcimento di tutto il danno conseguenza verificatosi, ovvero l’equivalente monetario del pregiudizio conseguente ai postumi permanenti dovuti alla non corretta esecuzione dell’operazione, mentre se non fosse stata accertata la sussistenza del rapporto causale tra il comportamento del medico e l’invalidità riportata dalla paziente, sulla base del criterio probabilistico, alla paziente non sarebbe spettato nulla.

Il motivo di ricorso va pertanto accolto, la sentenza è cassata e la causa è rinviata alla Corte d’Appello di Bologna in diversa composizione, che si atterrà ai principi indicati e provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

Intervento chirurgico che presenta un’elevata percentuale di rischio

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio, alla Corte d’Appello di Bologna in diversa composizione.

Così deciso nella camera di consiglio della Corte di cassazione il 17 giugno 2024.

Depositata in Cancelleria il 23 settembre 2024.

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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