L’infermiere riveste la qualità di incaricato di pubblico servizio

Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 10 marzo 2020, n. 9393

Massima estrapolata:

L’infermiere, in ragione dell’ attività espletata, riveste la qualità di incaricato di pubblico servizio, in quanto tale attività persegue finalità pubbliche di rilievo costituzionale, garantendo il diritto alla salute, ai sensi dell’art. 32 Cost. e, come evidenziato dall’art. 1 della L. 251/2000, si inscrive in un’attività diretta alla prevenzione, alla cura e salvaguardia della salute individuale e collettiva.
Tale inquadramento non risulta scalfito dal fatto che l’espletamento di tale attività sanitaria avvenga in strutture private accreditate ovvero che per essa si sia fatto ricorso a strumenti privatistici, o comunque che la disciplina del rapporto di lavoro sia retta dalle norme del codice civile, poiché
la rilevanza pubblica dell’attività svolta non risulta eliminata, siccome determinata dalle oggettive finalità di tutela e dal rapporto diretto e personale dell’infermiere con il malato.
Nel momento in cui l’infermiere redige la cartella infermieristica o compila le schede che la compongono – atti pubblici destinati a confluire nella cartella clinica – esercita anche un’attività amministrativa con poteri certificativi assimilabili a quelli del P.U., per cui la falsificazione dei suddetti atti integra i reati di cui agli artt. 476 e 479 cod. pen.
Solo quando l’attività svolta dagli infermieri- per la quale viene percepito un corrispettivo – risulti estranea alle attribuzioni di ufficio ed al particolare rapporto intercorrente con il malato, siccome compiuta nell’esercizio della loro professione sanitaria, può parlarsi di attività svolta da persone esercenti un servizio di pubblica necessità, la cui falsificazione è punita a norma dell’art. 481 cod. pen.

Sentenza 10 marzo 2020, n. 9393

Data udienza 16 dicembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORELLI Francesca – Presidente

Dott. DE GREGORIO Eduardo – Consigliere

Dott. PEZZULLO Rosa – rel. Consigliere

Dott. CATENA Rossella – Consigliere

Dott. BELMONTE Maria Teresa – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 11/12/2018 della CORTE APPELLO di SALERNO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ROSA PEZZULLO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore BIRRITTERI LUIGI;
Il Proc. Gen. conclude per l’inammissibilita’;
L’avv. (OMISSIS) si riporta alla memoria gia’ depositata e deposita conclusioni scritte e nota spese delle quali chiede la liquidazione;
L’avv. (OMISSIS) si riporta ai motivi e insiste per l’accoglimento.

RITENUTO IN FATTO

1.Con sentenza dell’11.12.2018 la Corte d’Appello di Salerno ha confermato la sentenza del Tribunale di Salerno del 20.06.2017 di condanna di (OMISSIS) e (OMISSIS) alla pena di mesi nove di reclusione, per i reati di cui agli articoli 81 cpv., 476 e 479 c.p. per avere entrambi, quali infermieri della casa di cura, (OMISSIS) s.p.a., il primo quale materiale esecutore ed il secondo quale istigatore, attestato falsamente nelle schede infermieristiche i valori della diuresi e delle verifiche posturali eseguite su alcuni pazienti, nonche’ il primo, sempre su istigazione del secondo, apponendo su tali schede anche la firma del secondo.
2. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati, a mezzo del difensore di fiducia, lamentando con due motivi:
-con il primo motivo, l’inosservanza o l’erronea applicazione della legge penale ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), avendo la Corte territoriale errato nel ritenere che i due imputati fossero investiti di funzioni pubblicistiche rilevanti ex articolo 357 c.p.: se cio’ puo’ valere per gli infermieri delle strutture pubbliche con riferimento alla compilazione delle cartelle cliniche, da considerarsi alla stregua di atti pubblici, a diversa soluzione deve pervenirsi relativamente alle cartelle redatte dal personale di strutture non accreditate con il servizio sanitario nazionale, assimilabili a mere scritture private, redatte e conservate al fine di promemoria dell’attivita’ svolta; da cio’ consegue l’insussistenza del reato contestato, potendosi al piu’ parlare del reato di cui all’articolo 485 c.p., depenalizzato;
-con il secondo motivo, la carenza, contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione del provvedimento impugnato, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e); invero la prova risulta travisata la prova, atteso che la teste (OMISSIS), esperta in grafologia, ha riconosciuto la falsita’ delle firme apposte a nome di (OMISSIS) sui fogli infermieristici, ma non ha riferito le stesse al (OMISSIS) e gli infermieri di turno al momento del fatto erano quattro; tali firme sono state ricondotte alla mano del (OMISSIS), considerato autore di queste, soltanto per la circostanza fortuita di essere stato colto nella disponibilita’ delle schede infermieristiche.
3. In data 9.12.2019 la Casa di Cura (OMISSIS) s.p.a., a mezzo del difensore, ha depositato memoria con la quale ha concluso per l’inammissibilita’ od infondatezza dei ricorsi, non confrontandosi con il nucleo delle argomentazioni della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

I ricorsi sono inammissibili, siccome manifestamente infondati.
1. Il primo motivo di ricorso e’ manifestamente infondato, atteso che gli imputati non si confrontano con la natura delle funzioni da essi esercitate e con la natura degli atti (schede infermieristiche) da essi falsamente redatte.
1.1. Ed invero, l’infermiere in ragione dell’attivita’ espletata, riveste la qualita’ di incaricato di pubblico servizio, in quanto tale attivita’ persegue finalita’ pubbliche di rilievo costituzionale, garantendo il diritto alla salute, ai sensi dell’articolo 32 Cost. e, come evidenziato dalla L. n. 251 del 2000, articolo 1 si inscrive appunto in un’attivita’ diretta alla prevenzione, alla cura e salvaguardia della salute individuale e collettiva.
1.2. Piu’ volte questa Corte ha evidenziato come debba essere riconosciuta la qualifica di incaricati di un pubblico servizio ad infermieri ed operatori tecnici addetti all’assistenza, con rapporto diretto e personale, del malato (Rv. 204520). Tale inquadramento non risulta scalfito dal fatto che l’espletamento di tale attivita’ sanitaria avvenga in strutture private accreditate (come quella nella quale si sono svolti i fatti, secondo l’elenco pubblicato dalla ASL di (OMISSIS)), ovvero che per essa si sia fatto ricorso a strumenti privatistici, o comunque che la disciplina del rapporto di lavoro sia retta dalle norme del codice civile, poiche’ la rilevanza pubblica dell’attivita’ svolta non risulta eliminata, siccome determinata dalle oggettive finalita’ di tutela e dal rapporto diretto e personale dell’infermiere con il malato (arg. ex. Sez. 2, n. 769 dell’11/11/2005, Rv. 232989).
Nel momento in cui l’infermiere redige la cartella infermieristica esercita anche un’attivita’ amministrativa con poteri certificativi assimilabili a quelli del P.U..
Solo quando l’attivita’ svolta dagli infermieri – per la quale viene percepito un corrispettivo, risulti estranea alle attribuzioni di ufficio ed al particolare rapporto intercorrente con il malato, siccome compiuta nell’esercizio della loro professione sanitaria – puo’ parlarsi di attivita’ svolta da persone esercenti un servizio di pubblica necessita’, la cui falsificazione e’ punita a norma dell’articolo 481 c.p..
1.3.Nel contesto indicato correttamente agli imputati sono stati ascritti i reati di cui agli articoli 476 e 479 c.p. per le false attestazioni descritte nelle imputazioni, proprio perche’, come accennato, l’incaricato di un pubblico servizio, nel momento in cui compila la cartella infermieristica o le schede che la compongono – atti pubblici destinati a confluire nella cartella clinica, per quanto si dira’ esercita poteri certificativi connessi alla sua attivita’, che si esplicano attraverso il rilascio di documenti aventi efficacia probatoria. Peraltro, la disposizione dell’articolo 493 c.p. non dilata l’area degli atti pubblici (sono tali solo quelli formati nell’esercizio di una pubblica funzione), ma equipara quelli redatti dagli incaricati di un pubblico servizio agli atti pubblici, estendendo ai primi la tutela penale predisposta per i secondi.
1.4. La cartella infermieristica e le schede che la compongono, contiene la registrazione dei dati, dei rilievi effettuati, delle informazioni raccolte, e l’insieme dei documenti di pertinenza infermieristica in relazione ad un determinato paziente, contribuendo ad assicurare il piano di assistenza personalizzato dello stesso. La cartella infermieristica e le schede che di essa fanno parte e’ componente integrante della cartella clinica, in quanto completa la documentazione sanitaria del paziente e andra’ ricongiunta con l’archiviazione, ad essa. Costituendo, dunque, parte integrante della cartella clinica ne condivide la natura di atto pubblico munito di fede privilegiata (Sez. 5, n. 31858 del 16/04/2009 Rv. 244907), con riferimento alla sua provenienza e ai fatti da questi attestati come avvenuti in presenza dell’autore.
Le false attestazioni circa i valori della diuresi e delle verifiche posturali dei pazienti apposte nelle schede infermieristiche oggetto di contestazione devono dunque ritenersi ideologicamente false, ai sensi degli articoli 476-479 c.p..
2. Manifestamente infondato si presenta il secondo motivo di ricorso, circa la non riferibilita’ al (OMISSIS) delle false annotazioni e firme apposte a nome di ” (OMISSIS)” sui fogli infermieristici. In proposito, i ricorrenti non si confrontano con quanto evidenziato nella sentenza impugnata, che ha ritenuto corretto il percorso logico seguito dal primo giudice, in merito alla riferibilita’ ad entrambi gli imputati delle false attestazioni contestate. In proposito, quanto al (OMISSIS), la Corte territoriale, senza incorrere in vizi, ha ritenuto l’imputato autore materiale dei falsi sulla base: 1) delle dichiarazioni rese dalla Dott.ssa (OMISSIS), medico in servizio presso la Casa di Cura, la quale ebbe a sorprendere il (OMISSIS) con le schede tra le mani, e insospettitasi provvedeva a controllare uno dei pazienti ricoverati, verificando cosi’ che la quantita’ urine raccolte nella sacca era diversa da quella riportata nella scheda; inoltre, risultava gia’ annotato il dato della diuresi del paziente in ordine alle ore notturne, pero’ ancora non trascorse, mentre la firma apposta sulla scheda era quella del (OMISSIS), ancora non in servizio; 2) dell’accertamento grafologico dal quale e’ emersa la falsita’ delle annotazioni apposte sulle schede a firma del (OMISSIS); 3) delle ammissioni degli stessi imputati, che hanno confermato nelle lettere di risposta alla contestazione disciplinare i fatti oggetto di imputazioni, tanto che il giudice del lavoro ha ritenuto sussistente la giusta causa di licenziamento. A fronte di tali valutazioni il (OMISSIS) ha sviluppato censure del tutto generiche e pertanto inammissibili. Sul punto vale la pena richiamare i principi piu’ volte espressi da questa Corte, secondo cui i motivi devono ritenersi generici non solo quando risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresi’ quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato. (Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013).
3. Alla declaratoria di inammissibilita’ segue per legge la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonche’, trattandosi di causa di inammissibilita’ riconducibile a colpa dei ricorrenti (Corte Costituzionale n. 186 del 7-13 giugno 2000), al versamento a favore della Cassa delle Ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare per ciascuno in Euro tremila a favore della Cassa delle Ammende, oltre alla rifusione delle spese della parte civile liquidate in complessivi Euro tremilacinquecento oltre accessori.

P.Q.M.

dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila ciascuno a favore della Cassa delle Ammende, oltre alla rifusione delle spese della parte civile liquidate in complessivi Euro tremilacinquecento oltre accessori.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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