Corte di Cassazione, sezione terza civile, Ordinanza, 3 marzo 2020, n. 5968.
La massima estrapolata:
La clausola del contratto di locazione che esclude la corresponsione di un’indennità per i miglioramenti in favore del conduttore non è da ricomprendere tra quelle che prevedono una limitazione di responsabilità della controparte che l’abbia predisposta, non incidendo sulle conseguenze della colpa o dell’eventuale inadempimento di quest’ultimo, agendo bensì sul diritto sostanziale, escludendo l’indennità per i miglioramenti previsti, dall’art. 1592 cod. civ. con norma derogabile
Ordinanza|3 marzo 2020| n. 5968
Data udienza 4 dicembre 2019
Tag – parola chiave
Locazione – Contratto di subconcessione – Risoluzione – Inadempimento – Pagamento canoni scaduti – Mancato conseguimento titoli amministrativi per lo svolgimento di attività convenute nel contratto – Inadempimento del locatore – Configurabilità – Condizioni
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ARMANO Uliana – Presidente
Dott. SESTINI Danilo – Consigliere
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere
Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 8117-2018 proposto da:
(OMISSIS) SOC. COOP. AGRICOLA, in persona del legale rappresentante pro tempore (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) SRL in persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione e legale rappresentante p.t. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS) C/O STUDIO (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 5032/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 22/12/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/12/2019 dal Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI.
FATTO E DIRITTO
Rilevato che, con sentenza resa in data 22/12/2017, la Corte d’appello di Napoli, in accoglimento dell’appello proposto dalla (OMISSIS) s.r.l. ( (OMISSIS)), e in riforma della decisione di primo grado, per quel che ancora rileva in questa sede, ha rigettato la domanda proposta dalla (OMISSIS) soc. coop. agricola per la pronuncia della risoluzione del contratto di subconcessione concluso tra le parti per inadempimento della (OMISSIS) (quale subconcedente), contestualmente condannando la (OMISSIS) al pagamento, in favore della (OMISSIS), dei canoni scaduti e non corrisposti;
che, a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale, discostandosi da quanto sostenuto dal primo giudice e dalla cooperativa subconcessionaria, ha evidenziato come, rispetto alla questione relativa all’eventuale ricorso, a carico dell’immobile locato, di vizi rilevanti ai sensi dell’articolo 1578 c.c., assumesse carattere assorbente la circostanza consistita nell’avvenuta espressa assunzione, da parte della societa’ conduttrice, di ogni responsabilita’, onere o rischio, in relazione al mancato rilascio delle autorizzazioni amministrative necessarie per lo svolgimento dell’attivita’ cui l’immobile locato sarebbe stato destinato, da tanto sollevando la posizione contrattuale della (OMISSIS);
che, conseguentemente, nessuna responsabilita’ poteva essere ascritta alla (OMISSIS), secondo quanto preteso dalla conduttrice, alla quale, sotto altro profilo, neppure avrebbe potuto riconoscersi alcuna indennita’ per i lavori eseguiti all’interno dell’immobile locato, avendo la stessa conduttrice espressamente e formalmente rinunziato ad ogni rimborso o indennita’ con riferimento a detti lavori;
che, infine, avendo la (OMISSIS) conservato la detenzione dell’immobile fino alla scadenza del rapporto contrattuale, la stessa doveva essere condannata al pagamento, in favore di controparte, di tutti canoni alla stessa non corrisposti;
che, avverso la sentenza d’appello, la (OMISSIS) soc. coop. agricola propone ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi d’impugnazione;
che la (OMISSIS) s.r.l. resiste con controricorso;
che entrambe le parti hanno depositato memoria;
considerato che, con il primo motivo, la societa’ ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’articolo 1578 c.c. (in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente escluso che l’inidoneita’ dell’immobile locato al conseguimento delle autorizzazioni amministrative necessarie per lo svolgimento delle attivita’ convenute nel contratto di locazione non integrasse la fattispecie del vizio della cosa locata rilevante ai sensi dell’articolo 1578 c.c., tale da legittimare la conduttrice alla richiesta di risoluzione del contratto e di risarcimento del danno;
che il motivo e’ inammissibile;
che, al riguardo, osserva il Collegio come la ricorrente abbia prospettato il vizio in esame senza cogliere in modo specifico la ratio individuata dal giudice a quo a sostegno della decisione assunta;
che, sul punto, varra’ richiamare il principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale, il motivo d’impugnazione e’ rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo e’ regolato dal legislatore, delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione e’ erronea, con la conseguenza che, siccome per denunciare un errore occorre identificarlo (e, quindi, fornirne la rappresentazione), l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale puo’ considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali e’ esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa e’ errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito, considerarsi nullo per inidoneita’ al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per Cassazione tale nullita’, risolvendosi nella proposizione di un non motivo, e’ espressamente sanzionata con l’inammissibilita’ ai sensi dell’articolo 366 c.p.c., n. 4 (Sez. 3, Sentenza n. 359 del 11/01/2005, Rv. 579564 – 01);
che, nel caso di specie, varra’ rilevare come la corte territoriale abbia deciso la controversia in esame (cfr. pp. 8-9 della sentenza impugnata) richiamandosi espressamente all’insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale, in tema di rapporto locatizio, quando il conduttore, essendo a conoscenza della destinazione d’uso dell’immobile locato nel momento in cui al contratto venne data attuazione e, quindi, anche dell’inidoneita’ dello stesso a realizzare il proprio interesse, abbia accettato il rischio economico dell’impossibilita’ di utilizzazione dell’immobile stesso come rientrante nella normalita’ dell’esecuzione della prestazione, non sussistono i requisiti per la risoluzione del contratto ai sensi dell’articolo 1578 c.c., poiche’, in tal caso, il mancato rilascio di concessioni, autorizzazioni o licenze amministrative relative alla destinazione d’uso dell’immobile locato non e’ di ostacolo alla valida costituzione del rapporto di locazione, sempre che vi sia stata, da parte del conduttore, concreta utilizzazione del bene secondo la destinazione d’uso convenuta (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 1398 del 21/01/2011, Rv. 616382 – 01; cfr. altresi’ Sez. 3, Sentenza n. 14659 del 15/10/2002 Rv. 557918 – 01);
che, cio’ posto, la corte territoriale ha avuto cura di evidenziare, tanto l’avvenuta dimostrazione della consapevolezza, da parte della (OMISSIS), della concreta destinazione dell’immobile locato a un settore merceologico diverso da quello (alimentare) cui lo stesso avrebbe dovuto essere destinato a seguito della conclusione del contratto oggetto dell’odierno esame, quanto l’avvenuta espressa assunzione, da parte della societa’ conduttrice, del rischio economico legato all’eventuale impossibilita’ di utilizzazione dell’immobile in ragione della mancata acquisizione, o del mancato rilascio, dei titoli amministrativi a tal fine necessari (cfr. pp. 8-9 della sentenza impugnata);
che, conseguentemente, l’odierno motivo di ricorso, nella misura in cui torna a dolersi della sentenza impugnata per avere la corte d’appello escluso la riconducibilita’ della circostanza consistita nel mancato rilascio delle autorizzazioni amministrative necessarie per lo svolgimento delle attivita’ convenute nel contratto di locazione alla fattispecie del vizio della cosa locata (rilevante ai sensi dell’articolo 1578 c.c.), dimostra di non essersi punto confrontata con la decisione impugnata, con la conseguente inammissibilita’ della censura per le specifiche ragioni in precedenza indicate;
che, peraltro, varra’ ulteriormente rilevare l’avvenuta espressa considerazione, da parte della corte d’appello, delle circostanze secondo cui: 1) la societa’ locatrice non avesse assunto contrattualmente alcuno specifico obbligo in ordine all’eventuale rilascio dei titoli amministrativi indispensabili all’uso dell’immobile locato (cosi’ come convenuto dalle parti); 2) la mancanza di detti titoli non fosse dipesa da caratteristiche proprie del bene locato (tali da impedirne in radice il rilascio) (v. p. 9 della sentenza impugnata); 3) la societa’ conduttrice era rimasta nella disponibilita’ dell’immobile locato sino alla scadenza del contratto (cfr., ivi, pag. 12);
che, sulla base di tali considerazioni, del tutto correttamente il giudice a quo ha escluso alcuna responsabilita’ contrattuale della societa’ subconcedente, trovando applicazione al caso di specie l’insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale, in caso di mancato conseguimento dei titoli amministrativi necessari per lo svolgimento delle attivita’ convenute nel contratto di locazione, l’inadempimento del locatore puo’ configurarsi nei soli casi in cui lo stesso abbia espressamente assunto l’obbligo specifico di ottenere detti titoli, ovvero quando il relativo mancato conseguimento sia dipeso da carenze intrinseche o da caratteristiche proprie del bene locato (si’ da impedirne in radice il rilascio), restando invece escluso allorche’ il conduttore abbia conosciuta e consapevolmente accettata l’assoluta impossibilita’ di ottenerli (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 20848 del 21/8/2018, non massimata; Sez. 3, Sentenza n. 15377 del 26/07/2016, Rv. 641148 – 01);
che, con il secondo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’articolo 2697 c.c. (in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto di imporre, all’ambito degli oneri probatori della societa’ conduttrice, la dimostrazione del carattere definitivo del diniego delle autorizzazioni amministrative necessarie allo svolgimento delle attivita’ programmate nell’immobile locato, avendo, peraltro, detta societa’, comunque pienamente comprovato detto carattere definitivo in forza del complesso degli elementi di prova offerti alla valutazione dei giudici del merito;
che il motivo e’ inammissibile per carenza di interesse;
che, al riguardo, osserva il Collegio come, pur quando la corte d’appello avesse errato nel ritenere non definitivo il diniego delle autorizzazioni amministrative per lo svolgimento delle attivita’ previste nel contratto di locazione, comunque permarrebbe la decisiva incidenza della circostanza – gia’ in precedenza illustrata – riferita all’avvenuta assunzione unilaterale, da parte della societa’ conduttrice, del rischio economico del mancato rilascio di dette autorizzazioni, cosi’ come in precedenza rilevato;
che, pertanto, nessun concreto rilievo e’ destinata a rivestire, ai fini della decisione dell’odierna controversia, la circostanza che il rilascio delle autorizzazioni necessarie allo svolgimento delle attivita’ previste nel contratto di locazione in esame avesse o meno carattere definitivo, attesa l’avvenuta assunzione unilaterale, da parte della societa’ conduttrice, del rischio economico conseguente al relativo mancato rilascio (anche definitivo);
che, con il terzo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli articoli 1362, 1363 e 1367 c.c., ovvero, in subordine, per violazione dell’articolo 1579 c.c. (in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente interpretato gli accordi conclusi tra le parti in relazione all’assunzione, da parte della societa’ conduttrice, di ogni responsabilita’ o rischio in relazione al mancato rilascio delle autorizzazioni necessarie all’esercizio dell’attivita’ convenuta in contratto, in contrasto con la reale intenzione delle parti e l’oggettivo significato dei termini utilizzati, anche ai sensi del canone ermeneutico di cui all’articolo 1367 c.c., dovendo in ogni caso ritenersi esclusa, quantomeno ai sensi dell’articolo 1579 c.c., l’efficacia di tale patto di esclusiva assunzione del rischio da parte della conduttrice, siccome diretto escludere o a limitare la responsabilita’ del locatore per i vizi della cosa, in presenza di malafede del locatore, ovvero di impossibile godimento del bene locato;
che il motivo e’ infondato;
che preliminarmente, osserva il Collegio come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimita’, l’interpretazione degli atti negoziali deve ritenersi indefettibilmente riservata al giudice di merito ed e’ censurabile in sede di legittimita’ unicamente nei limiti consentiti dal testo dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, ovvero nei casi di violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale, ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 3;
che in tale ultimo caso, peraltro, la violazione denunciata chiede d’essere necessariamente dedotta con la specifica indicazione, nel ricorso per cassazione, del modo in cui il ragionamento del giudice di merito si sia discostato dai suddetti canoni, traducendosi altrimenti, la ricostruzione del contenuto della volonta’ delle parti, in una mera proposta reinterpretativa in dissenso rispetto all’interpretazione censurata; operazione, come tale, inammissibile in sede di legittimita’ (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 17427 del 18/11/2003, Rv. 568253);
che, nel caso di specie, l’odierna societa’ ricorrente si e’ limitata ad affermare, in modo inammissibilmente apodittico, il preteso tradimento, da parte dei giudici di merito, della comune intenzione delle parti (ai sensi dell’articolo 1362 c.c.), nonche’ la scorrettezza dell’interpretazione complessiva attribuita ai termini dell’atto negoziale (ex articoli 1363 e 1367 c.c.), orientando l’argomentazione critica rivolta nei confronti dell’interpretazione della corte territoriale, non gia’ attraverso la prospettazione di un’obiettiva e inaccettabile contrarieta’, a quello comune, del senso attribuito ai testi e ai comportamenti negoziali interpretati, o della macroscopica irrazionalita’ o intima contraddittorieta’ dell’interpretazione complessiva dell’atto, bensi’ attraverso l’indicazione degli aspetti della ritenuta non condivisibilita’ della lettura interpretativa criticata, rispetto a quella ritenuta preferibile, in tal modo travalicando i limiti propri del vizio della violazione di legge (ex articolo 360 c.p.c., n. 3) attraverso la sollecitazione della corte di legittimita’ alla rinnovazione di una non consentita valutazione di merito;
che, sul punto, e’ appena il caso di rilevare come la corte territoriale abbia proceduto alla lettura e all’interpretazione del contratto in esame nel pieno rispetto dei canoni di ermeneutica fissati dal legislatore, non ricorrendo ad alcuna attribuzione di significati estranei al comune contenuto semantico delle parole, ne’ spingendosi a una ricostruzione del significato complessivo dell’atto negoziale in termini di palese irrazionalita’ o intima contraddittorieta’, per tale via giungendo alla ricognizione di un contenuto negoziale sufficientemente congruo, rispetto al testo interpretato, e del tutto scevro da residue incertezze, si’ da sfuggire integralmente alle odierne censure avanzate dalla ricorrente in questa sede di legittimita’;
che, sotto altro profilo, varra’ considerare la radicale infondatezza della prospettazione concernente l’accertamento dei presupposti per l’applicazione dell’articolo 1579 c.c. (di la’ dall’assorbente e decisiva considerazione dell’inammissibile novita’ della relativa deduzione per la prima volta in questa sede di legittimita’), non essendo in alcun modo emerso il ricorso della malafede del locatore, o la circostanza dell’impossibilita’ di godimento del bene locato, essendo rimasto piuttosto confermato il rilievo della conservata detenzione del bene locato, da parte della societa’ conduttrice, fino al termine del rapporto;
che, con il quarto motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’articolo 1229 c.c. (in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente disatteso la domanda della conduttrice diretta al conseguimento delle indennita’ per i lavori di adeguamento dell’immobile locato senza avvedersi della contrarieta’, del patto con il quale la conduttrice aveva rinunziato a ogni rimborso al riguardo, al disposto dell’articolo 1229 c.c. nella parte in cui sancisce la nullita’ della clausola che escluda o limiti preventivamente la responsabilita’ del debitore per dolo o colpa grave;
che il motivo e’ infondato;
che, sul punto, osserva il Collegio come al negozio in esame (riferito alla preventiva rinuncia, da parte della societa’ subconcessionaria, di alcuna indennita’ per i lavori di adeguamento dell’immobile locato) non risulti in alcun modo applicabile la fattispecie di cui all’articolo 1229 c.c., non emergendo il ricorso di alcuna preventiva limitazione di responsabilita’ della societa’ concedente per dolo o colpa grave in relazione all’impegno in esame;
che, al riguardo, secondo l’insegnamento della giurisprudenza di legittimita’, la clausola del contratto di locazione che esclude la corresponsione di un’indennita’ per i miglioramenti in favore del conduttore non e’ da ricomprendere tra quelle che prevedono una limitazione di responsabilita’ della controparte che l’abbia predisposta, non incidendo sulle conseguenze della colpa o dell’eventuale inadempimento di quest’ultimo, agendo bensi’ sul diritto sostanziale, escludendo l’indennita’ per i miglioramenti previsti, dall’articolo 1592 c.c. con norma derogabile (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 10425 del 18/07/2002, Rv. 555891 – 01);
che, sulla base delle considerazioni che precedono, rilevata la complessiva infondatezza delle censure esaminate, dev’essere pronunciato il rigetto del ricorso, cui segue la condanna della societa’ ricorrente al rimborso, in favore della societa’ controricorrente, delle spese del presente giudizio, secondo la liquidazione di cui al dispositivo;
che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dell’articolo 1-bis, dello stesso articolo 13.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimita’, liquidate in complessivi Euro 3.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dell’articolo 1-bis, dello stesso articolo 13
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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