Incertezza del quadro normativo di riferimento o la complessità della situazione di fatto

Consiglio di Stato, Sezione terza, Sentenza 17 gennaio 2020, n. 413

La massima estrapolata:

L’incertezza del quadro normativo di riferimento o la complessità della situazione di fatto, integrano gli estremi dell’errore scusabile, idoneo ad escludere la colpa della P.A.

Sentenza 17 gennaio 2020, n. 413

Data udienza 5 dicembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5772 del 2017, proposto da
Al. We. Lo. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Lu. Do., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio A. Pl. Srl in Roma, via (…);
contro
Regione Puglia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Ma. Gr., con domicilio eletto presso gli uffici della Delegazione della Regione Puglia in Roma, via (…);
nei confronti
Comune di (omissis) ed altri, non costituiti in giudizio;
L’A. Società Cooperativa Sociale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati St. Or., St. St., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Si. Pa. in Roma, corso (…);
per la riforma
della sentenza del T.A.R. Puglia – Sezione staccata di Lecce, Sezione II, n. 165/2017, resa tra le parti, concernente il parere negativo sulla verifica di compatibilità con il fabbisogno regionale per la realizzazione di un centro semiresidenziale per minori;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Puglia e di L’A. Società Cooperativa Sociale;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 5 dicembre 2019 il Cons. Stefania Santoleri e uditi per le parti gli avvocati Lu. Do., Ma. Gr., St. Or. e St. St.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con il ricorso di primo grado, proposto dinanzi al TAR per la Puglia, Sezione staccata di Lecce, la società ricorrente ha impugnato il parere negativo prot. n. AOO_151/411/2016 del 18 gennaio 2016 reso dalla Regione Puglia – Servizio Programmazione Assistenza Ospedaliera e Specialistica e Accreditamento – sulla sua istanza di compatibilità con il fabbisogno regionale, ex art. 8-ter del d.lgs. n. 502/92 e art. 7 L.R. n. 8/04, per la realizzazione di una struttura da destinarsi a “Centro semiresidenziale terapeutico per minori” per 20 posti letto e una struttura da destinarsi a “Centro residenziale terapeutico per minori” per 10 posti letto.
Nel ricorso di primo grado la ricorrente ha denunciato vari profili di illegittimità di tale determinazione regionale.
Con la sentenza n. 165/2017 il TAR ha respinto il ricorso.
Avverso tale decisione la ricorrente ha proposto appello chiedendone la riforma.
Si sono costituite per resistere al ricorso la Regione Puglia e la Cooperativa Sociale L’A. depositando scritti difensivi.
Con ordinanza n. 4041/2017 l’istanza cautelare, proposta unitamente all’atto di appello, è stata rigettata.
Con istanza ex art. 58 c.p.a. dell’11 marzo 2019 l’appellante ha chiesto la revoca della precedente ordinanza cautelare n. 4041/2017 sulla base di elementi nel frattempo sopravvenuti.
Le controparti hanno depositato memorie e documenti in merito a tale nuova istanza chiedendone il rigetto.
Alla camera di consiglio del 9 maggio 2019, fissata per la decisione di tale istanza cautelare, la causa è stata rinviata al merito.
Le parti hanno depositato scritti difensivi in prossimità dell’udienza di discussione.
All’udienza pubblica del 5 dicembre 2019 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. – L’appello è infondato e va, dunque, respinto.
E’ opportuno ripercorrere brevemente la vicenda che ha dato origine al presente contenzioso.
1.1 – Con istanza prot. n. 8669 del 4 giugno 2014 la società Al. We. Lo. (in seguito Al.) ha presentato al Comune di (omissis) l’istanza – corredata dalla necessaria documentazione – diretta ad ottenere l’autorizzazione alla realizzazione di un Centro residenziale e di un Centro semiresidenziale per minori ex R.R. n. 9/2014 nel Comune di (omissis).
Tale istanza è stata trasmessa alla Regione – per il rilascio del parere di compatibilità con il fabbisogno regionale – con nota prot. 8770 del 5 giugno 2014 assunta al prot. regionale n. 2967 del 10 giugno 2014.
1.2 – Prima della domanda della società Al. era stata presentata analoga istanza da parte della Provincia della Natività della Beata Vergine dell’Ordine della S.S. Trinità, diretta alla realizzazione di altra struttura similare presso il Comune di (omissis); tale istanza, protocollata presso il Comune di (omissis) con il numero 3604 del 16 aprile 2010, era stata trasmessa alla Regione con nota prot. 5801 del 16 giugno 2010, ricevuta il 1/7/2010 prot. n. 3135.
1.3 – Con istanze prot. n. 20337 e 20340 del 22 novembre 2010 erano state presentate analoghe richieste dalla società cooperativa L’A. per la realizzazione di simili strutture nello stesso Comune di (omissis); tali istanze erano state trasmesse alla Regione Puglia dal Comune di (omissis) solo con nota prot. 1560 del 6 ottobre 2014; società richiedente aveva però presentato tali domande non solo al Comune di (omissis), ma anche direttamente alla Sezione competente della Regione Puglia con note prot. 1233/10 e 1235/2010, e tali istanze erano state iscritte al protocollo regionale in data 23/11/2010.
Di fatto, le richieste dalla soc. coop. L’A. erano pervenute alla Sezione competente della Regione Puglia fin dall’anno 2010, ben prima che pervenissero in via amministrativa, nel 2014, in quanto trasmesse dal Comune di (omissis), ai sensi dell’art. 7 del Reg. Reg. n. 8/2004.
La soc. coop. L’A., avendo trasmesso alla Regione la propria istanza fin dall’anno 2010, e dunque prima del 7 novembre 2013 che costituisce lo “spartiacque” per la disamina delle domande aventi il diritto di priorità ai sensi della DGR n. 2037 del 7 novembre 2013, aveva più volte sollecitato al Regione Puglia a darvi seguito.
Il riconoscimento del “diritto di priorità ” nell’esame della domanda aveva particolare rilievo, tenuto conto che, in base alla programmazione (DGR n. 2689 del 16/12/2014) per il territorio cui afferivano le domande in questione (ASL Lecce – Area Sud), il fabbisogno prevedeva la realizzazione di una sola struttura residenziale e non residenziale per minori.
2. – Nel frattempo la società Al. aveva proposto ricorso avverso il silenzio prestato dal Comune di (omissis) sulla propria istanza di rilascio dell’autorizzazione; in seno a quel giudizio era emersa la problematica relativa la mancato rilascio del parere sulla compatibilità con il fabbisogno regionale da parte della Regione Puglia, in considerazione della “annosa e complessa vicenda che riguardava la realizzazione (e relativa richiesta di verifica comunale) di una struttura residenziale e semiresidenziale per minori presentata (2010) da altro operatore al Comune di (omissis) antecedentemente a quella di cui si discute” (e cioè quella della soc. coop. L’A.).
2.1 – Il TAR, dopo aver acquisito chiarimenti sulla vicenda, aveva respinto il ricorso avverso il silenzio prestato dal Comune di (omissis).
2.2 – La ricorrente aveva impugnato, quindi, il silenzio prestato dalla Regione Puglia.
2.3 – Nelle more del giudizio, quest’ultima ha adottato il parere negativo del 18 gennaio 2016, con cui ha espresso parere negativo sulla domanda della società Al., sostenendo che dovevano essere esaminate con ordine di priorità la domanda della Provincia della Natività della Beata Vergine dell’Ordine della S.S. Trinità, in eventuale concorrenza con quella dell’A., e che entrambe erano conformi al fabbisogno allocativo nonché ai requisiti e/o indicazioni di preferenza di cui al R.R. 14/2014; il giudizio di compatibilità reso in favore dell’una o dell’altra domanda avrebbe saturato il fabbisogno regionale per l’Area Sud della ASL di Lecce.
Tale atto è stato impugnato dalla società Al. con il ricorso di primo grado.
3. – Con la sentenza appellata, il ricorso è stato respinto.
4. – Con il primo motivo di appello l’appellante ha reiterato la doglianza di contraddittorietà nel comportamento della Regione, dedotta in primo grado e respinta dal TAR: ha dedotto, infatti, che la Regione prima avrebbe sostenuto di dover attendere il parere dell’Avvocatura Regionale e poi, contraddittoriamente, si sarebbe pronunciata sulla questione controversa.
Pur riconoscendo che tale parere non sarebbe stato obbligatorio e vincolante, come ritenuto dal TAR, nondimeno, l’appellante sostiene che la condotta sarebbe stata comunque contraddittoria.
4.1 – La censura è infondata.
Correttamente il TAR ha rilevato che il parere in questione ha natura endoprocedimentale (trattandosi di una mera consulenza legale) e non ha portata né obbligatoria né vincolante: è del tutto evidente che in tale situazione l’Amministrazione ben poteva decidere senza attendere la consulenza dell’Avvocatura della Regione, tanto più quando era stata la stessa Avvocatura regionale a invitare, con la nota del 28 dicembre 2015, l’Amministrazione regionale a concludere il procedimento esprimendosi sul parere di compatibilità, essendo pendente il giudizio avverso il silenzio rifiuto.
Ne consegue che non è configurabile alcun vizio di contraddittorietà tra le determinazioni della Regione Puglia.
La doglianza va, quindi, respinta.
5. – Con il secondo motivo l’appellante ha censurato il capo di sentenza con cui il TAR ha ritenuto soddisfatto il fabbisogno in ragione della mera presentazione di richieste da parte dei Comuni del c.d. parere di compatibilità, piuttosto che per l’effettivo rilascio del medesimo parere.
5.1 – Con il terzo motivo ha poi aggiunto che il TAR non avrebbe considerato la priorità della propria domanda (protocollata il 15 giugno 2014) rispetto alle altre.
A questo proposito ha sostenuto che ciò che rileverebbe, ai fini della valutazione della priorità della domanda, sarebbe la data di protocollo della richiesta comunale del parere di conformità, e non la data di presentazione della domanda al Comune: la data di protocollazione della sua istanza (15 giugno 2014) sarebbe antecedente a quella presentata dalla soc. coop L’A., protocollata solo il 6 ottobre 2014.
5.2 – Quanto alla domanda trasmessa dal Comune di (omissis) nel 2010, relativa alla Provincia della Natività, con il quarto motivo l’appellante ha sostenuto che tale istanza dovrebbe ritenersi implicitamente rinunciata a causa della mancata impugnazione del silenzio-inadempimento formatosi su di essa: l’obbligo di provvedere su tale istanza sussisterebbe per la P.A. finché la parte può chiedere, in sede giurisdizionale, l’accertamento dell’obbligo di provvedere e, quindi, non oltre un anno dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento (termine nel frattempo trascorso).
La mancata impugnazione del silenzio-inadempimento dimostrerebbe, secondo l’appellante, la perdita di interesse ad ottenere l’autorizzazione ed avrebbe, quindi, valore di rinuncia implicita al suo rilascio.
5.4 – Con il quinto motivo ha invece sostenuto l’erroneità della sentenza per aver ritenuto ammissibili le istanze autorizzative proposte dalla Provincia della Natività e dalla soc. coop L’A. in applicazione del R.R.. n. 9/2010 successivamente modificato dal R.R. n. 9/2014.
6. – Tali doglianze (seconda, terza, quarta e quinta) che possono essere esaminate congiuntamente, in quanto tra loro connesse, sono infondate.
6.1 – Innanzitutto occorre rilevare che – secondo la programmazione regionale – il fabbisogno regionale per l’Area Sud della ASL di Lecce prevedeva la realizzazione di un’unica struttura residenziale e semiresidenziale per minori; inoltre, in base alla previsione della DGR n. 2037/2013, la Regione era tenuta ad esaminare con priorità le richieste comunali presentate prima del 7 novembre 2013.
La domanda dell’appellante pacificamente non ricadeva nel regime “prioritario”, essendo stata presentata nell’anno 2014.
Nel regime prioritario ricadeva sicuramente la domanda inoltrata dalla Provincia della Natività nel 2010 ed, eventualmente, anche la domanda della soc. coop. L’A., presentata nel 2010 al Comune di (omissis), trasmessa dall’interessata agli uffici regionali competenti nello stesso anno 2010, ma pervenuta in via amministrativa alla Regione solo nell’ottobre 2014 a causa del ritardo imputabile al Comune di (omissis).
6.2 – In merito alla domanda della Provincia della Natività, la tesi dell’appellante secondo cui tale domanda doveva ritenersi rinunciata a causa della mancata impugnazione del silenzio inadempimento, non può essere condivisa: l’Amministrazione può concludere il procedimento anche dopo la scadenza del termine per esso previsto, in quanto il decorso del termine non determina la consumazione del potere.
L’omessa attivazione di strumenti processuali da parte del soggetto che presenta un’istanza alla P.A. non comporta per l’Amministrazione la perdita del potere e del dovere di provvedere (cfr. Cons. Stato. A.P. n. 5/2018), né può determinare la qualificazione come rinunzia all’istanza da parte dell’interessato, il quale può semplicemente confidare nel rispetto dell’obbligo previsto dall’art. 2 della L. n. 241/90 di conclusione del procedimento da parte dell’Amministrazione.
La mancata attivazione di rimedi processuali può rilevare ai soli fini risarcitori, ai sensi degli artt. 1227 c.c. e 30, comma 3, c.p.a.
Ne consegue che la domanda presentata dalla Provincia della Natività doveva ritenersi sicuramente prioritaria rispetto a quella della società Al..
6.3 – Per quanto concerne, invece, la domanda della soc. coop. L’A., al momento dell’adozione del parere, la problematica relativa alla qualificazione di questa specifica domanda (come avente diritto di priorità o meno) era ancora in fieri, in quanto l’Avvocatura Regionale non aveva ancora fornito precise indicazioni in merito.
Nondimeno, la Regione – dovendo pronunciarsi necessariamente, essendo pendente il giudizio avverso il silenzio-inadempimento -, ne ha prudentemente tenuto conto considerandola prioritaria in attesa della definizione della questione in via amministrativa, rendendo quindi un parere “allo stato degli atti”, come correttamente ritenuto dal TAR, parere che avrebbe potuto essere anche rivisto all’esito del procedimento relativo alle due domande precedenti, ove avessero avuto esito non favorevole.
Peraltro, tale scelta è stata successivamente confermata dalla stessa Regione con la determinazione dirigenziale n. 54/2019 che – nel rendere il parere favorevole per la domanda della soc. coop L’A. -, ha provveduto nel contempo a confermare anche il parere negativo del 18 gennaio 2016 sulla richiesta della società Al..
Le questioni sollevate dalle parti in merito alla legittimità di tale determinazione (oggetto di impugnazione in primo grado dinanzi allo stesso TAR) esulano, ovviamente, da questo giudizio, il cui thema decidendum investe il solo parere del 18 gennaio 2016.
La scelta della Regione risulta, comunque, logica e ragionevole, se si considera l’ordine di priorità imposto dalla disciplina regionale, ed i rischi di saturazione del fabbisogno quando era ancora in corso il procedimento relativo alle domande presentate da altri soggetti.
Va anche respinta la tesi dell’appellante diretta a sostenere che le domande precedenti non avrebbero potuto essere esaminate, in quanto formulate sulla base di un precedente quadro normativo, risalente al 2010, successivamente mutato.
E’ del tutto evidente che trattandosi di domande risalenti nel tempo potevano non essere rispondenti ai requisiti imposti successivamente, ma ciò non implicava il loro automatico rigetto, ma semmai la possibilità di adeguamento dei progetti.
Ne consegue l’infondatezza complessiva delle precedenti doglianze.
7. – Residua la disamina del solo sesto motivo di appello, relativo al capo di sentenza con il quale il TAR ha respinto la domanda risarcitoria per il danno da ritardo, ritenendo insussistenti i presupposti per il risarcimento.
Il TAR ha ricordato che il danno da ritardo è configurabile in presenza di un “danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento”; ha poi stigmatizzato sia il requisito della ingiustizia del danno, sia quello relativo all’elemento soggettivo che presuppone “la deliberata volontà di disattendere la tempistica procedimentale o la negligente verifica circa il rispetto dei tempi del procedimento”.
Ha quindi ritenuto che il procedimento amministrativo in questione fosse connotato da evidente complessità e da frequenti sopravvenienze normative, specie di carattere regolamentare, tali da delineare uno scenario complesso anche in merito ai criteri di priorità da rispettare nella disamina delle varie istanze.
Ha pertanto ritenuto che non ricorressero i presupposti per riconoscere la colpevolezza nella condotta tenuta dall’Amministrazione nella definizione del procedimento, ed ha quindi respinto la domanda risarcitoria.
7.1 – Nell’appello l’appellante ha censurato tale statuizione contestando il presupposto della complessità della vicenda e della disciplina normativa, sostenendo che sarebbero state presentate solo 5 richieste e, ciò nonostante, la Regione non avrebbe rispettato il termine di 90 giorni per l’adozione del proprio parere di compatibilità ; il procedimento avviato dalla società Al. nel mese di giugno 2014 si sarebbe dovuto concludere al più tardi entro il 4 ottobre 2014, ed invece, la Regione ha adottato il parere negativo solo il 16 gennaio 2016, oltre il termine massimo di 90 giorni.
La Regione avrebbe tenuto una condotta dilatoria colposa che le avrebbe arrecato danni: essendo la società in possesso delle strutture necessarie per lo svolgimento dell’attività, avrebbe potuto operare in accreditamento fin dall’estate del 2015, usufruendo delle c.d. “rette giornaliere” a carico del servizio sanitario regionale.
Ha pertanto chiesto il ristoro dei danni patrimoniali e non patrimoniali patiti, chiedendo, quanto al lucro cessante, il riconoscimento del mancato utile di impresa pari al 10% del fatturato lordo presunto, in applicazione analogica dell’art. 134 del d.lgs. n. 163/2006; quanto ai danni non patrimoniali, la liquidazione in via equitativa indicando la somma di Euro 50.000,00.
Ha anche chiesto l’indennizzo ex art. 2-bis, comma 1-bis della L. 241/90, da liquidarsi in via equitativa.
8. – La doglianza non può essere condivisa.
L’art. 2-bis, comma 1, della L. n. 241 del 1990 dispone che le pubbliche amministrazioni e i soggetti privati preposti all’esercizio di attività amministrative “sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto, cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento”.
La giurisprudenza amministrativa è costante nell’affermare che “l’ingiustizia e la sussistenza stessa del danno non possono, in linea di principio, presumersi “iuris tantum”, in meccanica ed esclusiva relazione al ritardo o al silenzio nell’adozione del provvedimento amministrativo, ma il danneggiato deve, ex art. 2697 cod. civ., provare la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della relativa domanda e, in particolare, sia dei presupposti di carattere oggettivo (prova del danno e del suo ammontare, ingiustizia dello stesso, nesso causale), sia di quello di carattere soggettivo (dolo o colpa del danneggiante)” (Cons. Stato, Sez. IV, 22 maggio 2014, n. 2638).
L’obbligazione risarcitoria gravante sull’Amministrazione richiede, sul piano dimostrativo, l’allegazione e la prova delle conseguenze dannose, secondo un nesso di causalità giuridica che ne configura la ristorabilità solo quanto si atteggino, secondo un canone di normalità, ad esito immediato e diretto della lesione del bene della vita (art. 1223 c.c.): la possibilità di conseguire il risarcimento del danno da inerzia/ritardo dell’Amministrazione nella conclusione del procedimento non può essere riconosciuta per il solo fatto del ritardo, ma in quanto la condotta inerte o tardiva dell’Amministrazione sia stata causa di un danno prodottosi sulla sfera giuridica del privato, del quale il privato deve fornire la prova quantificando anche il danno.
E’ stato quindi ritenuto in giurisprudenza che il danno da ritardo – relativo ad un interesse legittimo pretensivo (come nel caso di specie) – non è avulso da una valutazione di merito della spettanza del bene sostanziale della vita e, dunque, della dimostrazione che l’aspirazione al provvedimento fosse probabilmente destinata ad un esito favorevole, posto che l’ingiustizia e la sussistenza del danno non possono presumersi iuris tantum in relazione al mero fatto temporale del ritardo o del silenzio nell’adozione del provvedimento; l’ingiustizia del danno non può, pertanto, prescindere dalla concreta spettanza del bene sostanziale al cui conseguimento il procedimento è finalizzato (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 23/8/2019, n. 5810).
8.1 – Nel caso di specie, non vi è prova della spettanza del bene della vita per l’appellante, in quanto la Regione Puglia ha reso, anche se tardivamente, un parere negativo sulla sua richiesta, e tale atto è stato ritenuto legittimo dal giudice amministrativo.
8.2 – Se pure si qualificasse la domanda come relativa al risarcimento del danno c.d. da mero ritardo, ristorabile a prescindere dalla prova della spettanza del bene della vita, nondimeno la domanda non potrebbe essere accolta.
Secondo l’Adunanza Plenaria n. 5 del 2018 il danno ex art. 2-bis, comma 1, della L. 241/90 deriva dalla lesione del diritto soggettivo di autodeterminazione negoziale: la violazione del termine di conclusione sul procedimento rappresenta un comportamento scorretto dell’amministrazione, che genera incertezza e, dunque, interferisce illecitamente sulla libertà negoziale del privato, inducendolo a scelte negoziali (a loro volta fonte di perdite patrimoniali o mancati guadagni) che non si sarebbero verificate ove l’Amministrazione avesse concluso il procedimento nei termini stabiliti.
Trattandosi di responsabilità ex art. 2043 c.c., grava comunque sul richiedente l’onere di fornire la prova, oltre che del ritardo e dell’elemento soggettivo, del rapporto di causalità esistente tra la violazione del termine del procedimento e il compimento di scelte negoziali pregiudizievoli che non avrebbe altrimenti posto in essere.
8.3 – Ebbene, pur accedendo a tale ricostruzione dell’istituto, l’esito della domanda risarcitoria non muterebbe, mancando, nel caso di specie, la prova di tale particolare tipologia di danno.
Negli atti di causa il danno è correlato dall’appellante alla perdita economica connessa alla tardiva attivazione delle strutture, alla mancata percezione delle “rette giornaliere” a carico del S.S.R., nel periodo di tempo impiegato dalla Regione per la definizione della sua istanza: la sua pretesa si fonda, quindi, sul presupposto dell’illegittimità del parere negativo e, dunque, sulla spettanza del bene della vita anelato (il rilascio del parere favorevole della Regione per poter conseguire l’autorizzazione ex art. 8-ter d.lgs. 502/1992).
Come già precisato, però, tale presupposto non sussiste, in quanto legittimamente la Regione Puglia ha reso il parere negativo sulla sua istanza di compatibilità con il fabbisogno regionale.
Mancano dunque i presupposti per l’accoglimento della domanda risarcitoria (ingiustizia del danno, prova del danno e sua quantificazione, a prescindere dall’inquadramento della domanda.
8.4 – Inoltre, ritiene il Collegio che manchi anche la colpa della P.A., come rettamente ritenuto dal TAR.
Il ritardo subito nella definizione della sua istanza è derivato dalla complessità della situazione creatasi per effetto dell’introduzione della nuova disciplina regolamentare, specie se considerata in connessione con la complessità della vicenda che aveva riguardato l’analoga domanda presentata dalla soc. coop. L’A., per la quale era stato richiesto il parere all’Avvocatura Regionale prima di assumere le dovute determinazioni.
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza l’incertezza del quadro normativo di riferimento o la complessità della situazione di fatto, integrano gli estremi dell’errore scusabile, idoneo ad escludere la colpa della P.A. (cfr., da ultimo, Cons. Stato Sez. VI, 28/06/2019, n. 4454; Cons. Stato Sez. III, 05/06/2019, n. 3799).
8.5 – La carenza dell’elemento soggettivo è idonea a respingere anche la domanda diretta ad ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale; peraltro, anche tale danno non risulta provato, neppure per presunzioni.
8.6 – Non può essere riconosciuto neppure l’indennizzo, in quanto la parte non ha previamente azionato il potere sostitutivo previsto dall’art. 2, comma 9-bis, della legge n. 241 del 1990 nel termine perentorio di venti giorni dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento.
9. – In conclusione, per i suesposti motivi, l’appello va respinto e, per l’effetto, va confermata la sentenza di primo grado che ha respinto il ricorso di primo grado.
10. – Quanto alle spese del grado di appello, se ne può disporre la compensazione tra le parti, tenuto conto della particolarità e novità della questione trattata.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza appellata e respinge il ricorso di primo grado.
Spese del grado di appello compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 dicembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Marco Lipari – Presidente
Giulio Veltri – Consigliere
Massimiliano Noccelli – Consigliere
Stefania Santoleri – Consigliere, Estensore
Ezio Fedullo – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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