In tema di uso della cosa comune

Corte di Cassazione, sezione sesta (seconda) civile, Ordinanza 25 febbraio 2020, n. 5060.

La massima estrapolata:

In tema di uso della cosa comune, è illegittima l’apertura di un varco praticata nel muro perimetrale dell’edificio condominiale da un comproprietario al fine di mettere in comunicazione un locale di sua proprietà esclusiva, ubicato nel medesimo fabbricato, con altro immobile, pure di sua proprietà, ma estraneo al condominio, comportando tale utilizzazione la cessione del godimento di un bene comune in favore di soggetti non partecipanti al condominio, con conseguente alterazione della destinazione, giacché in tal modo viene imposto sul muro perimetrale un peso che dà luogo a una servitù, per la cui costituzione è necessario il consenso scritto di tutti i condomini. Né è possibile ipotizzare la costituzione di un vincolo pertinenziale tra il muro perimetrale e l’unità immobiliare di proprietà esclusiva esterna al condominio, per atto proveniente dal solo titolare di quest’ultima, giacché detto vincolo postula che il proprietario della cosa principale abbia la piena disponibilità della cosa accessoria – si da poterla validamente destinare, in modo durevole, al servizio od all’ornamento dell’altra – mentre il muro perimetrale è oggetto di proprietà comune.

Ordinanza 25 febbraio 2020, n. 5060

Data udienza 24 ottobre 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE SECONDA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente

Dott. ABETE Luigi – Consigliere

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 22748-2018 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS) (TEL. (OMISSIS)), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
CONDOMINIO DI (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 800/2018 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 03/04/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/10/2019 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

(OMISSIS) ha proposto ricorso articolato in due motivi (1: violazione articoli 817, 818, 1102 e 1122 c.c.; 2: violazione dell’articolo 1102 c.c., e articolo 115 c.p.c.), avverso la sentenza n. 800/2018 del 3 aprile 2018 resa dalla Corte d’Appello di Firenze.
Resiste con controricorso il Condominio (OMISSIS).
La causa ebbe inizio con domanda ex articolo 702 bis c.p.c., del 20 febbraio 2016 del Condominio (OMISSIS), volta ad accertare l’illegittimita’ dell’apertura di un varco nel muro perimetrale condominiale praticata dalla condomina (OMISSIS) per mettere in collegamento un vano seminterrato di proprieta’ (OMISSIS) compreso nel Condominio (OMISSIS), con una corte sempre di proprieta’ (OMISSIS) ma estranea al Condominio attore. L’adito Tribunale di Grosseto con ordinanza del 29 novembre 2016 ordino’ la riduzione in pristino. La Corte d’Appello di Firenze respinse poi il gravame di (OMISSIS), ritenendo infondata la deduzione dell’appellante secondo cui, poiche’ la medesima condomina aveva costituito un vincolo pertinenziale tra corte esterna e Condominio (OMISSIS), anche tale corte sarebbe ormai compresa fra i beni condominiali. I giudici di secondo grado ribadirono piuttosto che il collegamento creato tra i due beni di proprieta’ (OMISSIS), mediante l’apertura del varco nel muro perimetrale, aveva costituito un illegittimo peso a carico del Condominio, non rientrante tra i limiti di uso della cosa comune ex articolo 1102 c.c..
Il primo motivo di ricorso reputa violato il principio per cui una corte vincolata a pertinenza di un vano di proprieta’ esclusiva compreso in un condominio viene essa stessa a far parte del condominio. Il secondo motivo di ricorso censura il difetto di prova del superamento dei limiti di cui all’articolo 1102 c.c., per effetto dell’apertura del varco sul muro perimetrale.
Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere rigettato per manifesta infondatezza, con la conseguente definibilita’ nelle forme di cui all’articolo 380-bis c.p.c., in relazione all’articolo 375 c.p.c., comma 1, n. 5), il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.
La ricorrente ha presentato memoria ai sensi dell’articolo 380 bis c.p.c., comma 2.
I due motivi di ricorso vanno esaminati congiuntamente, in quanto connessi.
La Corte d’Appello ha accertato in fatto, con apprezzamento spettante ai giudici del merito e sindacabile in sede di legittimita’ solo nei limiti di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che la condomina (OMISSIS) avesse aperto un passaggio sul muro perimetrale condominiale, per mettere in collegamento una corte esterna ed una unita’ immobiliare compresa nel Condominio (OMISSIS), entrambe di proprieta’ della ricorrente, cosi’ costituendo un indebito peso a carico del Condominio.
La decisione della Corte di Firenze e’ conforme all’orientamento di questa Corte, secondo il quale, in tema di uso della cosa comune, e’ illegittima l’apertura di un varco praticata nel muro perimetrale dell’edificio condominiale da un comproprietario al fine di mettere in comunicazione un locale di sua proprieta’ esclusiva, ubicato nel medesimo fabbricato, con altro immobile pure di sua proprieta’ ma estraneo al condominio, comportando tale utilizzazione la cessione del godimento di un bene comune in favore di soggetti non partecipanti al condominio, con conseguente alterazione della destinazione, giacche’ in tal modo viene imposto sul muro perimetrale un peso che da’ luogo a una servitu’, per la cui costituzione e’ necessario il consenso scritto di tutti i condomini (Cass. Sez. 2, 05/03/2015, n. 4501; Cass. Sez. 2, 06/02/2009, n. 3035; Cass. Sez. 2, 19/04/2006, n. 9036; Cass. Sez. 2, 18/02/1998, n. 1708). Non ha rilievo considerare che la condominialita’ del muro perimetrale comune legittima il singolo condomino ad apportare ad esso tutte le modificazioni che gli consentano di trarre, dal bene in comunione, una peculiare utilita’ aggiuntiva rispetto a quella goduta dagli altri condomini, in quanto la “presunzione” ex articolo 1117 c.c., di comunione “pro indiviso” opera per quelle parti del complesso che, per ubicazione e struttura, siano – nel momento costitutivo del condominio – destinate all’uso comune o a soddisfare esigenze generali e fondamentali del condominio stesso, sulla base di una relazione di accessorieta’ tra parti comuni ed unita’ immobiliari. Nel condominio, le parti elencate
o richiamate dall’articolo 1117 c.c., non offrono, invero, alcuna utilita’ autonoma e compiuta, in quanto la loro utilizzazione oggettiva e il loro godimento soggettivo sono unicamente strumentali all’utilizzazione o al godimento degli appartamenti compresi nel medesimo complesso edilizio. Se tuttavia un condomino fa uso di un bene condominiale a fini esclusivi di miglior godimento di altro immobile di sua proprieta’ individuale che non sia compreso nel condominio, e’ evidente l’alterazione funzionale che viene cosi’ impressa al vincolo destinatorio della parte comune.
La valutazione dei presupposti di operativita’ della presunzione legale di comunione di talune parti dell’edificio condominiale, stabilita dall’articolo 1117 c.c., va, del resto, operata con riferimento al momento della nascita del condominio, restando escluso che sia determinante il collegamento materiale eseguito successivamente (Cass. Sez. 6 – 2, 25/06/2019, n. 17022). Non puo’ quindi sostenersi, come propone la ricorrente ed ancora ribadisce nella memoria ex articolo 380 bis c.p.c., comma 2, che, per effetto dell’apertura di un varco praticata nel muro perimetrale dell’edificio condominiale, entri a far parte del complesso condominiale, e quindi della contitolarita’ delle parti comuni di questo, altresi’ l’area esterna di proprieta’ esclusiva messa in collegamento con l’unita’ immobiliare gia’ compresa nel condominio stesso. Ciascun condomino e’ libero di servirsi della cosa comune, anche per fine esclusivamente proprio, traendo ogni possibile utilita’, sicche’ il condomino che si serve del muro perimetrale nel rispetto della sua destinazione, per ricavarne maggiore vantaggio nel godimento di un’unita’ immobiliare gia’ strutturalmente e funzionalmente collegata al bene comune, come presuppone l’articolo 1117 c.c., lo fa nell’esercizio del diritto di condominio e non avvalendosi di una servitu’; se pero’ il muro perimetrale venga sfruttato, aprendo un nuovo passaggio, al fine di ricavarne utilita’ per un immobile estraneo all’originario condominio, non si determina certo un ampliamento per accessione del complesso condominiale, quanto, appunto, la imposizione di una servitu’ illegittima sul bene comune.
La stessa ipotizzata costituzione di un vincolo pertinenziale, ai sensi ed agli effetti di cui agli articoli 817 ed 818 c.c., postula che il proprietario della cosa principale abbia la piena disponibilita’ della cosa accessoria, si’ da poterla validamente destinare, in modo durevole, al servizio od all’ornamento dell’altra. Pertanto, il muro perimetrale di un edificio condominiale, che sia oggetto di proprieta’ comune, non puo’ essere oggetto della instaurazione di una relazione di pertinenza con unita’ immobiliari di proprieta’ individuale esterne al condominio per atto proveniente solo dal titolare di dette porzioni (cfr. Cass. Sez. 2, 12/12/1977, n. 5386).
L’accertamento del superamento dei limiti imposti dall’articolo 1102 c.c., al condomino, che si assuma abbia alterato, nell’uso della cosa comune, la destinazione della stessa, ricollegandosi all’entita’ e alla qualita’ dell’incidenza del nuovo uso, e’ comunque riservato al giudice di merito e, come tale, non e’ censurabile in sede di legittimita’.
Il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito, che e’ quello che lamenta la ricorrente nel secondo motivo, non da’ poi luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile neppure nel paradigma dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio).
Il ricorso va percio’ rigettato e le spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, vengono regolate secondo soccombenza in favore del controricorrente.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, – da parte della ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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