In tema di spese di lite e la reciproca soccombenza

Corte di Cassazione, sezione terza civile, Sentenza 15 gennaio 2020, n. 516.

La massima estrapolata:

In tema di spese di lite, la reciproca soccombenza va ravvisata nell’ipotesi di pluralità di domande contrapposte formulate nel medesimo processo fra le stesse parti e nell’eventualità di accoglimento parziale dell’unica domanda, articolata in più capi, dei quali solo alcuni accolti, o costituita da un unico capo, ove la parzialità abbia riguardato la misura meramente quantitativa del suo accoglimento, con la precisazione che, in tale ultima circostanza, è necessario che la richiesta, rivelatasi inadeguata rispetto a quella accolta, abbia costretto la controparte ad una spesa per oneri processuali maggiore di quella che avrebbe sostenuto se la domanda fosse stata contenuta nel giusto. (Nella specie, la S.C. ha dato altresì rilievo, per escludere la ricorrenza dei presupposti della soccombenza reciproca, al fatto che la parte vincitrice aveva ridotto la sua richiesta in corso di causa).

Il proprietario e locatore di un immobile, che ha autorizzato il conduttore ad eseguire opere di ristrutturazione del bene, a quest’ultimo altrimenti vietate in base alla disciplina legale della locazione, è legittimato e obbligato, ai sensi degli artt. 832, 1576 e 2043 c.c., ad ingerirsi e a sorvegliare l’attività autorizzata o, comunque, consentita, allo scopo di evitare che da essa possa derivarne un ingiusto danno ai terzi, dovendo altrimenti rispondere in solido con il conduttore ex art. 2055 c.c.

Diversamente dall’ipotesi in cui il convenuto in giudizio chiami in causa un terzo, indicandolo come il soggetto tenuto a rispondere della pretesa dell’attore (caso, questo, nel quale la domanda attorea si estende automaticamente al terzo, pur in mancanza di apposita istanza, dovendosi individuare il vero responsabile nel quadro di un rapporto oggettivamente unitario), nell’eventualità della chiamata del terzo in garanzia la predetta estensione automatica non si verifica, in ragione dell’autonomia sostanziale dei due rapporti, ancorché confluiti in un unico processo.

Sentenza 15 gennaio 2020, n. 516

Data udienza 12 settembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere

Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 19199-2018 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS);
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– controricorrenti –
e contro
(OMISSIS) SRL, (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) SNC DI (OMISSIS), (OMISSIS) SPA;
– intimati –
nonche’ da:
(OMISSIS) DI (OMISSIS). S.N.C. in persona del socio amministratore e legale rappresentante (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS) presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– controricorrenti –
e contro
(OMISSIS) SRL, (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) SPA;
– intimati –
avverso la sentenza n. 358/2018 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 23/02/2018;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/09/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE CRICENTI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PATRONE IGNAZIO che ha concluso per il rigetto;
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega;
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega orale;
udito l’Avvocato (OMISSIS).

FATTI DI CAUSA

I ricorrenti sono proprietari di un immobile condotto in locazione da una societa’, di cui alcuni di loro sono anche soci, e che, avendo per l’appunto la disponibilita’ dell’immobile, ha commissionato lavori di ristrutturazione ad un’impresa edile. A seguito di tali lavori e’ in parte crollata la volta dell’immobile rendendo inagibile l’appartamento sottostante, i cui proprietari sono stati costretti ad allontanarsi a causa ed a seguito di un’ordinanza urgente emessa dal sindaco della citta’ di (OMISSIS).
I proprietari dell’immobile sottostante, sia in proprio, che quali rappresentanti legali della figlia minore, hanno agito in giudizio contro i comproprietari dell’appartamento sovrastante, la societa’ conduttrice di tale appartamento, l’impresa che ha eseguito i lavori, ed il tecnico direttore dei medesimi.
Il Tribunale in primo grado ha riconosciuto i soli danni patrimoniali, negando invece quelli non patrimoniali, ed ha condannato altresi’ la (OMISSIS) assicurazioni a tenere indenne i convenuti del suddetto risarcimento.
La corte di appello ha confermato la decisione del primo grado, salvo mutamenti nell’ammontare del danno.
Avverso tale decisione propongono due ricorsi separati, da un lato, la societa’ conduttrice, e dall’altro i comproprietari dell’immobile oggetto di ristrutturazione, la prima con cinque ed i secondi con dieci motivi di ricorso. V’e’ costituzione dei danneggiati con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- La ratio della sentenza impugnata e’ nella responsabilita’ dell’impresa e del direttore dei lavori ai sensi dell’articolo 2043 c.c., sulla base di una CTU che ha individuato nell’omesso rafforzamento delle strutture, prima dell’esecuzione dei lavori, la causa del crollo; dei proprietari ai sensi degli articoli 1576 e 1577 c.c., in quanto avrebbero, come ricavabile da indici presuntivi, autorizzato i lavori causa del danno a terzi; del committente nel non avere nominato il responsabile dell’esecuzione dei lavori, che, se presente, avrebbe indicato la necessita’ di rafforzare prima di intervenire sulle strutture.
2.- Ricorrono sia i comproprietari dell’appartamento che la societa’ conduttrice.
Il primo motivo del ricorso di quest’ultima riguarda la sua esclusiva posizione, mentre gli altri quattro motivi sono identici a quelli illustrati dai comproprietari. Con la conseguenza che, fatto esame a parte di quel primo motivo, gli altri possono avere comune considerazione.
2.1.- Il primo motivo fatto valere dalla societa’ lamenta violazione degli articoli 99, 106, 183 e 269 c.p.c..
Gli attori hanno citato in giudizio i soli comproprietari dell’immobile da cui e’ derivato il danno. Sono stati questi ultimi a chiamare in causa la societa’ committente, loro conduttrice.
Gli attori non hanno espressamente esteso la domanda alla terza chiamata, la quale dunque eccepisce l’inammissibilita’ delle domande poi successivamente svolte dagli attori nei suoi confronti.
Ma il motivo e’ infondato.
Diversamente dall’ipotesi in cui il convenuto in giudizio chiami in causa un terzo, indicandolo come il soggetto tenuto a rispondere della pretesa dell’attore (caso, questo, in cui la domanda attorea si estende automaticamente al terzo, pur in mancanza di apposita istanza, dovendosi individuare il vero responsabile nel quadro di un rapporto oggettivamente unitario), nell’ipotesi della chiamata del terzo in garanzia la predetta estensione automatica non si verifica, in ragione dell’autonomia sostanziale dei due rapporti, ancorche’ confluiti in un unico processo (Cass. 5400/ 2013; Cass. 23213/ 2015).
La corte di merito ha correttamente inteso la chiamata in causa della societa’ come chiamata del terzo responsabile, e non come chiamata in garanzia, in quanto i comproprietari (e cio’ si ricava agevolmente anche dalle difese svolte in questa sede) attribuiscono esclusivamente alla societa’ conduttrice le condotte (aver commissionato i lavori ecc.) fonte del danno lamentato dagli attori.
3.- Quanto agli altri motivi, i primi cinque del ricorso dei comproprietari sono esclusivamente riferibili alla loro posizione, e mirano a smentire la tesi fatta propria dalla corte di appello secondo cui gli stessi comproprietari sarebbero responsabili del danno al pari della societa’ conduttrice dell’immobile.
I motivi possono essere esaminati congiuntamente in quanto ruotano sulla stessa questione e sono infondati.
Va ribadito che la corte di appello ha ritenuto responsabili anche i comproprietari, interpretando come riferibili alla fattispecie concreta gli articoli 1576 e 1577 c.c., di cui i ricorrenti denunciano una interpretazione errata.
La corte di merito ha fatto applicazione di una regola giurisprudenziale secondo cui il proprietario e locatore di un immobile, che ha autorizzato il conduttore ad eseguire opere di ristrutturazione del bene, a quest’ultimo altrimenti vietate in base alla disciplina legale della locazione, e’ legittimato e obbligato, ai sensi degli articoli 1576, 832 e 2043 c.c., ad ingerirsi e a sorvegliare l’attivita’ autorizzata o, comunque, consentita, allo scopo di evitare che da essa possa derivarne un ingiusto danno ai terzi, dovendo altrimenti rispondere in solido con il conduttore, ai sensi dell’articolo 2055 c.c. (Cass. 9193/1995).
La corte di merito ha poi ritenuto che i comproprietari avessero autorizzato i lavori o vi avessero acconsentito sulla base di indici presuntivi, come la circostanza che si trattava di lavori di entita’ notevole, la circostanza che alcuni comproprietari erano anche soci della committente formale, che non hanno mai chiesto conto alla societa’ dei danni che ha causato con il crollo, che hanno indicato le loro mail personali nella denuncia di inizio attivita’, e che l’amministrazione che ha autorizzato i lavori ha risposto a loro personalmente e non alla societa’, che infine lo stesso direttore dei lavori, nella Dia, ha indicato i proprietari come committenti.
I ricorrenti ritengono che questi elementi non siano affatto significativi della partecipazione dei comproprietari alla realizzazione dei lavori.
L’uso che il giudice di merito faccia degli elementi presuntivi e’ di certo censurabile in sede di legittimita’, nel senso che il giudice di merito e’ tenuto a seguire un procedimento che si articola necessariamente in due momenti valutativi: in primo luogo, occorre una valutazione analitica degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi singolarmente, presentino una positivita’ parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; successivamente, e’ doverosa una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati per accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni di essi (Cass. 9059/2018).
Nella fattispecie il giudice di merito ha dato rilievo indiziante a fatti che sia singolarmente che complessivamente considerati rivestono quel carattere, sia la circostanza di essere (alcuni di loro) soci della committente, sia la circostanza di non aver agito nei confronti della societa’ per i danni causati, azione logicamente prevedibile nel caso i lavori non fossero stai autorizzati, sia infine i rapporti diretti con l’amministrazione e la conferma di tali rapporti fatta dal direttore lavori.
In sostanza, l’esame complessivo degli elementi indiziari conferma un’ingerenza dei comproprietari nella esecuzione dei lavori, e comunque la conoscenza del fatto che la conduttrice iniziava lavori di particolare rilievo, che richiedevano l’autorizzazione del locatore.
L’esame complessivo di questi elementi ha portato la corte di merito a ritenere, ed e’ valutazione quindi logicamente non censurabile (altra essendo la prospettiva di fatto) che i comproprietari avessero acconsentito ai lavori e che dunque devono, giusta la regola sopra richiamata, ritenersi responsabili del danno.
Del tutto irrilevante e’ poi la circostanza, fatta valere con il quarto motivo, secondo cui le fatture sono state emesse dalla societa’, in quanto non coglie la ratio della decisione, la quale ritiene i locatori responsabili del danno per la loro ingerenza e non gia’ per avere formalmente affidato l’incarico e formalmente corrisposto il compenso, per cui la circostanza che sia stata la societa’ conduttrice a fatturare non incide sul coinvolgimento dei locatori nell’appalto, ad altro titolo. I motivi dal sesto al nono invece sono comuni anche alla societa’ conduttrice e lamentano violazione del Decreto Legislativo n. 81 del 2008, in tema di sicurezza nei lavori edilizi.
Anche per tali motivi non e’ colta la ratio della decisione.
Quest’ultima argomenta nel senso che la committente formale, ossia la societa’ conduttrice, avrebbe dovuto nominare il coordinatore per l’esecuzione dei lavori, che e’ figura preposta a garantire la sicurezza e ad evitare che derivino danni; mentre i locatori rispondono del danno ex articoli 1576 e 1577 quali soggetti che, in base alla suddetta interpretazione dell’articolo 1576 c.c., avevano l’obbligo di ingerirsi per impedire danni.
Infine, l’ultimo motivo lamenta erronea decisione sulle spese.
Secondo i ricorrenti le spese sono state poste integralmente a loro carico, pur essendo stata rigetta la domanda della figlia, e pur essendo stata accolta quella degli attori in misura inferiore a quanto richiesto inizialmente.
In sostanza, i ricorrenti lamentano che vi fosse una soccombenza reciproca non valutata dai giudici di merito. In realta’ la soccombenza reciproca presuppone domande contrapposte, oppure un’unica domanda articolata in piu’ capi autonomi, di cui solo alcuni accolti e gli altri rigettati.
E’ vero che una regola giurisprudenziale considera soccombenza altresi’ l’accoglimento di una domanda in misura minore rispetto alla richiesta, ma e’ altresi’ vero che, nel caso presente risulta che gli attori hanno in corso di causa ridimensionato la loro richiesta, e comunque quella stessa giurisprudenza (Cass. 3438/ 2016) avverte che, per potersi parlare di reciproca soccombenza e’ necessario che la richiesta quantitativamente inadeguata (rispetto a quella poi accolta) abbia costretto la controparte ad una spesa superiore per oneri processuali di quella che avrebbe sostenuta se la domanda fosse stata contenuta nel giusto.
Il ricorso va pertanto respinto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna al pagamento delle spese di lite, nella misura di 4200,00 Euro, oltre 200,00 di spese generali, dando atto della sussistenza dei presupposti per il versamento del doppio del contributo unificato.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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