Corte di Cassazione, penale, Sentenza|12 febbraio 2021| n. 5601.
In tema di rifiuti la responsabilità per l’attività di gestione non autorizzata non attiene necessariamente al profilo della consapevolezza e volontarietà della condotta, potendo scaturire da comportamenti che violino i doveri di diligenza per la mancata adozione di tutte le misure necessarie per evitare illeciti nella predetta gestione e che legittimamente si richiedono ai soggetti preposti alla direzione dell’azienda. E ciò in base al principio generale secondo il quale il prestanome che, accettando la carica ha anche accettato i rischi ad essa connessi, si espone comunque alle conseguenze dell’operato degli amministratori di fatto e dunque alla possibilità che questi pongano in essere, attraverso il paravento loro prestato con la carica ricoperta, attività non legali, in base alla posizione di garanzia di cui all’art. 2392 cod. civ., in forza della quale l’amministratore deve conservare il patrimonio sociale ed impedire che si verifichino danni per la società e per i terzi. Fattispecie: individuazione della responsabilità per l’abbandono incontrollato di rifiuti attinenti all’attività commerciale esercitata in un’area di pertinenza della società.
Sentenza|12 febbraio 2021| n. 5601
Data udienza 17 dicembre 2020
Integrale
Tag – parola chiave: Rifiuti – Abbandono incontrollato – Attività commerciale – Reato ex art. 256 co 1 e 2 dlgs 152/2006 – Amministratore – Cessione ramo di azienda – Onere di vigilanza
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI NICOLA Vito – Presidente
Dott. GALTERIO Donatella – rel. Consigliere
Dott. DI STASI Antonella – Consigliere
Dott. CORBETTA Stefano – Consigliere
Dott. GAI Emanuela – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nata a (OMISSIS);
avverso la sentenza in data 3.6.2019 della Corte di Appello di Venezia;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Donatella Galterio;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Molino Pietro, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza in data 3.6.2019 la Corte di Appello di Venezia ha confermato la condanna alla pena di due mesi di arresto ed Euro 1.8000 di ammenda resa all’esito del primo grado di giudizio dal Tribunale di Rovigo nei confronti di (OMISSIS) ritenendola responsabile in qualita’ di amministratore della (OMISSIS) s.r.l., in concorso con (OMISSIS) che la amministrava di fatto, del reato di cui al Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 256, commi 1 e 2 per abbandono incontrollato di rifiuti attinenti all’attivita’ commerciale esercitata in un’area di pertinenza della societa’.
2. Avverso il suddetto provvedimento l’imputata ha proposto, per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione articolando tre motivi di seguito riprodotti nei limiti di cui all’articolo 173 disp. att. c.p.p..
2.1. Con il primo motivo deduce, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all’articolo 192 c.p.p. e al vizio motivazionale, che la Corte di Appello pur senza pronunciarsi sulla richiesta di acquisizione della comunicazione di recesso dal contratto di affitto di ramo di azienda sottoscritto tra la (OMISSIS) s.n.c. e la (OMISSIS) s.r.l., aveva cio’ nondimeno tenuto conto del suddetto documento che aveva, tuttavia, travisato. Nel riconoscere che la societa’ di cui era formalmente amministratrice era stata affittuaria, giusta contratto stipulato il 16.12.2013 con la (OMISSIS) s.n.c., del ramo di azienda comprendente il terreno oggetto della contestata discarica, sostiene tuttavia la ricorrente che, per effetto del recesso datato 18.2.2015 della societa’ locatrice che aveva richiesto la restituzione dell’azienda essendo stata dichiarata fallita in data 23.12.204, la (OMISSIS) non aveva piu’ la disponibilita’ dell’area suddetta da almeno un anno prima dell’eseguito sopralluogo; deduce pertanto che fosse venuto meno ogni obbligo di vigilanza e sorveglianza da parte propria, non piu’ responsabile da allora di quanto avveniva sul terreno, che era rientrato nella disponibilita’ della (OMISSIS) s.n.c..
2.2. Con il secondo motivo deduce, in relazione al vizio di violazione di legge riferito al Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 256 e al vizio motivazionale, la configurabilita’ di un deposito temporaneo, indebitamente escluso dalla Corte di Appello senza aver considerato il limite temporale di tre mesi che consente al produttore di accumulare una quantita’ illimitata di rifiuti da smaltire o recuperare entro detto termine, il cui superamento deve essere dimostrato dall’accusa che nella specie nulla aveva dedotto al riguardo.
2.3. Con il terzo motivo lamenta, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all’articolo 131 bis c.p. e al vizio motivazionale, che malgrado la richiesta articolata dalla difesa sia pure in estremo subordine relativa all’applicabilita’ della causa di non punibilita’ per la speciale tenuita’ del fatto in ragione sia della condotta dell’imputata accusata soltanto di omessa vigilanza, sia della sua condizione di incensuratezza, nessuna pronuncia fosse stata resa sul punto dalla Corte veneziana.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Il primo motivo non puo’ ritenersi ammissibile alla luce della genericita’ delle doglianze difensive che, nel reiterare le medesime censure gia’ articolate nell’atto di appello, non si confrontano con le puntuali argomentazioni spese dai giudici distrettuali in ordine ai presupposti fondanti l’affermazione di responsabilita’ dell’imputata.
Va in primo luogo rilevato che non risulta affatto che la Corte lagunare abbia dato seguito alla richiesta di rinnovazione istruttoria formulata dalla difesa in ordine all’acquisizione della comunicazione di recesso del curatore della fallita (OMISSIS) s.n.c. dal ramo di affitto di azienda, comprensivo dell’area in cui e’ stato rinvenuto, all’esito del sopralluogo della PG, l’ammasso di rifiuti depositati alla rinfusa sul suolo derivati sia dall’attivita’ di trasporto svolta dalla societa’, quali copertoni, componenti di veicoli, ammortizzatori di autocarri, filtri dell’olio e via dicendo, unitamente a rottami dei generi piu’ vari. E cio’ per l’evidente ragione, scaturente, dal ragionamento successivamente sviluppato dalla sentenza impugnata, che trattavasi di documento del tutto irrilevante ai fini sia della configurabilita’ del reato che della responsabilita’ della prevenuta.
La circostanza che fosse stata richiesta la restituzione dell’area non significa affatto che la stessa fosse stata riconsegnata, come del resto escluso dalla deposizione del curatore della societa’ (OMISSIS) che pure aveva formalizzato, in quanto subentrato nella posizione dell’affittante, la comunicazione di recesso, e in ogni caso non comprovato da altre risultanze, risultando comunque il terreno, indipendentemente da un titolo che legittimasse la sua detenzione, nella disponibilita’ di fatto della societa’ (OMISSIS): che quest’ultima avesse o meno o titolo ad occupare l’area de qua e’ questione che non rileva ai fini della configurabilita’ del reato di cui al Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 256, commi 1 e 2 che si perfeziona per il fatto di raccogliere, trasportare, recuperare, smaltire e commerciare rifiuti in assenza della prescritta autorizzazione, ed in cui conseguentemente rientra l’attivita’ di accumulo ed abbandono dei rifiuti, reiteratamente sversati sull’area de qua ed altresi’ parzialmente smaltiti dando loro fuoco, come desunto dai residui in parte incombusti ed in parte al momento del sopralluogo ancora fumanti, rinvenuti all’interno di un cassone metallico, cosi’ come da chiazze nere presenti sul terreno, e dalle dichiarazioni testimoniali rese da un confinante che aveva personalmente piu’ volte assistito nel corso dell’anno agli incendi appiccati nell’area a lui limitrofa. E che la suddetta attivita’ fosse riconducibile alla (OMISSIS) emerge, stando alla coerente ed analitica ricostruzione del fatto effettuata dalla sentenza impugnata, dalle dichiarazioni di (OMISSIS), operaio alle dipendenze di (OMISSIS) (che da legale rappresentante della fallita (OMISSIS) era diventato l’effettivo amministratore di fatto della societa’ formalmente amministrata dall’odierna ricorrente) che ha riferito come gli autisti fossero soliti gettare al ritorno dalle trasferte i rifiuti, e dalla presenza in loco al momento dell’accesso della PG dello stesso (OMISSIS), la cui correita’ nel reato in contestazione risulta essere stata gia’ accertata con autorita’ di giudicato per avere egli rinunciato all’appello inizialmente proposto avverso la pronuncia di primo grado.
A fronte di tale solido compendio probatorio, del tutto inconsistenti si rivelano le doglianze articolate dall’imputata che focalizza le proprie difese sull’asserita cessazione di un onere di vigilanza rientrante nelle incombenze dell’amministratore sull’area che, per effetto della sopravvenuta cessazione del contratto di affitto di azienda, sarebbe tornata nella detenzione dell’affittuaria.
La tesi, oltre ad essere smentita in fatto dalle acquisite risultanze probatorie, univocamente rivelatrici della protratta disponibilita’ del terreno da parte della (OMISSIS), e’ errata in diritto posto che nell’obbligo di controllo incombente su chi riveste formalmente la carica di amministratore rientra anche quello, in materia ambientale, sull’operato dei dipendenti della societa’ che abbiano posto in essere la condotta di abbandono di rifiuti indipendentemente dal luogo in cui si e’ consumata, cosi’ come di chi, gestendo in concreto la societa’, abbiano assunto tale iniziativa in violazione delle norme che impongono l’osservanza di specifiche procedure per il loro smaltimento.
Si e’ infatti affermato che “in tema di rifiuti la responsabilita’ per l’attivita’ di gestione non autorizzata non attiene necessariamente al profilo della consapevolezza e volontarieta’ della condotta, potendo scaturire da comportamenti che violino i doveri di diligenza per la mancata adozione di tutte le misure necessarie per evitare illeciti nella predetta gestione e che legittimamente si richiedono ai soggetti preposti alla direzione dell’azienda” (Sez. 3, n. 47432 dell’11.12.2003). E cio’ in base al principio generale secondo il quale il prestanome che, accettando la carica ha anche accettato i rischi ad essa connessi, si espone comunque alle conseguenze dell’operato degli amministratori di fatto e dunque alla possibilita’ che questi pongano in essere, attraverso il paravento loro prestato con la carica ricoperta, attivita’ non legali, in base alla posizione di garanzia di cui all’articolo 2392 c.c., in forza della quale l’amministratore deve conservare il patrimonio sociale ed impedire che si verifichino danni per la societa’ e per i terzi.
2. Le doglianze articolate con il secondo motivo relative alla configurabilita’ di un deposito temporaneo devono ritenersi manifestamente infondate. E’ sufficiente al riguardo rilevare che ai fini della riconducibilita’ della condotta di deposito incontrollato di rifiuti a deposito temporaneo occorrono gli specifici requisiti richiesti dal Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 183, bb) gravando sull’imputato, posto che il regime giuridico piu’ favorevole invocato ha portata derogatoria rispetto alla disciplina ordinaria, l’onere di fornirne la relativa dimostrazione (Sez. 3, n. 29084 del 14/05/2015 – dep. 08/07/2015, Favazzo e altro, Rv. 264121). E’ agevole evidenziare che nel caso di specie non solo manca la suddivisione per categorie omogenee di rifiuti e nel rispetto delle relative norme tecniche, nonche’, per i rifiuti pericolosi, nel rispetto delle norme che disciplinano il deposito delle sostanze pericolose in essi contenute, ma difetta, ancor prima, la condizione che preesiste, nelle intenzioni del legislatore, a tutte le altre, ovverosia che il raggruppamento dei rifiuti venga effettuato nel luogo di loro produzione, essendo incontestato che sull’area de qua si trovassero ammassati insieme ai rifiuti derivati dall’attivita’ di autotrasporto effettuata dalla (OMISSIS), scorie di ogni genere, dalle bottiglie di plastica ai componenti in disuso di vetture ed autocarri. Conseguentemente nessuna rilevanza riveste l’elemento temporale atteso che, sia che si trattasse di quantitativi inferiori ai 30 metri cubi sia che si trattasse di entita’ superiori, era comunque a carico della difesa l’onere dimostrare di non avere superato il limite temporale consentito per il loro raggruppamento prima della raccolta e dell’avvio alle operazioni di recupero o smaltimento.
3. Del pari inammissibile deve ritenersi il terzo motivo, dolendosi la ricorrente del mancato riconoscimento della particolare tenuita’ del fatto che tuttavia non ha mai richiesto, risultando dai verbali del procedimento celebrato innanzi ai giudici del gravame che l’unica istanza svolta in udienza al riguardo provenisse dalla difesa di (OMISSIS).
Conseguentemente nessuna omissione motivazionale puo’ essere addebitata alla Corte lagunare, tenuto conto che la causa di non punibilita’ di cui all’articolo 131 bis c.p. ha natura personale, concorrendo alla sua configurabilita’ non soltanto l’indice requisito della particolare tenuita’ dell’offesa, ma altresi’ quello della non abitualita’ della condotta che, attenendo alla condizione soggettiva del suo autore, non si comunica agli altri concorrenti nel reato. Non possono pertanto essere rivolte a questa Corte, chiamata al controllo di legittimita’ della sentenza impugnata, doglianze su questioni che non risultano essere state preventivamente indirizzate al giudice di merito, tanto piu’ ove involgano come nel caso di specie un apprezzamento di natura discrezionale, ostandovi il divieto generale previsto dall’articolo 606 c.p.p., u.c. che preclude la devoluzione a questa Corte di questioni relative al vizio di violazione di legge non sottoposte alla cognizione del giudice di appello, venendo altrimenti meno la funzione del sindacato di legittimita’ cui e’ sotteso il presente giudizio.
4. Segue all’esito del ricorso, a norma dell’articolo 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento, nonche’ quello, tenuto conto non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’”, del versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata come in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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