Corte di Cassazione, sezione prima civile, Sentenza 27 marzo 2020, n. 7555.
La massima estrapolata:
In tema di revisione delle condizioni economiche del divorzio riguardanti l’obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni ma non autosufficienti, la sopravvenuta adozione dei medesimi da parte del nuovo marito della madre, ove ne derivi il loro stabile inserimento nel contesto familiare creatosi, deve essere valutata dal giudice ai fini della modificazione dell’entità di tale mantenimento, ove risulti che l’adottante, benché privo del corrispondente obbligo giuridico, provveda comunque continuativamente e non solo occasionalmente alle esigenze e necessità quotidiane degli adottati.
Sentenza 27 marzo 2020, n. 7555
Data udienza 18 febbraio 2020
Tag – parola chiave: Famiglia – Matrimonio – Scioglimento – Divorzio – Obblighi – Verso la prole – In genere famiglia – Divorzio – Obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne – Sopravvenuta adozione da parte del nuovo marito dell’ex coniuge – Revisione delle condizioni economiche – Ammissibilità – Condizioni.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere
Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere
Dott. SCALIA Laura – Consigliere
Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso n. 3964/2018 r.g. proposto da:
(OMISSIS), (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato (OMISSIS), presso il cui studio elettivamente domicilia in (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), (cod. fisc. (OMISSIS)) e (OMISSIS) (cod. fisc. (OMISSIS)), quest’ultima in proprio e nell’interesse di (OMISSIS) (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentate e difese, giusta procura speciale apposta in calce al controricorso, dagli Avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), presso i quali elettivamente domicilia in (OMISSIS) (studio Avv. (OMISSIS));
– controricorrenti –
nonche’ sul ricorso incidentale proposto da:
(OMISSIS) e (OMISSIS), quest’ultima in
proprio e nell’interesse di (OMISSIS), come sopra rappresentate e difese;
– ricorrenti incidentali –
contro
(OMISSIS), come sopra rappresentato e difeso;
– intimato –
avverso il decreto della CORTE DI APPELLO DI PERUGIA, depositato il 30/11/2017;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/02/2020 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ZENO Immacolata, che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile, o, in subordine, rigettarsi il ricorso principale, ed accogliersi quello incidentale;
udito, per il ricorrenti, l’Avv. (OMISSIS), che ha chiesto accogliersi il proprio ricorso;
udito, per le controricorrenti, gli Avv.ti. (OMISSIS) e (OMISSIS), che hanno chiesto dichiararsi inammissibile o comunque rigettarsi l’avverso ricorso, accogliendosi, invece, il proprio ricorso incidentale.
FATTI DI CAUSA
1. (OMISSIS) ed (OMISSIS), dopo la declaratoria di cessazione degli effetti civili del loro matrimonio, regolamentarono nuovamente, tra l’altro, la contribuzione del padre al mantenimento delle figlie (OMISSIS) e (OMISSIS), ottenendo dal Tribunale di Terni, il 19/27 febbraio 2014, l’omologa dell’accordo del 9 gennaio 2013, cosi’ raggiunto: Euro 700,00 mensili per la prima, nata il (OMISSIS), ed Euro 500,00 mensili per la seconda, nata il (OMISSIS), questi ultimi da corrispondere alla madre, oltre adeguamento ISTAT.
2. Con successivo ricorso del 2 luglio 2016, il (OMISSIS) chiese al Tribunale di Spoleto la modifica delle condizioni suddette, segnatamente l’esclusione o la sensibile diminuzione dell’assegno a favore della figlia (OMISSIS) e la riduzione dell’assegno per l’altra figlia, (OMISSIS), adducendo la sopravvenienza di fatti rilevanti idonei a ridefinire quei rapporti economici, tra cui il nuovo matrimonio contratto dalla (OMISSIS), l'(OMISSIS), con (OMISSIS) e l’avvenuta adozione, da parte di quest’ultimo, delle ormai maggiorenni (OMISSIS) e (OMISSIS), giusta le sentenze nn. 203 e 220 del 2016 rese dal medesimo tribunale.
2.1. Costituitasi la sola (OMISSIS), la quale si oppose alle avverse domande, chiedendo, altresi’, in via riconvenzionale, l’aumento ad Euro 700,00 mensili dell’assegno di mantenimento per la figlia (OMISSIS), stanti le sue mutate esigenze, l’adito tribunale dispose la revoca del contributo in favore di (OMISSIS) e la riduzione dell’assegno mensile per (OMISSIS) ad Euro 200,00. Tanto sull’assunto che, al di la’ dell’astratta normativa relativa all’istituto dell’adozione di maggiorenni, nel caso specifico risultava chiaro che il (OMISSIS) si era puntualmente e continuativamente occupato delle esigenze delle figlie adottive, mantenendole, come esposto nel suo ricorso per adozione integralmente recepito nelle due sentenze suddette che lo avevano accolto.
3. La Corte di appello di Perugia, adita con distinti reclami da (OMISSIS) e da (OMISSIS), nell’interesse di (OMISSIS) e previa riunione degli stessi, li accolse con decreto del 29/30 novembre 2017, e pose a carico del (OMISSIS) l’assegno di mantenimento di Euro 700,00 mensili, oltre rivalutazione, da pagare alla figlia (OMISSIS), ed altro assegno mensile del medesimo importo per la figlia (OMISSIS), da corrispondere alla madre (OMISSIS), ponendo le spese straordinarie da concordarsi a carico di ciascun genitore nella misura del 50%, e quelle giudiziali di entrambi i gradi, come liquidate in dispositivo, a carico del (OMISSIS).
3.1. Per quanto qui di residuo interesse, quella corte opino’ che: i) l’intervenuta adozione, nelle forme di cui agli articoli 291 c.c. e segg., non eliminava l’obbligo di mantenimento delle figlie a carico del padre (OMISSIS); ii) ai sensi dell’articolo 315-bis c.c., il figlio ha diritto di essere mantenuto e che l’articolo 337-septies c.c., impone l’obbligo di mantenimento a carico del genitore anche a favore del figlio maggiorenne non economicamente indipendente; iii) su tale obbligo non potevano incidere i rapporti esistenti tra il figlio ed il proprio genitore, ne’ l’andamento scolastico, che comunque, nel caso di specie, si constatava essere proficuo; iv) l’intervenuta adozione, da parte del (OMISSIS), delle figlie, ormai maggiorenni, del (OMISSIS), non aveva in alcun modo inciso sulle loro condizioni economiche con riguardo ai relativi rapporti con quest’ultimo. La medesima corte riconobbe, altresi’, la legittimazione della (OMISSIS) ad agire per ottenere dall’altro genitore il contributo al mantenimento per la figlia con se’ convivente, seppure maggiorenne ma non economicamente indipendente.
4. Avverso il descritto decreto, (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, resistiti, con unico controricorso, da (OMISSIS) ed (OMISSIS), quest’ultima anche nell’interesse di (OMISSIS), le quali hanno proposto anche ricorso incidentale, recante due motivi, altresi’ depositando memoria ex articolo 380-bis c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Le censure di cui al ricorso principale di (OMISSIS) prospettano, rispettivamente:
I) “Violazione dell’articolo 337-septies c.c.: insussistenza dell’obbligo (generalizzato) di mantenimento del figlio maggiorenne”, ascrivendosi alla corte distrettuale di non aver ponderato le circostanze del caso concreto al fine di accertare se (OMISSIS) e (OMISSIS) fossero meritevoli dell’attribuzione economica. Secondo il ricorrente, un tale vaglio non poteva prescindere dalla preliminare valutazione dei suoi rapporti con le figlie, che erano totalmente assenti, poiche’ queste non condividevano con lui alcun legame affettivo, progetto educativo o percorso di formazione, dopo che erano state adottate da (OMISSIS), nuovo marito della (OMISSIS). Si afferma, inoltre, che, al di la’ dell’astratta normativa relativa all’istituto della adozione di maggiorenni, nel caso specifico risultava chiaro che il (OMISSIS) si era puntualmente e continuativamente occupato delle esigenze delle figlie adottive, mantenendole e provvedendo alle loro necessita’ quotidiane, come emergeva dal ricorso per adozione integralmente recepito nelle due sentenze del Tribunale di Spoleto con cui era disposta l’adozione medesima;
II) “Falsa applicazione degli articoli 291 c.c. e segg., in relazione all’articolo 337-septies c.c.”, perche’ la corte perugina, nel fissare l’assegno di mantenimento posto a carico del (OMISSIS), non aveva tenuto conto del fatto che il (OMISSIS), benche’ non obbligato al mantenimento delle due ragazze maggiorenni adottate (peraltro per dare seguito ad una loro espressa richiesta), aveva comunque dichiarato – proprio nel corrispondente procedimento – di avervi provveduto;
III) “Violazione dell’articolo 345 c.p.c.: mancata estromissione dei documenti prodotti in sede di reclamo”, per avere la corte umbra utilizzato, nel decidere, una lettera del (OMISSIS), prodotta tardivamente e che avrebbe dovuto essere stralciata, con cui questi riferiva di non riuscire a fare fronte alle spese per il mantenimento delle ragazze;
IV) “Statuizione sulle spese ex articolo 385 c.p.c.”, chiedendosi, con l’accoglimento del ricorso, la riforma della condanna alle spese dei precedenti gradi di giudizio.
2. Le due doglianze di cui al ricorso incidentale di (OMISSIS) ed (OMISSIS), anche nell’interesse di (OMISSIS), recano, invece, rispettivamente, “violazione o falsa applicazione, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, articoli 91 e 92 c.p.c., nonche’ del Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, articolo 4 e delle Tabelle 2 e 12 dei parametri ad esso allegati” e “violazione o falsa applicazione, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, articolo 2233 c.c., comma 2”, imputando alla corte di merito di non aver liquidato il compenso del proprio legale in misura adeguata all’importanza dell’opera prestata ed al decoro della professione.
3. Va immediatamente sgomberato il campo dalle eccezioni di inammissibilita’ del ricorso principale cosi’ come formulate dalle controricorrenti.
3.1. Invero, il tenore letterale di ciascun motivo di quest’ultimo consente agevolmente di coglierne la effettiva portata con riferimento sia alla individuazione del capo di pronuncia impugnato che alla specifica ragione della censura, sicche’ puo’ farsi applicazione del principio secondo cui, ai fini della ammissibilita’ del ricorso per cassazione, non e’ necessaria l’esatta indicazione delle norme di legge delle quali si lamenta l’inosservanza, ne’ la corretta menzione dell’ipotesi appropriata tra quelle in cui e’ consentito adire il giudice di legittimita’, essendo necessario, invece, che si faccia valere un vizio astrattamente idoneo ad inficiare la pronuncia (cfr. Cass. n. 12690 del 2018, in motivazione; Cass. n. 19882 del 2013; Cass. n. 6671 del 2003). In tale prospettiva, eventuali erronee o incomplete indicazioni di norme violate nella rubrica del motivo non determinano, ex se, l’inammissibilita’ di questo se la Corte possa agevolmente procedere alla corretta qualificazione giuridica del vizio denunciato sulla base delle argomentazioni giuridiche ed in fatto svolte dal ricorrente a fondamento della censura, in quanto la configurazione formale della rubrica del motivo non ha contenuto vincolante, ma e’ solo l’esposizione delle ragioni di diritto della impugnazione che chiarisce e qualifica, sotto il profilo giuridico, il contenuto della censura stessa (cfr. Cass. n. 12690 del 2018, in motivazione; Cass. n. 14026 del 2012). Questa impostazione ermeneutica, del resto, e’ stata autorevolmente avallata dalle stesse Sezioni Unite di questa Corte, che, con la sentenza n. 17931 del 2013, hanno affermato che “l’onere della specificita’ ex articolo 366 c.p.c., n. 4, secondo cui il ricorso deve indicare “i motivi per i quali si chiede la cassazione, con l’indicazione delle norme di diritto su cui si fondano”, non debba essere inteso quale assoluta necessita’ di formale ed esatta indicazione della ipotesi, tra quelle elencate nell’articolo 360 c.p.c., comma 1, cui si ritenga di ascrivere il vizio, ne’ di precisa individuazione, nei casi di deduzione di violazione o falsa applicazione di norme sostanziali o processuali, degli articoli, codicistici o di altri testi normativi, comportando, invece, l’esigenza di una chiara esposizione, nell’ambito del motivo, delle ragioni per le quali la censura sia stata formulata e del tenore della pronunzia caducatoria richiesta, che consentano al giudice di legittimita’ di individuare la volonta’ dell’impugnante e stabilire se la stessa, cosi’ come esposta nel mezzo di impugnazione, abbia dedotto un vizio di legittimita’ sostanzialmente, ma inequivocamente, riconducibile ad alcuna delle tassative ipotesi di cui all’articolo 360 citato”.
3.2. Non pertinente si rivela, poi, il richiamo alla fattispecie di inammissibilita’ ex articolo 360-bis c.p.c., n. 1, posto che, in ordine alla concreta questione giuridica su cui il Collegio e’ oggi chiamato a pronunciarsi con riferimento ai primi due motivi del ricorso principale (incidenza, o meno, ai fini della domandata revisione delle condizioni economiche del divorzio quanto alla persistenza dell’obbligo di mantenimento di figli maggiorenni degli ex coniugi, della sopravvenuta adozione dei figli stessi da parte del nuovo marito della loro madre), non si rinvengono specifici precedenti di legittimita’.
4. Tanto premesso, gli appena menzionati due motivi del ricorso principale del (OMISSIS), di cui e’ possibile l’esame congiunto attesane la chiara connessione, si rivelano fondati esclusivamente nei limiti di cui appresso.
4.1. Giova premettere, in fatto, che i contenuti dei rispettivi atti introduttivi di questo giudizio di legittimita’ consentono di poter ritenere sostanzialmente incontroverso che: i) (OMISSIS) ed (OMISSIS), dopo la declaratoria di cessazione degli effetti civili del loro matrimonio, regolamentarono nuovamente, tra l’altro, la contribuzione del padre al mantenimento delle figlie (OMISSIS) e (OMISSIS), ottenendo dal Tribunale di Terni, il 19/27 febbraio 2014, l’omologa del relativo accordo sancito il 9 gennaio 2013, che prevedeva la corresponsione, ad opera del (OMISSIS), di Euro 700,00 mensili alla prima di esse, nata il (OMISSIS), e di Euro 500,00 mensili alla seconda, nata il (OMISSIS), questi ultimi da corrispondere alla madre, oltre adeguamento ISTAT; ii) successivamente alla stipulazione tale accordo, la (OMISSIS), l'(OMISSIS), aveva contratto nuovo matrimonio con (OMISSIS), il quale aveva poi proceduto all’adozione delle ormai maggiorenni (OMISSIS) e (OMISSIS) (peraltro per dare seguito ad una loro espressa richiesta), dichiarando, altresi’, di occuparsi continuativamente delle loro esigenze e di provvedere alle loro necessita’ quotidiane.
4.2. Si impongono, dunque, alcune considerazioni di carattere generale riguardanti: a) l’ambito della possibile revisione, della L. n. 898 del 1970, ex articolo 9, delle statuizioni contenute in una sentenza di divorzio passata in cosa giudicata ed il modus operandi del giudice che di tanto venga richiesto; b) il perimetro operativo dell’articolo 337-septies c.c., recante “Disposizioni in favore dei figli maggiorenni”, in particolare del suo comma 1; c) l’istituto dell’adozione di persone maggiori di eta’, di cui agli articoli 291 c.c. e segg..
4.2.1. Va, allora, ricordato che, ai sensi della L. n. 898 del 1970, predetto articolo 9 (cosi’ come modificato dalla L. n. 436 del 1978, articolo 2 e della L. n. 74 del 1987, articolo 13), le sentenze di divorzio passano in cosa giudicata rebus sic stantibus, rimanendo, cioe’, suscettibili di modifica, quanto ai rapporti economici o all’affidamento dei figli, in relazione alla sopravvenienza di fatti nuovi, mentre la rilevanza dei fatti passati e delle ragioni giuridiche non addotte nel giudizio che vi ha dato luogo rimane esclusa in base alla regola generale secondo cui il giudicato copre il dedotto ed il deducibile (cfr. Cass. n. 2953 del 2017, richiamata, in motivazione, dalle piu’ recenti Cass. n. 4768 del 2018 e Cass. n. 11177 del 2019). Il provvedimento di revisione dell’assegno divorzile o di quello di mantenimento dei figli, previsto dalla citata norma, postula, quindi, non soltanto l’accertamento di una sopravvenuta modifica delle condizioni economiche degli ex coniugi, ma anche la sua idoneita’ a mutare il pregresso assetto patrimoniale realizzato con il precedente provvedimento attributivo di uno dei predetti assegni, secondo una valutazione comparativa delle condizioni economiche di entrambe le parti (cfr. Cass. n. 1761 del 2008, in motivazione). Pertanto, come ancora recentemente ribadito da Cass. n. 32529 del 2018, “in ordine alla domanda concernente la revisione del contributo al mantenimento dei figli, sia minorenni che maggiorenni non economicamente autosufficienti, proposta in base alla menzionata norma, il giudice non puo’ procedere ad una nuova ed autonoma valutazione dei presupposti o dell’entita’ dell’assegno, sulla base di una diversa ponderazione delle condizioni economiche delle parti valutate al momento della pronuncia del divorzio, ma, nel pieno rispetto delle valutazioni espresse al momento dell’attribuzione dell’emolumento, deve limitarsi a verificare se, ed in quale misura, le circostanze sopravvenute abbiano alterato l’equilibrio cosi’ raggiunto e ad adeguare l’importo o lo stesso obbligo della contribuzione alla nuova situazione patrimoniale (Cass. n. 214 del 11/01/2016, n. 14143 del 20/06/2014). Cio’ in quanto i “giustificati motivi”, la cui sopravvenienza consente di rivedere le determinazioni adottate in sede di divorzio dei coniugi, sono ravvisabili nei fatti nuovi sopravvenuti, modificativi della situazione in relazione alla quale la sentenza era stata emessa o gli accordi erano stati stipulati, con la conseguenza che esulano da tale oggetto i fatti preesistenti, ancorche’ non presi in considerazione in quella sede per qualsiasi motivo (cfr. in proposito Cass. n. 28436 del 28/11/2017, pronunciata in relazione revisione degli oneri conseguenti a separazione giudiziale)…”.
4.2.2. Quanto all’articolo 337-septies c.c., introdotto dal Decreto Legislativo n. 154 del 2013, ed in vigore dal 7 febbraio 2014 unitamente all’intero Titolo IX (Della responsabilita’ genitoriale e dei diritti e doveri del figlio), capo II (Esercizio della responsabilita’ genitoriale a seguito di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullita’ del matrimonio, ovvero all’esito di procedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio) del Libro primo del menzionato codice, esso dispone, al comma 1, che il giudice, valutate le circostanze, puo’ disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico. Tale assegno, salvo diversa determinazione del giudice, e’ versato direttamente all’avente diritto. Trattasi, evidentemente, di norma da leggersi tenendo conto anche di quanto sancito dall’articolo 147 c.c. (nel testo, qui applicabile ratione temporis, risultante dalla modifica apportatagli dal Decreto Legislativo predetto), a tenore del quale il matrimonio impone ad entrambi i coniugi l’obbligo di mantenere, istruire ed assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacita’, inclinazioni naturali e aspirazioni, secondo quanto previsto dall’articolo 315-bis c.c. e da quest’ultima disposizione, il cui comma 1 prevede che il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacita’, delle sue inclinazioni e delle sue aspirazioni. Fin da ora, peraltro, va ricordato che, secondo la giurisprudenza di legittimita’ ormai consolidatasi: i) “l’obbligo di mantenere il figlio non cessa automaticamente con il raggiungimento della maggiore eta’, ma si protrae qualora questi, senza sua colpa, divenuto maggiorenne, sia tuttavia ancora dipendente dai genitori. Ne consegue che, in tale ipotesi, il coniuge separato o divorziato, gia’ affidatario e’ legittimato, iure proprio (ed in via concorrente con la diversa legittimazione del figlio, che trova fondamento nella titolarita’, in capo a quest’ultimo, del diritto al mantenimento), ad ottenere dall’altro coniuge un contributo per il mantenimento del figlio maggiorenne” (cfr. Cass. n. 32529 del 2018; Cass. n. 9698 del 2001; Cass. n. 1353 del 1999); ii) “il diritto del coniuge separato di ottenere un assegno per il mantenimento del figlio maggiorenne convivente e’ da escludere quando quest’ultimo abbia iniziato ad espletare un’attivita’ lavorativa, cosi’ dimostrando il raggiungimento di una adeguata capacita’ e determinando la cessazione del corrispondente obbligo di mantenimento ad opera del genitore, sicche’ l’eventuale perdita dell’occupazione o il negativo andamento della stessa non comporta la reviviscenza dell’obbligo del genitore al mantenimento” (cfr. Cass. n. 6509 del 2017; Cass. n. 26259 del 2005); iii) “la cessazione dell’obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni non autosufficienti deve essere fondata su un accertamento di fatto che abbia riguardo all’eta’, all’effettivo conseguimento di un livello di competenza professionale e tecnica, all’impegno rivolto verso la ricerca di un’occupazione lavorativa nonche’, in particolare, alla complessiva condotta personale tenuta, dal raggiungimento della maggiore eta’, da parte dell’avente diritto” (cfr. Cass. n. 5088 del 2018; Cass. n. 12952 del 2016).
4.2.3. Circa, invece, l’adozione di persona maggiore di eta’, detta anche adozione ordinaria o civile, oggi disciplinata agli articoli 291 c.c. e segg., essa ha subito, nel tempo, numerosi interventi riformatori, dovuti in larga parte all’evolversi della coscienza sociale in ambito lato sensu “familiare”.
4.2.3.1. Invero, secondo l’insegnamento tradizionale, l’istituto dell’adozione rispose ad una funzione squisitamente privatistica consistente nel soddisfare l’interesse dell’adottante alla trasmissione del nome e del patrimonio, mediante la creazione di un vincolo di filiazione artificiale. In considerazione di tali finalita’ patrimoniali e successorie, l’istituto fu introdotto nel Code civil francese del 1804 e, per gli stessi fini, recepito dal codice civile unitario del 1865, dove fu riservato ai maggiori di diciotto anni (che tuttavia allora non erano ancora maggiorenni, poiche’ la maggiore eta’ si raggiungeva a ventuno anni). Certo gia’ allora non poteva ignorarsi la valenza personalistica dell’adozione, sia con riguardo all’interesse dell’adottante, rispetto al quale essa rappresentava “un’invenzione pietosa della legge destinata a colmare un vuoto che una sorte avara ed avversa lascia non di rado nella vita di un uomo”, sia nei confronti dell’adottato, nascendo l’adozione come atto di generosita’ in virtu’ del quale si convertiva “in dovere un’affezione sino ad allora libera ed indipendente”. Il carattere “affettivo” dell’adozione costituiva, tuttavia, mero movente psicologico, pressoche’ irrilevante sotto il profilo della disciplina. Alla luce del diritto positivo, invero, essa si configurava alla stregua di un atto di diritto privato volto alla sola devoluzione del nome e del patrimonio. In tali sensi, del resto, opinava anche la dottrina contemporanea al codice del 1865, la quale, valorizzando alcuni profili della disciplina allora vigente (in particolare, l’articolo 208, per il quale “l’adozione si fa col consenso dell’adottante e dell’adottando”, e l’articolo 217, che faceva decorrere gli effetti dell’adozione dal giorno della prestazione del consenso medesimo e non dal successivo atto di omologazione da parte dell’autorita’ giudiziaria), attribuiva al consenso delle parti l’effetto costitutivo del rapporto adozionale. Proprio in conseguenza della sua natura privatistica, non si determinava l’inserimento dell’adottato nella famiglia dell’adottante, mentre restavano integri i rapporti del primo con la propria famiglia di origine. Stante il carattere patrimoniale dell’istituto, la legge prevedeva, inoltre, una serie di divieti e cautele a tutela degli interessi dei parenti dell’adottante. In tal senso doveva leggersi, principalmente, il divieto di adottare in presenza di propri figli legittimi o legittimati, logica conseguenza della finalita’ di supplire al difetto di discendenti propria dell’adozione e volto ad evitare che l’istituto si prestasse ad eludere le norme sulla successione necessaria, consentendo di attribuire ad un estraneo una quota maggiore rispetto a quella disponibile. Nella stessa direzione muovevano, poi, il limite minimo di eta’ per adottare, che ancora il legislatore del 1942 fissava al cinquantesimo anno, essendo sensibilmente ridotta a tale data la capacita’ di procreare; nonche’ il divieto di adottare piu’ persone, salvo che cio’ avvenisse con il medesimo atto. Stante la natura negoziale attribuita all’istituto, si intendeva con tale ultima previsione precludere ad una delle parti la possibilita’ di modificare unilateralmente i contenuti del rapporto posto in essere. Confermava, infine, il carattere privatistico dell’istituto la norma che richiedeva l’assenso del coniuge e dei genitori legittimi o naturali dell’adottante e dell’adottando, e che, a parere della dottrina, configurava un atto personalissimo ed irrevocabile, esplicazione di un “potere familiare” volto alla tutela del prevalente interesse della famiglia.
4.2.3.2. Fu il codice del 1942 ad abbandonare la prospettiva esclusivamente privatistica e ad imprimere una prima, fondamentale svolta in chiave personalistica all’istituto, consentendo l’adozione anche dei minori. Tale mutamento ebbe l’effetto di introdurre nell’istituto un valore nuovo: l’interesse del minore. Anche in virtu’ del dettato costituzionale, si fini’, infatti, con il ritenere detto interesse prevalente rispetto a quello dell’adottante a procurarsi un discendente. Si apri’, cosi’, la strada alle riforme apportate dalla L. 5 maggio 1967, n. 431, che, mentre introduceva l’adozione speciale, modificava la disciplina codicistica dell’adozione ordinaria al fine di piegarla all’assolvimento di una funzione esplicitamente assistenziale. Detti mutamenti determinarono, pero’, al contempo, un arretramento nella tutela delle ragioni, specie patrimoniali, della famiglia legittima. Cosi’, se la riduzione del limite di eta’ per l’adottante a trentacinque o, eccezionalmente, a trent’anni rispondeva essenzialmente allo scopo di dare all’adottato genitori giovani e, nondimeno, dotati del grado di maturita’ necessaria a compiere una scelta responsabile, di fatto essa fece venir meno l’originaria funzione dell’adozione, di sopperire alla mancanza di una propria discendenza, non potendosi piu’ escludere una futura filiazione da parte dell’adottante. Lo stesso interesse patrimoniale dell’adottato venne subordinato alla preminente funzione assistenziale, allorche’ si consenti’ a che l’adozione fosse disposta nei confronti di piu’ persone anche con atti successivi.
4.2.3.3. Un ulteriore affievolimento della tutela dei membri della famiglia dell’adottante si ebbe, poi, con la legge di riforma del diritto di famiglia del 1975, che rese possibile l’adozione civile anche in assenza dei prescritti assensi, ove il rifiuto fosse apparso ingiustificato o contrario all’interesse dell’adottando, ovvero l’assenso non avesse potuto essere prestato per incapacita’ o irreperibilita’ della persona. Un vero e proprio potere di veto rispetto alla decisione adottiva permaneva solo in capo ai genitori esercenti la potesta’ sull’adottando ed ai coniugi conviventi dell’adottato e dell’adottante. Peraltro, la dottrina osservava come un rifiuto ingiustificato da parte dei genitori avrebbe potuto essere superato mediante una pronuncia di decadenza dalla potesta’ ai sensi dell’articolo 330 c.c., ovviamente ove si fosse ritenuto integrato uno dei fatti previsti dalla norma. Rispetto al coniuge convivente dell’adottante, invece, l’insuperabilita’ del rifiuto veniva interpretato come conseguenza della mutata funzione dell’adozione, che adesso faceva apparire come naturale l’instaurarsi della convivenza tra adottato minorenne ed adottante, e serviva di conseguenza a garantire da possibili turbamenti “l’armonia spirituale della famiglia” di quest’ultimo.
4.2.3.4. Le modifiche appena menzionate sono passate pressoche’ indenni attraverso la novella del 4 maggio 1983, n. 184. Allo scopo di risolvere le problematiche connesse alla coesistenza di due istituti, l’adozione speciale e quella ordinaria, entrambi applicabili ai minori, il legislatore ha, in questa occasione, confinato l’applicabilita’ dell’adozione codicistica ai soli maggiorenni. Si e’ in tal modo voluta restituire all’istituto la funzione patrimoniale per la quale era stato concepito. Cio’ ha condotto ad eliminare dal codice quelle disposizioni che avevano piegato l’adozione civile a finalita’ di carattere assistenziale, in primis la norma attributiva della potesta’ all’adottante (articolo 301). La natura del vincolo instaurato con l’adottato torna, dunque, a connotarsi in chiave essenzialmente patrimoniale giacche’, salva l’assunzione del cognome, esso si limita a far conseguire all’adottato i soli diritti successori ed alimentari. L’adozione cd. ordinaria continua, pertanto, a rispondere, in primo luogo, alla gia’ descritta funzione tradizionalmente accordatale; quantomeno, e’ proprio in vista di tale funzione che ne sono definiti presupposti, condizioni ed effetti nella disciplina delineata dagli articoli 291 c.c. e segg..
4.2.3.5. Appare tuttavia innegabile che lo strumento dell’adozione de qua si presti ad essere utilizzato anche con ben altra finalita’, almeno in tutti i casi in cui l’adottando, sebbene maggiore di eta’, sia inserito di fatto in un consorzio familiare, in cui si avverta un’insistente esigenza di assicurare una piena legittimazione, sul piano giuridico, ad una realta’ gia’ in atto sul piano dei sentimenti e delle relazioni personali. Si pensi, ad esempio, alla idoneita’ dell’adozione predetta, ritenuta da parte della dottrina, a “dare veste giuridica al rapporto personale ed affettivo che spesso si costituisce tra coniuge e figlio dell’altro coniuge, vedovo o divorziato, o a quello creatosi a seguito di un affidamento (non temporaneo) che si e’ prolungato ma non puo’ evidentemente proseguire oltre la maggiore eta’”. E’ proprio alla contrapposizione fra le suesposte esigenze che appare riconducibile l’andamento altalenante degli interventi giurisprudenziali. Laddove all’adozione si attribuisce il ruolo di costituire (ovvero di riconoscere l’esistenza di) una famiglia, giocoforza e’ il tentativo di assimilare lo strumento delineato nel codice alle forme di adozione dei minori; qualora, invece, l’adozione dei maggiori di eta’ sia confinata entro il ruolo tradizionalmente riconosciutole, non potra’ che derivarne un’applicazione rigorosa e restrittiva delle norme codicistiche, giustificata dalla loro autosufficienza e sostanziale estraneita’ alle problematiche proprie delle situazioni di abbandono dei minori e dei rimedi di volta in volta apprestati dall’ordinamento in funzione di una loro adeguata protezione. Proprio in quest’ottica, del resto, va inquadrato il dibattito che, nel corso degli ultimi decenni, ha visto spesso contrapposte la Corte costituzionale, fedele alla concezione, per cosi’ dire, tradizionale dell’istituto dell’adozione di persone maggiori di eta’, e la Corte di cassazione, la quale, in diverse occasioni, ha sostenuto l’opportunita’ di un’applicazione meno rigida di tale strumento, evidenziandone piuttosto i punti di contatto che quelli di divergenza rispetto alle forme di adozione dei minori e spingendosi sino al punto di “forzare” la lettera degli articoli 291 c.c. e segg.. Se, dunque, la Consulta ha piu’ volte ribadito la bonta’ del sistema dell’adozione dei maggiori di eta’ – come risultante dai diversi interventi normativi che si sono sovrapposti alla disciplina dell’adozione originariamente delineata nel codice civile – facendo leva essenzialmente sulla funzione ad essa tipicamente assegnata, la Cassazione ha offerto delle interpretazioni coraggiosamente innovative, spinta dall’esigenza di sostenere l’aspirazione dei privati alla formazione di nuclei familiari stabili e dalla ferma volonta’ di salvaguardarne l’unita’, assumendosi, con cio’, la responsabilita’ di sconfessare piu’ o meno apertamente le posizioni piu’ prudentemente mantenute dal Giudice delle leggi. Basti pensare alle pronunce attinenti alla derogabilita’ dei requisiti di eta’ richiesti per procedere all’adozione.
4.3. Tanto premesso, questo Collegio intende proseguire in quell’indirizzo interpretativo meno rigido dell’istituto in questione di cui si e’ detto, nell’intento, appunto, di privilegiarne l’aspirazione (anche) alla formazione di nuclei familiari stabili, soprattutto allorquando l’adottato maggiorenne – come ragionevolmente verificatosi nella odierna fattispecie, alla luce della situazione fattuale, pressoche’ incontroversa, descritta nel precedente § 4.1. – sia gia’ inserito, di fatto, in un contesto familiare, in cui si avverta l’esigenza di assicurare una piena legittimazione, sul piano giuridico, ad una realta’ gia’ in atto sul piano dei sentimenti e delle relazioni personali.
4.3.1. Tanto, si badi, non per farne derivare il sorgere di obblighi giuridici, tra adottante ed adottato, al di fuori di quanto desumibile dalla specifica disciplina codicistica (cfr. articolo 300 c.c., comma 2, che, nell’escludere espressamente soltanto l’insorgere di alcun rapporto civile tra adottante e famiglia dell’adottato, e tra adottato e parenti dell’adottante, salve le eccezioni di legge, evidentemente non disconosce la nascita di analoghi rapporti direttamente tra adottante ed adottato. Si vedano anche l’articolo 433 c.c., n. 3, che indica pure gli adottanti tra le persone obbligate a prestare gli alimenti, nonche’ l’articolo 436 medesimo codice, secondo cui l’adottante deve gli alimenti al figlio adottivo con precedenza sui genitori), ma, quantomeno, al piu’ limitato scopo di attribuire rilevanza alla situazione fattuale da essa determinata come circostanza valutabile laddove il genitore dell’adottato, gia’ tenuto al suo mantenimento, chieda procedersi alla revisione del relativo contributo.
4.3.1.1. Non si intende, ovviamente, affermare che l’adottante abbia l’obbligo giuridico di contribuire al mantenimento del da lui adottato figlio maggiorenne di colei che, gia’ divorziata, abbia sposato, ne’ che il padre di colui che poi sia stato adottato non sia piu’ tenuto ad un tale mantenimento: nel primo caso, infatti, mancherebbe la norma impositiva di detto obbligo (non sembrando essa individuabile nel gia’ citato articolo 436 c.c., riguardante il piu’ limitato obbligo agli alimenti, che postula, pero’, giusta l’articolo 438 c.c., comma 1, l’esistenza di uno stato di bisogno, difficilmente ipotizzabile se il padre ottemperi al suo obbligo di mantenimento); nel secondo, invece, ci si troverebbe in aperto contrasto con l’articolo 300 c.c., comma 1, a tenore del quale, l’adottato conserva tutti i diritti e i doveri verso la sua famiglia di origine, salve le eccezioni stabilite dalla legge.
4.3.1.2. Si vuol dire, invece, che laddove l’adottato maggiorenne si trovi stabilmente inserito, di fatto, nel contesto familiare creatosi per effetto del matrimonio contratto da sua madre con l’adottante, il quale, benche’ a tanto non obbligato giuridicamente, comunque provveda continuativamente, e non solo occasionalmente, anche alle sue esigenze e necessita’ quotidiane, si e’ in presenza di una circostanza fattuale che, ove sopravvenuta rispetto agli accordi gia’ esistenti tra i suoi genitori circa il suo mantenimento, non puo’ essere sottratta all’esame del giudice eventualmente adito da uno di essi con domanda di revisione delle condizioni di quel mantenimento. Cio’ perche’ e’ assolutamente intuitivo che, in una ipotesi come quella appena descritta, l’entita’ di quest’ultimo ben potrebbe essere variata (se significativamente, o meno, spettera’ al giudice accertarlo) per effetto dell’apporto economico comunque fornito anche dall’adottante alle necessita’ ed ai bisogni dell’adottato.
4.4. Calando, allora, tali affermazioni generali nella vicenda oggi all’esame di questa Corte, va sicuramente ribadito (confermandosi, in parte qua, il decreto impugnato) che (OMISSIS) e’ tuttora tenuto a contribuire al mantenimento delle figlie (OMISSIS) e (OMISSIS), malgrado la loro maggiore eta’ e l’avvenuta loro adozione da parte di (OMISSIS). In proposito e’ sufficiente, da un lato, richiamare le gia’ riportate pronunce di legittimita’ (Cass. n. 32529 del 2018; Cass. n. 9698 del 2001; Cass. n. 1353 del 1999) secondo cui l’obbligo di mantenere il figlio non cessa automaticamente con il raggiungimento della maggiore eta’, ma si protrae, qualora questi, senza sua colpa, divenuto maggiorenne, sia tuttavia ancora dipendente dai genitori; dall’altro, rimarcare che, giusta il tenore letterale del provvedimento oggi impugnato, nessuna dimostrazione di eventuali condotte negligenti di (OMISSIS) e (OMISSIS), quanto alla ricerca di un’occupazione, e’ stata fornita dall’odierno ricorrente principale, laddove, invece, come si e’ gia’ riferito, la cessazione dell’obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni non autosufficienti deve essere fondata su un accertamento di fatto che abbia riguardo all’eta’, all’effettivo conseguimento di un livello di competenza professionale e tecnica, all’impegno rivolto verso la ricerca di un’occupazione lavorativa nonche’, in particolare, alla complessiva condotta personale tenuta, dal raggiungimento della maggiore eta’, da parte dell’avente diritto (cfr. Cass. n. 5088 del 2018; Cass. n. 12952 del 2016).
4.5. Del resto, il persistere di un siffatto obbligo di contribuzione al mantenimento delle figlie, benche’ maggiorenni, nemmeno potrebbe essere escluso per il solo fatto della sopravvenuta loro adozione, ex articolo 291 e ss. c.c., da parte del (OMISSIS), stante il chiarissimo disposto dell’articolo 300 c.c., comma 1 (l’adottato conserva tutti i diritti e i doveri verso la sua famiglia di origine, salve le eccezioni stabilite dalla legge).
4.6. Fermo tutto cio’, e’ ragionevolmente innegabile che l’entita’ di un tale mantenimento non possa non tener conto della duplice circostanza fattuale che (i) (OMISSIS) e (OMISSIS), per effetto dell’adozione fattane da (OMISSIS) (peraltro per dare seguito ad una loro espressa richiesta), sono ormai stabilmente inserite nel contesto familiare creatosi per effetto del matrimonio contratto con quest’ultimo dalla loro madre, e che (ii) il (OMISSIS) abbia provveduto continuativamente, e non solo occasionalmente, anche alle loro esigenze e necessita’ quotidiane: l’attuale entita’ di detto mantenimento dovuto dal (OMISSIS), quindi, ben potrebbe essere variata per effetto dell’apporto economico comunque fornito anche dall’adottante alle necessita’ ed ai bisogni dell’adottato.
4.7. Di tanto la corte distrettuale non dimostra di aver avuto reale ed effettiva contezza, non avendo minimamente spiegato le ragioni del suo genericissimo assunto per cui “l’intervenuta adozione delle predette ( (OMISSIS) e (OMISSIS). Ndr) da parte di (OMISSIS) non ha in alcun modo inciso sulle loro condizioni economiche con riguardo ai loro rapporti con il (OMISSIS)”: affermazione che si rivela apodittica ed affatto equivoca, posto che non e’ chiaro se, nell’ottica del giudice a quo, la mancata incidenza fosse da ricondursi alla mera interpretazione in chiave strettamente tradizionale dell’istituto dell’adozione del maggiorenne (finalizzato, quindi, solo a soddisfare l’interesse dell’adottante alla trasmissione del nome e del patrimonio, mediante la creazione di un vincolo di filiazione artificiale), oppure agli esiti di un accertamento fattuale comunque effettuato (ed, in tal caso, oggi non ulteriormente sindacabile se non nei ristretti limiti di cui al novellato articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, qui applicabile ratione temporis, risalendo il decreto impugnato al 30 novembre 2017).
4.7.1. Esclusivamente in questi limiti, dunque, puo’ ritenersi sussistente, nella specie, la violazione dell’articolo 337-septies c.c., in combinato disposto con la L. n. 898 del 1970, articolo 9 (nella parte in cui consente la modifica degli accordi economici degli ex coniugi quanto al mantenimento dei figli, ove sopravvengano significativi fatti nuovi) e della disciplina dell’adozione del maggiore di eta’ (articoli 291 c.c. e segg.) da interpretarsi, appunto, nel meno rigido modo di cui si e’ ampiamente detto in precedenza, attribuendo ad essa il ruolo di favorire la costituzione (ovvero di riconoscere l’esistenza di) una famiglia. Nei soli sensi predetti, quindi, i primi due motivi del ricorso principale meritano accoglimento.
5. Il terzo motivo del ricorso principale e’ infondato perche’, come questa Corte ha gia’ avuto occasione di affermare, il reclamo avverso i provvedimenti di modifica delle condizioni del divorzio resi dal tribunale ai sensi della L. n. 898 del 1970, articolo 9, comma 1, costituisce un mezzo d’impugnazione, ancorche’ devolutivo, e come tale ha per oggetto la revisione della decisione adottata in primo grado, nei limiti del devolutum e delle censure formulate, in correlazione alle domande formulate in quella sede; con la conseguenza che in sede di reclamo, mentre possono essere allegati, stante la liberta’ di forme proprie del procedimento, fatti nuovi, non possono essere proposte domande nuove, che snaturerebbero il reclamo stesso quale mezzo d’impugnazione, come tale avente la funzione di rimuovere vizi del precedente provvedimento (cfr. Cass. n. 3924 del 2012, che ha escluso anche la proponibilita’, in tale reclamo, di nuove eccezioni in senso stretto; Cass. n. 1761 del 2008; Cass. n. 14022 del). La possibilita’ di allegare fatti nuovi, stante la liberta’ delle forme proprie del procedimento, e la conseguente necessita’ di doverne consentire la corrispondente attivita’ asseverativa, esclude, dunque l’applicabilita’, in tale sede, del disposto dell’articolo 345 c.p.c., quanto al divieto di produrre nuovi documenti, nemmeno essendo stato adombrata, nell’odierna doglianza, un’eventuale violazione del contraddittorio in ordine a quelli asseritamente prodotti in sede di reclamo.
6. Il quarto motivo del ricorso principale, cosi’ come entrambe le doglianze del ricorso incidentale di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), sono evidentemente assorbiti.
7. In definitiva, vanno accolti i primi due motivi del ricorso principale, ritenendosene infondato il terzo ed assorbito il quarto insieme ai due motivi del ricorso incidentale. Il decreto impugnato va, pertanto, cassato con rinvio alla Corte di appello di Perugia, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame alla stregua del seguente principio di diritto:
“In tema di revisione delle condizioni economiche del divorzio riguardanti l’obbligo di mantenimento di figli maggiorenni, non autosufficienti, degli ex coniugi, la sopravvenuta adozione di quei figli effettuata dal nuovo marito della madre, da cui derivi il loro stabile inserimento nel contesto familiare creatosi per effetto del nuovo matrimonio contratto da quest’ultima, costituisce circostanza fattuale da valutarsi, ai fini della modificazione, o meno, della sola entita’ di tale mantenimento, dal giudice adito ai sensi della L. n. 878 del 1970, articolo 9, ove risulti che l’adottante, benche’ privo del corrispondente obbligo giuridico, comunque provveda continuativamente, e non solo occasionalmente, anche alle esigenze e necessita’ quotidiane degli adottati”.
7.1. Al giudice di rinvio e’ affidata anche la statuizione sulle spese di questo giudizio di legittimita’.
8. Va, disposta, infine, per l’ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l’omissione delle generalita’ e degli altri dati identificativi a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52.
P.Q.M.
La Corte accoglie i primi due motivi del ricorso principale, dichiarandone infondato il terzo ed assorbito il quarto insieme ai due motivi del ricorso incidentale. Cassa il decreto impugnato e rinvia alla Corte di appello di Perugia, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame, da effettuarsi alla stregua del principio di diritto di cui § 7 della motivazione, e per la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimita’.
Dispone, per l’ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l’omissione delle generalita’ e degli altri dati identificativi a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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