Corte di Cassazione, sezione seconda penale, Sentenza 13 maggio 2020, n. 14987.
Massima estrapolata:
In tema di revisione, la sopravvenuta procedibilità a querela del reato di appropriazione indebita per effetto del d.lgs. 15 maggio 2018, n. 36 non costituisce prova nuova ai sensi dell’art. 630, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. nel caso in cui la modifica normativa sia intervenuta successivamente al passaggio in giudicato della sentenza della quale si chiede la revisione. (In motivazione la Corte ha evidenziato che, in ragione della natura mista – sostanziale e processuale – dell’istituto della querela, la sopravvenuta disciplina più favorevole deve essere applicata nei procedimenti pendenti, salva l’insuperabile preclusione costituita dalla pronuncia di sentenza irrevocabile, ai sensi dell’art. 2, comma quarto, cod. pen).
Sentenza 13 maggio 2020, n. 14987
Data udienza 9 gennaio 2020
Tag – parola chiave: Appropriazione indebita – Patteggiamento – Articolo 633 cpp – Istanza di revisione – Presupposti – Articolo 673 cpp – Poteri del giudice dell’esecuzione – Limiti – Sentenza della corte di cassazione a sezioni unite 40150 del 2018 – Criteri – Difetto di motivazione
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CERVADORO Mirella – Presidente
Dott. MANTOVANO Alfredo – Consigliere
Dott. ALMA Marco Maria – rel. Consigliere
Dott. BORSELLINO Maria Daniel – Consigliere
Dott. SARACO Antonio – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza n. 1/2019 in data 04/09/2019 della Corte di appello di Brescia;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
sentita la relazione svolta dal consigliere Marco Maria ALMA;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. TASSONE Kate, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso e l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza in data 4 settembre 2019, la Corte di appello di Brescia ha dichiarato inammissibile la richiesta di revisione della sentenza n. 196/2017 di applicazione della pena pronunciata dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano nei confronti di (OMISSIS) in data 26 gennaio 2017 (irrevocabile dal 15 febbraio 2017).
Il Giudice per le indagini preliminari aveva, infatti, accolto la richiesta ex articolo 444 c.p.p., applicando al (OMISSIS) la pena (condizionalmente sospesa) di anni uno di reclusione in relazione ai reati di cui agli articoli 110 e 81 cpv. c.p., e Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 2, e articolo 81 cpv. c.p., articolo 112 c.p., n. 1, articolo 646 c.p., articolo 61 c.p., n. 11.
Con richiesta ex articolo 633 c.p.p., la difesa del (OMISSIS) formulava istanza di revisione della citata sentenza limitatamente al reato di appropriazione indebita osservando che, per effetto del disposto del Decreto Legislativo n. 36 del 2018, articolo 10, il reato di cui all’articolo 646 c.p., e’ divenuto procedibile esclusivamente a querela di parte che, nel caso in esame, non risulta essere mai stata presentata.
La Corte di appello ha dichiarato ex articolo 634 c.p.p., l’inammissibilita’ della predetta richiesta di revisione evidenziando:
a) una carenza di prova documentale circa il fatto che (non) sia stata presentata querela nel separato processo contro altri imputati che si sta svolgendo nelle forme del rito ordinario;
b) che, comunque, non ci si trova in presenza di uno dei casi per i quali e’ prevista la revisione della sentenza ex articolo 630 c.p.p..
2. Ricorre per Cassazione avverso il predetto provvedimento il difensore del condannato, deducendo:
2.1. Vizi di motivazione ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) in relazione all’articolo 630 c.p.p., comma 1, lettera c).
Rileva la difesa del ricorrente che il mutamento nel tempo della condizione di procedibilita’ relativamente al reato per il quale e’ intervenuta la sentenza di applicazione della pena puo’ ben essere considerato “nuova prova” idonea a provocare una revisione della sentenza impugnata.
La Corte di appello si sarebbe, invece, profusa nel motivare circa la natura giuridica della querela per poi erroneamente affermare che tutte le questioni relative al mutamento della disciplina circa la procedibilita’ del reato contestato al (OMISSIS) (in origine procedibile d’ufficio per effetto della contestata circostanza aggravante di cui all’articolo 61 c.p., n. 11) debbono essere fatte rientrare nella disciplina dell’articolo 2 c.p., e non possono essere oggetto di una richiesta di revisione.
Richiama, al riguardo, la difesa del ricorrente una pronuncia di questa Corte di legittimita’ (Sez. 4 n. 17170 del 05/04/2017) che avrebbe affermato che la questione della procedibilita’ del reato debba entrare a pieno titolo nella nozione di “nuova prova” in tal modo da legittimare una richiesta di revisione della sentenza.
2.2. Violazione di legge ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), per avere la Corte di appello di Brescia ritenuto insufficiente a dimostrare appieno la mancata presentazione della querela da parte della persona offesa “Publitalia 80” la sola allegazione da parte del ricorrente del verbale di udienza del 10 settembre 2018 innanzi al Tribunale di Milano nel procedimento ordinario nei confronti dei coimputati, cosi’ di fatto richiedendo la presentazione di una prova negativa.
In ogni caso, la difesa del ricorrente ha allegato al ricorso che qui ci occupa le dichiarazioni rilasciate dal difensore di Publitalia 80 S.p.a. (in data 23 settembre 2019) e dal legale rappresentante della predetta societa’ (senza data) nelle quali si attesta che la querela non e’ stata presentata nel processo ancora pendente nei confronti degli originari coimputati.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso non e’ fondato.
La questione sottoposta all’attenzione di questa Corte riguarda, come visto, il caso di una sentenza di applicazione della pena relativa ad un reato procedibile d’ufficio sia al momento della sua consumazione che all’epoca della pronuncia della sentenza e che, solo in epoca successiva al passaggio in giudicato della sentenza stessa, per effetto di una riforma normativa, e’ divenuto procedibile a querela di parte che non risulta essere stata mai presentata.
Deve, innanzitutto, essere evidenziato che in un caso come quello in esame non puo’ devolversi la decisione al giudice dell’esecuzione ex articolo 673 c.p.p., non vertendosi in ipotesi di abolizione del reato o di dichiarazione di incostituzionalita’ della norma incriminatrice avendo gia’ chiarito questa Corte che “e’… da escludere che la sopravvenienza della procedibilita’ a querela e, ancor prima, la procedura finalizzata all’eventuale accertamento della improcedibilita’ per mancanza di querela… possano essere ritenute idonee ad operare come una ipotesi di abolitio criminis”, cio’ in quanto “… la sopravvenuta eventualita’ della improcedibilita’, dovuta all’abbandono del regime di perseguimento di ufficio del reato, non opera infatti come ipotesi abrogativa la quale e’ destinata ad essere rilevata anche in sede esecutiva mediante la revoca della sentenza ai sensi dell’articolo 673 c.p.p., “con l’ulteriore espressa conseguenza che “e’ invero da escludere che il giudice dell’esecuzione possa revocare la condanna rilevando la mancata integrazione del presupposto di procedibilita’” (Sez. U, n. 40150 del 21/06/2018, Salatino, Rv. 273552, in motivazione).
Pacifico e’, poi, il fatto che l’istituto della revisione e’ un mezzo di impugnazione straordinario che puo’ essere esperito esclusivamente nei casi tassativamente indicati dalla legge.
Nella situazione qui in esame l’unica ipotesi di revisione che puo’ essere presa in considerazione e’, poi, quella di cui alla lettera c), dell’articolo 630 c.p.p., che consente la revisione della sentenza “se dopo la condanna sono sopravvenute o si scoprono nuove prove che, sole o unite a quelle gia’ valutate, dimostrano che il condannato deve essere prosciolto a norma dell’articolo 631”.
Da qui la necessita’ di chiarire se la riforma normativa che ha portato al cambio della condizione di procedibilita’ del reato per il quale e’ intervenuta la pronuncia di condanna puo’ essere considerata “nuova prova”.
A tale quesito deve darsi risposta negativa.
Questa Corte di legittimita’ in tempi remoti ha osservato che “In materia di revisione l’articolo 631 c.p.p., prescrive che gli elementi in base ai quali essa viene richiesta siano tali da dimostrare, se accertati, che il condannato deve essere prosciolto a norma degli articoli 529, 530 e 531. Pertanto, e’ ammissibile la domanda di revisione quando l’estinzione dei reati per effetto di remissione di querela (articolo 531 c.p.p.) interviene dopo la pronuncia della sentenza, ma prima del suo passaggio in giudicato, a nulla rilevando che l’imputato potesse far valere l’estinzione attraverso l’appello” (Sez. 5, n. 3764 del 28/02/1995, Lazzeri, Rv. 201059).
Tuttavia, detta pronuncia non e’ in termini con la questione che in questa sede ci occupa atteso che non solo ha limitato la possibilita’ di revisione al diverso caso della remissione della querela ma anche al fatto che detta remissione sia avvenuta “prima” del passaggio in giudicato della sentenza.
Si trattava, in sostanza, di una “prova” sopravvenuta (quella della avvenuta remissione della querela) che non era stata presa in considerazione dal Giudice prima del passaggio in giudicato della sentenza.
La difesa del ricorrente richiama, invece, altra e piu’ recente sentenza di questa Corte di legittimita’ la cui massima cosi’ recita: “In tema di revisione, rientra nella nozione di “prova nuova” la rilevazione della mancanza della condizione di procedibilita’ del reato per cui e’ stata emessa sentenza di condanna, in quanto, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 630 c.p.p., comma 1, lettera c), devono considerarsi tali sia le prove preesistenti, non acquisite nel precedente giudizio, sia quelle gia’ acquisite, ma non valutate neanche implicitamente, purche’ non si tratti di prove dichiarate inammissibili o ritenute superflue dal giudice” (Sez. 4, n. 17170 del 31/01/2017, M., Rv. 269826).
Tuttavia, anche detta decisione riguarda un caso differente da quello che in questa sede ci occupa.
Infatti, il caso che ha portato alla pronuncia di quest’ultima sentenza concerneva una questione relativa alla procedibilita’ di un reato di violenza sessuale per il quale la necessita’ di presentazione della querela era legata all’eta’ della vittima e la “prova nuova” ex articolo 630 c.p.p., comma 1, lettera c), riguardava quindi non l’esistenza o meno di una querela, quanto piuttosto l’accertamento dell’eta’ della persona offesa con i successivi conseguenti effetti sulla condizione di procedibilita’ dell’azione penale.
E’ d’uopo osservare che in entrambi i casi sopra citati ed affrontati dalla questa Corte di legittimita’ la legge “gia’” prevedeva che ricorrendo certe condizioni (se del caso oggetto di prova di nuova scoperta) i fatti-reato erano procedibili a querela di parte, situazione radicalmente diversa da quella qui in esame che riguarda invece un mutamento della condizione di procedibilita’ del reato derivante da una mera modifica normativa intervenuta successivamente al passaggio in giudicato della sentenza della quale si chiede la revisione, modifica normativa di certo non assimilabile al concetto di “prova nuova”.
A cio’ si aggiunge il rilievo che – fermo restando l’oramai consolidato principio dottrinale e giurisprudenziale della natura mista, sostanziale e processuale, della procedibilita’ a querela (cfr. ex ceteris: Sez. 2, n. 225 del 08/11/2018, dep. 2019, Mohammad Razzaq, Rv. 274734) – questa Corte di legittimita’, proprio occupandosi di un caso di contestazione del reato di appropriazione indebita aggravata ex articolo 61 c.p., n. 11, ha si’ ritenuto che di tale modifica normativa favorevole per l’imputato deve tenersi conto ma cio’ solo nei procedimenti “ancora pendenti” e pur sempre nell’ottica dell’articolo 2 c.p. (cfr. Sez. 2, n. 21700 del 17/04/2019, Sibio, Rv. 276651).
E’ stato cosi’ ribadito il principio secondo cui il problema dell’applicabilita’ dell’articolo 2 c.p., in caso di mutamento nel tempo del regime della procedibilita’ a querela, va positivamente risolto alla luce della natura mista, sostanziale e processuale, di tale istituto, che costituisce nel contempo condizione di procedibilita’ e di punibilita’. Infatti, il principio dell’applicazione della norma piu’ favorevole al reo opera non soltanto al fine di individuare la norma di diritto sostanziale applicabile al caso concreto, ma anche in ordine al regime della procedibilita’ che inerisce alla fattispecie dato che e’ inscindibilmente legata al fatto come qualificato dal diritto (cfr. Sez. 3, n. 2733 del 08/07/1997, Rv. 209188).
In linea con l’indicato orientamento si inserisce la pronuncia di questa Corte di legittimita’ nel suo massimo consesso (Sez. U, n. 40150 del 21/06/2018, Salatino, Rv. 273552, cit.) nella quale si e’ avuto modo di precisare come “la giurisprudenza, piuttosto, non dissimilmente, in questo, dalla dottrina, ha accreditato la querela come istituto da assimilare a quelli che entrano a comporre il quadro per la determinazione dell’an e del quomodo di applicazione del precetto, ai sensi dell’articolo 2 c.p., comma 4” (v., in tema di procedibilita’ d’ufficio per i reati di violenza sessuale, Sez. 5, n. 44390 del 08/06/2015, R., Rv. 265999 e Sez. 3, n. 2733 del 08/07/1997, Frualdo, Rv. 209188; in tema di procedibilita’ a querela introdotta per il reato di cui all’articolo 642 c.p., Sez. 2, n. 40399 del 24/09/2008, Calabro’, Rv. 241862), giungendo per via interpretativa, quando non vi ha provveduto il legislatore con una specifica norma transitoria, alla conclusione della applicazione retroattiva dei soli mutamenti favorevoli (sostituzione del regime della procedibilita’ di ufficio con quello della procedibilita’ a querela) “senza pero’ che possa valere la regola della cedevolezza del giudicato”.
Non osta a tale conclusione neppure il principio enunciato dalla sentenza Sez. U, n. 24246 del 25/02/2004, Chiasserini, Rv. 227681, incentrata sulla “remissione di querela” che sia intervenuta in pendenza del ricorso per cassazione e sia stata ritualmente accettata: in relazione ad essa ha affermato che, l’estinzione del reato, prevale su eventuali cause di inammissibilita’ e va rilevata e dichiarata dal giudice di legittimita’, sempre che il ricorso sia stato tempestivamente proposto.
Detta affermazione prende, infatti, le mosse da un inquadramento della remissione della querela non tanto come istituto sostanziale e per questo assimilabile alle altre cause di estinzione del reato, quanto piuttosto in ragione della sua capacita’ di differenziarsi dalle dette altre cause di estinzione per la caratteristica che essa presenta non solo di estinguere il diritto punitivo dello Stato, ma di paralizzare la perseguibilita’ stessa del reato: con la conseguenza della massima estensione da attribuire al termine ultimo per la sua rilevazione, secondo il disposto dell’articolo 152 c.p., comma 3, e cioe’ “fino alla condanna irrevocabile in senso formale”.
La stessa sentenza Chiasserini non ha mancato pero’ anche di rilevare che in caso non di remissione, ma di “mancanza” di una condizione di procedibilita’, la problematica appare “davvero non coincidente” non fosse altro, aggiungono Sezioni Unite Salatino, perche’ il tempo per la relativa rilevazione, sia secondo il disposto dell’articolo 129 c.p.p., comma 1, sia secondo quello dell’articolo 609 c.p.p., comma 2, per l’esercizio dei poteri officiosi, sia, soprattutto, secondo la norma transitoria della Decreto Legislativo n. 36 del 2018, articolo 12, e’, per la rilevazione tanto della mancanza originaria quanto di quella sopravvenuta, quello della pendenza di un “processo” al punto che la questione e’ preclusa dalla presentazione di ricorso inammissibile che deve ritenersi quindi idonea a determinare il giudicato sostanziale.
Da cio’ ne deriva la conseguenza che il confine ampliato per la rilevazione della remissione di querela, su un terreno che privilegia il dato cronologico (fino alla condanna irrevocabile e cioe’ al giudicato formale) su quello dei rapporti processuali validi, in linea generale, per le altre cause di non punibilita’ (pendenza del processo in ragione della presentazione di un ricorso ammissibile, e quindi mancata formazione del giudicato sostanziale) puo’ ben valere anche nel caso in cui ci si trovi in presenza di sentenza di condanna divenuta irrevocabile prima dell’intervenuta modifica normativa sulla procedibilita’ del reato.
Traendo le conclusioni da quanto fin qui evidenziato ritiene l’odierno Collegio che:
a) deve ritenersi, in assenza di una norma transitoria del Decreto Legislativo n. 36 del 2018, che abbia regolato situazioni come quella qui in esame, che l’intervenuto mutamento della condizione di procedibilita’ del reato non puo’ certo assimilarsi al concetto di “nuova prova” rilevante ex articolo 630 c.p.p., comma 1, lettera c), ai fini di una richiesta di revisione di sentenza la cui irrevocabilita’ sia intervenuta prima dell’intervenuta modifica normativa;
b) in considerazione della natura mista (sostanziale e processuale) dell’istituto della querela, deve applicarsi il disposto dell’articolo 2 c.p., comma 4, secondo il quale “se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono piu’ favorevoli al reo… ” tenendo pero’ conto del fatto che nel caso in esame opera l’insuperabile sbarramento contenuto nell’ulteriore inciso della medesima norma “salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile”.
Per solo dovere di completezza deve essere aggiunto che nel caso in esame non si verte neppure nella situazione di cui all’articolo 630 c.p.p., comma 1, lettera a), del resto neppure documentata o sollevata dalla difesa del ricorrente.
2. Da quanto sopra consegue il rigetto del ricorso in esame, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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