Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|13 gennaio 2021| n. 410.
In tema di responsabilità professionale dell’avvocato per omesso svolgimento di un’attività da cui sarebbe potuto derivare un vantaggio personale o patrimoniale per il cliente, la regola della preponderanza dell’evidenza o del “più probabile che non” si applica non solo all’accertamento del nesso di causalità fra l’omissione e l’evento di danno, ma anche all’accertamento del nesso tra quest’ultimo, quale elemento costitutivo della fattispecie, e le conseguenze dannose risarcibili.
Ordinanza|13 gennaio 2021| n. 410
Data udienza 15 ottobre 2020
Integrale
Tag/parola chiave: Responsabilità professionale – Azione di responsabilità professionale esperita nei confronti di avvocato – Insussistenza della prova del danno – Genericità ed aspecificità dei motivi di censura – Inammissibilità
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE TERZA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente
Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere
Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere
Dott. GIAIME GUIZZI Stefano – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 27474-2019 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’Avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 244/2019 della CORTE D’APPELLO de L’AQUILA, depositata il 07/02/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 15/10/2020 dal Consigliere Relatore Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI.
RITENUTO IN FATTO
– che (OMISSIS) ricorre, sulla base di cinque motivi, per la cassazione della sentenza n. 244/19, del 7 febbraio 2019, della Corte di Appello de L’Aquila, che – respingendo il gravame dallo stesso esperito contro la sentenza n. 320/14, del 4 marzo 2014, del Tribunale di Teramo – ha rigettato la domanda risarcitoria proposta dall’odierno ricorrente nei confronti dell’Avvocato (OMISSIS), sul presupposto della responsabilita’ professionale del medesimo;
– che, in punto di fatto, il ricorrente riferisce di aver radicato, con il patrocinio del Pettinelli, due distinti giudizi innanzi al TAR aquilano, rispettivamente conclusisi con una pronuncia di difetto di giurisdizione e una declaratoria di estinzione per perenzione, esiti che il (OMISSIS) lamenta non essergli stati, negligentemente, neppure comunicati dal proprio legale;
– che su tali basi, pertanto, l’odierno ricorrente adiva il Tribunale teramano per far valere la responsabilita’ del professionista, il quale – costituitosi in giudizio – eccepiva non solo di aver avvisato il suo cliente della pronuncia declinatoria della giurisdizione, costituendo, inoltre, una determinazione di quest’ultimo la mancata impugnazione di quella decisione, come anche la scelta di non coltivare l’ulteriore giudizio poi dichiarato perento;
– che la domanda risarcitoria veniva respinta dal primo giudice, con statuizione confermata da quello di appello, che rigettava il gravame dell’attore soccombente;
– che avverso la sentenza della Corte abruzzese il (OMISSIS) ricorre per cassazione, sulla base – come detto – di cinque motivi;
– che il primo motivo denunzia violazione o falsa applicazione degli articoli 22 e 46 codice deontologico forense, nonche’ dell’articolo 175 c.p.c. e articolo 111 Cost., censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha omesso di pronunciare la nullita’ della decisione del primo giudice, per avere il medesimo dichiarato la contumacia dell’attore, trascorsi appena ventidue minuti dall’ora fissata per la comparizione del suo procuratore alla prima udienza di trattazione, con conseguente rinvio della causa all’udienza di precisazione delle conclusioni, senza dare rilievo ne’ alla circostanza che il legale dell’allora attore provenisse da altro Foro, ne’ al fatto che il rinvio all’udienza ex articolo 189 c.p.c. avesse precluso al medesimo di replicare a quanto “ex adverso” dedotto, rilevato ed eccepito;
– che il secondo motivo denunzia violazione dell’articolo 2697 c.c., per essere stata esclusa la responsabilita’ del legale – in relazione all’attivita’ professionale prestata nel giudizio amministrativo conclusosi con la declaratoria del difetto di giurisdizione – sulla base di un supposto giudicato (viceversa inesistente, attesa la pendenza del giudizio di appello) formatosi in relazione alla domanda con cui il Pettinelli aveva chiesto il pagamento dei compensi per l’attivita’ professionale prestata in quel giudizio amministrativo;
– che il terzo motivo denunzia violazione e falsa applicazione degli articoli 1176 e 1460 c.c., avendo errato il giudice di appello nel rigettare la domanda risarcitoria sul presupposto di un difetto di allegazione e prova del danno subito dall’attore;
– che siffatto pregiudizio, infatti, oltre che nel danno morale, sarebbe consistito, quantomeno, nell’avere l’odierno ricorrente pagato al professionista un compenso che non poteva essere preteso, oltre che in una perdita di chance, la cui quantificazione era stata richiesta in via equitativa;
– che, difatti, quanto a quest’ultima voce di danno, nell’atto di appello si era chiarito come il giudizio amministrativo, poi definito con la declaratoria del difetto di giurisdizione, avesse lo scopo di chiedere l’annullamento della Delib. con la quale la Pubblica Amministrazione aveva deciso di affidare ad un terzo, diverso dall’odierno ricorrente, un incarico per la stesura di un progetto definitivo e per la direzione dei lavori di realizzazione di una caserma dei Carabinieri;
– che il quarto motivo denunzia l’omessa pronuncia sul motivo di appello concernente l’errata condanna, comminata all’odierno ricorrente dal primo giudice, ex articolo 96 c.p.c.;
– che, infine, il quinto motivo denuncia omessa pronuncia sul motivo di appello relativo al risarcimento dei danni derivanti dalle molteplici esecuzioni intraprese dal legale in base al titolo giudiziale che riconosceva il suo diritto alla riscossione del compenso per l’attivita’ professionale espletata;
– che ha resistito all’impugnazione, con controricorso, il Pettinelli chiedendo che lo stesso venga dichiarato inammissibile o, comunque, infondato;
– che la proposta del relatore, ai sensi dell’articolo 380-bis c.p.c., e’ stata ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio per il 15 ottobre 2020;
– che il ricorrente ha presentato memoria, insistendo nelle proprie argomentazioni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
– che il ricorso e’ manifestamente infondato;
– che non valgono ad escludere tale esito le considerazioni svolte dal ricorrente memoria ex articolo 380-bis c.p.c.;
– che il primo motivo non contrasta adeguatamente la “ratio decidenti” con cui la Corte territoriale ha escluso la ricorrenza di ogni profilo di nullita’, in relazione all’avvenuta declaratoria di contumacia, ovvero la mancata deduzione delle conseguenze del vizio processuale denunciato;
– che tale affermazione e’ pienamente conforme al principio, gia’ enunciato da questa Corte, secondo cui “la denuncia di vizi fondati sulla pretesa violazione di norme processuali non tutela l’interesse all’astratta regolarita’ dell’attivita’ giudiziaria, ma garantisce solo l’eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in conseguenza della denunciata violazione” (Cass. Sez. 1, sent. 21 novembre 2016, n. 23638, Rv. 642799-01), sicche’ “e’ inammissibile l’impugnazione con la quale si lamenti un mero vizio del processo, senza prospettare anche le ragioni per le quali l’erronea applicazione della regola processuale abbia comportato, per la parte, una lesione del diritto di difesa o altro pregiudizio per la decisione di merito” (Cass. Sez. 5, sent. 18 dicembre 2014, n. 26831, Rv. 634236-01; in senso conforme anche Cass. Sez. Lav., sent. 19 marzo 2014, n. 6330, Rv. 630071-01), non potendo, dunque, ritenersi – come afferma, invece, il ricorrente nella propria memoria ex articolo 380-bis c.p.c. – tale pregiudizio “in re ipsa”;
– che, difatti, come correttamente rilevato dalla sentenza impugnata, “qualora venga dedotto il vizio della sentenza di primo grado per avere il tribunale deciso la causa nel merito prima ancora che le parti avessero definito il “Menta decidendum” e il “thema probandum”” (che e’ quanto il ricorrente lamenta essere avvenuto per l’errata, a suo dire, dichiarazione di contumacia), “l’appellante che faccia valere tale nullita’ non puo’ limitarsi a dedurre detta violazione, ma deve specificare quale sarebbe stato il “thema decidendum” sul quale il giudice di primo grado si sarebbe dovuto pronunciare” con “l’evidenziazione” – della quale non vi e’. traccia ne’ nel giudizio di appello, ne’ in questa sede – “del concreto pregiudizio” derivato dalle preclusioni maturate a carico dell’interessato (Cass. Sez. 2, ord. 4 ottobre 2018, n. 24402, Rv 650652-01; Cass. Sez. 2, ord. 2 settembre 2019, n. 21953, Rv. 65491701);
– che il secondo motivo, nel lamentare che la Corte territoriale avrebbe dato rilievo ad un “presunto e non provato giudicato” sul difetto di responsabilita’ del legale, risulta, del pari, inammissibile, visto che la sentenza impugnata, dopo aver affermato che “alcun giudicato si era in realta’ formato sulla decisione di cui’ alla sentenza n. 361/11” (pag. 6), ha confermato il rigetto della domanda di responsabilita’ professionale “a prescindere da ogni considerazione sull’esistenza (non contestata in primo grado dall’attore) o meno del giudicato della sentenza n. 361/2011” (pag. 8), sicche’ l’odierno ricorrente non ha alcuna ragione di dolersi del fatto che la Corte aquilana “avrebbe dovuto constare e dichiarare non provato il passaggio in giudicato”;
– che, pertanto, deve dichiararsi l’inammissibilita’ del secondo motivo di ricorso, dando seguito al principio secondo cui “il motivo d’impugnazione e’ costituito dall’enunciazione delle ragioni per le quali la decisione e’ erronea e si traduce in una critica della decisione impugnata, non potendosi, a tal fine, prescindere dalle motivazioni poste a base del provvedimento stesso, la mancata considerazione delle quali comporta la nullita’ del motivo per inidoneita’ al raggiungimento dello scopo, che, nel giudizio di cassazione, risolvendosi in un “non motivo”, e’ sanzionata con l’inammissibilita’ ai sensi dell’articolo 366 c.p.c., n. 4)” (Cass. Sez. 3, sent. 31 agosto 2015, 17330, Rv. 63687201);
– che, in ogni caso, del tutto inconferente e’ il richiamo all’articolo 2697 c.c., la cui violazione – censurabile per cassazione ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – “e’ configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni, non invece laddove oggetto di censura sia” (come si lamenta nel presento caso, visto che il ricorrente si duole del fatto che la Corte territoriale avrebbe dato rilievo ad un giudicato non provato) “la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (sindacabile, quest’ultima, in sede di legittimita’, entro i ristretti limiti del “nuovo” articolo 360 c.p.c., n. 5)” (cosi’, da ultimo, Cass. Sez. 3, ord. 29 maggio 2018, n. 13395, Rv. 649038-01);
– che il terzo motivo di ricorso risulta non fondato, giacche’ non e’ idonea a contrastare il rigetto della domanda risarcitoria (motivato sul presupposto dell’assenza di prova – anzi, di allegazione – del danno subito), la constatazione secondo cui tale pregiudizio si identificherebbe, nella specie, nel pagamento, al legale, di un compenso non dovutogli, oltre che nella perdita della chance di conseguire, con l’iniziativa assunta innanzi al giudice amministrativo, l’annullamento della Delib. relativa al conferimento, ad altri, di un incarico professionale per la stesura di un progetto definitivo e per la direzione dei lavori di realizzazione di una caserma dei Carabinieri, oltre al danno morale;
– che, al riguardo, occorre rammentare che “in tema di responsabilita’ professionale dell’avvocato per omesso svolgimento di un’attivita’ da cui sarebbe potuto derivare un vantaggio personale o patrimoniale per il cliente, la regola della preponderanza dell’evidenza o del “piu’ probabile che non”, si applica non solo all’accertamento del nesso di causalita’ fra l’omissione e l’evento di danno, ma anche all’accertamento del nesso tra quest’ultimo, quale elemento costitutivo della fattispecie, e le conseguenze dannose risarcibili, atteso che, trattandosi di evento non verificatosi proprio a causa dell’omissione, lo stesso puo’ essere indagato solo mediante un giudizio pronostico sull’esito che avrebbe potuto avere l’attivita’ professionale omessa” (tra le piu’ recenti, Cass. Sez. 3, sent. 24 ottobre 2017, n. 25112, Rv. 64645101; Cass. Sez. 3, ord. 6 maggio 2020, n. 8516, Rv. 657777-01);
– che pertanto, nella specie, l’odierno ricorrente avrebbe dovuto innanzitutto allegare (e provare) in quale misura l’inerzia dell’Avv. Pettinelli abbia pregiudicato, “piu’ probabilmente che non”, un esito favorevole, per esso (OMISSIS), dei giudizi amministrativi incardinati, e non solo invece – e per cosi’ dire, “omisso medio” – le conseguenze dannose risarcibili, individuate nei gia’ descritti termini di danno emergente da pagamento, al legale, di un compenso (asseritamente) non dovutogli, di perdita di chance di una scelta dell’amministrazione in proprio favore, nonche’, infine, addirittura di danno morale;
– che il quarto motivo non e’ fondato, visto che nella sentenza impugnata vi e’ una statuizione specifica (cfr. pag. 8, § 5.4.) sul motivo di appello relativo alla condanna ex articolo 96 c.p.c., non sussistendo, pertanto, alcuna omissione di pronuncia, avendo la Corte territoriale affermato che il rilevato – dal Tribunale – difetto di allegazione e prova del danno “e’ di per se’ sufficiente a giustificare e legittimare” l’avvenuta “pronuncia di condanna dell’attore ex articolo 96 c.p.c.”;
– che il quinto motivo – che denuncia omessa pronuncia su (altro) motivo di gravame, relativo alla richiesta di risarcimento danni in relazione alle molteplici esecuzioni intraprese dall’Avv. (OMISSIS) “in relazione al titolo impugnato” – e’ inammissibile, ex articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6), non essendo stato riprodotto, nel ricorso, il contenuto di tale motivo, ne’ potendo tale carenza essere superata (come afferma il ricorrente nella memoria ex articolo 380-bis c.p.c.) dalla menzione, nel “corpo del motivo di censura”, sia “in sede di legittimita’, cosi’ come in sede di merito”, delle procedure esecutive “de quibus”;
– che e’, difatti, “inammissibile, per violazione del criterio dell’autosufficienza, il ricorso per cassazione col quale si lamenti la mancata pronuncia del giudice di appello su uno o piu’ motivi di gravame, se essi non siano compiutamente riportati nella loro integralita’ nel ricorso, si’ da consentire alla Corte di verificare che le questioni sottoposte non siano “nuove” e di valutare la fondatezza dei motivi stessi senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte” (Cass. Sez. 2, cent. 20 agosto 2015, n. 17049, Rv. 636133-01);
– che il ricorso va, dunque, rigettato;
– che le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo;
– che in ragione del rigetto del ricorso, va dato atto – ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17 – della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, se dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile, condannando (OMISSIS) a rifondere a (OMISSIS) le spese del presente giudizio, che liquida – per i primi due congiuntamente, oltre che per il terzo – nella medesima misura Euro 2.400,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, nonche’ 15% per spese generali piu’ accessori di legge.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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