Corte di Cassazione, sezione prima civile, Ordinanza 19 marzo 2020, n. 7643.
La massima estrapolata:
In tema di rescissione del contratto di appalto, l’accertamento da parte del giudice di merito dei presupposti stabiliti dalle norme amministrative per l’esercizio del diritto di autotutela della Pubblica Amministrazione è autonomo e non vincolato alle risultanze sulle quali l’Amministrazione si è basata per far valere il suo diritto potestativo. Tuttavia, tale accertamento deve essere effettuato secondo quanto previsto dalla disciplina prevista dall’art. 1218 cc.e 1453 c.c.Il giudice deve procedere ad una valutazione sinergica del comportamento di entrambe le parti compiendo una indagine globale e unitaria che coinvolge nell’insieme il loro comportamento.
Ordinanza 19 marzo 2020, n. 7643
Tag – parola chiave: Contratto – Appalto – Rescissione da parte della P.A. – Art. 1218 c.c e 1453 c.c.- Inadempimento contrattuale – Accertamento dei presupposti da parte del giudice
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente
Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – rel. Consigliere
Dott. MELONI Marina – Consigliere
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 516/2015 proposto da:
(OMISSIS) s.r.l., in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale mandataria dell’associazione temporanea di imprese costituita tra (OMISSIS) s.r.l. e (OMISSIS) s.r.l.; (OMISSIS) s.r.l. in concordato preventivo, in persona del legale rappresentante pro tempore; (OMISSIS) s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, tutte elettivamente domiciliate in (OMISSIS) presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) e rappresentate e difese dagli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), in forza di procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS), in persona del Commissario pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) e rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), in forza di procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1388/2014 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 08/09/2014;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 28/01/2020 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE SCOTTI.
FATTI DI CAUSA
1. Con atto di citazione notificato il 19/2/2002 le imprese (OMISSIS) s.r.l. (di seguito, semplicemente, (OMISSIS)) e (OMISSIS) s.r.l. (di seguito (OMISSIS)), riunite in associazione temporanea di imprese (di cui era capogruppo la (OMISSIS)) convennero in giudizio dinanzi al Tribunale di Palermo la Provincia Regionale di Palermo, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni per Lire 5.611.887.721 (pari ad Euro 2.898.298,13) derivanti dall’inadempimento del contratto di appalto tra di loro intercorso relativo ai lavori di costruzione del Palazzetto dello Sport di (OMISSIS).
Secondo le attrici, i lavori sarebbero andati a rilento a cause di originarie carenze progettuali imputabili all’Amministrazione; la diffida da esse rivolta all’Ente committente aveva ricevuto come risposta la rescissione del contratto, impugnata dinanzi al TAR, che aveva pero’ declinato la giurisdizione in favore di quella ordinaria.
Si e’ costituita in giudizio la Provincia Regionale convenuta, chiedendo il rigetto delle domande attrici e proponendo a propria volta domanda riconvenzionale per ottenere la conferma della legittimita’ della disposta rescissione e, in subordine, la risoluzione del contratto per fatto e colpa delle societa’ attrici e il risarcimento dei danni per Lire 9.763.140.872 (pari a Euro 5.042.241,46) conseguenti al grave inadempimento delle imprese appaltatrici (ingiustificati ritardi, costante inottemperanza agli ordini di servizio della direzione lavori, mancato pagamento delle maestranze, abbandono del cantiere).
Il Tribunale di Palermo, assunte prove testimoniali ed espletata consulenza tecnica, con sentenza del 24/3/2010 ha dichiarato che il contratto di appalto si era risolto in conseguenza dell’atto dell’Amministrazione del 19/9/2001; ha dichiarato improseguibile la domanda riconvenzionale avanzata dalla Provincia nei confronti del Fallimento (OMISSIS), nel frattempo intervenuto, e ha respinto la domanda avanzata dalla Provincia verso la (OMISSIS); ha condannato la Provincia al pagamento sia in favore del Fallimento (OMISSIS), sia in favore della (OMISSIS), della somma di Euro 285.038,75, oltre accessori.
2. Avverso la predetta sentenza di primo grado ha proposto appello la Provincia di Palermo, a cui hanno resistito le parti appellate Fallimento (OMISSIS) e (OMISSIS), proponendo altresi’ appello incidentale.
La Corte di appello di Palermo con sentenza dell’8/9/2014, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato la legittimita’ della rescissione del contratto di appalto disposta dalla Provincia di Palermo con determinazione dirigenziale del 19/9/2001; ha condannato la Provincia a corrispondere al Fallimento (OMISSIS) e alla (OMISSIS) la somma di Euro 2.230,01 oltre interessi; ha rigettato tutte le altre domande proposte dal Fallimento (OMISSIS) e dalla (OMISSIS); ha confermato la dichiarazione di improcedibilita’ delle domande proposte dalla Provincia nei confronti del Fallimento (OMISSIS); ha condannato la (OMISSIS) a corrispondere alla Provincia la somma di Euro 2.286.198,00; ha posto le spese processuali della Provincia a carico della (OMISSIS), mentre ha compensato le spese nei rapporti fra Provincia e Fallimento (OMISSIS).
3. Avverso la predetta sentenza dell’8/9/2014, notificata in data 24/10/2014, con atto notificato il 22/12/2014 hanno proposto congiuntamente ricorso per cassazione (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione, in proprio e quale impresa e mandataria e capogruppo dell’associazione temporanea di imprese, la (OMISSIS) s.r.l. in concordato preventivo e la (OMISSIS) s.r.l. evocando in giudizio il (OMISSIS) (gia’ (OMISSIS)); le ricorrenti hanno fatto presente che la procedura fallimentare (OMISSIS) era stata chiusa in seguito a concordato fallimentare proposto dalla (OMISSIS), terzo assuntore, alla quale con decreto del 6/5/2008 erano state trasferite tutte le azioni di pertinenza della massa e hanno svolto otto motivi.
Con atto notificato il 30/1/2015 ha proposto controricorso il (OMISSIS), chiedendo la dichiarazione di inammissibilita’ o il rigetto dell’avversaria impugnazione.
Le ricorrenti hanno depositato memoria difensiva del 16/1/2020.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex articolo 360 c.p.c., nn. 4 e 5, le ricorrenti denunciano violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’articolo 112 c.p.c..
1.1. Le ricorrenti lamentano che la Corte territoriale abbia omesso di pronunciare sulla loro domanda di accertamento dell’intervenuta risoluzione del contratto di appalto, anteriormente alla rescissione disposta dall’Amministrazione in data 19/9/2001, ma comunicata il 24/9/2001, per effetto della loro diffida ad adempiere del 6/9/2001, ricevuta dall’Amministrazione il 10/9/2001.
1.2. E’ pur vero che le ricorrenti avevano chiesto con l’atto introduttivo di primo grado di dichiarare risolto di diritto il contratto di appalto ai sensi degli articoli 1453 e 1454 c.c., per inadempimento esclusivo della Provincia Regionale di Palermo in conseguenza della diffida ad adempiere del 6/9/2001 ricevuta il 10/9/2001, recante il termine di giorni 15 per adempiere; e’ pur vero, altresi’, che a fronte della decisione di primo grado, che aveva al proposito ravvisato la prevalenza della rescissione disposta dall’Amministrazione con il provvedimento del 19/9/2001, disposto prima del decorso del termine, le appellanti incidentali aveva formulato apposito motivo di gravame sostenendo che il contratto si era risolto di diritto prima della comunicazione della rescissione, avvenuta solo il 24/9/2001; e’ vero, infine, che la Corte di appello nulla ha detto esplicitamente al proposito.
1.3. Tuttavia, secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte, non ricorre il vizio di omessa pronuncia quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto della domanda o eccezione formulata dalla parte, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (Sez. 2, n. 20718 del 13/08/2018, Rv. 650016-01; Sez. 5, n. 29191 del 06/12/2017, Rv. 646290-01; Sez. 1, n. 24155 del 13/10/2017, Rv. 645538-01); analogamente non si configura il vizio di omessa pronuncia, pur in difetto di un’espressa statuizione da parte del giudice in ordine ad un motivo di impugnazione, quando la decisione adottata comporta necessariamente la reiezione di tale motivo, dovendosi ritenere che tale vizio sussista solo nel caso in cui sia stata completamente omessa una decisione su di un punto che si palesi indispensabile per la soluzione del caso concreto (Sez. 6-1, n. 15255 del 04/06/2019, Rv. 654304-01).
1.4. Nella fattispecie la complessiva argomentazione proposta dalla Corte territoriale che ha scrutinato e delibato comparativamente i comportamenti delle parti contrattuali (§§ da 9 a 13 della sentenza impugnata) e ha ritenuto sia per la contraddittorieta’ della condotta complessiva dell’a.t.i., sia per la possibilita’ di proseguire comunque i lavori per importo rilevante, contraria al principio di buona fede la decisione dell’appaltatrice di sospendere l’esecuzione dei lavori e di interrompere il rapporto benche’ l’Amministrazione non avesse ottenuto il nulla osta per la restante parte dei lavori (in particolare § 13.5., di pag. 13).
Non sposta i termini del discorso il fatto che la Corte palermitana abbia valutato la condotta dell’a.t.i. in termini di eccezione di inadempimento e di sospensione dei lavori, e non gia’ quale diffida ad adempiere in senso tecnico ex articolo 1454 c.c., quale fattispecie generatrice della risoluzione automatica del contratto: cionondimeno, escludendo la correttezza del comportamento dell’appaltatrice e reputando ingiustificata la sospensione dei lavori, pur a fronte delle mancanze ascrivibili all’Amministrazione, la Corte di appello ha implicitamente, eppur inequivocabilmente, escluso il fondamento della diffida inoltrata dall’a.t.i..
Infatti l’intimazione da parte del creditore della diffida ad adempiere, di cui all’articolo 1454 c.c., e l’inutile decorso del termine fissato per l’adempimento non eliminano la necessita’, ai sensi dell’articolo 1455 c.c., dell’accertamento giudiziale della gravita’ dell’inadempimento in relazione alla situazione verificatasi alla scadenza del termine ed al permanere dell’interesse della parte all’esatto e tempestivo adempimento (Sez. 2, n. 18696 del 04/09/2014, Rv. 632107-01); anche ai fini dell’accertamento della risoluzione di diritto conseguente alla diffida ad adempiere, intimata dalla parte adempiente e rimasta senza esito, il giudice e’ tenuto a valutare la sussistenza degli estremi, soggettivi e oggettivi, dell’inadempimento, verificando, in particolare, sotto il profilo oggettivo, che l’inadempimento non sia di scarsa importanza, alla stregua del criterio indicato dall’articolo 1455 c.c. (Sez. 3, n. 21237 del 29/11/2012, Rv. 624166-01).
2. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5, le ricorrenti denunciano violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli articoli 1375, 1453, 1454 e 1460 c.c., nonche’ omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti.
2.1. Le ricorrenti in particolare si dolgono del fatto che la Corte di appello abbia reputato legittima la rescissione disposta dalla Provincia, ritenendo inadempienti le imprese appaltatrici, nonostante esse non avessero mai sospeso i lavori (avendo solo chiuso il cantiere per ferie), ne’ avessero mai interrotto il rapporto, ma solo diffidato controparte al corretto adempimento ai sensi degli articoli 1453 e 1454 c.c..
La Corte di appello avrebbe cosi’ confuso la diffida ad adempiere ex articolo 1454 c.c., che costituiva esercizio di un diritto, con una eccezione di inadempimento ex articolo 1460 c.c..
2.2. La Corte di appello, sub § 9, pagg. 5-6, ha dato conto della nota 6/9/2001 dell’impresa, assumendo che essa aveva affermato di non poter intraprendere alcuna altra attivita’ se l’amministrazione non avesse acquisito il nulla osta per il corpo principale A/C, non avesse redatto e approvato una perizia di variante e non avesse definito le riserve iscritte a registro, e aveva diffidato l’Amministrazione ad adempiere entro giorni 15, dovendo altrimenti ritenersi risolto il contratto. Secondo la Corte (sentenza, pag. 6) tale dichiarazione integrava il rifiuto di proseguire i lavori, la cui legittimita’ doveva essere valutata.
2.3. Il motivo e’ inammissibile.
Con la predetta censura le ricorrenti, sotto le spoglie della violazione di legge, chiedono inammissibilmente a questa Corte di sovvertire la valutazione di merito espressa alla Corte territoriale, sollecitandola a un inammissibile esame diretto di documenti (la nota del 6/9/2001) neppur trascritti integralmente, con ulteriore vizio di specificita’ e autosufficienza.
La censura e’ inficiata inoltre da palese contraddittorieta’, visto che le ricorrenti assumono che la chiusura per ferie del cantiere scadeva il 3/9/2001 e riconoscono che con la nota del successivo 6/9/2001 avevano affermato che “nessuna ulteriore attivita’ di cantiere” poteva essere “utilmente” intrapresa.
2.4. Non esiste poi, ne’ viene correttamente individuato, alcun fatto storico decisivo il cui esame sia stato omesso dai Giudici di appello.
3. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5, le ricorrenti denunciano violazione o falsa applicazione di legge in relazione alla L. 20 marzo 1865, n. 2248, articolo 340, all. E, Decreto del Presidente della Repubblica n. 1063 del 1962, articolo 30, Regio Decreto 25 maggio 1895, n. 350, articolo 5, nonche’ agli articoli 1453, 1454 e 2697 c.c., nonche’ omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti.
3.1. Ai fini della valutazione della legittimita’ della disposta rescissione contrattuale, la Corte di appello avrebbe dovuto valutare comparativamente il comportamento delle parti contrattuali, che operano in regime di parita’, soppesare i rispettivi inadempimenti considerando la reciproca influenza causale.
Nella specie la Corte di appello avrebbe erroneamente escluso la valenza del comportamento della Provincia e altrettanto erroneamente avrebbe ritenuto contrario a buona fede il comportamento dell’a.t.i. che, dopo aver a lungo collaborato fattivamente a sopperire alle gravi carenze progettuali, aveva diffidato ad adempiere l’Amministrazione.
3.2. I principi invocati dalle ricorrenti sono del tutto corretti.
In tema di appalto di opere pubbliche della L. n. 2248 del 1865, articoli 340, 341 e 345, all. F, si limitano ad attribuire alla P.A. appaltante il potere di risolvere il contratto nei casi in cui, a suo discrezionale giudizio, ritenga che l’appaltatore sia inadempiente (Sez. 1, 23/02/2018, n. 4454); il provvedimento di rescissione adottato dalla stazione appaltante, della L. n. 2248 del 1865, ex articolo 340, all. F, non impedisce all’appaltatore di agire per la risoluzione del contratto in base alle regole generali dettate per l’inadempimento contrattuale di non scarsa importanza, ai sensi degli articoli 1453 e 1455 c.c., poiche’ il potere autoritativo di cui si rende espressione il provvedimento di rescissione adottato dalla P.A., non e’ idoneo ad incidere sulle posizioni soggettive nascenti dal rapporto contrattuale aventi consistenza di diritti soggettivi (Sez. 1, 27/09/2018, n. 23323; Sez. 1, 27/10/2015, n. 21882; sez. 1, 29/10/2014, n. 22995).
Anche in tema di rescissione del contratto di appalto ai sensi della L. n. 2248 del 1865, articolo 340, all. F, se e’ vero che l’accertamento – da parte del giudice del merito – dei presupposti stabiliti da tale norma per l’esercizio del diritto di autotutela della P.A. e’ autonomo, e non vincolato alla risultanze sulle quali l’Amministrazione si e’ basata per far valere il suo diritto potestativo, e’ pur vero che lo stesso deve essere compiuto in base alla disciplina privatistica degli articoli 1218 e 1453 c.c.. Tale disciplina, in particolare, non consente al giudice di isolare singole condotte di una delle parti e di stabilire se ciascuna di esse soltanto costituisca motivo di inadempienza a prescindere da ogni altra ragione di doglianza dei contraenti, ma impone al giudice di procedere alla valutazione sinergica del comportamento di entrambe, compiendo una indagine globale e unitaria, coinvolgente nell’insieme l’intero loro comportamento, anche se con riguardo alla durata del protrarsi degli effetti dell’inadempimento, perche’ la unitarieta’ del rapporto obbligatorio, a cui ineriscono tutte le prestazioni inadempiute da ognuna delle parti non tollera una valutazione frammentaria e settoriale della condotta del contraente, ma ne esige un apprezzamento complessivo (Sez. 1, 31/10/2014, n. 23274).
3.3. Le ricorrenti esaminano dapprima l’argomento del ritrovamento di ordigni bellici in area di cantiere, per osservare a tal proposito che la Provincia era da considerarsi inadempiente alle proprie obbligazioni, cosa che aveva determinato un ritardo di oltre un anno e mezzo nell’esecuzione dei lavori, ritenuto erroneamente una situazione di forza maggiore.
3.4. Il Regio Decreto 25 maggio 1895, n. 350, articolo 5, applicabile ratione temporis, prevedeva la necessita’ di una preventiva “verificazione del progetto, in relazione al terreno, al tracciamento, al sottosuolo, alle cave, alle fornaci e a quant’altro occorre per l’esecuzione dell’opera, affinche’ sia accertato che, all’atto della consegna, non si riscontreranno variazioni nelle condizioni di fatto sulle quali il progetto e’ basato o, riscontrandosene alcuna, si abbia tempo a prevenire l’apertura delle aste pubbliche o delle licitazioni, ovvero, quando trattasi di trattativa privata, la stipulazione del contratto, in base al progetto inesatto o non piu’ esatto”.
Le ragioni di pubblico interesse o necessita’ che, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 1063 del 1962, articolo 30, comma 2, legittimano l’ordine di sospensione dei lavori, vanno identificate in esigenze pubbliche oggettive e sopravvenute, non previste ne’ prevedibili dall’Amministrazione con l’uso dell’ordinarla diligenza, cosi’ che esse non possono essere invocate al fine di porre rimedio a negligenza o imprevidenza dell’Amministrazione medesima. In particolare, nel caso che sopravvenga la necessita’ di approvare una perizia di variante, tale emergenza non deve essere ricollegabile ad alcuna forma di negligenza o imperizia nella predisposizione e nella verifica del progetto da parte dell’ente appaltante, il quale e’ tenuto, prima dell’indizione della gara, a controllarne la validita’ in tutti i suoi aspetti tecnici, e a impiegare la dovuta diligenza nell’eliminare il rischio di impedimenti alla realizzazione dell’opera si’ come progettata (Sez. 1, 28/02/2019, n. 5969).
La giurisprudenza di questa Corte, con riferimento a un caso analogo, ha ripetutamente affermato ritrovamento nel sottosuolo di reperti archeologici (c.d. “sorpresa archeologica”) costituisce causa di forza maggiore, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 1063 del 1962, articolo 30, comma 1, che impedisce la prosecuzione dei lavori in adempimento dei doveri imposti dalla legge e senza discrezionalita’ alcuna da parte del committente (Sez. 1, n. 2316 del 05/02/2016, Rv. 638579-01; Sez. 1, n. 3670 del 17/02/2014, Rv. 629723-01; Sez. 1, n. 10133 del 14/05/2005, Rv. 582195-01).
La Corte di appello ha ritenuto che il ritrovamento degli ordigni nel sottosuolo integrasse una causa di forza maggiore ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 1063 del 1962, articolo 30, legittimante la sospensione (parziale) dei lavori disposta dalla stazione appaltante, quale fatto non prevedibile impeditivo della prosecuzione dei lavori a regola d’arte.
A tanto si e’ indotta sul presupposto che le appellanti non avevano fornito elementi di sorta che rendessero nota, o ragionevolmente desumibile, prima del 4/11/1999 la presenza in loco di ordigni bellici, non potendosi certamente esigere dal committente la previa e indiscriminata bonifica di tutti i siti.
In tal modo la Corte di appello ha espresso una valutazione rientrante nei poteri discrezionali di apprezzamento del fatto propri del giudice di merito, incensurabile in cassazione, se adeguatamente motivata (Sez. 1, 10/07/2013, n. 17096; sez. 3, 13/05/2009, n. 11024; Sez. lav., 23/11/2004, n. 22065; sez. lav., 21/10/1992, n. 11488).
3.5. Le ricorrenti esaminano quindi il tema inerente all’avvenuto ritrovamento di elementi litoidei durante gli scavi e le trivellazioni, imputabili ad una errata progettazione esecutiva, pur riconosciuta dalla Corte di appello ed erroneamente non considerata ragione di inadempimento da parte della stazione appaltante.
Per altro verso, aggiungono le ricorrenti, non vi era stato inadempimento delle imprese nel munirsi di adeguate attrezzature (seconda trivella) tanto piu’ che il problema era aggravato dal ritardo nella concessione delle autorizzazioni da parte del Genio Civile che rendeva ininfluente l’eventuale potenziamento delle attrezzature.
3..6. L’argomento e’ stato affrontato dalla Corte di appello nel § 12, pagg. 9-10, richiamando le condivise valutazioni espresse dal Tribunale, secondo cui la presenza di elementi litoidi nel sottosuolo era stata prevista nella relazione geologica e geotecnica e probabilmente sottovalutata nella redazione del computo metrico estimativo in sede di progettazione esecutiva, ma controbilanciata dal provvedimento cui la Direzione Lavori aveva previsto una nuova voce compensativa dei maggiori oneri per lo scavo in roccia compatta.
Secondo la concorde valutazione dei Giudici del merito, i consistenti rallentamenti erano addebitabili all’impresa che si era sottratta al dovere di collaborare in buona fede, potenziando le risorse di cantiere con la seconda attrezzatura per lo scavo dei pali, come era stato richiesto con un accorgimento che non comportava oneri eccessivi.
Al riguardo, senza confutare l’affermazione della Corte palermitana secondo cui le affermazioni del Tribunale non erano state criticate in modo pertinente, le ricorrenti articolano una censura riversata nel merito, chiedendo a questa Corte di confrontarsi direttamente con le risultanze istruttorie per ritenere, diversamente da quanto sopra esposto, che nessun risultato utile sarebbe conseguito all’utilizzo dell’attrezzatura supplementare da parte loro.
3.7. Infine le ricorrenti osservano che erano stati acclarati in giudizio sia le gravissime carenze progettuali, sia il ritardo nel procedere a una nuova progettazione, sia il ritardo nella redazione ed approvazione delle perizie di variante necessarie a fronte delle consistenti modifiche e integrazioni disposte dalla Direzione lavori e dalle conseguenti esigenze di spesa; la stessa Amministrazione aveva riconosciuto la regolarita’ dell’esecuzione dei lavori da parte dell’impresa; contraria a buona fede era invece la condotta dell’Amministrazione rivolta a paralizzare strumentalmente la diffida ricevuta dalle imprese ricorrenti.
3.8. La censura, totalmente generica e riversata nel merito, non si confronta con le specifiche ragioni sulla base delle quali la Corte territoriale ha fondato la ritenuta illegittimita’ della sospensione dei lavori da parte dell’impresa e del rifiuto di riprenderli, esposti nei § 13.2, 13.3. e 13.4. della sentenza impugnata.
4. Con il quarto motivo di ricorso, proposto ex articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5, le ricorrenti denunciano violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli articoli 1375, 1453, 1454 e 1460 c.c., nonche’ omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti.
4.1. La Corte di appello aveva ritenuto ingiustificata la sospensione dei lavori da parte dell’impresa e il rifiuto di riprenderli sia per il contrasto con il suo precedente comportamento biennale, sia per la possibilita’ di eseguire una parte dei lavori in misura assai rilevante.
4.2. La prima affermazione sarebbe in contrasto con i principi generali che ammettono sempre la parte adempiente a chiedere la risoluzione anche nel corso del giudizio volto a chiedere l’adempimento ex articolo 1453 c.c., comma 2.
Tale disposizione, secondo la quale la risoluzione puo’ essere domandata anche quando il giudizio e’ stato promosso per ottenere l’adempimento ma non puo’ piu’ chiedersi l’adempimento quando e’ stata domandata la risoluzione, non e’ affatto pertinente.
In questo caso, l’appaltatrice non aveva promosso alcun giudizio ne’ per la risoluzione, ne’ per l’adempimento; la sua scelta stragiudiziale di consentire inizialmente l’adempimento tardivo alla committente inadempiente e poi di richiedere la risoluzione tramite diffida ad adempiere, non e’ stata censurata in quanto tale, sul presupposto cioe’ di una inesistente preclusione, ma sulla base di un apprezzamento prettamente di merito e legato alle specifiche particolarita’ della fattispecie concreta e pertanto, ancora una volta, insindacabile in questa sede, circa la non conformita’ al paramento della buona fede contrattuale.
4.3. Secondo le ricorrenti, la seconda affermazione della Corte di appello circa la possibilita’ di eseguire medio tempore consistenti lavorazioni non bloccate (sentenza impugnata, § 13.4, pag. 13) denotava un esame disattento delle risultanze probatorie poiche’ la prosecuzione dei lavori era antieconomica visto che le imprese avevano gia’ sostenuto, oltre al costo dei lavori eseguiti, oneri per maggiori spese, danni e mancate contabilizzazioni per circa il 70% del valore prodotto.
4.4. L’obiezione, ancora evidentemente implicante una valutazione nel merito, non appare neppur pertinente rispetto alla ratio della sentenza impugnata, poiche’non si confronta con l’assunto della Corte secondo cui era oggettivamente possibile, nell’attesa dell’iter di approvazione della variante eseguire opere rientranti nel contratto e non tener bloccata la macchina produttiva.
5. Con il quinto motivo di ricorso, proposto ex articolo 360 c.p.c., n. 3, le ricorrenti denunciano incompetenza e violazione della L. 20 marzo 1865, articolo 340, all. F, Regio Decreto n. 350 del 1895, articolo 27 e Decreto del Presidente della Repubblica n. 554 del 1999, articolo 119.
5.1. Il provvedimento di rescissione era affetto da incompetenza assoluta perche’ emanato dal Dirigente della direzione progettazione e manutenzione edilizia turistico sportiva e per attivita’ economiche della Provincia Regionale di Palermo e cioe’ da un soggetto diverso da quello competente per legge (Presidente e/o Giunta e/o Assessore provinciale), poiche’ il Decreto Legislativo 18 agosto 2000, n. 267, articolo 107, non prevede alcun potere al dirigente di assumere decisioni in materia contrattuale.
5.2. Il motivo e’ infondato,
Il Decreto Legislativo 18 agosto 2000, n. 267, articolo 107, recante il Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, in tema di funzioni e responsabilita’ della dirigenza, al comma 2, attribuisce ai dirigenti “tutti i compiti, compresa l’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, non ricompresi espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi di governo dell’ente o non rientranti tra le funzioni del segretario o del direttore generale, di cui rispettivamente agli articoli 97 e 108”; fra l’altro sono attribuiti ai dirigenti tutti i compiti di attuazione degli obiettivi e dei programmi definiti con gli atti di indirizzo adottati dai medesimi organi, tra i quali in particolare, secondo le modalita’ stabilite dallo statuto o dai regolamenti dell’ente: a) la presidenza delle commissioni di gara e di concorso; b) la responsabilita’ delle procedure d’appalto e di concorso; c) la stipulazione dei contratti; d) gli atti di gestione finanziaria, ivi compresa l’assunzione di impegni di spesa; e) gli atti di amministrazione e gestione del personale; f) i provvedimenti di autorizzazione, concessione o analoghi, il cui rilascio presupponga accertamenti e valutazioni, anche di natura discrezionale, nel rispetto di criteri predeterminati dalla legge, dai regolamenti, da atti generali di indirizzo, ivi comprese le autorizzazioni e le concessioni edilizie; g) tutti i provvedimenti di sospensione dei lavori, abbattimento e riduzione in pristino di competenza comunale, nonche’ i poteri di vigilanza edilizia e di irrogazione delle sanzioni amministrative previsti dalla vigente legislazione statale e regionale in materia di prevenzione e repressione dell’abusivismo edilizio e paesaggistico-ambientale; h) le attestazioni, certificazioni, comunicazioni, diffide, verbali, autenticazioni, legalizzazioni ed ogni altro atto costituente manifestazione di giudizio e di conoscenza; i) gli atti ad essi attribuiti dallo statuto e dai regolamenti o, in base a questi, delegati dal sindaco.
La competenza dirigenziale in tema di responsabilita’ delle procedure d’appalto e di concorso di stipulazione dei contratti, come esattamente osservato dalla Corte di appello, esclude evidentemente il vizio di incompetenza denunciato dalle ricorrenti.
6. Con il sesto motivo di ricorso, proposto ex articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5, le ricorrenti denunciano violazione o falsa applicazione di legge in relazione alla L. 7 agosto 1990, n. 241, articoli 7 e 8 e della Legge Regionale n. 10 del 1991, articoli 8 e segg..
6.1. La Corte di appello non aveva esaminato la questione sottopostale dalle ricorrenti circa l’omessa comunicazione all’a.t.i. dell’avvio del procedimento amministrativo per la risoluzione del contratto di appalto nonche’ di tutte le pertinenti informazioni necessarie per l’espletamento corretto del diritto di difesa nell’ambito del procedimento amministrativo.
6.2. Il motivo e’ inammissibile.
Le ricorrenti assumono che la questione da loro proposta era rimasta assorbita dalla decisione del Tribunale di Palermo ed era stata da loro riproposta con l’atto di appello incidentale.
Esse, cosi’ argomentando, non danno conto, neppur sinteticamente, dei termini con cui esse avevano proposto la questione in primo grado; non spiegano, poi, come e perche’ l’esame della questione sarebbe rimasto assorbito nell’economia della decisione di primo grado (che aveva ritenuto invece efficace la sospensione disposta il 19/9/2001), si’ da rendere sufficiente la mera riproposizione dell’eccezione ex articolo 346 c.p.c., senza proposizione di gravame incidentale suffragato da specifico motivo ex articolo 342 c.p.c.; non indicano, infine, in che termini e con quali argomentazioni avrebbero riproposto la questione in appello.
Per altro verso, la censura appare inammissibile anche perche’ non si confronta con la specifica motivazione addotta a pagina 15-16 (§ 14.3.) della sentenza impugnata con cui la Corte di Palermo afferma che non era stato violato lo specifico procedimento di cui al Regio Decreto 25 maggio 1895, n. 350, articolo 27, “che prevale sulle altre normative procedimentali generali richiamate dalle appellate”.
7. Con il settimo motivo di ricorso, proposto ex articolo 360 c.p.c., n. 3, le ricorrenti denunciano violazione o falsa applicazione di legge in relazione al Regio Decreto n. 350 del 1895, articolo 27 e al Decreto del Presidente della Repubblica n. 554 del 1999, articolo 119.
7.1. L’Amministrazione aveva omesso di formulare e comunicare all’a.t.i. tramite l’ingegnere capo o il direttore dei lavori la precisa contestazione degli addebiti e di assegnarle un termine per la presentazione delle proprie difese e controdeduzioni.
7.2. La censura e’ palesemente infondata.
A pagina 16 la Corte di appello ha diffusamente spiegato come con l’ordine di servizio 11 dell’8/8/2001 l’Amministrazione aveva provveduto alle necessarie contestazioni, mettendo l’appaltatore in condizione di conoscere gli inadempimenti addebitati e di formulare le proprie deduzioni (il che aveva fatto con la nota del 6/9/2001), cosi’ soddisfacendo la prescrizione di cui al Regio Decreto n. 350 del 1895, articolo 27, che ammette forme equipollenti alla relazione particolareggiata.
8. Con l’ottavo motivo di ricorso, proposto ex articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5, le ricorrenti denunciano violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli articoli 1223, 1227, 1453 c.c., nonche’ omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti.
8.1. Il danno liquidato a favore della Provincia Regionale comprendeva costi che non erano conseguenza immediata e diretta del preteso inadempimento, poiche’ erano stati presi in considerazione i diversi e maggiori lavori previsti dalle successive, tre, perizie di variante, che comportavano rilevanti modifiche meliorative rispetto al progetto originario e interventi volti a sopperire alle carenze progettuali; nella liquidazione dei danni, inoltre, si doveva tener conto anche delle condotte colpose dell’Amministrazione committente.
8.2. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, in materia di appalto di opere pubbliche, in caso di rescissione, da parte dell’ente pubblico, del contratto, che ne determina ipso iure la risoluzione con effetto retroattivo, il danno risarcibile, ai sensi della L. 20 marzo 1865, n. 2248, articolo 340, comma 2, all. F, applicabile ratione temporis, consiste nella maggiore spesa sostenuta al fine di garantire la realizzazione dell’opera o la continuita’ del servizio, tramite l’esecuzione d’ufficio o la stipulazione di un nuovo contratto. (Sez. 1, n. 11511 del 23/05/2014, Rv. 631449-01); dalla rescissione del contratto di appalto di opera pubblica per inadempimento dell’appaltatore, ai sensi della L. 20 marzo 1865, n. 2248, articolo 340, all. F, non consegue ex se un danno risarcibile per la P.A. appaltante, pari all’astratto incremento dei costi dell’opera, indipendentemente dal riappalto dei lavori; il danno previsto e disciplinato dalla norma in questione e’ esclusivamente quello che la P.A. committente subisce nello stipulare un nuovo contratto o nel provvedere mediante l’esecuzione di ufficio – danno che quindi non ricorre in mancanza di un nuovo contratto o dell’esecuzione d’ufficio – fermo restando il diritto dell’appaltante di ottenere il risarcimento del danno ulteriore e diverso secondo le norme comuni (Sez. 1, n. 21407 del 04/11/2005, Rv. 586073-01); il danno risarcibile, puo’ consistere anche nella maggiore spesa determinata dalla sola incidenza sfavorevole del fenomeno inflattivo nel frattempo intervenuto, in quanto l’incremento del corrispettivo del secondo contratto, conseguente all’adeguamento ai prezzi di mercato, e’ destinato ad incidere negativamente sulle finanze pubbliche, mentre il tempestivo adempimento del primo contratto avrebbe consentito di elidere gli effetti depauperativi dell’inflazione. (Sez. 1, n. 18958 del 08/08/2013, Rv. 627612-01).
8.3. Nella fattispecie, nel § 16.3, pagg. 18-19, della sentenza impugnata, la Corte di Palermo ha liquidato il danno, avuto riguardo ai “maggiori costi sostenuti per il completamento dell’opera” e sulla base delle condivise valutazioni del consulente tecnico, ritenute esaustive, richiamate puntualmente con riferimento specifico alle pagine 186 e 174-177 della relazione di consulenza e alla pagina 47 del relativo supplemento.
L’onere di specificita’, pertinenza e autosufficienza del motivo avrebbe imposto alle ricorrenti di dar conto di tali osservazioni e valutazioni del Consulente tecnico d’ufficio, recepite dalla Corte territoriale e di confrontarsi criticamente quindi con esse.
Le ricorrenti si limitano a formulare una serie di considerazioni che, in quanto non specificamente riferite alle determinazioni peritali recepite dalla sentenza, non appaiono suscettibili di valutazione critica, prima di tutto sotto i profili di rilevanza e pertinenza.
8.4. La recriminazione circa la mancata applicazione dell’articolo 1227 c.c., e’ formulata in modo del tutto generico, quanto alle specifiche condotte individuate quali presupposti, e ancora una volta svincolato dal contenuto della relazione tecnica richiamate per relationem in sentenza; anche in questo caso la censura non e’ suscettibile di valutazione critica quanto a rilevanza e pertinenza.
9. Il ricorso, proposto sulla base di motivi inammissibili o infondati, deve quindi essere complessivamente rigettato, le spese seguono la soccombenza, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti, in solido fra loro, al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidate nella somma di Euro 12.000,00 per compensi, Euro 200,00 per esposti, 15% rimborso spese generali, oltre accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, ove dovuto.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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