Corte di Cassazione, sezione seconda penale, Sentenza 7 febbraio 2020, n. 5193
Massima estrapolata:
In tema di reati perseguibili a querela, la sussistenza della volontà di punizione da parte della persona offesa non richiede formule particolari e, pertanto, può essere riconosciuta dal giudice anche in atti che non contengono la sua esplicita manifestazione, i quali, ove emergano situazioni di incertezza, vanno, comunque, interpretati alla luce del “favor querelae”; ne consegue che la dichiarazione con la quale la persona offesa, all’atto della denuncia, si costituisce o si riserva di costituirsi parte civile deve essere qualificata come valida manifestazione del diritto di querela. (Fattispecie in cui la Corte ha confermato la condanna per appropriazione indebita aggravata ex art. 61, n. 11 cod. pen., delitto divenuto procedibile a querela ex art. 10, comma 1, d.lgs. 10 aprile 2018, n. 36, dopo la sentenza di primo grado, rilevando che la sussistenza della condizione di procedibilità era desumibile dalla riserva di costituzione di parte civile formulata dalla persona offesa nella denunzia).
Sentenza 7 febbraio 2020, n. 5193
Data udienza 5 dicembre 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMMINO Matilde – Presidente
Dott. DI PAOLA Sergio – rel. Consigliere
Dott. CIANFROCCA Pierluigi – Consigliere
Dott. AIELLI Lucia – Consigliere
Dott. SGADARI Giuseppe – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 06/06/2018 della Corte d’appello dell’Aquila;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
sentita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Di Paola Sergio;
Udito il P.m. in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Ceniccola Elisabetta, che ha concluso per la declaratoria di inammissibilita’ del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d’appello de L’Aquila con sentenza in data 6 giugno 2018, in parziale riforma della sentenza pronunciata dal Tribunale di Vasto, in data 12 ottobre 2015, nei confronti di (OMISSIS), concedeva il beneficio della non menzione della condanna, confermando il giudizio di responsabilita’ per il delitto di appropriazione indebita, aggravata ai sensi dell’articolo 61 c.p., n. 11.
2.1. Propone ricorso per cassazione la difesa dell’imputato deducendo, con il primo motivo, violazione di norme processuali, in riferimento al Decreto Legislativo 10 aprile 2018, articolo 10; la sentenza impugnata non aveva tenuto conto della modifica intervenuta per effetto dell’abrogazione dell’originario articolo 646 c.p., comma 3, omettendo di dichiarare l’improcedibilita’ dell’azione penale attesa l’assenza della necessaria querela.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione di norme processuali, in relazione all’articolo 649 c.p.p., per aver omesso la sentenza d’appello di dichiarare il ne bis in idem, in relazione al processo definito con sentenza di primo grado nei confronti dell’imputato, per il medesimo fatto contestato e per il quale era stata presentata querela dalla societa’ (OMISSIS).
2.3. Con il terzo motivo di ricorso si deduce violazione di legge, in relazione all’articolo 646 c.p., e vizio di motivazione con riferimento al giudizio di responsabilita’ mancando la prova della consegna all’imputato, da parte del querelante, della somma che doveva esser destinata all’estinzione del finanziamento erogato dalla societa’ finanziaria.
2.4. Con il quarto motivo di ricorso si deduce violazione di legge, in riferimento all’articolo 131 bis c.p., e vizio di motivazione, per avere la Corte d’appello erroneamente negato la sussistenza del fatto di particolare tenuita’, alla luce del modestissimo danno subito dalla persona offesa, dell’irrilevanza della contestazione della circostanza aggravante, della personalita’ dell’imputato, soggetto incensurato.
2.5. Con il quinto motivo di ricorso si deduce violazione di legge, in riferimento all’articolo 62 bis c.p., e vizio di motivazione per il diniego delle circostanze attenuanti generiche, motivato sulla base dei medesimi elementi considerati per negare la sussistenza della causa di non punibilita’ ex articolo 131 bis c.p..
3. Nell’odierna udienza la Corte ha rigettato la richiesta di rinvio formulata dal difensore per l’adesione all’astensione dalle udienze proclamata dagli organismi di categoria, perche’ proposta in violazione dell’articolo 4.1., lettera A) del codice di autoregolamentazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.1. Il ricorso e’ inammissibile per le ragioni di seguito specificate.
Il primo motivo di ricorso e’ manifestamente infondato; dagli atti processuali (cui la Corte puo’ aver accesso, trattandosi di atti indispensabili per l’esame della questione, rispetto alla quale la Corte di Cassazione accerta i fatti processuali necessari per la decisione: Sez. 1, n. 8521 del 09/01/2013, Chahid, Rv. 255304; Sez. 3, n. 24979 del 22/12/2017, dep. 2018, F., Rv. 273525), risulta che la costituita parte civile aveva riservato, all’atto della denuncia sporta, di formulare la richiesta di costituzione di parte civile, cio’ che secondo la giurisprudenza di legittimita’ equivale alla volonta’ di querelarsi (“La sussistenza della volonta’ di punizione da parte della persona offesa- non richiede formule -particolari e puo’, pertanto, essere riconosciuta dal giudice anche in atti che non contengono la sua esplicita manifestazione, i quali, ove emergano situazioni di incertezza, vanno, comunque, interpretati alla luce del favor querelae. Ne consegue che la dichiarazione con la quale la persona offesa, all’atto della denuncia, si costituisce o si riserva di costituirsi parte civile deve essere qualificata come valida manifestazione del diritto di querela”: Sez. 5, n. 15691 del 06/12/2013, dep. 2014, Anzalone, Rv. 260557); sicche’ l’intervenuta modifica normativa non ha inciso sulla perseguibilita’ dell’azione penale e, pertanto, nessuna violazione delle norma processuale si e’ realizzata per effetto della pronuncia impugnata.
1.2. Il secondo motivo di ricorso e’ anch’esso manifestamente infondato; il principio del ne bis in idem processuale, invocato dal ricorrente, a mente del quale “non puo’ essere nuovamente promossa l’azione penale per un fatto e contro una persona per i quali un processo gia’ sia pendente (anche se in fase o grado diversi) nella stessa sede giudiziaria e su iniziativa del medesimo ufficio del P.M., di talche’ nel procedimento eventualmente duplicato dev’essere disposta l’archiviazione oppure, se l’azione sia stata esercitata, dev’essere rilevata con sentenza la relativa causa di improcedibilita’” trova applicazione esclusivamente nelle “situazioni di litispendenza relative a procedimenti pendenti avanti a giudici egualmente competenti e non produttive di una stasi del rapporto processuale, come tali non regolate dalle disposizioni sui conflitti positivi di competenza, che restano invece applicabili alle ipotesi di duplicazione del processo innanzi a giudici di diverse sedi giudiziarie, uno dei quali e’ incompetente” (Sez. Unite, n. 34655 del 28/06/2005, Donati, Rv. 231800); il che presuppone la produzione innanzi al giudice di merito della sentenza definitiva o degli atti necessari per l’accertamento della identita’ del fatto, ragione per cui tale principio non puo’ trovare applicazione in sede di legittimita’ ove e’ precluso “l’accertamento del fatto e la parte non puo’ produrre documenti concernenti elementi fattuali, la cui valutazione e’ rimessa esclusivamente al giudice di merito” (Sez. 5, n. 9180 del 29/01/2007, Aloisio, Rv. 236259, nonche’ tra le piu’ recenti Sez. 3, n. 20885 del 15/04/2015, Calo’, Rv. 264096); quanto al caso in esame risulta, inoltre, che davanti alla Corte d’appello non e’ stata prodotta documentazione attestante l’epoca dell’esercizio dell’azione penale (avendo prodotto la difesa nel giudizio di primo grado unicamente l’avviso di conclusione delle indagini) nel diverso processo indicato dal ricorrente, sicche’ correttamente la sentenza impugnata aveva disatteso il relativo motivo di impugnazione.
1.3. Il terzo motivo di ricorso e’ generico, oltre che manifestamente infondato; il ricorrente intenderebbe dedurre, dall’estinzione ad opera della societa’ emittente del primo finanziamento erogato alla parte civile (e per il quale il querelante aveva consegnato al (OMISSIS), su sua indicazione-, due assegni circolari per l’estinzione di quel finanziamento, in modo da accedere ad un nuovo finanziamento della stessa societa’ finanziaria), la prova dell’insussistenza della condotta di indebita appropriazione delle somme ricevute dal querelante; come indicato dalla sentenza impugnata, e da quella di primo grado, tale intervento fu determinato proprio dalla condotta illecita del (OMISSIS) che si era appropriato delle somme ricevute dal querelante senza versarle, per lo scopo convenuto, alla societa’ finanziaria la quale, preso atto della situazione venutasi a determinare, aveva concluso una transazione con il querelante, rinunciando al credito residuo e surrogandosi nei diritti del querelante nei confronti del (OMISSIS). Tali evenienze successive non incidono sulla gia’ realizzata appropriazione, che si era consumata con l’interversione operata mediante la mancata destinazione delle somme riscosse all’estinzione del finanziamento della persona offesa. Del tutto generica e indimostrata, poi, la censura con cui si afferma la mancanza di prova della consegna delle somme dal querelante al (OMISSIS), considerata la prova documentale (costituita dagli assegni circolari emessi a favore dell’imputato per un importo corrispondente al residuo debito da estinguere) indicata da entrambe le sentenze di merito.
1.4. Il quarto motivo di ricorso e’ manifestamente infondato; pur se con motivazione sintetica, la Corte d’appello ha messo in rilievo sia il dato della modalita’ della condotta (rimarcando l’abuso della prestazione professionale da parte dell’imputato per conseguire l’illecita disponibilita’ delle somme ricevute dal querelante) sia quello del danno (inteso alla stregua dell’importo oggetto dell’appropriazione, non rilevando evidentemente il successivo intervento della societa’ finanziaria che provvide ad estinguere il finanziamento, contenendo il pregiudizio subito dal querelante), individuando cosi’ gli elementi valutativi richiesti congiuntamente dall’articolo 131 bis c.p..
1.5. Il quinto motivo di ricorso e’ anch’esso manifestamente infondato; a fronte del motivo di appello con cui si invocavano le circostanze attenuanti generiche in forza del dato dell’incensuratezza, della buona posizione sociale e personale e della modesta gravita’ del fatto, nonche’ per adeguare la pena inflitta, la Corte d’appello ha indicato la ragione ostativa alla concessione delle attenuanti utilizzando legittimamente gli stessi indici valutativi considerati per negare la sussistenza dell’ipotesi del fatto di particolare tenuita’, trattandosi di elementi di certo negativi, stimati come prevalenti sui dati (obiettivamente generici) dedotti dal ricorrente.
2. All’inammissibilita’ del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche’, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’ emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno-2000, n. 186), al versamento della somma, che si ritiene equa, di Euro duemila a favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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