In tema di operazioni sotto copertura

Corte di Cassazione, sezione sesta penale, Sentenza 15 aprile 2020, n. 12204

Massima estrapolata:

In tema di operazioni sotto copertura, è inutilizzabile la prova acquisita dall’agente infiltrato che abbia determinato l’indagato alla commissione di un reato e non quella acquisita con l’azione di mero disvelamento di una risoluzione delittuosa già esistente, rispetto alla quale l’attività dell’infiltrato si presenti solo come occasione di estrinsecazione del reato. (Fattispecie in cui gli agenti sotto copertura si sono limitati a fingersi interessati all’acquisto di droga, concordando luogo, tempo e modalità della consegna di sostanza stupefacente già nella disponibilità dell’imputato).

Sentenza 15 aprile 2020, n. 12204

Data udienza 4 febbraio 2020

Tag – parola chiave: Sostanze stupefacenti – Detenzione e spaccio – Aggravante dell’ingente quantità – Configurabilità – Criteri di individuazione – Valutazione a norma dell’art. 59, comma 2, cp – Necessità – Danneggiamento seguito da incendio – Giudizio sul pericolo di incendio – Natura – Giudizio prognostico ex ante e a base parziale – Contenuto – Incidenza dei fattori eccezionali e sopravvenuti – Esclusione

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOGINI Stefano – Presidente

Dott. CRISCUOLO Anna – Consigliere

Dott. DE AMICIS Gaetano – Consigliere

Dott. AMOROSO Riccardo – Consigliere

Dott. ROSATI Martino – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) (OMISSIS), nato a (OMISSIS);
2) (OMISSIS), nato a (OMISSIS);
3) (OMISSIS), nato a (OMISSIS);
4) (OMISSIS), nato a (OMISSIS);
5) (OMISSIS), nato a (OMISSIS);
6) (OMISSIS), nato a (OMISSIS);
7) (OMISSIS), nato a (OMISSIS);
8) (OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 08/10/2018 della Corte di appello di Lecce;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Martino Rosati;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Aniello Roberto, che ha chiesto il rigetto del ricorso dell’imputato (OMISSIS) e di dichiarare inammissibili i restanti ricorsi;
uditi i difensori, avv. (OMISSIS) per (OMISSIS) ed avv. (OMISSIS) per (OMISSIS), che hanno chiesto l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 19 aprile 2017, emessa all’esito di giudizio abbreviato, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Lecce ha condannato i seguenti imputati, per i reati per ognuno rispettivamente specificati, con indicazione del relativo capo d’imputazione:
– (OMISSIS), per i delitti di danneggiamento seguito da incendio (capo b); di detenzione e porto illegali di arma comune da sparo e clandestina e di ricettazione della stessa (capo d); di detenzione a fini di cessione di sostanza stupefacente del tipo marijuana (capi al, f), con l’aggravante dell’ingente quantita’ (capo e); di detenzione e cessione a terzi di sostanza stupefacente del tipo cocaina (capo g9), per fatti di lieve entita’ (capi g, g1, g2, g5, g7, g8);
– (OMISSIS), per i delitti di danneggiamento seguito da incendio (capo b); di detenzione a fini di cessione di sostanza stupefacente del tipo marijuana (capi a, a1, f, g4), con l’aggravante dell’ingente quantita’ (capo e); di detenzione e cessione a terzi di sostanza stupefacente del tipo cocaina (capo g9);
– (OMISSIS), per i delitti di detenzione a fini di cessione di sostanza stupefacente del tipo marijuana (capi a, al, g6), con l’aggravante dell’ingente quantita’ (capo e);
– (OMISSIS), per i delitti di danneggiamento seguito da incendio (capo b); di tentata estorsione pluriaggravata, anche dal metodo mafioso e dalla finalita’ agevolatrice di associazione mafiosa, nonche’ di porto e detenzione illegali di arma comune da sparo (capo c); di detenzione a fini di cessione di sostanza stupefacente del tipo marijuana (capo g4); di detenzione e cessione a terzi di sostanza stupefacente del tipo cocaina, per fatti di lieve entita’ (capi g2, g5);
– (OMISSIS), per il delitto di detenzione a fini di cessione di sostanza stupefacente del tipo marijuana, con l’aggravante dell’ingente quantita’ (capo e);
– (OMISSIS), per il delitto di detenzione a’ fini di cessione di sostanza stupefacente del tipo marijuana (capo f);
– (OMISSIS), per il delitto di detenzione a fini di cessione di sostanza stupefacente del tipo cocaina, fatto di lieve entita’ (capo g7);
– (OMISSIS), per il delitto di detenzione e cessione a terzi di sostanza stupefacente del tipo cocaina (capo g9).
2. Con sentenza dell’8 ottobre 2018, la Corte di appello di Lecce, investita del gravame dalle difese dei predetti imputati:
– ha riqualificato la detenzione e cessione di cocaina di cui al capo g9) come fatto di lieve entita’ ed ha ritenuto assorbiti nei delitti di detenzione e porto illegali di arma clandestina gli omologhi reati in materia di armi comuni da sparo (capo d), per l’effetto rideterminando le pene per (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), con le consequenziali modifiche in punto di pene accessorie;
– ha confermato nel resto la prima sentenza.
3. Avverso tale sentenza, per il tramite dei rispettivi difensori, ricorrono per cassazione tutti i predetti imputati, per i motivi di seguito per ciascuno indicati, nei limiti di cui all’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1.
4. Il ricorso proposto nell’interesse di (OMISSIS) si articola in quattro motivi.
4.1. Violazione di legge e vizi di motivazione, per avere la Corte di appello travisato il contenuto dei dialoghi oggetto d’intercettazione, su cui ha fondato la propria decisione.
Trattandosi di emergenze non suffragate da oggettivi elementi di conferma, la sentenza avrebbe dovuto almeno indicare le ragioni dei mancati riscontri, cio’ che invece non ha fatto.
4.2. Violazione di legge e vizi di motivazione, in relazione al delitto di cui al capo e), relativamente all’esclusione dell’ipotesi di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, ed al riconoscimento dell’aggravante di cui al successivo articolo 80, comma 2, ritenuta sussistente soltanto in ragione del dato quantitativo formale, senza considerare che il luogo di commissione del reato e’ una zona di frontiera.
4.3. Vizi di motivazione, in relazione alle imputazioni in materia di armi e correlata ricettazione, di cui al capo d), per non avere la sentenza risposto alle relative doglianze avanzate con l’appello.
4.4. Manifesta illogicita’ della motivazione, nella parte relativa al trattamento sanzionatorio, per avere la sentenza negato le attenuanti generiche, senza valorizzare la confessione dell’imputato e, contraddittoriamente, reputando eccessiva la pena inflitta in primo grado.
5. Tre sono i motivi di ricorso per (OMISSIS).
5.1. Violazione di legge e vizi di motivazione, in relazione alla ritenuta circostanza aggravante dell’ingente quantita’, relativamente alla detenzione ed offerta in vendita di marijuana contestate al capo e): sia sotto il profilo oggettivo, ma anche, e soprattutto, dal punto di vista soggettivo, avendo la sentenza d’appello omesso di motivare sul punto.
5.2. Assenza di motivazione, in ordine al delitto di cui all’articolo 424 c.p., rubricato al capo b). Nello specifico, le maldestre modalita’ esecutive, tali da aver permesso lo spegnimento del fuoco a mani nude da parte delle persone intervenute, escludono la configurabilita’ del concreto pericolo di incendio, invece necessario per la configurazione del reato.
5.3. Vizio di motivazione, in relazione alla detenzione di ventidue chili di marijuana contestata al capo a), poiche’ la condanna si basa sulle conversazioni tra i coindagati, il cui contenuto e’ stato pero’ travisato, emergendo da esse soltanto un ipotetico progetto delittuoso futuro.
6. Il ricorso presentato nell’interesse di (OMISSIS) enuncia due doglianze.
6.1. Violazione di legge e vizio di motivazione, per la ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 80, comma 2, in relazione ai fatti di cui al capo e): la Corte di merito si e’ fermata al dato ponderale, senza avere riguardo alla caratteristica di “zona di frontiera” dell’area geografica interessata e senza tener conto dei quantitativi ivi sequestrati nel medesimo periodo, parametri invece significativi ai fini della determihazione del grado di offensivita’ della condotta per il bene della salute pubblica, protetto dalla norma.
6.2. Violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione al mancato riconoscimento:
– dell’attenuante di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 cit., articolo 73, comma 7: la sentenza impugnata l’ha negata, ritenendo prive di riscontri le dichiarazioni dell’imputato e non dimostrata la sua volonta’ collaborativa; egli invece – si sostiene – ha dimostrato resipiscenza, fornendo spunti investigativi, dando riscontro, con le sue dichiarazioni, ad altre emergenze probatorie, mostrando volonta’ di collaborare, pur nella consapevolezza di un’operazione sotto copertura in atto, e collaborando con gli inquirenti anche in altre indagini; in ogni caso, in presenza di effettivo ravvedimento, tale attenuante puo’ essere riconosciuta anche nel difetto di novita’ dei contributi informativi offerti dal dichiarante;
– delle circostanze attenuanti generiche, negate dai giudici d’appello con formule di stile, ma ampiamente giustificabili, invece, in ragione dei comportamenti appena evidenziati e dall’avere l’imputato iniziato a raccogliere delle somme da devolvere all’Erario.
7. Per (OMISSIS), la difesa ricorrente propone due motivi di ricorso.
7.1. Con il primo, rappresenta il conflitto tra dispositivo e motivazione della sentenza, in ordine alla misura della pena: la Corte di merito ha asserito di voler confermare la determinazione finale del primo giudice, pur individuando una diversa violazione piu’ grave, ai fini dell’articolo 81 c.p., comma 2, e ricalibrando i singoli aumenti per continuazione; tuttavia, seguendo il calcolo analitico operato in sentenza, si perviene ad una misura complessiva inferiore, rispetto a quella irrogata in primo grado.
7.2. Con il secondo motivo, si deducono violazione di legge e vizio della motivazione, relativamente al delitto di cui all’articolo 424 c.p., contestato al capo b), non essendo indicato in sentenza alcun elemento dal quale poter desumere l’esistenza di un pericolo di incendio, inteso come fuoco di vaste proporzioni e tendente a propagarsi in modo incontrollabile.
7.3. La difesa ha presentato motivi aggiunti, denunciando violazione di legge e vizi di motivazione, in merito alla ritenuta aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, articolo 7, poiche’ la Corte distrettuale avrebbe omesso di tenere nella dovuta considerazione la personalita’ delle vittime ed il contesto in cui la condotta e’ maturata: si trattava, infatti, di soggetti intranei ai medesimi circuiti criminali (ossia i coimputati (OMISSIS) e (OMISSIS)) e di dissidi insorti nell’ambito delinquenziale, talche’ la minaccia non risultava tale da possedere quella carica intimidatoria particolarmente cogente, necessaria per conferirle natura “mafiosa”; ne’ essa poteva risultare funzionale all’agevolazione del sodalizio mafioso di riferimento, dal cui capo – secondo l’accusa – i due destinatari di essa erano stati “prestati” e del quale, se ne deve desumere, essi stessi erano parte.
8. I motivi di censura rappresentati dalla difesa di (OMISSIS) sono tre.
8.1. Il primo, sotto il profilo sia della violazione di legge che della contraddittorieta’ della motivazione, attiene all’inutilizzabilita’ dei risultati probatori dell’attivita’ svolta dagli ufficiali di polizia che hanno agito “sotto copertura”, per un duplice ordine di ragioni.
8.1.1. In primo luogo, si evidenzia che le relative operazioni sarebbero state poste in essere prima che ne fosse informato il Pubblico ministero, come si evince dall’informativa di reato del settembre 2016, in cui si fa riferimento ad una preliminare comunicazione di notizia di reato del febbraio precedente, relativa ad un’operazione “undercover”, tuttavia riguardante fatti ed indagini riferibili a persone diverse dal (OMISSIS).
Inoltre, si rileva come, nel fascicolo delle indagini, non vi sia traccia delle necessarie autorizzazioni previste dalla L. 12 marzo 2006, n. 46, articolo 9, evidenziando che anche quella prodotta in udienza preliminare – delle due asseritamente rilasciate – risulta essere stata comunicata all’ufficio del Pubblico ministero successivamente all’esecuzione delle operazioni.
8.1.2. Per altro verso, tali risultati probatori sarebbero inutilizzabili, in quanto gli agenti sotto copertura non si sarebbero limitati ad un contegno passivo, ma avrebbero provocato la commissione del reato, determinando (OMISSIS) a commetterlo.
8.2. Con il secondo motivo, si deducono violazione di legge e vizi cumulativi di motivazione, in ordine alla ritenuta responsabilita’ di costui.
Egli, infatti, non avrebbe partecipato alle trattative ed all’organizzazione della cessione, mai comparendo o venendo menzionato nelle relative intercettazioni; non ha mai avuto la materiale disponibilita’ della sostanza; non v’e’ prova di un qualsivoglia preventivo accordo tra lui ed il coindagato (OMISSIS), effettivo detentore di quella; quest’ultimo ha ammesso gli addebiti e, nella sua disponibilita’, sono stati rinvenuti oggetti riferibili alla detenzione di stupefacenti, mentre la perquisizione del (OMISSIS) ha dato esito negativo.
8.3. Gli stessi vizi si deducono, con il terzo motivo, riguardo ai seguenti punti:
a) la ritenuta configurabilita’ della circostanza aggravante di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 80, comma 2, sostenendo, anche questo ricorrente, che i giudici d’appello avrebbero dovuto far riferimento non solo al profilo quantitativo, ma anche a quello di contesto e geografico del Salento quale “zona di frontiera”;
b) il diniego delle circostanze attenuanti generiche, essendosi trascurato il ruolo marginale svolto dal ricorrente nella vicenda ed il positivo esperimento dell’affidamento ai servizi sociali in occasione dell’unica sua condanna pregressa.
9. Il ricorso avanzato nell’interesse di (OMISSIS) si articola in tre motivi.
9.1. Con il primo, sotto il profilo sia della violazione di legge che del vizio di motivazione, si contesta l’individuazione di costui per il ” (OMISSIS)” di cui si parla nelle intercettazioni, che si sarebbe reso colpevole dei fatti ipotizzati. Lamenta il ricorrente che tale nominativo potrebbe riferirsi non solo ad un singolo ma anche ad un gruppo familiare, cosi’ come l’attivita’ di parrucchiere, ritenuta in sentenza quale ulteriore elemento identificativo. E la riprova della scarsa valenza individualizzante di tali aspetti – si sostiene – e’ data dall’errore in cui sono caduti gli stessi inquirenti, che, per lo stesso fatto, hanno ipotizzato due distinte imputazioni, ai capi g6) ed f), ascrivendo la prima a (OMISSIS), nome del padre dell’imputato.
9.2. Con il secondo, gli stessi vizi vengono dedotti con riferimento alla ritenuta sussistenza del reato.
Emergerebbe dagli atti che ” (OMISSIS)” abbia trattato l’acquisito di due chili di marijuana da (OMISSIS) e (OMISSIS), ma che, con ogni verosimiglianza, egli abbia agito, su incarico di (OMISSIS), non con la reale intenzione di acquistare detta sostanza, ma soltanto per tendere una trappola ai due venditori: presentandosi all’incontro a loro insaputa, infatti, (OMISSIS) avrebbe sottratto loro la sostanza senza pagarne il prezzo, in tal modo rivalendosi di un proprio credito verso costoro, relativo ad una precedente fornitura di stupefacenti e rimasto insoluto. Cio’ pero’ non si e’ verificato, perche’, essendosi (OMISSIS) avveduto della presenza, sul luogo ed al momento convenuti per la consegna della sostanza, di (OMISSIS), ed avendo appreso che quest’ultimo fosse l’effettivo fornitore, avrebbe desistito dal suo proposito, rifiutando anche la piu’ vantaggiosa proposta d’acquisto formulatagli, sul momento, da (OMISSIS).
Deduce, quindi, il ricorrente che nessun acquisto si e’ perfezionato, perche’ nessun effettivo accordo sulla vendita vi e’ mai stato, non avendo (OMISSIS) – e, per lui, ” (OMISSIS)” – mai inteso acquistare detta sostanza. La sentenza impugnata, invece, si e’ limitata a ribadire il principio – indiscusso, ma non conferente – per cui, ai fini del perfezionamento della “vendita”, non sia necessaria la materiale traditio della sostanza, ma sia sufficiente il raggiungimento dell’accordo sui punti essenziali della transazione: in tal modo, pero’, non rispondendo all’obiezione difensiva.
Conseguentemente, nella condotta dell’imputato, potrebbero ravvisarsi, al piu’, gli estremi del tentativo, con la conseguente configurabilita’ della desistenza volontaria o del recesso attivo, in ragione della rinuncia all’acquisizione della sostanza, compiuta dal (OMISSIS) ma estensibile, agli effetti di cui all’articolo 56 c.p., al suo sodale ” (OMISSIS)”, che nel frangente lo affiancava e che ha volontariamente aderito a tale contegno.
9.3. Sempre gli stessi vizi, infine, la difesa ricorrente denuncia con riferimento al diniego delle attenuanti generiche e di quella di cui all’articolo 62 c.p., n. 6), nonche’ della continuazione con altro reato della stessa specie, commesso otto mesi prima e giudicato in altro procedimento definito con sentenza irrevocabile.
9.3.1. Riguardo alle prime, si evidenzia come ” (OMISSIS)”, non opponendosi al rifiuto di acquistare lo stupefacente manifestato da (OMISSIS), abbia in tal modo spontaneamente contribuito a contenere le conseguenze dannose o pericolose del reato. Condotta, quest’ultima, che avrebbe comunque dovuto essere tenuta in considerazione per il riconoscimento di attenuanti generiche, in uno al non elevato dato ponderale ed alla qualita’ della sostanza.
9.3.2. Quanto alla continuazione, la sentenza sarebbe contraddittoria, poiche’, in punto di determinazione della pena e di esclusione della spontaneita’ della condotta, ai fini dell’attenuante di cui all’articolo 62, n. 6), cit., considera l’anzidetto precedente come espressivo di una contiguita’ del (OMISSIS) con (OMISSIS) e di una consolidata attivita’ di spaccio; mentre, ai fini della continuazione, esclude che entrambi tali fatti siano espressivi di un programma criminoso unitario, quanto meno nelle linee essenziali.
10. La difesa di (OMISSIS) propone cinque motivi di ricorso.
10.1. Violazione dell’articolo 266 c.p.p., e conseguente inutilizzabilita’ dei risultati delle intercettazioni, per essere state le stesse disposte in presenza di semplici sospetti investigativi, nonche’, quelle tra presenti, in assenza del fondato motivo che, nei relativi luoghi, si stesse svolgendo l’attivita’ criminosa.
10.2. Violazione di legge e vizio di motivazione, con riferimento alla trascrizione dei colloqui intercettati, poiche’ gli interlocutori si esprimono in dialetto, mentre i contenuti sono stati trascritti in lingua italiana, tuttavia senza attestazione di specifiche competenze linguistiche da parte del traduttore: il cui operato, pertanto, deve ritenersi quanto meno approssimativo.
10.3. Violazione degli articoli 192 e 533 c.p.p., per assenza di riscontri all’unico elemento indiziante, costituito da un colloquio tra il coindagato (OMISSIS) ed altri, suscettibile di interpretazioni alternative.
10.4. Manifesta illogicita’ della motivazione, poiche’ fondata sulle affermazioni di un soggetto – (OMISSIS), appunto – dedito al traffico di stupefacenti e, per sua stessa ammissione, incline alla millanteria.
10.5. Violazione dell’articolo 62-bis c.p., per il mancato riconoscimento di attenuanti generiche, nonostante l’assenza di allarmanti precedenti penale e la modesta entita’ del fatto di reato.
11. Con un unico motivo, (OMISSIS) deduce vizi cumulativi di motivazione, in relazione ai seguenti profili:
11.1. la sua ritenuta responsabilita’, in quanto egli e’ ininterrottamente detenuto dal 18 febbraio 2014 e la conversazione intercettata tra i coindagati (OMISSIS) e (OMISSIS) – che parlerebbero di un loro debito nei suoi confronti per il saldo di una partita di stupefacenti da lui ceduta, unico elemento su cui si fonda l’accusa – e’ successiva di quasi due anni, risalendo al novembre del 2015;
11.2. il diniego delle circostanze attenuanti generiche, avendo la Corte di merito reputato insufficiente, a tal fine, la sua condizione d’incensuratezza, senza pero’ spiegarne le ragioni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi degli imputati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) sono inammissibili.
Quelli degli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS) debbono essere rigettati.
Quello proposto nell’interesse di (OMISSIS) dev’essere accolto limitatamente al motivo riguardante la determinazione della pena, con conseguente annullamento della sentenza e rinvio degli atti al giudice emittente su questo punto; per il resto, dev’essere anch’esso rigettato.
Le ragioni di tali decisioni sono di seguito esposte, in distinti paragrafi per ciascun ricorrente, nell’identico ordine seguito per la parte narrativa, corrispondente all’iscrizione dei relativi nominativi nell’epigrafe della sentenza.
2. (OMISSIS).
Elemento comune a tutti i motivi del ricorso proposto nell’interesse di questi e’ la genericita’. Le doglianze, infatti, sono meramente enunciate, senza indicazione degli specifici passaggi della sentenza che si assumono espressivi dei vizi denunciati, ma soprattutto senza rilievi critici mirati, limitandosi il ricorrente all’indicazione di regole giuridiche asseritamente violate ed al richiamo di qualche precedente di legittimita’.
A tanto aggiungasi, in relazione ai singoli motivi:
– che la censura sul significato dei dialoghi intercettati e’ questione di puro fatto, percio’ sottratta al sindacato di questa Corte; ed altresi’ che tali dialoghi non hanno necessita’ di “riscontri” in senso proprio, ovvero di elementi confermativi ai sensi dell’articolo 192 c.p.p., commi 3 e 4, non trattandosi di prove dichiarative;
– che il ricorso non indica neppure un elemento suscettibile di valutazione comparata e complessiva con le ulteriori modalita’ e circostanze del fatto (secondo quanto richiede Sez. U, n. 51063 del 27/09/2018, Murolo, Rv. 274076), ai fini del riconoscimento dell’ipotesi di cui al citato articolo 73, comma 5; quanto, poi, alla circostanza aggravante dell’ingente quantita’ di stupefacenti, il dato logistico e’ irrilevante (come meglio si dira’ tra breve, trattando di altri ricorsi che hanno sviluppato il tema: §§ 3.1., 4.1.);
– che, relativamente ai delitti in materia di armi, il ricorso non va oltre la mera manifestazione di dissenso;
– che, infine, in tema di trattamento sanzionatorio, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione e’ insindacabile in sede di legittimita’, purche’ dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’articolo 133, c.p., da esso considerati preponderanti, e non si presenti quale frutto di mero arbitrio o di ragionamento del tutto illogico, contraddittorio od immotivato; nello specifico, la sentenza impugnata e’ esaustiva, perche’ ha spiegato le ragioni dell’irrilevanza della confessione dell’imputato, in quanto scarna ed intervenuta su un quadro probatorio gia’ concludente, e non e’ contraddittoria, perche’ la riduzione di pena e’ avvenuta solo per ragioni formali (esclusione del concorso formale tra i diversi reati in materia di armi).
3. (OMISSIS).
3.1. Il primo motivo di ricorso, con cui si contesta la configurabilita’ dell’aggravante di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 80, comma 2, e’ manifestamente destituito di fondamento giuridico, sotto il profilo oggettivo.
La Corte di appello ha fatto corretta applicazione del principio stabilito da Sez. U, n. 36258 del 24/05/2012, Biondi, Rv. 253150, che ha individuato il relativo valore-soglia in un quantitativo non inferiore a duemila volte la dose massima detenibile, come peraltro di recente ribadito dalle stesse Sezioni Unite, con sentenza del 31 gennaio 2020, r.g.n. 10332/2019, ric; Polito, di cui al momento e’ noto il solo dispositivo, che e’ intervenuta a dirimere il contrasto menzionato anche nella sentenza impugnata. Peraltro – come la Corte distrettuale ha evidenziato, senza essere smentita dal – ricorrente – quand’anche si fosse voluto utilizzare, quale parametro di riferimento, quello differente e pari al doppio di quello indicato, il quantitativo di stupefacente sarebbe stato comunque ampiamente esuberante, poiche’ idoneo a ricavarne oltre 150.000 dosi.
Sul piano soggettivo, invece, la doglianza e’ del tutto generica.
In tema di stupefacenti, la circostanza aggravante dell’ingente quantita’ puo’ essere riconosciuta quando si accerti che tale dato sia conosciuto dall’agente, ovvero da lui ignorato per colpa o ritenuto inesistente per errore dovuto a colpa (tra molte altre: Sez. 3, n. 21968 del 24/02/2016, Rv. 267076; Sez. 6, n. 13087 del 05/03/2014, Rv. 258643).
Il ricorso, invece, non adduce alcun elemento tale da far dubitare della consapevolezza, da parte del (OMISSIS), dell’ordine di grandezza della partita gestita, evenienza peraltro improbabile, in ragione del suo attivo e non marginale coinvolgimento nella transazione illegale di che trattasi, quale diffusamente. descritto in sentenza.
3.2. Il secondo motivo e’ anch’esso manifestamente infondato, la’ dove denuncia l’omissione di motivazione in ordine al danneggiamento ex articolo 424 c.p., rubricato al capo b). La motivazione, infatti, e’ stata compiutamente rassegnata dalla Corte nel trattare la posizione del correo (OMISSIS) (pag. 36, sent.).
La doglianza pecca, invece, di genericita’, limitandosi alla riproposizione dell’analogo motivo di appello, nella parte in cui deduce la non configurabilita’ del reato, per il sol fatto che il fuoco sia stato spento senza particolari difficolta’.
Sul punto, invece, la sentenza impugnata, richiamando giurisprudenza di questa Corte, ha correttamente osservato che il giudizio sulla ricorrenza del pericolo d’incendio va formulato sulla base di una prognosi postuma ex ante, dovendo, cioe’, essere rapportato al momento in cui l’autore ha posto in essere la propria azione, e non gia’ alle conseguenze dannose effettivamente verificatesi. E, al pari di qualsiasi prognosi postuma, essa non puo’ che essere a base parziale, ovvero fondata sulla valutazione delle circostanze concrete esistenti al momento dell’azione, senza che possano rilevare fattori eccezionali o sopravvenuti, tra i quali va annoverato anche – come nel caso in esame l’intervento tempestivo dei soccorritori nello spegnimento delle fiamme (Sez. 5, 28/03/2017, n. 37196, Costabile, Rv. 270914).
In applicazione di tali principi al caso di specie, le circostanze di fatto desumibili dalle sentenze di merito – non controverse tra le parti – rendono allora del tutto plausibile la valutazione compiuta dai giudici di merito, ove si consideri che il fuoco era stato appiccato ad un oggetto altamente infiammabile, qual e’ un’autovettura, parcheggiata in pieno centro abitato ed in avanzata ora serale (intorno alle 21.00), e dunque in prossimita’ di abitazioni occupate da numerose persone (come si evince dalla circostanza che siano stati proprio alcuni vicini di casa del proprietario dell’auto a domare le fiamme).
3.3. E’ generico, infine, anche l’ultimo motivo di ricorso, con cui si contesta l’affermazione di responsabilita’ per il concorso nella detenzione di ventidue chili di marijuana, di cui al capo a) dell’imputazione.
L’impugnazione si limita, infatti, all’allegazione di una battuta del coimputato (OMISSIS), di contenuto non univocamente inconciliabile con l’ipotesi d’accusa, ma anzi con essa compatibile (“speriamo che prendo 19 chili, quello interessa a me… poi, se escono 2-3 chili nostri, li lavoriamo stretto stretto e vediamo”), che e’ stata estrapolata da uno dei tanti suoi dialoghi intercettati e che viene presentata in forma completamente decontestualizzata: ragione per cui essa non e’ affatto idonea a minare una motivazione che, invece, si regge su un compendio istruttorio assai piu’ ampio, dettagliatamente indicato e costituito da una serie di conversazioni intercettate, nonche’ suffragato dall’ammissione di responsabilita’ compiuta dallo stesso imputato.
4. (OMISSIS).
4.1. Il primo motivo di ricorso e’ manifestamente destituito di fondamento giuridico.
Le Sezioni Unite di questa Corte, con la gia’ ricordata “sentenza Biondi” del 2012, hanno segnato il definitivo tramonto della lettura normativa, affacciatasi in una parte minoritaria della giurisprudenza di legittimita’, che legava il riconoscimento dell’aggravante della “quantita’ ingente” di stupefacenti al dato logistico e di mercato.
E’ stato ivi condivisibilmente osservato, infatti, che, trattandosi di un mercato illegale, e quindi clandestino, nessuna credibile rilevazione della dinamica domanda-offerta e’ possibile; ed altresi’ che, dovendosi fare riferimento ad una pluralita’ di “mercati”, la saturazione potrebbe avvenire con quantita’ ed in tempi diversi a seconda delle aree geografiche interessate, con il rischio di violare il principio costituzionale di eguaglianza, in quanto si tratta di fattispecie costruita esclusivamente sul dato quantitativo (a differenza, ad esempio, di quella di cui al cit. D.P.R., articolo 73, comma 5).
A questo aggiungasi che l’applicazione della tesi qui criticata condurrebbe, a ben vedere, ad effetti perversi, poiche’ comporterebbe un’attenuazione della risposta sanzionatoria (per effetto del diniego dell’aggravante in rassegna) proprio nel momento e nell’a’mbito territoriale in cui piu’ ampia e diffusa fosse l’immissione di sostanze stupefacenti nel mercato e, correlativamente, piu’ elevato il pericolo per il bene protetto dell’incolumita’ pubblica: cio’ che accade, ad esempio, proprio nelle “zone di frontiera”, quali quella oggetto delle vicende delittuose in disamina.
4.2. Manifestamente infondato e’ anche il secondo motivo.
Perche’ si possa ravvisare la circostanza attenuante di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 7, e’ necessario che sia fornito un contributo concreto e diretto ad evitare che l’attivita’ delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, il quale si traduca in un esito favorevole per le indagini e per la cessazione di attivita’ criminali nel campo degli stupefacenti (Sez. 6, n. 45457 del 29/09/2015, Astorga, Rv. 265522).
E’ necessario, cioe’, che i dati forniti dal dichiarante siano nuovi e che costituiscano tutte le conoscenze a sua disposizione (Sez. 6, n. 15977 del 24/03/2016, Ben, Rv. 266998), ma tanto non e’ ancora sufficiente: occorre, altresi’, che tale contributo informativo sia in grado di consentire il Perseguimento di un risultato utile di indagine altrimenti non raggiungibile (Sez. 6, n. 35995 del 23/07/2015, Jayasekara Gamini, Rv. 264672), in termini di acquisizioni probatorie o di interruzione dell’attivita’ delittuosa, che si misura con una rilevante riduzione delle risorse finalizzate alla commissione di delitti in materia di stupefacenti ed il conseguente impoverimento del mercato (Sez. 3, n. 29621 del 13/02/2018, Alessandrini, Rv. 273719). Se, dunque, i contributi offerti dal reo non sono tali da condurre a questi risultati, ma si limitano al rafforzamento del quadro probatorio od al raggiungimento anticipato di positivi risultati di attivita’ di indagine gia’ in corso in quella direzione, l’attenuante non puo’ essere riconosciuta (Sez. 3, n. 23942 del 01/10/2014, Paternoster, Rv. 263642).
Di contro, se le sue dichiarazioni sono in grado di produrre gli anzidetti effetti, egli potra’ beneficiare della riduzione di pena, pur quando quelle non siano il prodotto un atto di autentico pentimento o di spontanea resipiscenza (Sez. 3, n. 29621/2018, cit.).
Nello specifico, tali presupposti non sono ravvisabili. Non emerge, infatti, dalla sentenza – ma in verita’ neppure il ricorso lo deduce – che (OMISSIS) abbia offerto alcun contributo decisivo ed infungibile, ai fini dell’accertamento dei delitti in contestazione o dell’interruzione della relativa attivita’ criminosa.
4.3. E’ generica, invece, l’ultima doglianza, in tema di disconoscimento di attenuanti generiche.
S’e’ gia’ osservato come, in punto di trattamento sanzionatorio, il giudice del merito esprima un giudizio di fatto, la cui motivazione e’ insindacabile in sede di legittimita’, se non nei limiti patologici del mero arbitrio o della manifesta illogicita’, contraddittorieta’ od apparenza del discorso giustificativo (retro, § 2, in fine).
Nello specifico, la scelta della Corte di appello di assegnare prevalenza al “ruolo di primo piano” ricoperto dall’imputato, nitidamente emergente dalla sentenza e non revocato in dubbio neppure dallo stesso interessato, risulta del tutto plausibile, considerando anche la gravita’ obiettiva dei reati oggetto di giudizio.
5. (OMISSIS).
5.1. Il primo motivo di ricorso proposto nell’interesse di questo imputato e’ fondato.
Il giudizio di primo grado si era per lui concluso con una condanna alla complessiva pena di sette anni ed otto mesi di reclusione e 8.400 Euro di multa.
La Corte di appello ha inteso confermare tale decisione: tanto si rileva non solo dal dispositivo della sua sentenza, ma viene espressamente affermato anche in motivazione, con la sola precisazione della necessita’ di una diversa determinazione dei passaggi intermedi (pag. 38).
Tuttavia, all’esito di tale calcolo, quella Corte perviene ad una pena finale di sei anni ed otto mesi di reclusione e 12.400 Euro di multa. E, poiche’ si tratta di pena sensibilmente differente da quella irrogata dal primo giudice, e non solo per meri errori aritmetici, la sentenza non puo’ essere emendata da questa Corte, ma dev’essere annullata sul punto, con rinvio al giudice emittente per una nuova determinazione.
5.2. Il secondo motivo e’ infondato, per le ragioni gia’ esposte con riferimento all’analoga doglianza proposta dall’imputato (OMISSIS), alle quali si fa rinvio (retro, § 3.2.).
5.3. Il motivo aggiunto e’ inammissibile, per un duplice ordine di ragioni.
Innanzitutto, perche’ e’ tardivo, essendo pervenuto in cancelleria lo scorso 23 gennaio, e quindi senza il rispetto del termine dei quindici giorni anteriori alla data dell’udienza, previsto a pena di inammissibilita’, appunto, dall’articolo 585 c.p.p., commi 4 e 5.
In secondo luogo, perche’ attiene ad un punto della decisione del tutto differente rispetto a quelli attinti con il ricorso, mentre i motivi nuovi a sostegno dell’impugnazione possono avere ad oggetto soltanto i capi od i punti della decisione impugnata enunciati nell’originario atto di gravame ai sensi dell’articolo 581 c.p.p., lettera a), (Sez. U, n. 4683 del 25/0271998, Bono, Rv. 210259, ribadita, tra le piu’ recenti, da Sez. 2, n. 17693 del 17/01/2018, Corbelli, Rv. 272821).
6. (OMISSIS).
6.1. Il primo motivo di ricorso, con cui si adduce l’assenza di autorizzazione delle operazioni di polizia “sotto copertura” conclusesi con l’arresto del (OMISSIS), non e’ fondato.
6.1.1. Innanzitutto, non lo e’ nei suoi presupposti di fatto.
Vi e’ in atti – e la sentenza impugnata la riporta testualmente (pag. 42 s.) un’informativa del G.o.a. della Guardia di finanza del settembre 2016, in cui vengono espressamente menzionate, con i relativi estremi di protocollo, due autorizzazioni del novembre 2015, rilasciate dalla Direzione centrale per i servizi antidroga e dal Comando generale di quel corpo di polizia, a cio’ competenti ai sensi della L. n. 146 del 2006, articolo 9, comma 3. La circostanza per cui una di esse non si rinvenga nel fascicolo processuale – secondo quanto affermato dal ricorrente – e’, percio’, del tutto irrilevante, perche’ l’unica alternativa possibile sarebbe quella che la stessa non esista e che, dunque, gli autori della predetta informativa abbiano attestato una circostanza non vera: ipotesi, tuttavia, quanto meno altamente improbabile, visto il coinvolgimento dei vertici nazionali di quell’autorita’ di polizia.
Riguardo al momento in cui, poi, tali autorizzazioni siano state comunicate al Pubblico Ministero, nulla si evince dagli atti a disposizione del Collegio, gravando, peraltro, sulla parte deducente l’onere dimostrativo dei fatti posti a fondamento della prospettata eccezione processuale. Ma, superando anche tale ostacolo procedurale, va osservato come la circostanza sia priva di alcuna rilevanza, poiche’ l’inosservanza di tale dovere informativo comunque non comporta l’inutilizzabilita’ dei risultati dell’attivita’ investigativa “undercover”.
Tale sanzione, infatti, non e’ espressamente prevista ne’ dal citato articolo 9, ne’ da altra specifica disposizione di legge, invece necessaria, per il principio di tassativita’ che informa la materia dei vizi degli atti processuali. Anzi, tutto il sottosistema normativo apprestato dal medesimo articolo 9, per la disciplina delle attivita’ investigative “sotto copertura”, e’ volto, piu’ che a limitare l’utilizzabilita’ processuale dei relativi esiti, a tracciare i confini dell’area di non punibilita’ degli operatori di polizia. Ragione per cui, soltanto con un evidente salto logico, detta disciplina potrebbe essere utilizzata per individuare delle garanzie ulteriori, rispetto a quelle previste dal codice di rito, per chi con tali agenti entri in contatto e commetta reati.
Ma, anche a voler ipotizzare diversamente, ritenendo percio’ che, in via ordinaria, il pendant dell’inosservanza della comunicazione dell’attivita’ investigativa “coperta” al Pubblico Ministero sia l’inutilizzabilita’ in giudizio dei risultati di essa, e’ comunque indiscutibile che non si verserebbe in un’ipotesi di c.d. “inutilizzabilita’ patologica”.
Tale e’, infatti, soltanto quella che inficia le prove oggettivamente vietate o quelle comunque formate od acquisite in violazione, o con modalita’ lesive, dei diritti fondamentali della persona tutelati dalla Costituzione e, percio’, assoluti e irrinunciabili, a prescindere dall’esistenza di un espresso o tacito divieto al loro impiego nel procedimento, previsto dalla legge processuale (Sez. U, n. 16 del 21/06/2000, Tammaro, Rv. 216246): e nessun diritto fondamentale dell’individuo viene leso da un’attivita’ investigativa condotta dall’autorita’ di polizia prima di darne notizia al Pubblico Ministero, trattandosi, anzi, di eventualita’ possibile e consentita, entro certi limiti, anche dall’ordinaria disciplina di rito.
Poiche’, dunque, secondo il principio fissato dall’appena citata “sentenza Tammaro”, e seguito senza eccezioni dalla giurisprudenza successiva, nel giudizio abbreviato non possono essere utilizzate solo le prove affette da inutilizzabilita’ patologica, e poiche’ il presente processo si e’ svolto nelle forme di tale rito speciale, si deve concludere per l’utilizzabilita’ dei risultati dell’attivita’ di polizia svolta “sotto copertura”, a prescindere dalla tempestiva comunicazione o meno di essa al Pubblico Ministero procedente.
6.1.2. Anche relativamente, poi, all’addotto superamento, da parte degli agenti “infiltrati”, dei limiti loro consentiti, ed alla conseguente inutilizzabilita’, anche per questa ragione, degli esiti della loro attivita’ d’indagine, il ricorso non coglie nel segno: non gia’ per l’applicabilita’ di tale sanzione processuale, che effettivamente ne deriverebbe (Sez. 6, n. 19122 del 02/04/2015, Rv. 263549; Sez. 3, n. 37805 del 09/05/2013, Rv. 257675), ma piuttosto per l’assenza dei relativi presupposti nella concreta fattispecie oggetto di giudizio.
Comportano, infatti, la responsabilita’ penale dell’agente infiltrato, e la conseguente inutilizzabilita’ della prova acquisita, le operazioni sotto copertura consistenti nell’incitamento o nell’induzione alla commissione di un reato da parte del soggetto indagato (Sez. 3, n. 37805/2013, cit.); non cosi’, invece, l’azione che si limiti a disvelare un’intenzione criminale altrui gia’ esistente, ma allo stato latente, e che percio’ fornisca soltanto l’occasione perche’ questa si concretizzi, senza determinarla in modo essenziale (Sez. 3, n. 20238 del 07/02/2014, Rv. 260081).
L’esclusione della punibilita’ per il “provocato”, dunque, presuppone necessariamente la derivazione assoluta ed esclusiva della sua azione delittuosa dall’istigazione dell’infiltrato e non puo’, pertanto, ammettersi quando la determinazione a compiere il reato sia proveniente anche da attivita’ di soggetti diversi da costui. In tal caso, infatti, l’attivita’ dell’agente provocatore costituisce un fattore estrinseco, che da’ solo spunto all’azione delittuosa, ma non esclude che questa sia stata voluta e realizzata dal reo, secondo impulsi e modalita’ allo stesso autonomamente riconducibili (Sez. 6, n. 16163 del 24/01/2008, Rv. 239640). Con i citati precedenti, la Corte di cassazione ha dunque ritenuto la penale responsabilita’ del soggetto “provocato”, ad esempio, nell’ipotesi della cessione all’infiltrato di sostanza stupefacente gia’ illecitamente detenuta, anche quando detta condotta sia conseguenza di un piano ideato dagli agenti sotto copertura, in esecuzione del quale l’imputato si sia volontariamente prestato ad eseguire l’incarico affidatogli, ponendo in essere un’attivita’ di ricerca degli acquirenti e di consegna di un rilevante carico di stupefacenti.
Nello specifico, l’imputato (OMISSIS) ha fatto ben altro. E’ indiscutibile, sulla base della dettagliata ricostruzione compiuta dalla Corte di appello, che egli gia’ disponesse della sostanza stupefacente e che gli agenti sotto copertura, fingendosi interessati all’acquisto, si siano limitati a concordare con il suo complice ed intermediario (OMISSIS) il luogo, il tempo e le modalita’ della consegna: in tal modo, non facendo sorgere, di loro iniziativa esclusiva, una risoluzione criminale altrui altrimenti inesistente.
6.2. E’ del tutto generico, invece, il secondo motivo di ricorso, con cui si contesta il merito dell’accusa.
Le relative doglianze, infatti, non si misurano affatto con un compendio istruttorio che, al contrario, si presenta granitico, poiche’ costituito da inequivoche conversazioni intercettate e dalle testimonianze degli agenti sotto copertura, nonche’ asseverato dal conclusivo arresto in flagranza del (OMISSIS) (pagg. 44 – 48, sent.).
6.3. Non ha alcun fondamento, infine, il terzo motivo di ricorso.
Per quel che concerne il riconoscimento dell’aggravante dell’ingente quantitativo, valgano le considerazioni gia’ rassegnate per altri (retro, § 3.2.).
Quanto al diniego delle attenuanti generiche, richiamate anche qui le osservazioni sui limiti del sindacato del giudice di legittimita’ (§ 2, in fine), e’ sufficiente osservare che, con valutazione non manifestamente eccentrica, ma anzi ampiamente plausibile, la Corte di appello ha inteso dare prevalenza al ruolo del ricorrente, custode effettivo ed in prima persona di un carico di stupefacente cosi’ significativo (oltre 65 kg. di marijuana).
7. (OMISSIS).
7.1. Il primo motivo del ricorso avanzato per questo imputato e’ inammissibile, poiche’ e’ aspecifico.
Esso si sostanzia, infatti, nella riproposizione dei dubbi, gia’ avanzati con l’atto d’appello, sulla riferibilita’ a costui dello pseudonimo di ” (OMISSIS)”, tuttavia non accompagnati da una specifica critica dei risultati probatori e dei convincenti argomenti correlati, utilizzati dalla Corte distrettuale per disattenderli (pagg. 51 s., sent.). In particolare, non risulta colmata l’assenza, sottolineata da quei giudici, di qualsiasi elemento di sostegno alla tesi per cui quello pseudonimo costituisca un “patronimico” (cosi’ – testuale – in ricorso), come pure all’ipotesi che “(OMISSIS)”, come quegli e’ stato erroneamente inteso dagli inquirenti in altro dialogo intercettato, sia in realta’ suo padre.
7.2. Non e’ fondato, invece, il secondo motivo.
Con esso – come s’e’ detto piu’ ampiamente in narrativa – il ricorrente contesta la sussistenza del reato, assumendo che non si sia mai perfezionato un accordo tra (OMISSIS) ed il suo emissario ” (OMISSIS)”, da un lato, ed i venditori (OMISSIS) e (OMISSIS), dall’altro, avendo i primi agito con l’intenzione non gia’ di acquistare dagli altri la droga, bensi’ soltanto di attirarli in una trappola e d’impossessarsi di tale sostanza, a ristoro di un preesistente credito vantato dallo stesso (OMISSIS) verso costoro.
In realta’ – secondo quanto meglio si evince dalla ricostruzione dei fatti operata dal Giudice di primo grado: pagg. 166-185, sent., in particolo pag. 184 (OMISSIS), e, per lui, (OMISSIS), non intendevano comperare la droga da (OMISSIS) e (OMISSIS), nel senso che non avevano l’intenzione di corrisponderne il prezzo; non di meno, essi hanno comunque agito con il preciso intento di acquisire la stessa e, in tale prospettiva, hanno concordato con i cedenti quantita’, modalita’ e circostanza della fornitura. Deve, percio’, ritenersi che la cessione di quella sostanza, nel senso del trasferimento del possesso di essa, abbia formato oggetto di accordo – seppur con la riserva mentale di una delle parti di non effettuare la propria prestazione contrattuale promessa – e che, pertanto, il reato si sia perfezionato, trattandosi pur sempre di condotta funzionale all’incremento della circolazione di sostanze stupefacenti e, dunque, lesiva del bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice.
E’ comunque inconferente, infine, l’alternativa prospettazione difensiva di una “desistenza” o di un “recesso attivo”, ai sensi dell’articolo 56 c.p., commi 3 e 4: non solo – come ha osservato la Corte di appello – perche’ il reato si e’ consumato, mentre tali ipotesi sono configurabili soltanto in presenza di un delitto tentato; ma anche – ed ancor prima – perche’ esse presupporrebbero che (OMISSIS) e (OMISSIS) avessero posto in essere atti diretti in modo non equivoco a comprare quella sostanza, ossia avessero agito con tale intenzione, poi abbandonata in corso d’opera: ipotesi, questa, tuttavia negata dalla stessa difesa ricorrente.
7.3. Parimenti infondato e’ il terzo motivo di doglianza, in tutti gli aspetti con esso dedotti.
7.3.1. Riguardo alla circostanza attenuante di cui all’articolo 62 c.p., n. 6), il chiaro testo normativo impone che il ravvedimento non sia soltanto volontario, ma altresi’ spontaneo, ossia determinato da motivi interni all’agente e non influenzato in alcun modo da fattori esterni di pressione sulla spinta psicologica. Nello specifico, invece, il ricorrente si e’ limitato ad un’adesione acritica e del tutto passiva al contegno ed alle determinazioni altrui.
7.3.2. In tema di attenuanti generiche, la sentenza impugnata evidenzia come, esclusa l’addotta – ma non ritenuta – spontaneita’ della mancata acquisizione della sostanza oggetto di accordo, null’altro di positivamente valutabile per le ragioni dell’imputato sia emerso, trattandosi pur sempre di quantitativi significativi.
Il ricorso, dal suo canto, si limita a riproporre quell’elemento ed a dissentire dalle valutazioni della Corte di appello in termini di gravita’ dei fatti, in tal modo, pero’, postulando dal giudice di legittimita’ un inammissibile giudizio in fatto.
7.3.3. Anche ai fini dell’esclusione della continuazione tra il reato in giudizio e gli analoghi fatti oggetto di precedente condanna, la sentenza d’appello ha evidenziato aspetti indiscutibilmente concludenti, quali la distanza di otto mesi intercorsa tra l’uno e gli altri e la diversa specie delle sostanze rispettivamente trattate.
Quand’anche, percio’, come si sostiene in ricorso, senza peraltro offrire spunti concretamente apprezzabili in tal direzione, le due condotte fossero riconducibili al medesimo contesto criminale ed all’inserimento dell’indagato in questo, il dato sarebbe eccessivamente generico ed insufficiente per il riconoscimento del vincolo della continuazione tra le stesse.
A tal fine, infatti, occorre che i vari reati siano il prodotto di un’unitaria deliberazione complessiva e precedente ad essi, che ne ricomprenda l’intera serie, ancorche’ da definire nei soli dettagli; e, inoltre, sotto il profilo teleologico, e’ necessario che tutte quelle condotte siano volte alla realizzazione di uno scopo unitario. Soltanto ricorrendo tali circostanze, invero, puo’ ritenersi che l’agente si sia posto per una sola volta in contrasto con l’ordinamento giuridico penale, cosi’ che la relativa condotta, complessivamente intesa, possa reputarsi espressiva di un minore disvalore penale, e, come tale, risultare meritevole del piu’ blando trattamento sanzionatorio previsto dall’articolo 81 c.p..
Non possono, percio’, rientrare nella previsione di tale norma tutti quei fatti costituenti reato che si trovino, rispetto al primo, in un rapporto di mera occasionalita’, come accade ogni qual volta il reato successivo venga commesso per l’insorgere di fattori del tutto estranei, per loro natura, all’iniziale disegno criminoso; ne’ i reati che, con il primo, siano espressione di un’abitualita’ o, addirittura, di un costume di vita, non essendo percio’ pregiudizialmente suggestive neppure l’identita’ delle norme di legge violate, la prossimita’ cronologica delle violazioni o la medesimezza del movente.
8. (OMISSIS).
I motivi di ricorso proposti per questo imputato presentano il tratto comune della genericita’, che ne comporta l’inammissibilita’.
8.1. Con il primo, si lamenta che le intercettazioni siano state disposte sulla base di meri sospetti e non di gravi indizi di reato, ma la censura non e’ motivata, ne’ si allegano o si riportano i relativi decreti autorizzativi, si’ da consentire di apprezzarne la fondatezza o meno.
Inoltre, l’affermazione per cui le intercettazioni di conversazioni tra presenti possano disporsi soltanto nel luogo in cui vi sia fondato motivo di ritenere che sia in corso l’attivita’ delittuosa e’ totalmente infondata, trattandosi di requisito previsto dall’articolo 266 c.p.p., comma 2, soltanto per le intercettazioni all’interno dei luoghi di privata dimora.
8.2. Con il secondo, ci si duole della trasposizione dal dialetto all’italiano delle conversazioni intercettate, ma non si adduce neppure un elemento idoneo a revocare in dubbio l’affidabilita’ della stessa, ne’ si contesta anche un solo passaggio specifico di essa.
8.3. Il terzo ed il quarto motivo, con i quali si contesta la fondatezza del giudizio di colpevolezza, sono inammissibili non soltanto per la loro genericita’, ma anche perche’ chiedono al giudice di legittimita’ una rivalutazione del materiale istruttorio, e dunque un giudizio di fatto, che non gli competono.
E’ sufficiente qui rilevare, allora, che la sentenza da’ conto in dettaglio delle ragioni che inducono a ritenere credibile il coimputato (OMISSIS), quando, nel corso di vari dialoghi intercettati con i suoi socii sceleris (OMISSIS) e (OMISSIS), narra loro di una quantita’ di stupefacente cedutagli da (OMISSIS) due anni addietro e da lui non pagata (pagg. 39 s.).
Con tali argomenti, che fanno leva essenzialmente sulla collocazione della specifica vicenda nei piu’ ampi e conflittuali rapporti tra (OMISSIS) e (OMISSIS), al quale (OMISSIS) risulta legato da stretti rapporti, il ricorso non si misura, soffermandosi su aspetti differenti ed insufficienti a disarticolare l’intrinseca coerenza del ragionamento giustificativo della Corte di merito.
Tanto dicasi, ad esempio, per l’addotta assenza di cc.dd. “riscontri” alle affermazioni compiute dal (OMISSIS), che invece non sono necessari, ai sensi dell’articolo 192 c.p.p., commi 3 e 4, essendo state quelle rese nel corso di dialoghi intercettati, che non rientrano nel novero delle prove dichiarative. E cosi’, pure, non puo’ infirmarne irrimediabilmente la credibilita’ il fatto che egli fosse soggetto inserito nel settore degli stupefacenti, poiche’, al contrario, trattandosi di fatti verificatisi proprio in quel contesto, la sua intraneita’ ad esso potrebbe addirittura essere motivo di maggior affidabilita’. Ne’, infine, rileva la sua ammessa tendenza generica alla millanteria: nello specifico, infatti, in quelle sue conversazioni con (OMISSIS) e (OMISSIS), (OMISSIS), piu’ che vantarsi di qualcosa, manifesta sentimenti di paura verso (OMISSIS), ed anche (OMISSIS), dei quali certamente non si fa vanto.
Nessuna illogicita’ manifesta, pertanto, puo’ ravvisarsi, per questa parte, nella motivazione della sentenza impugnata.
8.4. Riguardo al quinto motivo, infine, attinente al diniego delle attenuanti generiche, si tratta anche in questo caso di censure in fatto, peraltro fondate su generiche e non spiegate valutazioni soggettive del ricorrente, quali la natura “non allarmante” dei precedenti penali e la “modesta entita’” dei fatti.
9. (OMISSIS).
9.1. Il primo motivo del suo ricorso e’ generico, risolvendosi nella riproposizione di quello gia’ avanzato con l’atto di appello ed al quale i giudici del gravame hanno dato compiuta risposta.
In sentenza si specifica, infatti, perche’ debba identificarsi in (OMISSIS) quel ” (OMISSIS)” che (OMISSIS) ed i suoi interlocutori indicano come colui che aveva ceduto loro “30 grammi a 1.800 Euro”, ed altresi’ perche’ si tratti di una vicenda risalente a circa due anni addietro, e quindi ai mesi finali del 2013, allorche’, dunque, (OMISSIS) non era stato ancora ristretto in carcere (pagg. 33 s.). E, su tali elementi, il ricorso sorvola completamente.
9.2. Altrettanto generico, oltre che manifestamente infondato, e’ pure il secondo motivo, con il quale il ricorrente censura la decisione della Corte distrettuale la’ dove ha escluso che la condizione d’incensuratezza sia sufficiente a giustificare il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. La doglianza, infatti, non tiene conto del chiaro disposto in tal senso dell’articolo 62-bis c.p., comma 3.
10. In ragione di quanto sin qui esposto, ed in applicazione dell’articolo 616 c.p.p., i ricorrenti (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) debbono essere obbligatoriamente condannati al pagamento delle spese del procedimento nonche’ di una somma in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi una loro assenza di colpa nella determinazione della causa d’inammissibilita’ (vds. Corte Cost., sent. n. 186 del 13 giugno 2000). Detta somma, considerando la manifesta infondatezza delle relative doglianze, va fissata in duemila Euro per ognuno di essi.
Al pagamento delle sole spese di causa, invece, debbono essere condannati anche i ricorrenti (OMISSIS) e (OMISSIS).

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS), limitatamente alla determinazione della pena, e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Lecce.
Rigetta nel resto il ricorso.
Rigetta i ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS), che condanna al pagamento delle spese processuali.
Dichiara inammissibili i restanti ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende.
Si da’ atto che il presente provvedimento, redatto dal Consigliere Dr. Rosati Martino, viene sottoscritto dal solo Consigliere anziano del Collegio, per impedimento alla firma del Presidente e dell’Estensore, ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, articolo 1, comma 1, lettera a).

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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