Corte di Cassazione, sezione prima penale, Sentenza 24 luglio 2020, n. 22281.
Massima estrapolata:
In tema di misure alternative alla detenzione, la revoca dell’affidamento in prova al servizio sociale discende, per disposto normativo, non dalla mera violazione della legge penale o delle prescrizioni dettate dalla disciplina della misura, ma piuttosto dal fatto che il giudice, nel suo insindacabile apprezzamento di fatto, ritenga, con motivazione logica, adeguata e non viziata, che la violazione commessa costituisca, in concreto, sopravvenienza incompatibile con la prosecuzione della prova.
Sentenza 24 luglio 2020, n. 22281
Data udienza 23 giugno 2020
Tag – parola chiave: Sorveglianza – Tribunale – Misura alternativa – Affidamento in prova al servizio sociale – Ragioni ostative al mantenimento – Revoca – Motivazione esente da profili di illogicità
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. IASILLO Adriano – Presidente
Dott. ROCCHI Giacomo – Consigliere
Dott. APRILE Stefano – Consigliere
Dott. CAPPUCCIO Daniele – rel. Consigliere
Dott. CAIRO Antonio – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 26/11/2019 del TRIB. SORVEGLIANZA di MILANO;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. DANIELE CAPPUCCIO;
lette le conclusioni del PG, il quale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilita’ del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 26 novembre 2019 il Tribunale di Sorveglianza di Milano ha revocato, con efficacia dal 4 giugno 2019, l’affidamento in prova ai servizi sociali disposto il 27 febbraio 2019 nei confronti di (OMISSIS) in relazione all’esecuzione della pena di due anni e quattordici giorni di reclusione e sei mesi di arresto.
Ha, a tal fine, premesso che il condannato si e’ reso protagonista di reiterate trasgressioni alle prescrizioni connesse alla misura alternativa alla detenzione, venendo denunciato il 4 giugno 2019 per il reato di minaccia, violando, il (OMISSIS), le prescrizioni orarie, commettendo ulteriori violazioni l’11 ottobre 2019.
Ha aggiunto che (OMISSIS), sebbene destinatario di formali diffide il 4 giugno 2019, il 24 settembre 2019 e l’11 ottobre 2019, il 4 novembre 2019 e’ risultato assente ai controlli effettuati presso il suo domicilio alle ore 16,50 e 17,20, ovvero in un lasso temporale in cui egli, autorizzato al lavoro notturno, sarebbe stato tenuto a restare in casa.
Ha, quindi, ritenuto che i segnalati comportamenti rivelino la sua evidente non adesione al progetto rieducativo e revocato, in conclusione, l’affidamento in prova al servizio sociale, peraltro gia’ sospeso dal Magistrato di sorveglianza con provvedimento del 6 novembre 2019.
2. (OMISSIS) propone, con l’assistenza dell’avv. (OMISSIS), ricorso per cassazione affidato a due motivi, con il primo dei quali deduce vizio di motivazione per avere il Tribunale di sorveglianza omesso di considerare la giustificazione da lui offerta in ordine all’episodio del (OMISSIS), giorno in cui, vinto dalla stanchezza del lavoro notturno, era rimasto preda del sonno, cosi’ da non sentire il citofono.
Rappresenta, al riguardo, che l’affermazione degli operanti – i quali hanno riferito di avere provato a contattarlo sul cellulare, che risultava, tuttavia, spento – e’ smentita dai tabulati esibiti al Tribunale di sorveglianza, che non hanno registrato, nella fascia oraria di interesse, l’arrivo di telefonate o messaggi.
Il ricorrente lamenta, poi, che il Tribunale di sorveglianza abbia assegnato rilevanza alla violazione di una prescrizione indicata in modo non chiaro e gli abbia addebitato il ritardo nella trasmissione di documentazione che era gia’ nella disponibilita’ di altro UEPE e, piu’ in generale, abbia interpretato, in forza di acritica adesione a quanto esposto dal Magistrato di sorveglianza, condotte neutre o veniali quali indici di allontanamento dalle finalita’ proprie della misura alternativa.
Con il secondo ed ultimo motivo, eccepisce vizio di motivazione per avere il Tribunale di sorveglianza illogicamente ancorato la decorrenza della revoca alla data di presentazione di una denunzia a suo carico, evento scarsamente significativo dal, quale, peraltro, e’ scaturito l’avvio di un procedimento penale il cui esito e’ rimasto ignoto, e trascurato di considerare come egli, in costanza di affidamento in prova al servizio sociale, abbia regolarmente svolto attivita’ lavorativa ed adempiuto agli obblighi di assistenza familiare nei confronti della moglie e dei quattro figli minori.
Aggiunge, conclusivamente, che lo stesso Tribunale di sorveglianza, nell’agosto del 2019, aveva disposto la prosecuzione dell’affidamento in prova correttamente vagliando alla stregua di mera leggerezza l’avere egli omesso di comunicare il mutamento di domicilio.
3. Il Procuratore generale ha chiesto, con requisitoria scritta, dichiararsi l’inammissibilita’ del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ inammissibile perche’ vertente su censure manifestamente infondate.
2. La giurisprudenza di legittimita’ e’ consolidata nell’affermare che la revoca della misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale discende, per disposto normativo, non gia’ dalla mera violazione della legge penale o delle prescrizioni dettate dalla disciplina della misura, ma, piuttosto, dal fatto che il giudice, nel suo insindacabile apprezzamento di fatto, ritenga, con motivazione logica, adeguata e non viziata, che la violazione commessa costituisca, in concreto, sopravvenienza incompatibile con la prosecuzione della prova (cosi’, tra le altre, Sez. 1, n. 13376 del 18/02/2019, Castelluzzo, Rv. 275239; Sez. 1, n. 27711 del 06/06/2013, De Martino, Rv. 256479; Sez. 1., n. 2566 del 07/05/1998, Lupoli, Rv. 210789).
In tal modo, il giudizio sulla revoca, pur in presenza di un comportamento del soggetto contrario alle prescrizioni, e’ rimesso. alla discrezionalita’ del Tribunale di sorveglianza, che ha solo l’obbligo di giustificare logicamente e adeguatamente l’uso del potere conferitogli.
Tale principio e’ coerente con il testo della legge, e, in particolare, con la previsione della L. 26 luglio 1975, n. 354, articolo 47, comma 11, secondo cui l’affidamento e’ revocato qualora il comportamento del soggetto, contrario alla legge o alle prescrizioni dettate, appaia incompatibile con la prosecuzione della prova ed e’ altresi’ correlato all’affermazione, pure ricorrente nella giurisprudenza di questa Corte, che, nel procedimento di sorveglianza finalizzato alla revoca dell’affidamento, i fatti storici costituenti ipotesi di reato riferibili al condannato possono essere valutati senza necessita’ di attendere la definizione del relativo procedimento penale, ove se ne tragga la coerente e motivata conclusione di una interruzione del percorso di risocializzazione (in questo senso cfr. Sez. 1, n. 33089 del 10/05/2011, Assisi, Rv. 250824, nonche’, in genere, per la valutazione della meritevolezza dei benefici penitenziari, Sez. 1, n. 42571 del 19/04/2013, Cagnoni, Rv. 256695; Sez. 1, n. 6989 del 09/12/1999, Saponaro, Rv. 215125; Sez. 1, n. 2008 del 31/03/1995, Satanassi, Rv. 201368).
Il contenuto del giudizio affidato al Tribunale di sorveglianza e’ ulteriormente caratterizzato, sul piano della ricostruzione sistematica dell’istituto, dal rilievo che il tratto distintivo della revoca e’ costituito dalla natura sanzionatoria e dagli effetti impeditivi dell’ulteriore svolgimento dell’esperimento della prova, sul presupposto della sua incompatibilita’ con la condotta tenuta dal condannato, e dal riflesso che tale tratto caratterizzante ha sul contenuto del giudizio affidato all’autorita’ giudiziaria.
Il Tribunale di sorveglianza, nella revoca, e’, infatti, chiamato a valutare la gravita’ di singoli, specifici, episodi per verificare se essi siano o meno incompatibili con la prosecuzione della prova, mentre, per stabilirne l’esito, deve procedere a una valutazione globale dell’intero periodo nell’ottica del recupero sociale del condannato (Sez. 1, n. 30525 del 30/06/2010, Giaccio, Rv. 248376; Sez. 1, n. 1180 del 17/02/2000, Cornero’, Rv. 215706).
2.1. Il Tribunale di sorveglianza, ancora, nel procedere alla revoca dell’affidamento, e’ tenuto a determinare il periodo di pena da considerarsi eventualmente scontato da parte del condannato, procedendo a un’attenta disamina del periodo di prova da lui trascorso onde stabilire, al la’ di ogni automatismo, se – ed eventualmente fino a qual punto – possa ragionevolmente ritenersi che l’affidato abbia raggiunto un grado, sia pur parziale, di risocializzazione, a tal fine considerando anche il concreto carico delle prescrizioni imposte, nonche’ la gravita’ oggettiva e soggettiva del comportamento che ha dato luogo alla revoca (Sez. 1, n. 490 del 03/11/2015, dep. 2016, Perra, Rv. 265859; Sez. 1, n. 9314 del 19/02/2014, Attianese, Rv. 259474; Sez. 1, n. 2667 del 18/10/2011, dep. 2012, Zangara, Rv. 251844).
Va ricordato, al riguardo, che la Corte costituzionale – nel dichiarare, con la sentenza n. 343 del 1987, l’illegittimita’ costituzionale della L. 26 luglio 1975, n. 354, articolo 47, comma 10, nella parte in cui, in caso di revoca del provvedimento di ammissione all’affidamento in prova per comportamento incompatibile con la prosecuzione della prova, non stabilisce gli effetti conseguenti – ha affermato che il Tribunale di sorveglianza, una volta disposta la revoca della misura alternativa, deve procedere a determinare la residua pena detentiva ancora da espiare sulla scorta di una valutazione discrezionale, da condurre in considerazione della durata delle limitazioni patite dal condannato e del comportamento tenuto durante l’intero corso dell’esperimento.
Con tale pronuncia, la Consulta ha espresso la chiara consapevolezza dell’esistenza di una “zona grigia”, ossia intermedia tra la condotta trasgressiva posta in essere sin dall’inizio della sottoposizione alla misura e quella diligentemente rispettosa, protrattasi sino a quasi la conclusione del periodo di espiazione, cui soltanto all’ultimo segua una violazione determinante la revoca, ed ha pertanto affidato, richiamati i principi di proporzionalita’ ed individualizzazione della pena, al giudizio del Tribunale di sorveglianza il compito di stabilire, caso per caso, la durata della residua pena detentiva da scontare.
3. Nella fattispecie in esame, il Tribunale di sorveglianza di Milano ha disposto la revoca della misura alternativa sulla base di una congerie di elementi, concorrenti nel comprovare la mancata adesione del condannato al progetto rieducativo.
Ha, in particolare, osservato che (OMISSIS): il 4 giugno 2019 e’ stato denunciato per il reato di minaccia e formalmente diffidato al rispetto delle prescrizioni connesso alla misura alternativa in esecuzione, pena la sua revoca; il 21 giugno 2019, autorizzato dal competente magistrato di sorveglianza a trasferire il proprio domicilio in Milano, non ha raggiunto la destinazione indicata e si e’, di fatto, reso irreperibile, cio’ che ha determinato una prima sospensione della misura, poi proseguita a seguito del rigetto, da parte del Tribunale di sorveglianza, della proposta di revoca; il 24 settembre 2019 e’ risultato assente ad un controllo domiciliare; ottobre ha trasgredito ad una delle prescrizioni impartitegli; invitato a produrre documentazione comprovante lo svolgimento di attivita’ lavorativa in orario notturno, non ha ottemperato, tanto da indurre il Magistrato di sorveglianza a revocare, con provvedimento del 5 novembre 2019, la relativa autorizzazione; ha offerto, in ordine agli episodi dell’11 ottobre e del (OMISSIS), giustificazioni non credibili.
4. Si e’, quindi di fronte ad un apparato argomentativo univoco, di tangibile linearita’ e saldamente ancorato alle emergenze istruttorie, oltre che rispondente ai canoni della logica ordinaria, che testimonia, da un canto, della pervicace volonta’ del condannato di sottrarsi al rispetto degli obblighi su di lui gravanti e del radicale fallimento dell’intervento rieducativo e, dall’altro, della progressivita’ delle iniziative poste in essere dalla magistratura di sorveglianza, dapprima in ottica persuasiva e sollecitatoria e solo successivamente in forma piu’ drastica.
In questo, invero assolutamente nitido contesto, il ricorrente si limita a riproporre le giustificazioni gia’ ammannite al Tribunale di sorveglianza e riferite, per una delle contestazioni, al profondo sonno di cui egli, stanco per il lavoro notturno, sarebbe rimasto preda, a dedurre di non essere riuscito, per causa a lui non imputabile, a documentare lo svolgimento di attivita’ lavorativa in orario notturno ed a rivendicare, per il resto, il proprio lineare e giudizioso comportamento.
Egli si pone, in tal modo, in una prospettiva essenzialmente confutativa, che non e’ idonea ad intaccare la legittimita’ del provvedimento impugnato, basato su pilastri della cui solidita’ non vi e’ ragione alcuna di dubitare in chiave sia di storicita’ delle trasgressioni contestate che di loro complessiva attitudine ad attestare, all’esito di un vaglio sinergico e complessivo, l’incompatibilita’ tra le condotte realizzate e la prosecuzione della prova, il cui esito negativo risulta, alla luce dei fatti piu’ recenti, conclamato.
4.1. In ordine, poi, alla decorrenza della revoca, il Tribunale di sorveglianza ha prudentemente indicato nel 4 giugno 2019, giorno in cui e’ stata rivolta al condannato la prima diffida, il momento a partire dal quale la prova deve intendersi inutilmente esperita stante il riscontrato insuccesso del tentativo di risocializzazione, cosi’ considerando come pena espiata il periodo decorso a far data dalla sua ammissione alla misura alternativa alla detenzione; decisione, questa, che, frutto di un approccio equilibrato e tutt’altro che severo, non e’ in alcun modo contraddetta dal rigetto della proposta di revoca avanzata nell’agosto del 2019 a fronte di comportamenti che, non ancora dimostrativi della resistenza di (OMISSIS) all’azione risocializzante, si pongono comunque in linea di perfetta coerenza con quelli precedenti e successivi.
5. Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale, rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’”, alla declaratoria dell’inammissibilita’ medesima consegue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento nonche’ quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata in 3.000,00 Euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Leave a Reply