Corte di Cassazione, sezione lavoro civile, Sentenza 11 marzo 2020, n. 6948.
La massima estrapolata:
In tema di interposizione nelle prestazioni di lavoro l’utilizzazione, da parte dell’appaltatore, di capitali, macchine ed attrezzature fornite dall’appaltante dà luogo ad una presunzione legale assoluta di sussistenza della fattispecie (pseudoappalto) vietata dall’art. 1, comma 1, Legge n. 1369 del 1960, solo quando detto conferimento di mezzi sia di rilevanza tale da rendere del tutto marginale ed accessorio l’apporto dell’appaltatore. D’altra parte, l’anzidetta presunzione legale assoluta non è configurabile ove risulti un rilevante apporto dell’appaltatore, mediante il conferimento di capitale (diverso da quello impiegato in retribuzioni ed in genere per sostenere il costo del lavoro), know how, software e, in genere, beni immateriali, aventi rilievo preminente nell’economia dell’appalto.
Sentenza 11 marzo 2020, n. 6948
Data udienza 10 dicembre 2019
Tag – parola chiave: Lavoro subordinato – Accertamento – Legge 1369 del 1990 – Appalto illecito di manodopera – Decreto legislativo 276 del 2003 – Motivazione del giudice di merito – Limiti del sindacato di legittimità – Sentenza della corte di cassazione a sezioni unite 8053 del 2014
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente
Dott. RAIMONDI Guido – Consigliere
Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere
Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 16724-2017 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) s.c.p.a. gia’ (OMISSIS) S.C.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 6012/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 16/12/2016 R.G.N. 9300/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/12/2019 dal Consigliere Dott. FABRIZIO AMENDOLA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SANLORENZO RITA che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS).
FATTI DI CAUSA
1. La Corte di Appello di Roma, con sentenza del 21 dicembre 2016, ha respinto l’appello proposto da (OMISSIS) avverso la pronuncia di primo grado che aveva rigettato il ricorso di questi volto al riconoscimento della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato intercorso con la (OMISSIS) (successivamente (OMISSIS) S.C.p.A.), benche’ formalmente inquadrato alle dipendenze della (OMISSIS) dal (OMISSIS) sino al (OMISSIS).
2. La Corte di Appello – in estrema sintesi – ha ritenuto che l’istruttoria espletata in grado di appello permettesse di “escludere che la fattispecie concreta integri l’appalto illecito di cui alla L. n. 1369 del 1960, articolo 1 o al Decreto Legislativo n. 276 del 2003, articolo 29 comma 3 bis”.
3. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il soccombente con 4 motivi, cui ha resistito la societa’ con controricorso.
Entrambe le parti hanno comunicato memorie ex articolo 378 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. I motivi di ricorso possono essere come di seguito sintetizzati.
Con il primo si denuncia “violazione e falsa applicazione della L. n. 1369 del 1960, articolo 1” perche’ – a dire del ricorrente – la Corte territoriale non avrebbe spiegato la ragione per cui nella specie non si sarebbe realizzata “la presunzione assoluta” di cui alla disposizione richiamata.
Con il secondo motivo si denuncia “violazione e falsa applicazione della L. n. 1369 del 1960, articolo 3, degli articoli 116 e 434 c.p.c.” perche’ la Corte adita non avrebbe fatto “un buon governo delle risultanze istruttorie”, in particolare non esaminando adeguatamente i documenti prodotti, tanto da non pronunciare “su tutta la domanda”.
Il terzo mezzo denuncia “erronea o insufficiente indicazione della regola di diritto, violazione e falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 276 del 2003, articoli 20, 21 e 29”, avuto riguardo alle testimonianze assunte nel processo.
Con il quarto motivo di ricorso si lamenta “insufficiente motivazione, violazione e falsa applicazione della L. n. 1369 del 1960 e del Decreto Legislativo n. 276 del 2003 in ordine al rischio economico”, perche’ nella sentenza impugnata non sarebbe indicata “ne’ la fonte fattuale del convincimento ne’ il ragionamento logico giuridico” circa le modalita’ di erogazione dei corrispettivi dell’appalto.
2. I motivi di ricorso, congiuntamente esaminabili per reciproca connessione, non meritano accoglimento, in continuita’ con quanto gia’ affermato da questa Corte in analoga vicenda con la medesima parte datoriale (cfr. Cass. n. 251 del 2020).
Nell’impugnata sentenza risulta essere stato coerentemente applicato il principio secondo cui in tema d’interposizione nelle prestazioni di lavoro, l’utilizzazione, da parte dell’appaltatore, di capitali, macchine ed attrezzature fornite dall’appaltante da’ luogo ad una presunzione legale assoluta di sussistenza della fattispecie (pseudoappalto) vietata dalla L. n. 1369 del 1960, articolo 1, comma 1, solo quando detto conferimento di mezzi sia di rilevanza tale da rendere del tutto marginale ed accessorio l’apporto dell’appaltatore; la sussistenza (o no) della modestia di tale apporto (sulla quale riposa una presunzione “iuris et de iure”) deve essere accertata in concreto dal giudice, alla stregua dell’oggetto e del contenuto intrinseco dell’appalto; con la conseguenza che (nonostante la fornitura di macchine ed attrezzature da parte dell’appaltante) l’anzidetta presunzione legale assoluta non e’ configurabile ove risulti un rilevante apporto dell’appaltatore, mediante il conferimento di capitale (diverso da quello impiegato in retribuzioni ed in genere per sostenere il costo del lavoro), know how, software e, in genere, beni immateriali, aventi rilievo preminente nell’economia dell’appalto (tra le altre v. Cass. n. 25064 del 2013; Cass. n. 16488 del 2009; Cass. n. 4585 del 1994).
Detto criterio assume pregnanza ancora maggiore con l’entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 276 del 2003 laddove la descritta presunzione della L. n. 1369 del 1960 – concepita peraltro in un’epoca non ancora pervasa dalla automazione della produzione e dalle tecnologie informatiche – e’ stata oggetto di abrogazione e “non e’ piu’ richiesto che l’appaltatore sia titolare dei mezzi di produzione, per cui anche se impiega macchine ed attrezzature di proprieta’ dell’appaltante, e’ possibile provare altrimenti – purche’ vi siano apprezzabili indici di autonomia organizzativa – la genuinita’ dell’appalto… cosi’, mentre in appalti che richiedono l’impiego di importanti mezzi o materiali cd. “pesanti”, il requisito dell’autonomia organizzativa deve essere calibrato, se non sulla titolarita’, quanto meno sull’organizzazione di questi mezzi, negli appalti cd. “leggeri” in cui l’attivita’ si risolve prevalentemente o quasi esclusivamente nel lavoro, e’ sufficiente che in capo all’appaltatore sussista una effettiva gestione dei propri dipendenti” (in termini, da ultimo, Cass. n. 21413 del 2019).
In realta’, in tutti i motivi di ricorso, sebbene formulati facendo riferimento a pretese violazioni e false applicazioni di legge, che presupporrebbero una ricostruzione della vicenda storica come narrata nella sentenza impugnata (v., tra molte, Cass. n. 6035 del 2018; Cass. n. 18715 del 2016), nella sostanza si invoca esplicitamente ed inammissibilmente una rivalutazione delle risultanze istruttorie, testimoniali e documentali, non a caso diffusamente richiamate, postulando un sindacato di merito chiaramente inibito a questa Corte di legittimita’, tanto piu’ nel vigore del novellato n. 5 dell’articolo 360 c.p.c., cosi’ come rigorosamente interpretato da Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014 (con principi costantemente ribaditi dalle stesse Sezioni unite v. n. 19881 del 2014, n. 25008 del 2014, n. 417 del 2015, oltre che dalle Sezioni semplici, principi di cui il ricorrente non tiene alcun conto, prospettando anche vizi di “insufficiente” motivazione).
Il travalicamento nel giudizio di fatto e’ altresi’ comprovato dall’improprio riferimento all’articolo 116 c.p.c. di cui si assume nel secondo motivo la violazione: infatti la violazione di detta disposizione sussiste solo quando il giudice di merito disattenda il principio espresso dalla norma in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero all’opposto valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime (Cass. n. 11892 del 2016).
3. Conclusivamente il ricorso va respinto, con spese che seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo.
Occorre altresi’ dare atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in Euro 4.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e spese generali al 15%.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis se dovuto.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Leave a Reply