Corte di Cassazione, sezione sesta penale, Sentenza 13 gennaio 2020, n. 1007
Massima estrapolata:
In tema di intercettazioni, l’inutilizzabilità ex art. 270, comma 1, cod. proc. pen. degli esiti dell’attività di captazione in procedimenti diversi da quello in cui è stata disposta riguarda i risultati probatori conseguiti con tale specifico mezzo di prova, ma non esclude che i medesimi risultati possano essere ottenuti con un mezzo di prova diverso, sicchè non sono affette da invalidità derivata le deposizioni rese dagli interlocutori, cui sia stata data lettura delle conversazioni intercettate in ausilio alla memoria, in quanto essi, nel riferire quanto personalmente detto o ascoltato, diventano fonte di sommarie informazioni testimoniali.
Sentenza 13 gennaio 2020, n. 1007
Data udienza 7 novembre 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRONCI Andrea – Presidente
Dott. MOGINI Stefano – Consigliere
Dott. GIORGI Maria Silvi – rel. Consigliere
Dott. AMOROSO Giovanni – Consigliere
Dott. ROSATI Martino – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 16/01/2018 della Corte d’appello di Venezia;
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere GIORGI Maria Silvia;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale SPINACI Sante, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della sentenza per prescrizione quanto al capo “A” e il rigetto nel resto del ricorso;
uditi i difensori degli imputati: Avv. (OMISSIS) per (OMISSIS) e (OMISSIS) che si e’ riportato ai motivi di ricorso insistendo per l’accoglimento;
Avv. (OMISSIS) per (OMISSIS) che si e’ riportato ai motivi di ricorso chiedendone l’accoglimento;
Avv. (OMISSIS) per (OMISSIS), anche in sostituzione dell’Avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 21/11/2016 il Tribunale di Belluno dichiarava: – (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) colpevoli del reato di cui all’articolo 353-bis c.p. (capo A: perche’, nella veste di sindaco il primo e di assessore ai II.pp. il secondo del comune di Cortina d’Ampezzo, in collusione con (OMISSIS), avevano posto in essere azioni tese a interferire nella formazione del bando di gara, al fine di procurare l’aggiudicazione a (OMISSIS) dell’appalto di raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani, non realizzata per l’opposizione della funzionaria (OMISSIS) che nel dicembre 2010 predisponeva autonomamente i bandi di gara); – (OMISSIS) e (OMISSIS) colpevoli del reato di cui all’articolo 336 c.p. (capo D: per avere, in veste di sindaco il primo e di assessore il secondo del comune di Cortina d’Ampezzo, impartito a (OMISSIS), comandante della polizia municipale, l’ordine di sospendere, nel periodo preelettorale, i controlli di circolazione stradale diretti a reprimere le violazioni dei limiti di velocita’ e di guida in stato di ebbrezza, minacciando, in caso contrario, di non rinnovargli l’incarico).
Il Tribunale condannava quindi: – (OMISSIS), unificati i reati sub A) e D) nel vincolo della continuazione e ritenuto piu’ grave il primo, alla pena di anni 3 mesi 6 di reclusione ed Euro 1.000 di multa; (OMISSIS) e (OMISSIS) alla pena di anni 2 mesi 8 di reclusione ed Euro 350 di multa per il reato sub A); – (OMISSIS) alla pena di anni 1 mesi 4 di reclusione per il reato sub D); (OMISSIS) e (OMISSIS), inoltre, al risarcimento del danno a favore della parte civile (OMISSIS), liquidato in Euro 10.000. (OMISSIS) e (OMISSIS) venivano assolti dai reati di cui agli articoli 610 e 323 c.p. (capi B e C) “perche’ il fatto non sussiste”.
2. Con il provvedimento in epigrafe, la Corte d’appello di Venezia, in parziale riforma della decisione di primo grado, concesse agli imputati le attenuanti generiche, riduceva la pena per (OMISSIS) a mesi 9 di reclusione ed Euro 200 di multa, per (OMISSIS) e (OMISSIS) a mesi 8 di reclusione ed Euro 140 di multa, per (OMISSIS) a mesi 4 di reclusione; revocava le statuizioni civili, sul rilievo che la (OMISSIS) s’era costituita parte civile limitatamente al reato di cui al capo B) per il quale era intervenuta assoluzione; confermava nel resto l’impugnata sentenza.
3. La Corte territoriale, dopo avere richiamato i principi di diritto affermati dalla Corte di cassazione con la sentenza Sez. 6, n. 44896 del 22/10/2013 (Rv. 252269-270-271), reiettiva nella fase cautelare del ricorso di (OMISSIS) avverso l’ordinanza del riesame del Tribunale di Venezia, ripercorreva nel merito le motivazioni svolte dal primo giudice e, integrandone la motivazione, rimarcava la consistenza fattuale del reato di turbata liberta’ del procedimento di scelta del contraente, alla luce della copiosa documentazione amministrativa e delle dichiarazioni accusatorie rese dalla (OMISSIS), puntualmente riscontrate dalle deposizioni del teste Ghedina e dalle parziali ammissioni degli imputati circa la portata degli accordi collusivi (mentre le dichiarazioni del teste (OMISSIS) – siccome avrebbe dovuto essere indiziato ab origine di concorso nel medesimo reato venivano giudicate inutilizzabili).
Premesso che soggetto attivo del delitto poteva essere “chiunque” e, quindi, anche il pubblico ufficiale intraneo all’amministrazione che aveva indetto la gara oggetto di turbativa, il momento genetico di questa, alla stregua delle prove acquisite, veniva individuato nella collusione, in base alla quale il sindaco, in concorso con l’assessore ai II.pp., in cambio del pacchetto di voti garantito dall’imprenditore (OMISSIS) che avrebbe rinunciato a candidarsi nelle prossime elezioni comunali, aveva assicurato a quest’ultimo l’assegnazione dell’appalto del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani. A questo accordo, stipulato gia’ nei mesi precedenti, era seguita nella fase pre-elettorale dell’estate 2010 una serie di numerosi incontri, trattative e intese – intercorsi tra il sindaco, l’assessore, (OMISSIS) e il suo consulente di fiducia (OMISSIS) -, finalizzati alla riorganizzazione del servizio di raccolta rifiuti, con l’istituzione di un apposito servizio di comunicazione e controllo, e alla preparazione del relativo bando, studiato per consentire l’assegnazione dell’appalto a (OMISSIS). La collusione intesa a condizionare il contenuto del bando a favore dell’imprenditore (OMISSIS) era dimostrata dalla sequenza cronologica degli incontri e degli scambi di mail (9/8, 20-23/8, 3/9, 27/9, 6/10, 15/10, 16/10), dei quali la sentenza forniva un’ampia descrizione, osservando che i reiterati contatti e la corrispondenza avevano lo scopo di studiare l’organizzazione del servizio di raccolta dei rifiuti e di preparare il bando per soddisfare gli interessi di un imprenditore legato agli amministratori da rapporti extraistituzionali. In tale prospettiva (OMISSIS) preparava le bozze dei bandi di gara, che il sindaco, nell’ottobre 2010, sottoponeva a (OMISSIS), responsabile dell’ufficio lavori pubblici, per la formalizzazione; la funzionaria non accettava l’imposizione e, nel dicembre 2010, predisponeva autonomamente i bandi di gara, suscitando le reazioni del sindaco, dell’assessore e dello stesso (OMISSIS), che l’avevano percio’ invitata a correggere il bando o a ritirarlo; la funzionaria aveva resistito alle pressioni e (OMISSIS) era stato costretto ad associarsi ad altra societa’ aggiudicatrice dell’appalto.
Tali condotte illecite, pure innestate in un risalente accordo e avviate ne(l’estate 2010, erano proseguite anche dopo il 7 settembre 2010, data di entrata in vigore della legge che aveva introdotto il reato di cui all’articolo 353-bis c.p. e, pertanto, non era violato il principio di irretroattivita’ della legge penale. La promessa iniziale e gli incontri avvenuti prima del 7 settembre 2010 non potevano ricadere, per l’assenza del presupposto della gara, nella fattispecie prevista dall’articolo 353 c.p.. Essi rilevavano tuttavia sotto il profilo probatorio, perche’ illuminavano la condotta tenuta a partire dal 7 settembre, che si era estrinsecata nel lavoro di stesura della bozza del bando (settembre 2010) e nella sua consegna alla funzionaria (ottobre 2010), attivita’ queste che evidenziavano la persistente collusione.
Inoltre, il reato doveva intendersi perfezionato il 15/10/2010, quando il Sindaco aveva chiesto alla (OMISSIS) di firmare il bando di gara come predisposto da (OMISSIS) (o al piu’ il 16/11/2010, data di pubblicazione della delibera giuntale del 24/8/2010 e di affidamento dell’incarico formale di consulente esterno a (OMISSIS)), anche se la funzionaria non aveva ceduto alle indebite pressioni, perche’ gli imputati, a prescindere dalla realizzazione dell’intento perseguito, avevano oggettivamente turbato il procedimento di formazione del bando. Non vi era spazio per ravvisare il tentativo, essendo il delitto di cui all’articolo 353-bis c.p., costruito come reato di pericolo, per la cui integrazione e’ sufficiente che si verifichi un turbamento del processo amministrativo, ossia che la correttezza della procedura di predisposizione del bando sia messa concretamente in pericolo. Il che, nella specie, era avvenuto quando il sindaco aveva consegnato la bozza del bando, frutto di collusione, alla funzionaria responsabile dell’ufficio competente per gli appalti pubblici, ordinando che fosse convertita senza modificazioni nel bando pubblico; la disobbedienza della funzionaria che rifiuto’ l’imposizione aveva impedito l’inquinamento del bando, ma non aveva cancellato la turbativa oggettivamente arrecata al procedimento amministrativo mediante l’intervento diretto del sindaco sul funzionario preposto.
Il reato di cui al capo A) non era comunque prescritto, pur tenendo conto del duplice periodo di sospensione della prescrizione per complessivi mesi 9 e gg. 20.
4. Quanto al reato previsto dall’articolo 336 c.p., la Corte ha ritenuto accertato, alla luce delle dichiarazioni di (OMISSIS), assessore alla polizia locale e coimputato dello stesso reato, giudicato separatamente, e della persona offesa (OMISSIS), comandante della polizia municipale, considerate coerenti e attendibili, che il sindaco, d’intesa con l’assessore (OMISSIS), avesse impartito a (OMISSIS), l’ordine di sospendere, nel periodo preelettorale, i controlli di circolazione stradale diretti a reprimere le violazioni dei limiti di velocita’ e di guida in stato di ebbrezza, minacciando, in caso contrario, di non rinnovargli l’incarico.
La Corte ha richiamato innanzitutto il principio affermato dalla S.C. con la citata sentenza n. 44896/13, per cui l’inutilizzabilita’ ex articolo 270 c.p.p., comma 1, dei risultati delle intercettazioni in procedimenti diversi da quello nel quale sono state disposte riguarda gli esiti probatori conseguiti con quello specifico mezzo di prova, ma non esclude che il medesimo risultato possa essere ottenuto con altro e diverso mezzo di prova. Nel caso concreto, la circostanza che le conversazioni intercettate fossero state lette ai conversanti per sollecitarne la memoria non produceva alcun effetto invalidante sulle dichiarazioni rese. L’accennata lettura, infatti, non era finalizzata a dare la prova del fatto di reato, ma soltanto a sollecitare il ricordo degli interlocutori, i quali, nel riferire cio’ che personalmente dissero o udirono, diventavano fonte di sommarie informazioni testimoniali, disciplinate dall’articolo 351 c.p.p., che costituiscono autonomo mezzo di prova, legittimamente utilizzabile per la ricostruzione dei fatti.
Nel merito, la Corte ha osservato che il pur consentito potere del sindaco di impartire ordini o direttive in tema di circolazione stradale viene meno quando gli ordini abbiano – come nel caso di specie – un contenuto illegittimo. Vietare alla polizia municipale di svolgere – temporaneamente e limitatamente a determinate contravvenzioni – i controlli e gli accertamenti, previsti dalla legge in materia di prevenzione e repressione delle violazioni della disciplina sulla circolazione stradale, costituisce ordine illegittimo. Inoltre, l’esplicito avvertimento dato al comandante della polizia municipale che, se non si fosse uniformato all’ordine impartitogli, alla scadenza dell’incarico non sarebbe stato confermato, andava qualificato come minaccia, essendo evidente la coartazione esercitata sulla volonta’ dello stesso comandante. Questi, se non si fosse sottomesso all’ordine, avrebbe subito il male futuro prospettato, che aveva i connotati dell’ingiustizia, perche’, se il comandante della polizia municipale non ha un diritto soggettivo al reincarico, ha tuttavia una legittima aspettativa al rinnovo ove non abbia demeritato. Sicche’ la prospettazione dell’allontanamento dal servizio per ritorsione costituisce minaccia di un male ingiusto.
5. Il difensore di fiducia di (OMISSIS) e (OMISSIS) ha presentato ricorso per cassazione avverso la citata sentenza della Corte d’appello di Venezia e ne ha chiesto l’annullamento, censurandone con plurimi motivi (che si espongono in sintesi):
a) in ordine al reato di cui all’articolo 353-bis c.p. (capo A), contestato a (OMISSIS) e (OMISSIS) in concorso con (OMISSIS):
– la mancanza e la contraddittorieta’ della motivazione e la violazione del principio di correlazione fra imputazione e sentenza, con riguardo all’individuazione delle condotte materiali punibili, realizzate dopo il 7/9/2010, data di entrata in vigore dell’articolo 353-bis c.p., e racchiuse nell’imputazione contestata, con la conseguente violazione del principio di irretroattivita’ della legge penale, perche’ la conclusione dell’accordo collusivo sarebbe avvenuta prima di quella data, mentre le condotte tenute successivamente non avrebbero turbato il procedimento di predisposizione del bando, gia’ definito con la delibera giuntale del 24/8/2010;
– la mancanza e la manifesta illogicita’ della motivazione perche’ l’interpretazione delle condotte successive all’entrata in vigore della nuova normativa in termini di turbativa era frutto di un travisamento delle prove, anche con riferimento al movente del preteso accordo collusivo;
– la violazione di legge e la mancanza, la manifesta illogicita’ e la contraddittorieta’ della motivazione circa l’elemento soggettivo delle condotte successive al 7/9/2010;
b) in ordine al reato di cui all’articolo 336 c.p. (capo D), contestato a (OMISSIS) in concorso con (OMISSIS):
– la violazione di legge (articoli 56 e 336 c.p.) e il vizio motivazionale per travisamento della prova, perche’, da un lato, il sindaco, nel dare a (OMISSIS) l’ordine incriminato, aveva agito nell’esercizio dei poteri conferitigli dalla legge e dal regolamento comunale e, dall’altro, l’avvertimento sul non rinnovo dell’incarico di comandante della polizia locale non costituiva minaccia di un male ingiusto, dato che tale incarico era temporaneo senza diritto alla riconferma; in difetto del dolo specifico del reato contestato, nella condotta del sindaco erano al piu’ ravvisabili l’ipotesi attenuata di cui all’articolo 336 c.p., comma 2 o il mero tentativo di minaccia.
6. Ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato (OMISSIS) e ha chiesto l’annullamento della sentenza di appello in ordine alla declaratoria di responsabilita’ e alla condanna per il reato di cui all’articolo 353-bis c.p. (capo A), contestatogli in concorso con (OMISSIS) e (OMISSIS), denunziandone con plurimi ma strettamente connessi motivi, cosi’ sintetizzati:
la violazione degli articoli 196, 197-bis, 210 e 603 c.p.p., quanto alla ritenuta inutilizzabilita’ delle dichiarazioni del teste (OMISSIS), il quale non aveva mai assunto la veste di indagato nel medesimo reato;
la violazione dell’articolo 125 c.p.p., comma 3, e articolo 185 c.p.p. e dell’articolo 2 prot. n. 7 Cedu per non essere stato assicurato all’imputato il doppio grado di giurisdizione, atteso l’omesso vaglio da parte del primo giudice di varie questioni poste dalla difesa, che venivano prese in esame per la prima volta solo dai giudici di appello;
– vizio motivazionale, anche per travisamento della prova, quanto alla incoerente valutazione dell’ambiguo quadro probatorio desumibile dalla deposizione testimoniale della (OMISSIS) circa le asserite intese collusive di cui al capo A), anche in considerazione delle ricadute della intervenuta assoluzione per i delitti di cui ai capi B) e C) dell’originaria imputazione;
– violazione dell’articolo 133 c.p. e vizio motivazionale con riguardo alla determinazione della pena, fissata per (OMISSIS), privato imprenditore, in misura identica a quella stabilita per (OMISSIS), pubblico ufficiale, nonostante la diversita’ dei ruoli dei coimputati.
7. Ha proposto ricorso per cassazione avverso la medesima sentenza anche il difensore dell’imputato (OMISSIS), condannato per il reato di cui all’articolo 336 c.p. (capo D) contestatogli in concorso con (OMISSIS), lamentando:
– la violazione del divieto di utilizzazione probatoria stabilito dall’articolo 270 c.p.p., comma 1, perche’ i giudici di merito, pur riconoscendo che i risultati delle intercettazioni non erano utilizzabili in quanto autorizzate solo per l’accertamento del reato previsto dall’articolo 353-bis c.p., avevano poi concretamente fatto uso, come fonte degli indizi di colpevolezza, delle informazioni testimoniali che la persona offesa (OMISSIS) e il coimputato (OMISSIS) avevano reso a conferma della trascrizione delle intercettazioni medesime;
– la mancanza, la manifesta illogicita’ e la contraddittorieta’ della motivazione con riguardo alla ritenuta affidabilita’ soggettiva ed estrinseca delle dichiarazioni del coimputato (OMISSIS), non sorrette da adeguati riscontri esterni individualizzanti, nonche’ alla credibilita’ soggettiva del teste e persona offesa (OMISSIS).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I motivi di ricorso degli imputati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) con riguardo all’imputazione di turbata liberta’ del procedimento di scelta del contraente di cui all’articolo 335-bis c.p., (capo A) non sono fondati.
2. Per un verso, in linea di fatto, la ricostruzione probatoria della vicenda collusiva de qua risulta correttamente ancorata dai giudici di merito, con apparati argomentativi che s’integrano reciprocamente (donde la palese infondatezza della censura di (OMISSIS) circa un’asserita violazione del principio del doppio grado di giudizio a causa del pretermesso vaglio da parte del primo giudice di talune questioni prese in esame per la prima volta dal giudice di appello), alla verifica orale e documentale della sua oggettiva consistenza. La lettura della copiosa documentazione amministrativa acquisita e le dichiarazioni accusatorie rese dalla funzionaria (OMISSIS), responsabile dell’ufficio lavori pubblici, risultano puntualmente riscontrate dalla deposizione del teste (OMISSIS) e dalle parziali ammissioni degli imputati circa il tenore dell’accordo collusivo. E cio’ pure a prescindere dalla deposizione del teste di accusa (OMISSIS), che e’ stata correttamente giudicata inutilizzabile, dovendo lo stesso essere indiziato ab origine di concorso nel medesimo reato, quale collaboratore e tecnico fiduciario dell’imprenditore privato nel cui interesse era stato incaricato di predisporre il bando di gara frutto dell’accordo collusivo. La scansione temporale della vicenda, alla stregua delle prove acquisite, risulta dettagliatamente descritta con riferimento, nella fase pre-elettorale dell’estate/autunno 2010, ai numerosi incontri e scambi di corrispondenza telematica intercorsi (9/8, 20-23/8, 3/9, 27/9, 6/10, 15/10, 16/10) tra il sindaco, l’assessore ai lavori pubblici, l’imprenditore e il suo consulente di fiducia (OMISSIS), finalizzati alla riorganizzazione della raccolta rifiuti con l’istituzione di un apposito servizio e alla preparazione del relativo bando, tale da consentire l’assegnazione dell’appalto a (OMISSIS). (OMISSIS) preparava la bozza del bando di gara, che il sindaco, nell’ottobre 2010, sottoponeva alla (OMISSIS), la quale peraltro resisteva alle pressioni e si rifiutava di accettare l’imposizione. Il reato doveva intendersi perfezionato il 15/10/2010, quando il sindaco aveva chiesto alla (OMISSIS) di firmare il bando di gara come predisposto da (OMISSIS) (o al piu’ il 16/11/2010, data di pubblicazione della delibera giuntale del 24/08 e di affidamento dell’incarico formale di consulente esterno a (OMISSIS)), quando gli imputati, a prescindere dalla mancata realizzazione dell’intento, avevano compiuto atti di oggettiva turbativa del procedimento di formazione del bando. La Corte ha infatti adeguatamente e congruamente spiegato i motivi per cui ha disatteso l’impostazione difensiva tesa a non attribuire rilievo alle condotte collusive poste in essere prima del 07/09/2010 – in quanto penalmente irrilevanti all’epoca dei fatti -, ne’ ai comportamenti tenuti oltre tale data, che costituirebbero solo momenti attuativi di un accordo gia’ perfezionato. Invero se le condotte (precedentemente irrilevanti) si rinnovano e si perpetuano oltre la data di entrata in vigore della legge, il reato si perfeziona in tali date e le condotte anteriori assumono rilievo probatorio al fine di interpretare le condotte successive e l’elemento psicologico degli autori.
Sotto diverso profilo e’ pure condivisibile l’assunto della Corte territoriale secondo cui le mail del 04/02/2011 e del 07/02/2011 provenienti da (OMISSIS) (che si rivolgeva alla (OMISSIS) e a (OMISSIS), lamentando che il bando presentasse dei requisiti troppo restrittivi) e da (OMISSIS) (che scriveva alla (OMISSIS) contestando il suo operato e chiedendole sostanzialmente di ritirare il bando), intervenute a bando gia’ pubblicato, fuoriescono dallo schema del reato in esame, attenendo eventualmente all’imputazione di cui al capo B) che non e’ oggetto del ricorso, e non rilevano dunque ai fini della decorrenza del termine massimo di prescrizione.
3. Per altro verso, in linea di diritto, la Corte di appello ha fatto corretta applicazione dei principi affermati dalla Corte di cassazione con la sentenza Sez. 6, n. 44896 del 22/10/2013 (Rv. 252269-270-271), che aveva respinto, nella fase cautelare, il ricorso di (OMISSIS) avverso l’ordinanza del riesame del Tribunale di Venezia.
Da un lato, le descritte condotte illecite, pure avviate nell’estate 2010, erano proseguite dopo il 7 settembre 2010, data di entrata in vigore della legge che aveva introdotto il reato di cui all’articolo 353-bis c.p. e, pertanto, non era violato il principio di irretroattivita’ della legge penale. Anche se l’intesa e gli incontri avvenuti prima del 7 settembre 2010 non potevano ricadere, per l’assenza del presupposto della gara, nella fattispecie prevista dall’originario articolo 353 c.p., essi rilevavano tuttavia sotto il profilo probatorio, perche’ illuminavano le condotte criminose tenute a partire da quella data, che si erano estrinsecate nell’opera di stesura della bozza del bando (settembre 2010) e nella sua consegna alla funzionaria (ottobre 2010): attivita’ queste che rilevavano ai fini della contestata e persistente collusione.
Dall’altro, non era ravvisabile il mero tentativo, configurandosi la fattispecie criminosa di cui all’articolo 353-bis c.p., come reato di pericolo (v. anche, sul punto, Sez. 6, n. 1 del 02/12/2014, dep. 2015, Pedrotti, Rv. 262917; Sez. 6, n. 29267 del 05/04/2018, Baccari, Rv. 273449), per la cui integrazione e’ sufficiente che la linearita’ della procedura di predisposizione del bando sia messa concretamente in pericolo. Il che, nella specie, era avvenuto quando il sindaco aveva consegnato la bozza del bando, frutto di collusione, alla funzionaria responsabile dell’ufficio competente per i lavori pubblici, ordinando che fosse convertita senza modificazioni nel bando, cosi’ arrecando un’oggettiva turbativa al procedimento amministrativo mediante l’intervento diretto del sindaco sul funzionario preposto.
4. La sentenza impugnata, con ancoraggio alle informazioni probatorie, orali e documentali, conseguite per la ricostruzione della vicenda collusiva, ha pertanto adeguatamente argomentato con considerazioni scevre da illogicita’ in fatto e corrette in diritto, percio’ insindacabili in sede di controllo di legittimita’.
Dalla ritenuta infondatezza dei motivi dei ricorsi in ordine al capo A) consegue, come lineare e logico corollario, che non sono riscontrabili elementi di giudizio idonei a riconoscere, a mente dell’articolo 129 c.p.p., comma 2, la prova evidente dell’innocenza degli imputati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). In assenza di elementi idonei a riconoscere la prova evidente dell’innocenza, s’impone peraltro l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, relativamente a detto capo, con la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione.
Ed invero, il tempo necessario a prescrivere, da determinarsi in anni 7 e mesi 6 oltre il duplice periodo di sospensione per complessivi mesi 9 e giorni 20, e’ maturato il 4 gennaio 2019 (dopo la pronuncia in data 16/1/2018 della sentenza impugnata, depositata il 16/4/2018, e nelle more della trasmissione del relativo fascicolo alla Corte di cassazione, cui perveniva solo il 17/6/2019). Cio’ in quanto, ai fini del calcolo della prescrizione, il reato – giusta la insindacabile valutazione di merito del giudice di appello – deve intendersi perfezionato il 15/10/2010, quando il Sindaco ha chiesto alla (OMISSIS) di firmare il bando di gara, predisposto da (OMISSIS) siccome frutto dell’accordo collusivo (o al piu’ il 16/11/2010, data di pubblicazione della delibera giuntale del 24/8 e di affidamento dell’incarico formale di consulente esterno a (OMISSIS), con prescrizione quindi al 6 marzo 2019).
5. Si palesano privi di fondamento – e per alcuni profili meramente ripetitivi delle doglianze mosse con l’appello e disattese dai quel giudice – i motivi dei ricorsi degli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS), rispettivamente sindaco e assessore del comune di Cortina d’Ampezzo, con riguardo al reato di cui all’articolo 336 c.p. (capo D).
La Corte di appello, alla luce delle coerenti, lineari, attendibili e reciprocamente riscontrate dichiarazioni di (OMISSIS), assessore alla polizia locale e coimputato dello stesso reato, giudicato separatamente, e della persona offesa (OMISSIS), comandante della polizia municipale, ha ritenuto accertato in fatto che il sindaco, d’intesa con l’assessore, pretendeva che quest’ultimo sospendesse, nel periodo preelettorale e durante la campagna elettorale, i controlli di circolazione stradale – autovelox ed etilometro – diretti a reprimere le violazioni dei limiti di velocita’ e di guida in stato di ebbrezza, facendo ripetute pressioni in tal senso e minacciando, in caso contrario, di non rinnovargli l’incarico.
La Corte ha inoltre richiamato, in linea di diritto, i principi affermati dalla Corte di cassazione con la citata sentenza n. 44896 del 2013.
Per un verso, l’inutilizzabilita’ ex articolo 270 c.p.p., comma 1, dei risultati delle intercettazioni in procedimenti e per reati diversi da quello nel quale erano state disposte riguardava gli esiti probatori conseguiti con quello specifico mezzo di prova, ma non escludeva che il medesimo risultato potesse essere ottenuto con altro e diverso mezzo di prova. Nella specie, infatti, la circostanza che le conversazioni intercettate fossero state lette agli interlocutori per sollecitarne la memoria non produceva alcun effetto invalidante sulle dichiarazioni rese dagli stessi, i quali, nel riferire cio’ che personalmente avevano detto o ascoltato, diventavano fonte di sommarie informazioni testimoniali, che costituiscono autonomo e legittimo mezzo di prova per la ricostruzione della vicenda criminosa.
Per altro verso, l’esercizio del pur legittimo potere sindacale di impartire ordini o direttive in tema di circolazione stradale non e’ consentito quando gli ordini abbiano un contenuto palesemente illegittimo, com’e’ avvenuto nel caso di specie pretendendo che la polizia municipale sospendesse temporaneamente i controlli previsti dalla legge in materia di prevenzione e repressione delle violazioni della disciplina sulla circolazione stradale. Inoltre, l’esplicito avvertimento dato al comandante della polizia municipale che, se non si fosse uniformato all’ordine impartitogli, alla scadenza dell’incarico non sarebbe stato confermato, doveva qualificarsi come minaccia ai sensi dell’articolo 336 c.p., comma 1, essendo evidente la coartazione dolosamente esercitata sulla volonta’ dello stesso, il quale, se non si fosse sottomesso all’ordine, avrebbe subito il prospettato e ingiusto male del mancato rinnovo dell’incarico. Il comandante della polizia municipale non ha certamente un diritto soggettivo al reincarico, ma ha una legittima aspettativa ad esso ove non abbia demeritato; sicche’ la prospettazione del mancato reincarico per ritorsione di fronte al rifiuto di ottemperare a un ordine illegittimo costituiva minaccia di un male ingiusto.
La sentenza della Corte d’appello, con solido ancoraggio al quadro probatorio conseguito per la ricostruzione della condotta criminosa, ha pertanto adeguatamente motivato con argomentazioni esaurienti, scevre da illogicita’ in fatto e corrette in diritto, percio’ insindacabili in sede di controllo di legittimita’ del provvedimento impugnato.
Il ricorso di (OMISSIS) in ordine al capo D) va pertanto rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
La sentenza impugnata dev’essere, viceversa, annullata con rinvio nei confronti di (OMISSIS) limitatamente alla rideterminazione del trattamento sanzionatorio quanto al residuo reato di cui al capo D), per il quale la pena era stata fissata in continuazione rispetto al piu’ grave delitto di cui al capo A), dichiarato estinto per prescrizione.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), relativamente al reato di cui al capo A) della rubrica perche’ estinto per prescrizione e rinvia ad altra sezione della Corte d’appello di Venezia per la determinazione della pena nei riguardi del (OMISSIS) in ordine al residuo reato di cui al capo D). Rigetta nel resto il ricorso di quest’ultimo, nonche’ il ricorso di (OMISSIS), che condanna al pagamento delle spese processuali del grado.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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