In tema di incarichi direttivi da parte del C.S.M.

Consiglio di Stato, Sezione quinta, Sentenza 28 febbraio 2020, n. 1448.

La massima estrapolata:

I giudizi di prevalenza in tema di incarichi direttivi da parte del Consiglio Superiore della Magistratura vanno formulati in termini di adeguatezza, comunque dovendo emergere dagli atti l’analisi completa dei dati curriculari dei concorrenti individuati, al fine di collegare la dimostrata pienezza della conoscenza dei profili dei candidati ad una valutazione informata e perciò attendibile riguardo al giudizio di prevalenza.

Sentenza 28 febbraio 2020, n. 1448

Data udienza 28 novembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1831 del 2019, proposto da
Consiglio Superiore della Magistratura e Ministero della Giustizia, in persona rispettivamente del Presidente in carica e del Ministro pro tempore, entrambi rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, alla via (…);
contro
Ca. Ig. Ma. Et., rappresentato e difeso dagli avvocati Fr. Ga. Sc. e An. Se., con domicilio digitale come da registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Fr. Ga. Sc. in Roma, alla via (…);
nei confronti
Sc. Ma., rappresentato e difeso dall’avvocato Al. Ar., con domicilio digitale come da registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Mi. Fe. in Roma, alla via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sez. I, n. 975/2019, resa tra le parti
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ig. Ma. Et. Ca. e di Ma. Sc.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 28 novembre 2019 il Cons. Giovanni Grasso e uditi per le parti gli avvocati An. Se., Ro. Ca., per delega dell’avv. Ar., nonché l’avvocato dello Stato Fe. Va.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1.- Con ricorso dinanzi al Tribunale amministrativo per il Lazio, il dott. Ig. Ma. Et. Ca., magistrato in servizio presso la prima sezione civile del Tribunale di Catania, impugnava la delibera del Consiglio Superiore della Magistratura del 7 giugno 2017, sulla cui base era stato conferito al dott. Ma. Sc., in recepimento della proposta formulata all’unanimità dalla V Commissione, l’ufficio semidirettivo giudicante di Presidente di sezione del Tribunale di Catania.
A sostegno del gravame, all’esito di una analitica ricostruzione del proprio percorso professionale e della maturata esperienza curriculare, egli lamentava che – in asserita violazione degli artt. 10 ss. d.lgs. n. 160 del 2010 e degli artt. da 7 a 13 e da 14 a 34 della circolare P-14858/2015 del 28 luglio 2015, e con eccesso di potere sotto plurime figure sintomatiche – la determinazione impugnata si presentasse complessivamente lacunosa ed omissiva, poiché non dava adeguato e compiuto conto delle attività giudiziarie concretamente svolte; pretermetteva le rilevanti esperienze direttive e organizzative in concreto maturate; ipervalutava il profilo curriculare del controinteressato; delineava in modo cursorio ed asettico il vantato bagaglio esperienziale, omettendo la formulazione di un giudizio di valore sia con riguardo al parametro del merito, sia con riguardo a quello delle attitudini.
In particolare, il ricorrente lamentava il difetto di ogni richiamo alle proprie competenze ordinamentali di magistrato collaboratore del Consiglio giudiziario presso la Corte d’appello di Catania per la formazione degli uditori giudiziari, di referente del medesimo organo di autogoverno per la formazione dei giudici di pace e di affidatario di numerosi uditori giudiziari, M.O.T. e specializzandi presso la Scuola superiore per le professioni legali, nonché alle attività di studio e approfondimento scientifico-professionale, non facendosi alcun riferimento alla partecipazione, in qualità di relatore, ai numerosi convegni, incontri di studio e seminari, tenutisi presso Università, enti di formazione e Osservatori, pur indicati nel corpo dell’autorelazione.
Egli aggiungeva, quindi, che nessun cenno era fatto alla propria capacità organizzativa, valorizzata nel parere reso dal Consiglio giudiziario, e alle esperienze direttive maturate presso la Pretura mandamentale e presso la Pretura circondariale di Enna e presso la Commissione tributaria regionale di Enna.
Per contro, il ricorrente si doleva che il CSM avesse impropriamente esaltato la valenza di taluni indicatori generali delle attitudini del dott. Sc., quali le esperienze ordinamentali e l’impegno nel settore dell’innovazione tecnologica, con ciò asseritamente violando le linee direttive tratteggiate dalla Circolare P14858/2015, che imponeva di tener conto, nella valutazione comparativa, anche e soprattutto degli indicatori attitudinali specifici.
In definitiva, egli assumeva che il CSM aveva immotivatamente sminuito il suo profilo professionale, che – per quantità ed eterogeneità delle attività svolte, oltreché per la maggiore anzianità di servizio – a suo dire era superiore a quello del collega controinteressato.
2.- Con sentenza n. 975 del 25 gennaio 2019, resa nel rituale contraddittorio delle parti, il Tribunale amministrativo accoglieva il ricorso, sul complessivo assunto:
a) che il provvedimento impugnato aveva omesso di considerare determinati indicatori di attitudine, pacificamente posseduti dal ricorrente, l’esame dei quali appariva necessario alla luce del particolare onere di completezza dell’analisi dei profili professionali degli aspiranti stabilito dal Testo Unico sulla dirigenza giudiziaria;
b) che, in particolare, non erano state adeguatamente valorizzate, in prospettiva comparativa, le allegate esperienze di collaborazione con la dirigenza, rilevanti ai sensi della lettera b) dell’articolo 15 del Testo unico, maturata dal ricorrente negli anni 2002 – 2003 quale magistrato collaboratore del Consiglio giudiziario di Catania, riportate nell’autorelazione;
c) che, parimenti, erano state trascurate le esperienze nell’ambito della formazione, rilevanti ai sensi dell’art. 11, comma 2, e svolte sia con riferimento agli uditori giudiziari che con riferimento ai giudici di pace, nonché le attività convegnistiche e di studio, tutte enumerate nell’autorelazione;
d) che i risultati dell’attività giurisdizionale erano stati apprezzati in termini eccessivamente sintetici;
e) che era mancata un’analisi adeguata del parametro del merito professionale, atteso che nessun particolare rilievo era stato attribuito al parere attitudinale specifico formulato dal Consiglio Giudiziario e dal quale, per espressa previsione regolamentare (art. 25, comma 2, del Testo unico), andavano tratte indicazioni in ordine agli indicatori di capacità, laboriosità, diligenza e impegno nei quali si compendiava il suddetto requisito;
f) che, in definitiva, le carenze erano idonee a compromettere il complessivo impianto motivazionale a supporto della deliberazione.
3.- Con atto di appello, notificato nei tempi e nelle forme di rito, il CSM e il Ministero della giustizia impugnano la sentenza, di cui lamentano la complessiva erroneità ed ingiustizia, auspicandone l’integrale riforma.
Si sono costituiti in giudizio, rispettivamente per aderire e per resistere al gravame, il dott. Ma. Sc. e il dott. Ig. Ma. Et. Ca..
Con ordinanza n. 2245, resa inter partes alla camera di consiglio del 9 maggio 2019, è stata accolta l’istanza preordinata alla inibitoria della efficacia esecutiva della sentenza appellata.
Alla pubblica udienza del 28 novembre 2019, sulle reiterate conclusioni dei difensori delle parti costituite, la causa è stata riservata per la decisione.

DIRITTO

1.- L’appello è fondato e va accolto.
1.1.- Va, in via preliminare, disattesa l’eccezione di inammissibilità della costituzione in giudizio del dott. Sc., meramente adesiva all’appello proposto dal CSM e dal Ministro della giustizia.
In verità, la giurisprudenza ha ripetutamente affermato che, ai sensi dell’art. 92 Cod. proc. amm. (come già, antecedentemente, alla luce degli artt. 37 e 38 r.d. n. 642 del 1907), la parte soccombente nel giudizio di primo grado, che abbia interesse all’annullamento della relativa sentenza, ha l’onere di proporre formale impugnazione, in via autonoma ovvero (quando sia stata preceduta dall’impugnazione altrui) in via incidentale: onere che non sarebbe possibile eludere mediante la mera costituzione (per di più, con memoria non notificata alle controparti) nel giudizio promosso da altro soccombente (cfr., Cons. Stato, III, 10 febbraio 2016, n. 578, che ne ha tratto il corollario della inammissibilità anche della assunzione di una “posizione adesiva di mero interveniente”, comunque preordinata alla rimozione di una soccombenza “principale” sancita dalla decisione di primo grado; negli stessi sensi già Cons. Stato, IV, 22 giugno 2004, n. 4458, con riferimento al controinteressato in primo grado, che intervenga a sostegno dell’appello principale dell’Amministrazione soccombente in prime cure e Cons. Stato, V, 26 giugno 1996, n. 806, con riferimento alla reciproca fattispecie dell’intervento spiegato dall’Amministrazione, a sostegno dell’appello del privato controinteressato; cfr., altresì, Cons. Stato, IV, 14 aprile 2006, n. 2174; Id., V, 13 novembre 1995, n. 1561; Con. giust. sic., 13 febbraio 20017, n. 36, che, peraltro, ammette la conversione dell’intervento in appello, ove ne ricorrano i requisiti di sostanza e di forma).
Il principio è stato, nondimeno, talora declinato nei meno incisivi sensi della mera preclusione alla formalizzazione di autonome ragioni di doglianza e, cioè, all’ampliamento del thema decidendum (cfr. Cons. Stato, III, 13 maggio 2015, n. 2400).
Più di recente, si è, tuttavia, affermato che la costituzione in giudizio, in fase di gravame, del controinteressato soccombente in prime cure (che non abbia ritenuto di impugnare autonomamente la sentenza e neppure abbia proposto appello incidentale, limitandosi al deposito di memoria non notificata) dovrebbe ritenersi senz’altro ammissibile, in ragione del principio del giusto processo, che autorizza – ferma restando la ribadita preclusione alla immutazione od integrazione del thema decidendum – l’intervento in posizione meramente adesiva (cfr. Cons. Stato, III, 22 dicembre 2017, n. 6022, che – condivisibilmente – limita, peraltro, il principio alla ricorrenza di ipotesi di inscindibilità della causa decisa, atteso che la scindibilità delle posizioni soggettive imporrebbe comunque, evidentemente, l’autonoma impugnazione).
Occorre puntualizzare che, in realtà, non si tratta di intervento ad adiuvandum in senso tecnico (se non altro perché l’art. 97, comma 1, Cod. proc. amm. richiede, all’uopo – di là dall’allegazione di un autonomo “interesse”, ovviamente distinto da quello correlato alla soccombenza di chi sia stato “parte processuale” in primo grado – la formale notifica dell’atto a tutte la parti), ma di mera costituzione (con deposito di memoria difensiva) in posizione adesiva, basata sulla posizione di cointeressenza sostanziale, in sede di impugnazione della sentenza sfavorevole, rispetto all’iniziativa impugnatoria autonomamente assunta dal cointeressato formalmente appellante (fa, perciò, plausibilmente, più generica ma più precisa parola, in identica fattispecie, di mera “adesione all’iniziativa giurisdizionale” altrui Cons. Stato, III, 14 febbraio 2017, n. 656, che argomenta dalla irragionevolezza dell’assunto che pretenda la necessaria duplicazione dell’impugnazione, le quante volte non risulti eluso od aggirato il relativo termine decadenziale di cui all’art. 102 Cod. proc. amm.).
La più recente posizione merita di essere, in effetti, condivisa.
Invero, le preclusioni di ordine processuale traggono, in generale, fondamento e giustificazione, in quanto tali e propter tenorem rationis, dalla necessità di salvaguardare effettive esigenze di progressiva e concentrata definizione della ordinata sequela procedimentale (sicché non può il termine decadenziale di impugnazione essere surrettiziamente recuperato, dalla soccombente, mediante l’intervento nel giudizio proposto da altri consorti; né può, sotto distinto profilo, sacrificarsi, legittimando il generalizzato intervento nelle fasi di gravame, il principio del doppio grado di giurisdizione: cfr. art. 344 Cod. proc. civ.). Quando, però, sia certo che tali esigenze non siano compromesse (perché, per esempio, non ne risulti in alcun modo inciso o condizionato il thema probandum o decidendum, né sia elusa alcuna prescrizione di matrice decadenziale) la sanzione di inammissibilità appare ingiustificata ed ultronea, legittimandosi, semmai, la valorizzazione del generale ed economico canone conservativo propter utilitatem.
2.- Ciò posto, importa in premessa osservare, in termini generali, che il conferimento degli uffici dirigenziali da parte dell’organo di governo autonomo della magistratura è disciplinato dal d.lgs. 5 aprile 2006, n. 160 (Nuova disciplina dell’accesso in magistratura, nonché in materia di progressione economica e di funzioni dei magistrati, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera a), della l. 25 luglio 2005, n. 150), che prefigura e definisce la cornice in cui declinare l'”attitudine direttiva” (art. 12, commi 10, 11 e 12) in base alla tipologia dell’incarico da conferire (funzioni semidirettive e direttive di merito: art. 12, comma 10; funzioni direttive di legittimità , art. 12, comma 11), i cui “indicatori oggettivi” sono individuati dal CSM d’intesa con il Ministro della giustizia (art. 11, comma 3, lett. d), seconda parte).
Con riferimento a queste previsioni, il CSM ha adottato il Testo Unico sulla dirigenza giudiziaria (circolare n. P-14858-2015, approvata con deliberazione del 28 luglio 2015) che – sostituendo la previgente circolare n. P. 19244 del 3 agosto 2010, delibera del 30 luglio 2010 – mette a punto un articolato sistema di “indicatori generali” (artt. 6-13) e di “indicatori specifici” delle attitudini direttive (artt. 14-23), parametrati ai diversi incarichi oggetto di conferimento.
Vale anzitutto ricordare che, per consolidata giurisprudenza, il Testo unico sulla dirigenza giudiziaria non è – difettando la clausola legislativa a regolamentare ed essendo comunque materia riservata alla legge (art. 108, primo comma, Cost.) – un atto di natura regolamentare, cioè un atto normativo, ma un atto amministrativo di autovincolo nella futura esplicazione della discrezionalità del CSM a specificazione generale di fattispecie in funzione di integrazione o anche suppletiva dei principi specifici espressi dalla legge, vale a dire soltanto una delibera che vincola in via generale la futura attività discrezionale dell’organo di governo autonomo (cfr. Cons. Stato, IV, 14 luglio 2008, n. 3513; 28 novembre 2012, n. 6035; 6 dicembre 2016, n. 5152; V, 17 gennaio 2018, n. 271; V, 6 settembre 2017, nn. 4215 e 4216; 6 settembre 2017, n. 4220; 17 gennaio 2018, n. 271; 23 gennaio 2018, n. 432; 2 agosto 2019, n. 5492).
Ciò posto, va rilevato che in particolare, tra gli indicatori generali delle attitudini direttive, di cui all’art. 6 del Testo Unico, figurano: a) le funzioni direttive e semidirettive in atto o pregresse; b) le esperienze maturate nel lavoro giudiziario; c) le esperienze di collaborazione nella gestione degli uffici; d) le soluzioni elaborate nelle proposte organizzative redatte sulla base dei dati e delle informazioni relative agli uffici contenuti nel bando concorsuale; e) le esperienze ordinamentali e organizzative; f) la formazione specifica in materia organizzativa; g) le altre esperienze organizzative maturate anche al di fuori dell’attività giudiziaria.
Tali indicatori considerano la complessiva esperienza giudiziaria maturata dal candidato, unitamente alle esperienze maturate al di fuori della giurisdizione, che abbiano consentito lo sviluppo di competenze organizzative, di abilità direttive e conoscenze ordinamentali.
Gli indicatori specifici (artt. 14 ss.) invece definiscono gli elementi idonei a far emergere una particolare idoneità in relazione al singolo incarico direttivo.
Stando al disegno del Testo Unico, in particolare, posto che all’anzianità nel ruolo vada dato rilievo soltanto residuale nel caso di equivalenza dei profili professionali (essendone esclusa la rilevanza quale parametro di valutazione: art. 24), si intende far emergere le esperienze maturate dai diversi aspiranti, sulla base di dati concreti, misurabili e verificabili, in modo da individuare, attraverso un procedimento di “valutazione comparativa degli aspiranti” (artt. 25 ss.) il profilo più idoneo, “per attitudini e merito”, a ricoprire l’incarico e giustificare, sotto il profilo motivazionale, il relativo conferimento.
La considerazione degli indicatori generali e degli indicatori specifici non è, peraltro, ispirata ad una logica di equiordinazione parametrica, posto che agli indicatori specifici deve essere conferito “speciale rilievo” (art. 26, comma 3), laddove gli indicatori generali “sono utilizzati quali ulteriori elementi costitutivi del giudizio attitudinale” (art. 26, comma 4).
La previsione va intesa (cfr. Cons. Stato, V, 4 gennaio 2019, n. 97) nel senso, evidenziato dalla relazione illustrativa del T.U., che “gli elementi e le circostanze sottese agli indicatori specifici, proprio per la loro più marcata attinenza al profilo professionale richiesto per il posto da ricoprire, abbiano un adeguato spazio valutativo e una rafforzata funzione selettiva”, in ordine alle caratteristiche dell’incarico da conferire.
Pertanto, laddove un candidato possa in concreto vantare indicatori specifici, questo “speciale rilievo” che va ad essi dato implica che non se ne possa pretermettere la valutazione e il peso. Il che, se non significa che senz’altro debbano contrassegnare la prevalenza di quel candidato su altri candidati, impone nondimeno l’onere di una particolare ed adeguata motivazione, nella valutazione complessiva, nell’ipotetica preferenza per un candidato che ne sia privo (o sia in possesso di indicatori specifici meno significativi): per modo che ne sia evidenziata e giustificata, attraverso il puntuale esame curriculare, la maggiore “attitudine generale” o il particolare “merito”.
Invero, gli indicatori specifici sono criteri “settoriali” perché rilevano ai fini della valutazione specifica dell’attitudine direttiva; ma non esauriscono l’intera figura professionale del magistrato la quale va, piuttosto, ricostruita nella sua complessità, tenendo conto degli indicatori generali e del “merito” (Cons. Stato, V, 7 gennaio 2020, n. 71; Id. V, 16 ottobre 2017, n. 4786).
In tale quadro, non è conforme al Testo Unico un giudizio comparativo che – senza adeguata, particolare ed effettiva motivazione – finisca per immotivatamente sovvertire il detto rapporto tra indicatori attitudinali specifici e indicatori attitudinali generali.
Infine, il “giudizio attitudinale” (art. 26) va formulato “in maniera complessiva ed unitaria” e deve costituire il frutto di una “valutazione integrata e non meramente cumulativa” degli indicatori attitudinali, in relazione al singolo posto a concorso.
2.1.- Ciò posto, rammenta il Collegio che, per consolidata giurisprudenza, l’apprezzamento di cui gode, in subiecta materia, il CSM è sindacabile, in sede di legittimità, solo se inficiato per irragionevolezza, omissione o travisamento dei fatti, arbitrarietà o difetto di motivazione (cfr. ex multis, Cons. Stato, V, 11 dicembre 2017, n. 5828; Id., V, 16 ottobre 2017, n. 4786; Id., V, 18 dicembre 2017, n. 5933), restando, per contro, sottratta al sindacato giurisdizionale ogni valutazione di opportunità e convenienza e preclusa ogni decisione che esprima una volontà del giudicante che si sostituisca a quella dell’amministrazione, procedendo ad un sindacato di merito.
Per tal via, in presenza di un ampio “margine di apprezzamento” riservato dalla legge all’organo di governo autonomo, il sindacato giurisdizionale si risolve in una verifica di correttezza, adeguatezza e coerenza della decisione, in termini di complessiva “attendibilità ” della valutazione espressa, senza poter attingere la soglia della diretta sua “condivisibilità ” (cfr., da ultimo, Cons. Stato. V, 5 giugno 2019, n. 3817; Id., 4 giugno 2019, n. 3759, nonché Cass., SS.UU., 5 ottobre 2015, n. 19787).
Va, perciò, verificato se il CSM, nella valutazione comparativa, abbia adeguatamente acquisito un completo “quadro conoscitivo” ed elaborato un adeguato “apprezzamento valutativo” degli elementi di fatto posti a base della scelta, al fine di verificarne la coerenza tra gli elementi valutati e le conclusioni, la logicità della valutazione, l’effettività dell’operata comparazione tra i candidati, la sufficienza e congruità della relativa motivazione (Cons. Stato, V, 5 marzo 2018, n. 1345; 17 gennaio 2018, n. 271; 23 gennaio 2018, n. 432; cfr., altresì, Cass., SS.UU., 11 luglio 2018, n. 18240).
Resta fermo, peraltro, che la necessaria ed indefettibile completezza ed adeguatezza del “quadro conoscitivo” legittima, sulla base di tale completa rappresentazione di conoscenza, un giudizio valutativo “complessivo ed unitario”, che non richiede necessariamente una motivazione estesa, analitica e dettagliata: resta infatti sufficiente che dall’atto emergano le esaustive ragioni in base alle quali l’organo deliberante, procedendo all’apprezzamento complessivo dei candidati, si sia ragionevolmente persuaso della preferenza da attribuire ad un candidato rispetto agli altri (cfr. Cons. Stato. V, 29 luglio 2019, n. 5360; Id., V, 16 ottobre 2017, n. 4786).
Ne discende che anche la scelta di riservare un maggiore spazio grafico per la rappresentazione delle caratteristiche e delle qualità del magistrato proposto non ridonda di per sé in un vizio di legittimità dell’azione amministrativa, le quante volte costituisca una mera tecnica di redazione sintetica e compendiosa della motivazione, che trovi conforto nella effettiva acquisizione e valutazione del quadro conoscitivo che emerge dalla relazione predisposta per ciascuno dei candidati.
3.- Alla luce degli esposti principi, deve ritenersi che l’operato del CSM si sottragga, nella specie, alle formulate ragioni di doglianza.
Invero, risulta dal tenore della proposta formulata dalla V Commissione come questa abbia in concreto acquisito e compiutamente esaminato i curricula e la documentazione prodotta da ciascuno dei partecipanti alla procedura in contestazione (e, segnatamente, l’autorelazione e i pareri dei capi degli uffici e dei Consigli giudiziari). A valle di questa formazione di conoscenza, è seguita la valutazione, consistente nel giudizio di rilevante e marcata primazia del profilo professionale del dott. Sc., alla luce della variegata esperienza giudiziaria di eccellenza e della ricca e proficua parentesi ordinamentale (nei cruciali settori della innovazione tecnologica e della organizzazione applicate agli uffici giudiziari) ed istituzionale (quale componente dell’organo di governo autonomo).
Per contro, l’esperienza professionale, organizzativa, ordinamentale e formativa del dott. Ca. è stata complessivamente considerata, pur dandosi atto della non disconosciuta qualità del relativo profilo professionale, subvalente, alla luce di un consistente divario sia di ordine quantitativo che qualitativo. Non paragonabili, per peso ed importanza, sono state, altresì, considerate le esperienze formative e di partecipazione a convegni.
Il CSM ha basato siffatto giudizio di prevalenza su una valutazione complessiva e compendiosa, che nondimeno – contrariamente a quanto ritenuto dall’appellata sentenza – risulta maturata su un quadro conoscitivo completo e una compiuta considerazione degli indicatori generali e specifici, che non apparivano postulare la necessità di ulteriori approfondimenti istruttori o di più accurati e dettagliati confronti comparativi.
Risulta, in conclusione, rispettato il principio per cui i giudizi di prevalenza in tema di incarichi direttivi da parte del Consiglio Superiore della Magistratura vanno formulati in termini di adeguatezza, comunque dovendo emergere dagli atti l’analisi completa dei dati curriculari dei concorrenti individuati, al fine di collegare la dimostrata pienezza della conoscenza dei profili dei candidati ad una valutazione informata e perciò attendibile riguardo al giudizio di prevalenza. E ciò è avvenuto nel caso di specie. Del resto, una comparazione che non sia stata preceduta dall’analitica descrizione del curriculum dei magistrati da comparare può inficiare il contenuto di merito della comparazione, perché incide su completezza, trasparenza e ragionevolezza delle valutazioni, che solo sulla base di una compiuta rappresentazione dei fatti possono essere congruamente compiute. La logica, prima ancora che la lettera dell’art. 26 del Testo Unico, impone che soltanto dopo una puntuale analisi possa razionalmente procedersi alla formulazione di un giudizio attitudinale complessivo e unitario (cfr. Cons. Stato, V, 4 giugno 2019, n. 3759; 5 giugno 2019, n. 3817). È principio generale che gli atti valutativi, per essere razionali, logici e coerenti, debbono infatti essere preceduti da una cognizione manifesta, completa e adeguata degli elementi da valutare.
Non solo: è ragionevole pretendere un rafforzato impegno giustificativo nelle situazioni in cui dal quadro istruttorio acquisito emergano situazioni che portano ad una valutazione di insuperabile e sostanziale equivalenza tra i candidati (di tal che ogni rilevante scarto comparativo postuli di essere adeguatamente evidenziato e reso trasparente). Per contro, la rimarcata ed evidente divergenza, sotto il profilo qualitativo e quantitativo, tra i candidati – e tale era la situazione al vaglio – bene autorizzava una tecnica redazionale orientata alla sintesi esplicativa.
4.- Alla luce delle considerazioni che precedono, che superano anche le ragioni di doglianza rimaste assorbite in primo grado e reiterate dall’appellato, l’appello va accolto. In conseguente riforma della sentenza impugnata, deve essere respinto il ricorso di primo grado.
Sussistono giustificate ragioni, in considerazione della peculiarità della materia del contendere, per disporre l’integrale compensazione, tra le parti costituite, delle spese del doppio grado.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado.
Compensa le spese del doppio grado.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 novembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Giuseppe Severini – Presidente
Raffaele Prosperi – Consigliere
Valerio Perotti – Consigliere
Giovanni Grasso – Consigliere, Estensore
Alberto Urso – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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