Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 29 maggio 2019, n. 23792.
La massima estrapolata:
In tema di disciplina degli alimenti, anche il soggetto che svolge mere mansioni di autista del mezzo utilizzato per il trasporto dei prodotti risponde del reato di detenzione di sostanze alimentari in cattivo stato di conservazione, previsto dall’art. 5 della legge 30 aprile 1962, n. 283, in quanto, riferendosi le disposizioni della normativa citata a tutti coloro che concorrono alla immissione sul mercato dei beni destinati al consumo, anche su costui grava l’onere di assicurare le condizioni di conservazione degli alimenti durante il trasporto.
Sentenza 29 maggio 2019, n. 23792
Data udienza 19 febbraio 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROSI Elisabetta – Presidente
Dott. CERRONI Claudio – Consigliere
Dott. GENTILI Andrea – Consigliere
Dott. CORBETTA Stefano – Consigliere
Dott. ZUNICA Fabio – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato in (OMISSIS);
avverso la sentenza del 02-05-2018 del Tribunale di Busto Arsizio;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Fabio Zunica;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Cuomo Luigi, che ha concluso per l’annullamento senza rinvio della sentenza, con trasmissione degli atti al Tribunale di Milano, competente territorialmente.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 2 maggio 2018, il Tribunale di Busto Arsizio condannava (OMISSIS) alla pena di 1.000 Euro di ammenda, in quanto ritenuto colpevole del reato di cui alla L. n. 283 del 1962, articolo 5, lettera b, contestatogli per aver detenuto e trasportato, nel veicolo Fiat Punto targato (OMISSIS), quale conducente e proprietario della predetta auto, alimenti destinati alla distribuzione e al consumo, ovvero 20 cosce di suino del peso complessivo di kg. 300, in cattivo stato di conservazione; fatto accertato in (OMISSIS).
2. Avverso la sentenza Tribunale lombardo, (OMISSIS), tramite il suo difensore di fiducia, ha proposto appello, convertito poi in ricorso per cassazione, sollevando quattro motivi.
Con il primo, la difesa eccepisce l’incompetenza territoriale del Tribunale di Busto Arsizio in favore del Tribunale di Milano, evidenziando che, alla data di commissione del fatto (maggio 2013), il Comune di Buscate era compreso nella giurisdizione del Tribunale di Milano, sezione distaccata di Legnano, e che, per effetto del Decreto Legislativo n. 155 del 2012 sulla riorganizzazione degli uffici giudiziari, il Comune di Buscate veniva incluso nel circondario di Busto Arsizio, prevedendo tuttavia il medesimo decreto che la modificazione dell’assetto territoriale dei circondari non ha effetto sulla competenza dei procedimenti iscritti nel registro delle notizie di reato prima del 13 settembre 2013, per cui competente a giudicare il presente reato, anteriore al 13 settembre 2013, doveva essere il Tribunale di Milano.
Con il secondo motivo, il ricorrente deduce l’insussistenza del fatto cosi’ come contestato, osservando che nel caso di specie difettavano i presupposti necessari ai fini della configurabilita’ del reato ex L. n. 283 del 1962, articolo 5.
Con il terzo motivo, viene censurata l’affermazione della sentenza impugnata, secondo cui l’istruttoria dibattimentale sarebbe stata esaustiva, mentre in realta’, alla luce delle testimonianze raccolte, non erano stati provati il cattivo stato di conservazione degli alimenti sequestrati, la destinazione alla vendita o la somministrazione ai dipendenti dei prodotti, ne’ era stato chiarito se (OMISSIS) volesse smaltire gli alimenti ovvero destinarli al consumo personale.
Con il quarto motivo, infine, viene lamentata la violazione del principio di cui all’articolo 533 c.p.p. dell'”oltre di ogni ragionevole dubbio”, non essendo emersi a carico di (OMISSIS) elementi di prova gravi, precisi e concordanti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso e’ inammissibile per manifesta infondatezza.
1. Iniziando dal primo motivo, deve innanzitutto premettersi che la
questione sulla competenza territoriale e’ stata gia’ affrontata, con la sentenza resa il 10 gennaio 2014, dal G.U.P. presso il Tribunale di Milano, che, investito della richiesta di emissione del decreto penale di condanna avanzata dal P.M. locale, ha dichiarato l’incompetenza del Tribunale di Milano a conoscere del reato contestato, disponendo la trasmissione degli atti al P.M. presso il Tribunale di Busto Arsizio, in quanto, per effetto del Decreto Legislativo n. 155 del 2012 (“Nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero, a norma della L. 14 settembre 2011, n. 148, articolo 1, comma 2”), il Comune di Buscate, dove e’ stato accertato il fatto, era stato ricompreso nel circondario del Tribunale di Busto Arsizio, dopo che, in passato, rientrava nella giurisdizione della sezione distaccata di Legnano del Tribunale di Milano, poi soppressa.
Nella predetta sentenza e’ stato osservato che l’azione penale era stata esercitata in epoca successiva all’entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 155 del 2012, avvenuta il 13 settembre 2013, per cui doveva ritenersi competente il Tribunale bustese.
L’eccezione processuale, riproposta dalla difesa in sede di questioni preliminari, e’ stata disattesa dal Giudice monocratico di Busto Arsizio con ordinanza del 10 gennaio 2018, con cui si e’ evidenziato che l’iscrizione della notizia di reato presso la Procura bustese risaliva al 25 febbraio 2014, per cui, anche alla luce del regime transitorio di cui al Decreto Legislativo 19 febbraio 2014, n. 14, alcun conflitto di competenza e’ stato sollevato rispetto alla decisione del G.U.P. meneghino.
Cio’ non consente pertanto di riproporre in sede di legittimita’ la questione sulla competenza territoriale, dovendosi richiamare l’affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 6, n. 2556 del 26/06/1995, Rv. 202468 e Sez. 5, n. 33281 del 04/04/2016, Rv. 267722), secondo cui l’espressa dichiarazione, di cui all’articolo 568 c.p.p., comma 2, di non impugnabilita’ delle statuizioni concernenti la competenza trova ragione nel fatto che, trattandosi di pronunce che possono dar luogo a conflitto di competenza ex articolo 28 c.p.p., esse non soffrono di alcuna lacuna di garanzia giurisdizionale, rispondendo la strumento processuale di verifica a una scelta del legislatore, secondo criteri di razionalita’, speditezza e opportunita’ processuale. Di qui l’inammissibilita’ della doglianza difensiva.
2. I tre restanti motivi possono essere affrontati congiuntamente, riferendosi al giudizio di colpevolezza dell’imputato, sotto aspetti tra loro sovrapponibili.
Al riguardo, tuttavia, deve escludersi che l’affermazione della penale responsabilita’ dell’imputato presenti vizi di legittimita’ rilevabili in questa sede.
Ed invero il Tribunale ha innanzitutto operato un’adeguata ricostruzione dei fatti di causa, richiamando gli accertamenti investigativi, sintetizzati in dibattimento dai testi (OMISSIS) e (OMISSIS), da cui e’ emerso che (OMISSIS), la notte del (OMISSIS), aveva trasportato, nel bagagliaio della sua autovettura Fiat Punto, ben venti cosce di suino, poggiate una sopra l’altra.
Tali prodotti presentavano bolli riferiti a sue macelli olandesi, ma non erano accompagnati da alcuna documentazione che ne attestasse i successivi passaggi.
Le cosce di suino, pur essendo di buon aspetto, erano state tuttavia trasportate su un veicolo non idoneo, in precarie condizioni di igiene e senza alcun sistema di refrigerazione, non essendovi poi alcuna garanzia di tracciabilita’ dei prodotti. Alla stregua di tali premesse fattuali, il Tribunale e’ pervenuto alla coerente conclusione della configurabilita’ del reato contestato, dovendosi sul punto ribadire l’affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 2897 del 19/10/2006, dep. 2007, Rv. 235873), secondo cui, in tema di disciplina degli alimenti, anche il soggetto che svolge mere mansioni di autista risponde del reato di detenzione di sostanze alimentare in cattivo stato di conservazione, in quanto, riferendosi le disposizioni ex L. n. 283 del 1962 a tutti coloro che concorrono alla immissione sul mercato dei prodotti destinati al consumo, sullo stesso grava l’onere di assicurare le condizioni di conservazione degli alimenti durante il trasporto.
Ne’ appare dubitabile che la destinazione delle 20 cosce di suino fosse la vendita, trattandosi di un numero oggettivamente non compatibile con l’affermazione difensiva di un consumo personale, fermo restando che l’imputato, rimanendo legittimamente assente nel processo, ha rinunciato a fornire una versione alternativa rispetto alle risultanze investigative delineatesi a suo carico, per cui quella del consumo personale degli alimenti o della destinazione allo smaltimento sono rimaste mere ipotesi, evocate nel ricorso senza alcun conforto probatorio. Parimenti immune da censure e’ la valutazione relativa all’esistenza del requisito del “cattivo stato di conservazione”, avuto riguardo alle modalita’ improvvisate con cui le cosce di suino sono state trasportate, non essendovi ne’ un sistema di refrigerazione, ne’ alcuna copertura tra i singoli pezzi trasportati, collocati in un ambiente certamente non adatto, dovendosi evidenziare che, come gia’ chiarito da questa Corte (Sez. 3, n. 40772 del 05/05/2015, Rv. 264990), ai fini della configurabilita’ della contravvenzione per cui si procede, e’ sufficiente che sia accertato che le concrete modalita’ di conservazione siano idonee a determinare il pericolo di un danno o di un deterioramento dell’alimento, senza che rilevi la produzione di un danno alla salute, essendo il reato volto ad assicurare che il prodotto giunga al consumo con le garanzie igieniche imposte dalla sua natura.
Il giudizio sulla sussistenza del reato e sulla sua ascrivibilita’ all’odierno ricorrente, in quanto scaturito da una disamina adeguata delle fonti probatorie acquisite e sorretto da argomentazioni razionali, non presta dunque il fianco alle censure difensive, che invero risultano formulate in termini meramente assertivi, scontando peraltro il ricorso palesi limiti di autosufficienza nel richiamo alle deposizioni dei testi (OMISSIS) e (OMISSIS) che si assumono non correttamente intese dal Tribunale, mentre del tutto generica e’ rimasta l’ulteriore affermazione difensiva secondo cui l’istruttoria dibattimentale si sarebbe rivelata incompleta.
3. In conclusione, alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento.
Tenuto conto infine della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi e’ ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 2.000 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.
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