Corte di Cassazione, sezione prima civile, Ordinanza 7 settembre 2020, n. 18578.
In tema di determinazione dell’indennità di espropriazione, a seguito della sentenza della Corte cost. n. 181 del 2011, che ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 5-bis, comma 4, del d.l. n. 333 del 1992 (conv. con mod. nella l. n. 359 del 1992), e comportato in via conseguenziale l’incostituzionalità dell’art. 40, commi 2 e 3, del d.P.R. n. 327 del 2001, il sistema premiale della triplicazione dell’indennità di esproprio, riconosciuto in favore del coltivatore diretto dall’art. 17, comma 1, della l. n. 865 del 1971, al pari di quello previsto dall’art. 45, comma 2, lett. c)-d), del d.P.R. n. 327 del 2001, deve ritenersi abrogato per incompatibilità con il nuovo assetto normativo.
Ordinanza 7 settembre 2020, n. 18578
Data udienza 9 luglio 2020
Tag/parola chiave: ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITA’ O PUBBLICO INTERESSE – INDENNITA’
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente
Dott. MARULLI Marco – Consigliere
Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere
Dott. SCALIA Laura – Consigliere
Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 9841/2015 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
contro
(OMISSIS) S.r.l.;
– intimata –
avverso la sentenza n. 1759/2014 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 29/07/2014;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 09/07/2020 dal Cons. Dott. NAZZICONE LOREDANA.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza del 29 luglio 2014, la Corte d’appello di Venezia, nel contraddittorio con (OMISSIS) s.p.a., autorita’ espropriante e promotrice dell’espropriazione, e (OMISSIS) s.r.l., societa’ incaricata dell’espletamento della procedura, ha determinato le indennita’ dovute nella misura di Euro 29.208,00 per l’espropriazione del fondo, di Euro 4.056,66, per l’occupazione e di Euro 7.176,00 per l’asservimento, oltre interessi, ordinandone il deposito presso la Cassa Depositi e Prestiti, detratto quanto gia’ eventualmente versato.
La corte territoriale, per quanto ancora rileva, ha ritenuto che: a) non spetta la triplicazione dell’indennita’ di espropriazione, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2001, articolo 45, comma 2, lettera d), in quanto non risulta offerta dall’espropriante un’indennita’ provvisoria definibile non seria, tale da precludere ogni accordo, attesa la valutazione dell’espropriante in Euro 19.924,72 e quella del collegio peritale in Euro 27.991,00; b) infatti, il valore del terreno va determinato, in accordo con le conclusioni del c.t.u., tenuto conto che l’area e’ a destinazione agricola, ricercando il prezzo di mercato per terreni di analogo uso della zona ed all’epoca dell’esproprio, onde e’ corretta la stima di Euro 12,00 mq.; c) non sussiste la “configurazione” del fondo, essendo l’area espropriata di modeste dimensioni rispetto all’intero e posta a margine del fondo, senza nessun aggravio di sorta sulla gestione della rimanente ne’ diminuzione del valore; quanto al dedotto aumento di fattori inquinanti per la vicinanza ad una strada, il disagio e’ il medesimo che subiscono tutte le proprieta’ limitrofe; d) va attribuita l’indennita’ di occupazione d’urgenza e quella per asservimento; mentre ha negato indennizzi ulteriori (per diminuzione di superficie, immissioni, aumenti di costi gestionali, fascia di rispetto, minore edificabilita’ di zona agricola), richiesti a titolo risarcitorio, di competenza del tribunale, nonche’ gia’ ricompresi nell’indennita’ di esproprio o in quanto non dovuti.
Avverso la predetta sentenza viene proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi. Ha resistito con controricorso (OMISSIS) s.p.a..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Con il primo motivo, il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2001, articolo 37, comma 2 e articolo 45, comma 2, lettera d), nonche’ l’omesso esame di fatto decisivo, per non essergli stata attribuita la triplicazione dovuta alla cessione volontaria del bene, dato che la somma offerta a titolo di indennita’ provvisoria (Euro 19.924,72) era palesemente incongrua e cio’ ha impedito il raggiungimento di un accordo, onde trova applicazione la prima delle menzionate norme, pur dettata per le aree edificabili, ma estensibile a quelle agricole, secondo cui e’ sufficiente che l’offerta sia inferiore agli otto decimi di quella definitiva determinata dal giudice dell’opposizione alla stima (Euro 29.208,00) per attribuire la triplicazione.
Con il secondo motivo, deduce la violazione e la falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2001, articolo 40, per non avere la sentenza impugnata attribuito al ricorrente, coltivatore diretto, la duplicazione di cui al comma 4 della disposizione predetta, con diritto quindi ad un ulteriore importo di Euro 29.208,00.
2. – Il primo motivo e’ infondato.
Costituisce principio consolidato che, a seguito della sentenza n. 181 del 2011 della Corte costituzionale, la quale ha dichiarato l’incostituzionalita’ del Decreto Legge 11 luglio 1992, n. 333, articolo 5-bis, comma 4 (conv. con mod. nella L. 8 agosto 1992, n. 359), in combinato disposto con la L. 22 ottobre 1971, n. 865, articolo 15, comma 1, secondo periodo e articolo 16, commi 5 e 6 – e comportato, in via consequenziale, l’incostituzionalita’ del Decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327, articolo 40, commi 2 e 3 – il sistema premiale di triplicazione dell’indennita’ di esproprio di cui alla L. n. 865 del 1971, articolo 17, comma 1 – al pari di quello previsto dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2011, articolo 45, comma 2, lettera c)-d) – deve ritenersi abrogato per incompatibilita’ con il nuovo assetto normativo.
Per effetto della pronuncia della Consulta e’, infatti, venuto meno il criterio legale riduttivo di commisurazione dell’indennizzo espropriativo per i suoli agricoli, previsto dalla L. n. 865 del 1971, articolo 16, costituito dal valore agricolo tabellare, cd. VAM, di tali immobili, e, dunque, e’ stato espunto il criterio specificamente assunto anche dal precedente articolo 12, comma 1, per la determinazione del prezzo della cessione volontaria del terreno agricolo. Ne e’ derivato che anche l’articolo 17, comma 1, del medesimo testo normativo e’ stato privato del parametro legale di riferimento per la triplicazione dell’indennita’ aggiuntiva in favore del proprietario diretto coltivatore, parametro legale che non e’ surrogabile con quello del valore venale del fondo succeduto al primo, cui la norma specificamente faceva rinvio fisso, data la relativa ratio coerente ed equilibrata solo rispetto al complessivo pregresso, diverso e superato assetto economico delle riparazioni economiche indotte dalla
procedura espropriativa, quand’anche definita da cessione volontaria, ai sensi dell’articolo 12, comma 1 (in termini, cfr. Cass. 9 gennaio 2020, n. 210; Cass. 24 aprile 2014, n. 9269).
Questa incompatibilita’ si estende ai sistemi di calcolo dell’indennizzo espropriativo relativo alle espropriazioni parziali che, essendo dirette a risarcire l’intero danno sofferto dall’espropriato, avevano in qualche modo costituito anticipata manifestazione del nuovo regime conseguente alla pronuncia caducatoria della Consulta, per effetto della quale anche l’indennizzo per l’ablazione del terreno agricolo va, come noto, rapportato al valore venale pieno del fondo.
In definitiva, la triplicazione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2001, articolo 45, comma 2, lettera d), non e’ ammissibile a seguito della declaratoria di illegittimita’ dell’articolo 40, comma 3, in quanto, in caso contrario, si produrrebbe l’effetto illegittimo di una ingiusta locupletazione nella ipotesi della cessione volontaria del bene.
3. – Il secondo motivo e’ inammissibile.
Nel richiedere in questa sede la speciale indennita’ aggiuntiva, prevista dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2001, articolo 40, in relazione alla qualita’ del ricorrente di coltivatore diretto, il ricorso incorre nella violazione dell’articolo 366 c.p.c..
Occorre, invero, rammentare come, secondo il costante insegnamento di legittimita’, qualora una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – sia stata del tutto ignorata dal giudice di merito, il ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilita’ per novita’ della censura, ha l’onere non solo di allegarne l’avvenuta deduzione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo aveva fatto, onde dar modo alla Corte di controllare de visu la veridicita’ di tale asserzione (cfr. Cass. 24 gennaio 2019, n. 2038; Cass. 9 agosto 2018, n. 20694; Cass. 13 giugno 2018, n. 15430; Cass. 2 aprile 2014, n. 7694; Cass. 18 ottobre 2013, n. 23675; Cass. 28 luglio 2008, n. 20518; Cass. 31 agosto 2007, n. 18440).
Ed invero, i motivi del ricorso per cassazione devono investire a pena di inammissibilita’ questioni gia’ comprese nel thema decidendum del giudizio, di modo che e’ preclusa la proposizione di doglianze che, modificando la precedente impostazione, pongano a fondamento delle domande e delle eccezioni titoli diversi o introducano, comunque, piste ricostruttive fondate su elementi di fatto nuovi e difformi da quelli allegati nelle precedenti fasi processuali (cfr. Cass. 13 aprile 2004, n. 6989).
Nella specie, la sentenza impugnata non menziona in nessun modo l’indennita’ in questione, ne’ la relativa domanda di parte; ed il ricorrente, nel richiedere in questa sede di riscontrare l’errore della mandata attribuzione della speciale indennita’, omette di assolvere all’onere sul medesimo gravante, in forza dell’articolo 366 c.p.c..
4. – Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate in Euro 4.000,00, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, alle spese forfetarie sui compensi nella misura del 15% ed agli accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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