Corte di Cassazione, sezione tributaria, Sentenza 3 maggio 2019, n. 11631.
La massima estrapolata:
In tema di dazi non puo’ essere riconosciuto il legittimo affidamento del debitore qualora la relazione dell’OLAF, suffragata dalle prove supplementari fornite dall’autorita’ doganale, accerti la falsita’ del certificato prodotto al fine di fruire dell’aliquota daziaria ridotta, quanto all’indicazione del produttore delle merci per le quali l’aliquota ridotta e’ riconosciuta dal Reg. CE del Consiglio 16 luglio 2001, n. 1470/01, non risultando necessario il ricorso alla procedura di cooperazione interstatuale
Sentenza 3 maggio 2019, n. 11631
Data udienza 4 febbraio 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente
Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere
Dott. PERRINO Angel – Maria
Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere
Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO M.G. – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 5605 del ruolo generale dell’anno 2016, proposto da:
Agenzia delle dogane e dei monopoli, in persona del direttore pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso gli uffici della quale in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12, si domicilia;
– ricorrente –
contro
s.r.l. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso, giusta mandato speciale a margine del controricorso, dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), elettivamente domiciliatosi presso lo studio del secondo in (OMISSIS);
– controricorrente –
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Toscana, sezione distaccata di Livorno, depositata in data 31 agosto 2015, n. 1421/14/15;
udita la relazione sulla causa svolta alla pubblica udienza in data 4 febbraio 2019 dal consigliere Angelina-Maria Perrino;
udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale Umberto De Augustinis, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
sentiti per l’Agenzia delle dogane l’avvocato dello Stato (OMISSIS) e per la contribuente l’avv. (OMISSIS), per delega dell’avv. (OMISSIS).
FATTI DI CAUSA
Emerge dalla sentenza impugnata che, in esito all’adozione di misure istitutive di dazi antidumping per le importazioni di lampade fluorescenti compatte integrali CFL-i a basso consumo energetico, e al conseguente sensibile aumento di importazioni di esse non soggette all’imposizione di questi dazi, furono promosse diverse missioni dell’OLAF, allo scopo di accertare la reale origine delle lampade in questione.
Risulto’ in particolare dalla missione dell’OLAF in Tunisia che il controllo svolto nei confronti della s.r.l. (OMISSIS) in relazione alle importazioni negli anni 2007 e 2008 aveva evidenziato l’effettiva origine cinese delle lampade, in luogo della tunisina dichiarata; laddove, quanto a quelle dichiarate di origine cinese, aveva evidenziato la scorretta applicazione dell’aliquota ridotta del dazio antidumping.
In effetti, con riguardo alla dichiarazione doganale (OMISSIS) del 25 marzo 2008, presentata alla Dogana di Livorno dalla s.r.l. (OMISSIS) per conto della (OMISSIS), i risultati della missione dell’Olaf, suffragati dagli esiti degli accertamenti dei funzionari doganali, avevano evidenziato, si legge in sentenza, che la merce era stata fabbricata da societa’ cinesi diverse dalla (OMISSIS) Ltd, alla quale il Reg. CE n. 1470 del 2001 ha riconosciuto l’applicazione di un’aliquota agevolata del dazio antidumping. Sicche’ l’indicazione nel certificato FORM A che corredava le merci della produzione di esse da parte della (OMISSIS) era da ritenere falsa.
Ne segui’ l’emanazione di numerosi avvisi di rettifica per il recupero dei maggiori diritti doganali dovuti, tra l’quali quello dall’impugnazione del quale e’ scaturito l’odierno giudizio.
La Commissione tributaria provinciale di Livorno ha accolto il ricorso proposto dalla CAD e quella regionale ha rigettato il successivo appello proposto dall’Agenzia.
Ad avviso del giudice d’appello per un verso l’irregolarita’ del certificato FORM A andava verificata mediante la procedura di cooperazione regolata dal Reg. n. 2454 del 1993, articolo 94; per altro verso, l’Ufficio non ha provato l’imputabilita’ dell’affermata irregolarita’ del certificato a fatto dell’esportatore. Per conseguenza, ha concluso, emerge la buona fede della societa’ contribuente, rimasta estranea ai fatti addotti dall’Agenzia a fondamento del recupero.
Contro questa sentenza propone ricorso l’Agenzia delle dogane per ottenerne la cassazione, che affida a due motivi, cui la contribuente reagisce con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Va preliminarmente respinta l’eccezione d’inammissibilita’ del ricorso, in quanto, contrariamente a quanto sostenuto dalla contribuente, l’Agenzia ha preso le mosse giustappunto dalla ricostruzione dei fatti operata in sentenza per affermare l’erroneita’ della soluzione giuridica applicata.
2. – Parimenti infondata e’ l’eccezione di acquiescenza tacita proposta dalla societa’, in base alla considerazione che la ricorrente non avrebbe impugnato la statuizione contenuta in sentenza in base alla quale la mancata attivazione della procedura di verifica prevista dal Reg. n. 2454 del 1993, articolo 94, e’ stata rilevante per la distribuzione del carico probatorio ai fini dell’eccezione di buona fede.
Cio’ perche’, perche’ si possa configurare giudicato interno per acquiescenza, occorre che l’omessa impugnazione riguardi una “minima unita’ suscettibile di acquisire la stabilita’ del giudicato interno”, ossia la statuizione che affermi l’esistenza di un fatto sussumibile sotto una norma che a esso ricolleghi un dato effetto giuridico (in termini, fra varie, Cass., ordd. 8 ottobre 2018, n. 24783 e 16 maggio 2017, n. 12202); sicche’ l’impugnazione motivata anche in ordine a uno dei profili di applicazione del Reg. n. 2454 del 1993, articolo 94, ai fini dell’affermazione della legittimita’ dell’azione di recupero dei maggiori diritti doganali, e’ idonea a riaprire, com’e’ accaduto nel caso in esame, la cognizione sull’intera statuizione.
3. – Col primo motivo di ricorso, l’Agenzia delle dogane lamenta la violazione e falsa applicazione del Reg. CEE della Commissione 2 luglio 1993, n. 2454/93, articoli 26, 80, 81, 84, 85, 94 (nel testo modificato dal Reg. n. 1602/2000), e degli articoli 2699 e 2700 c.c., la’ dove il giudice d’appello ha affermato l’ineludibilita’ della procedura di verifica stabilita dal Reg. n. 2454 del 1993, articolo 94, per poter affermare la falsita’ del certificato FORM A quanto all’indicazione della societa’ produttrice delle lampade importate per conto della (OMISSIS) dalla s.r.l. (OMISSIS).
Il motivo e’ fondato.
3.1. – Va premesso che la riduzione daziaria invocata dalla contribuente e’ riconosciuta dal Reg. CE del Consiglio 16 luglio 2001, n. 1470 del 2001, articolo 2, comma 1, ed e’ qualificata dal considerando 53 del regolamento come trattamento individuale, giacche’, vi si legge, “Queste aliquote (a differenza del dazio istituito per il paese, applicabile a “tutte le altre societa’”) sono applicabili esclusivamente alle importazioni di prodotti originari del paese interessato e fabbricati dalle societa’ in questione e precisamente dalle specifiche persone giuridiche menzionate. I prodotti importati fabbricati da qualsiasi altra societa’ non specificamente menzionata con indicazione della ragione sociale e della sede nel disposto del presente regolamento, comprese le societa’ collegate a quelle specificamente menzionate, non possono beneficiare delle aliquote in questione e sono soggetti all’aliquota del dazio applicabile a “tutte le altre societa’”,
3.2. – Benche’, dunque, le riduzioni in questione non rientrino nel novero della “preferenze generalizzate”, ossia “delle disposizioni relative alle preferenze tariffarie concesse dalla Comunita’ per taluni prodotti originari di paesi in via di sviluppo (in appresso denominati “paesi beneficiari” (Reg. n. 2454 del 1993, articolo 67), occorre pur sempre che il presupposto al quale e’ ancorata la riduzione sia documentato; sicche’ al cospetto di un certificato inesatto le autorita’ doganali devono procedere alla contabilizzazione a posteriori dei dazi dovuti e non riscossi (da ultimo, in generale, Cass., ord. 8 febbraio 2019, n. 3739).
3.3. – In questo contesto la sentenza impugnata si muove logicamente su tre piani, sia pure frammisti:
– il primo, concernente la falsita’ del certificato che correda le lampade quanto all’indicazione della societa’ produttrice delle lampade fluorescenti;
– il secondo, relativo all’imputabilita’ della falsita’ alle dichiarazioni dell’esportatore;
– il terzo, riguardante la ripartizione dei carichi probatori in ordine a tale imputabilita’, col conseguente riverbero sulla sussistenza della buona fede dell’importatore.
4. – Quanto al primo profilo, il giudice d’appello non dubita che il certificato fosse effettivamente falso quanto all’indicazione della societa’ produttrice. Chiara espressione di questa convinzione e’ la puntigliosa ricostruzione delle indagini che hanno preceduto l’accertamento e degli esiti della missione dell’Olaf in Tunisia.
Questo convincimento e’ poggiato sull’inequivocabile risultato degli accertamenti svolti: si legge difatti in sentenza che “…per le spedizioni dirette dalla Cina, e’ stata riscontrata l’elusione del dazio antidumping in termini di scorretta applicazione dell’aliquota ridotta riconosciuta alla societa’ produttrice cinese (OMISSIS) LTD”.
Sicche’ non e’ emerso alcun presupposto perche’ l’autorita’ doganale assumesse iniziative idonee a comprovare l’identita’ della societa’ produttrice.
4.1. – Norma di riferimento e’ l’articolo 26 CDC (Reg. CEE del Consiglio 12 ottobre 1992, n. 2913/92), secondo cui “1. La normativa doganale o altre normative comunitarie specifiche possono prevedere che l’origine delle merci debba essere comprovata mediante presentazione di un documento. 2. Nonostante la presentazione di detto documento l’autorita’ doganale puo’ richiedere, in caso di seri dubbi, qualsiasi altra prova complementare per accertarsi che l’origine indicata risponda alle regole stabilite dalla normativa comunitaria”.
Nel caso in esame, dunque, non v’erano seri dubbi, poiche’ v’era certezza della falsita’ del certificato per l’aspetto in esame.
La valutazione sulla serieta’ dei dubbi spetta d’altronde al giudice nazionale (Corte giust. 30 giugno 2016, causa C-416/15, Selena Romania SRL, punto 38) e si mostra coerente con la disciplina della procedura di cooperazione amministrativa.
4.2. – Il legislatore dell’Unione richiede difatti a tal fine la sussistenza di un “ragionevole motivo di dubitare dell’autenticita’ dei documenti, del carattere originario dei prodotti in questione o dell’osservanza degli altri requisiti…” (Reg. n. 2454 del 1993, articolo 94, relativo ai certificati di origine, nonche’, nei medesimi termini, articolo 122 del medesimo regolamento, quanto ai certificati di circolazione delle merci EUR 1, nel testo modificato dal regolamento n. 1602/00, applicabile all’epoca dei fatti).
4.3. – Ne’, come pare sostenere la controricorrente, l’acquisizione della certezza della falsita’ postula comunque l’espletamento della procedura.
Da un lato, difatti, il certificato di corredo delle merci non e’ precostituito a garanzia della pubblica fede (tra varie, con riguardo al certificato FORM A, Cass. 6 marzo 2013, n. 5531; 15 marzo 2013, n. 6637 e 30 ottobre 2013, n. 24439); sicche’ per superarne le risultanze non e’ ineludibile il ricorso a procedure formali.
D’altro lato, sicura rilevanza probatoria va riconosciuta alla relazione dell’Olaf, ufficio Europeo per la lotta antifrode, a meno che essa non si limiti a contenere una mera descrizione dei fatti (Corte giust. 16 marzo 2017, causa C-47/16, Veloserviss SIA, punto 48; nella giurisprudenza interna, tra varie, Cass. 21 aprile 2017, n. 10118).
Dal regolamento relativo alle indagini dell’Olaf (Reg. CEE del Parlamento Europeo e del Consiglio 25 maggio 1999, n. 1073/99), articolo 9, par. 2, risulta difatti che le relazioni in questione costituiscono, al medesimo titolo e alle medesime condizioni di quelle redatte dagli ispettori amministrativi nazionali, elementi di prova ammissibili nei procedimenti amministrativi o giudiziari dello Stato membro nel quale risulti necessario avvalersene. Sicche’ soltanto se esse abbiano contenuto generico e quindi insoddisfacente le autorita’ doganali sono tenute a ricercare elementi di prova supplementari (Corte giust. 26 ottobre 2017, causa C-407/16, “Aqua Pro” SIA, punto 60); nella giurisprudenza interna, cfr., da ultimo, Cass. ord. 12 gennaio 2018, n. 615).
4.4. – Nel caso in esame, si riferisce in sentenza che la “missione OLAF svolta in Tunisia nel periodo compreso tra il 29 febbraio e il 18 marzo 2008” aveva consentito di accertare che “varie societa’ produttrici di lampade usavano, in allegato alle dichiarazioni doganali, documenti della societa’ (OMISSIS) LTD al fine di poter usufruire del dazio antidumping ridotto riconosciuto a quest’ultima”.
Ciononostante, l’autorita’ doganale ha ricercato prove supplementari, che ha reperito, prosegue il giudice d’appello, per il tramite di controlli svolti nei confronti della societa’ (OMISSIS) Srl, le quali hanno consentito di acclarare, appunto, la “scorretta applicazione dell’aliquota ridotta riconosciuta alla societa’ produttrice cinese (OMISSIS) LTD”, escludendo, per mezzo della certezza cosi’ evidenziata, qualunque dubbio sulla falsita’ del certificato. E tanto ha fatto, l’autorita’ doganale, nell’esercizio del proprio potere discrezionale: “le autorita’ doganali possono essere indotte a fornire elementi di prova supplementari a tal fine, segnatamente per quanto riguarda il comportamento rilevante dell’esportatore o delle autorita’ doganali dello Stato di esportazione, in particolare effettuando controlli a posteriori” (Corte giust. in causa C- 407/16, punto 60; Corte giust. in causa C-416/15, cit., punto 36).
5. – Il primo motivo di ricorso, che affronta questo primo aspetto, va dunque accolto, perche’ e’ erronea la statuizione della sentenza impugnata secondo cui “le irregolarita’ dei certificati attestanti l’origine vanno – sempre – verificate con la procedura prescritta al Reg. n. 2454 del 1993, articolo 94, di attuazione del Codice Doganale Comunitario”.
6. – Cio’ di cui il giudice d’appello dubita, e che investe il secondo piano di rilevanza della vicenda, e’ l’imputabilita’ all’esportatore della falsita’ dell’indicazione contenuta nel certificato.
Al cospetto del dubbio, il giudice d’appello, passando al terzo piano di rilevanza della vicenda, ha applicato una regola di giudizio in virtu’ della quale grava sull’autorita’ doganale il relativo onere probatorio; sicche’, in mancanza di tale prova, ha reputato operante l’eccezione di buona fede dell’importatore prevista dal Reg. CEE del Consiglio 12 ottobre 1992, n. 2913/92, articolo 220.
Queste statuizioni sono state aggredite col secondo motivo di ricorso, col quale l’Agenzia denuncia la violazione del Reg. n. 2913 del 1992, articolo 220, par. 2, lettera b) e del Decreto Legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, articolo 5, comma 1: la ricorrente ha sostenuto che la circostanza che la contribuente sia rimasta inerte, nonostante avesse l’obbligo di assicurarsi dell’effettiva origine di prodotti importati, ne escluda in radice la possibilita’ di far valere la propria buona fede.
Anche questo motivo e’ fondato.
6.1. – In generale la Corte di giustizia (da ultimo con la sentenza resa in causa C-47/16, cit.) ha chiarito che la disciplina sul legittimo affidamento del debitore compendiata nell’articolo 220 CDC scaturisce dalla condivisione del rischio derivante da errori o da irregolarita’ che viziano una dichiarazione doganale in funzione del comportamento e della diligenza di ciascuno dei soggetti coinvolti, ossia le autorita’ competenti dello Stato di esportazione e quelle dello Stato di importazione, l’esportatore nonche’ l’importatore.
6.2. – In particolare, pero’, va segnalato che nel caso in esame non si dibatte l’origine della merce, ossia la sua provenienza da uno dei paesi beneficiari di un sistema di preferenze daziarie, ma si discute della sola identita’ del soggetto che ha prodotto le merci in virtu’ del Reg. n. 1470 del 2001, che ha riconosciuto per tali merci l’aliquota agevolata del dazio antidumping invocata in giudizio, richiamando le misure previste in via provvisoria dal regolamento CE della Commissione 7 maggio 2001, n. 255/01.
6.3. – La circostanza che l’aliquota agevolata non scaturisca da un accordo internazionale fra l’Unione e uno Stato terzo, sibbene da un provvedimento autonomo dell’Unione conforma anche la fisionomia dell’obbligo delle amministrazioni doganali di accettare le valutazioni compiute dalle autorita’ dello Stato esportatore.
Sicche’ le autorita’ dello Stato di esportazione non possono vincolare l’Unione e gli Stati membri alla loro valutazione relativa ai certificati allorche’ le autorita’ doganali dello Stato d’importazione seguitino a nutrire dubbi, nonostante che i certificati non siano stati dichiarati invalidi (per l’affermazione di un principio analogo, sia pure in relazione all’origine delle merci, si veda il punto 36 della sentenza Lagura della Corte di giustizia).
6.4. – Si confa’ pienamente alla vicenda, allora, il principio piu’ volte fissato dalla giurisprudenza unionale, secondo il quale e’ compito degli operatori economici adottare, nell’ambito dei loro rapporti contrattuali, i provvedimenti necessari per premunirsi contro i rischi di un’azione di recupero a posteriori e che una simile prevenzione puo’ consistere, in particolare, nel fatto che il debitore ottenga dall’altro contraente, al momento della conclusione del contratto o successivamente, tutti gli elementi di prova idonei a ottenere il trattamento preferenziale (Corte giust. in causa C407/16, cit., punto 82; in causa C-438/11, Lagura Vermogensverwaltung, punti 30 e 31, nonche’ in causa C-407/16, cit., punto 38).
7. – Ne’ incide la circostanza, sulla quale punta la controricorrente, che non vi sarebbe stato contatto diretto con la societa’ produttrice, ma soltanto con l’intermediaria (OMISSIS): e cio’ ancora in base alla giurisprudenza unionale, secondo cui i principi summenzionati si applicano anche nel caso in cui l’importatore non ha alcun rapporto contrattuale diretto con l’esportatore di tali merci (Corte giust. in causa C-407/16, punto 86).
8. – Non sussiste, dunque, nel caso in esame legittimo affidamento della contribuente che, pur assumendo di aver importato merci prodotte dalla (OMISSIS), non sia stata in grado di superare gli elementi di prova che, invece, hanno escluso che la merce fosse stata prodotta da quella societa’.
9. – In definitiva, in accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Toscana in diversa composizione, che esaminera’ anche le questioni rimaste assorbite di cui da’ conto il controricorso, se ritualmente proposte, con l’affermazione del seguente principio di diritto:
“In tema di dazi, non puo’ essere riconosciuto il legittimo affidamento del debitore qualora la relazione dell’OLAF, suffragata dalle prove supplementari fornite dall’autorita’ doganale, accerti la falsita’ del certificato prodotto al fine di fruire dell’aliquota daziaria ridotta, quanto all’indicazione del produttore delle merci per le quali l’aliquota ridotta e’ riconosciuta dal Reg. CE del Consiglio 16 luglio 2001, n. 1470/01, non risultando necessario il ricorso alla procedura di cooperazione interstatuale”.
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Toscana in diversa composizione.
Leave a Reply