Corte di Cassazione, sezione sesta penale, Sentenza 3 agosto 2020, n. 23494.
In tema di confisca di prevenzione, lo stato di incapacità del proposto e il suo decesso in corso di procedimento non assumono rilievo con riferimento alla misura disposta nei confronti dei suoi eredi dopo la morte, in quanto ai predetti sono assicurate tutte le facoltà e i mezzi necessari per difendersi e per contestare la valutazione di pericolosità del dante causa, non rilevando che quest’ultimo, in precedenza, non si sia potuto difendere attivamente.
Sentenza 3 agosto 2020, n. 23494
Data udienza 2 luglio 2020
Tag – parola chiave: Misura di prevenzione della confisca – Pericolosità qualificata – Distinzione con la pericolosità generica – Dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Decorso del tempo – Irrilevanza per la misura della confisca – Applicazione della cofnisca entro 5 anni dal decesso del preposto – Omessa trascrizione del sequestro – Irrilevanza – Ratio
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETRUZZELLIS Anna – Presidente
Dott. VILLONI Orlando – Consigliere
Dott. DE AMICIS Gaetano – Consigliere
Dott. AMOROSO Riccar – rel. Consigliere
Dott. VIGNA Maria S. – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1. (OMISSIS), nata a (OMISSIS);
2. (OMISSIS), nata a (OMISSIS);
3. (OMISSIS), nata a (OMISSIS);
4. (OMISSIS), nata a (OMISSIS);
5. (OMISSIS), nata a (OMISSIS);
6. (OMISSIS), nata ad (OMISSIS);
avverso il decreto del 31/10/2019 della Corte di Appello di Napoli;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Riccardo Amoroso;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Casella Giuseppina, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso;
lette le memorie dei difensori dei ricorrenti (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), e (OMISSIS), che hanno concluso per l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con il provvedimento in epigrafe, La Corte di Appello di Napoli, nel procedimento di prevenzione a carico di (OMISSIS), quale proposto deceduto in data 10/11/2017, proseguito ex Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 18 nei confronti dei suoi eredi, la moglie (OMISSIS) e le quattro figlie (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), nonche’ nei confronti di (OMISSIS), quale terza interessata, ha confermato il decreto emesso dal Tribunale di Napoli in data 24/01/2018, che ha disposto la misura di prevenzione della confisca con riferimento ad alcuni beni immobili nella titolarita’ di (OMISSIS) e della sorella (OMISSIS), caduti in successione e pervenuti ai predetti eredi per le quote intestate al proposto.
La Corte ha confermato la valutazione di pericolosita’ qualificata del proposto (OMISSIS) come operata dal Tribunale, ritenuto appartenente alla associazione mafiosa denominata “clan (OMISSIS)” di (OMISSIS), sodalizio al quale il predetto avrebbe aderito per un lunghissimo arco temporale di oltre trenta anni a partire dai primi reati in materia di legge armi commessi nel 1980 e fino all’anno 2003, quando a seguito di un arresto cardiocircolatorio venne ricoverato in ospedale con postumi gravi invalidanti fino al decesso nel 2017.
2. Nell’interesse di (OMISSIS) e di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), il comune difensore ha proposto ricorso articolando i motivi di seguito indicati.
2.1. Con il primo motivo si deduce violazione di legge per motivazione apparente o carente in merito alla ritenuta sussistenza dei presupposti della pericolosita’ sociale del proposto, della sua attualita’ al tempo della decisione di primo grado. Si rileva al riguardo che la pericolosita’ qualificata del proposto e’ stata desunta dagli elementi indiziari tratti dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia dal contenuto generico, in assenza di riferimenti a fatti specifici, tale non potendo essere considerata la riferita vicinanza alla vedova (OMISSIS), in assenza di condanne per fatti-reato commessi al fine di favorire il “clan (OMISSIS)”.
Nel ricorso si censurano come inattendibili le propalazioni della sorella del proposto, la errata valutazione degli elementi addotti dalla difesa (la sentenza (OMISSIS) + altri, per l’intervenuto proscioglimento di (OMISSIS) nell’udienza preliminare), e si rimarca la ridotta valenza dell’affermazione del Giudice per le indagini preliminari secondo cui il (OMISSIS) avrebbe sicuramente realizzato le condotte ascrittegli in epoca precedente al (OMISSIS), atteso il suo carattere congetturale.
2.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge per motivazione apparente con riferimento alla perimetrazione cronologica della sua pericolosita’ sociale posta in correlazione con il tempo delle acquisizioni dei beni di cui e’ stata disposta la confisca.
Al riguardo si censurano le valutazioni del riferito ruolo svolto nell’attivita’ usuraria per conto del clan (OMISSIS), senza che siano intervenute condanne.
E si censura la confisca di beni acquistati negli anni 90 a fronte di una pericolosita’ insorta attorno al 2004.
3. Nell’interesse di (OMISSIS) ha proposto ricorso l’avvocato (OMISSIS) articolando i motivi di seguito indicati.
3.1. Con il primo motivo si deduce violazione di legge con riferimento alla mancata trascrizione del sequestro a carico della predetta, non essendo valida ed opponibile alla medesima la trascrizione disposta a carico del solo cointestatario del bene, ovvero il fratello (OMISSIS), tenuto conto del carattere personale e non reale del regime di pubblicita’ immobiliare costituito dal sistema delle trascrizioni a norma dell’articolo 2643 c.c. e ss..
3.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge in merito alla ritenuta sussistenza dei presupposti per la confisca della quota di terreno e del fabbricato edificatovi a spese della ricorrente, in assenza di prove della provenienza illiceita’ dei relativi investimenti.
Al riguardo si censura come illegittima l’inversione dell’onere della prova in violazione degli articoli 6 e 7 della CEDU, perche’ riferita ad un soggetto terzo, che solo per il suo rapporto di parentela viene considerato sospetto, sebbene non sia destinatario della misura di prevenzione e non risulti quindi gravato da una valutazione negativa circa la provenienza illecita dei propri redditi.
4. In data 26 giugno 2020, gli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), in difesa dei ricorrenti, hanno fatto pervenire memorie di replica con cui hanno ribadito la fondatezza delle ragioni dei rispettivi ricorsi, insistendo nel loro accoglimento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono inammissibili in quanto proposti in parte per motivi manifestamente infondati e in parte per motivi non consentiti, con le conseguenze di cui all’articolo 616 c.p.p..
Si deve premettere che, ai sensi del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 10, comma 3 e articolo 27, comma 2, nella materia delle misure di prevenzione, avverso il decreto della Corte d’appello il ricorso per cassazione e’ ammesso solo per violazione di legge, e che, in tema di sindacato sulla motivazione, e’ esclusa dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimita’ l’ipotesi dell’illogicita’ manifesta, potendosi esclusivamente denunciare con il ricorso, poiche’ qualificabile come violazione dell’obbligo di provvedere con decreto motivato, il caso di motivazione inesistente o meramente apparente (Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014 – dep. 29/07/2014, Repaci e altri, Rv. 260246).
2. Passando all’esame dei ricorsi proposti dagli eredi del proposto (OMISSIS), deceduto in data (OMISSIS), si deve rilevare che sebbene siano stati articolati tanto per violazione di legge che per vizio di motivazione, in realta’ investono unicamente motivi concernenti la motivazione del provvedimento impugnato, senza che possa rilevarsi alcuna carenza motivazionale attesa l’ampiezza delle argomentazioni svolte dalla Corte territoriale che ha esaurientemente valutato i motivi di appello.
Con riferimento alla pericolosita’ qualificata di (OMISSIS), la Corte di appello ha fornito adeguata motivazione delle ragioni per le quali ha ritenuto sussistenti gli indizi a suo carico di appartenenza ad una associazione mafiosa.
In effetti, pur prendendo atto del proscioglimento disposto dal Giudice dell’udienza preliminare con la sentenza emessa in data 17/05/11, nella motivazione del decreto impugnato si da’ conto che nella sentenza di proscioglimento non sono state valutate le condotte di partecipazione all’associazione mafiosa riferite al periodo precedente al (OMISSIS), solo perche’ al di fuori della contestazione dell’imputazione relativa al periodo successivo (dall’anno 2004), rispetto al quale lo stato vegetativo in cui si sarebbe trovato l’imputato a causa della propria malattia avrebbe escluso la prosecuzione del legame associativo con decorrenza dal (OMISSIS).
La Corte di appello, evidenziando non solo la diversita’ dei presupposti richiesti per l’applicazione della misura di prevenzione, ma ripercorrendo nel merito la valutazione autonoma delle risultanze istruttorie basate sulle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, ha ritenuto dette risultanze idonee a dimostrare che il (OMISSIS) abbia fatto parte del citato sodalizio mafioso, per essersi occupato del settore delle usure e delle estorsioni correlate al recupero dei crediti.
L’autonomia del procedimento di prevenzione da quello penale non consente di ritenere, come preteso dal ricorrente, che la pronuncia del proscioglimento, a fronte della disposta applicazione di una misura cautelare sulla base di elementi rivalutati in sede di prevenzione, comporti il venir meno del fondamento della pericolosita’ desunto dall’autonoma verifica operata nel procedimento di prevenzione della condizione soggettiva di indiziato di appartenenza ad una associazione mafiosa.
Nel caso in esame nel decreto impugnato viene operata una autonoma valutazione delle risultanze delle indagini condotte nel procedimento penale, che sono state ripercorse attraverso la valorizzazione delle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia (OMISSIS) (sorella del proposto ed amante di (OMISSIS), uno dei capi del clan dei (OMISSIS)), (OMISSIS) e (OMISSIS), a supporto della ritenuta appartenenza a partire dalla seconda meta’ degli anni 80 al clan (OMISSIS) di (OMISSIS) e fino al giorno del ricovero ospedaliero del 20/05/2003, dovuto ad un arresto cardiocircolatorio, che, per i postumi invalidanti irreversibili derivatine, ha determinato la cessazione della sua partecipazione all’associazione, in ragione della ritenuta impossibilita’ di proseguire il suo percorso criminale.
3. Con riferimento alla collocazione temporale della pericolosita’
qualificata, la Corte ha fatto buon governo dei principi affermati dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 4880 del 26/06/2014, Spinelli, Rv. 262605, secondo cui la pericolosita’ sociale, oltre ad essere presupposto ineludibile della confisca di prevenzione, e’ anche “misura temporale” del suo ambito applicativo, con l’ulteriore specificazione che, mentre con riferimento alla c.d. pericolosita’ generica, sono suscettibili di ablazione soltanto i beni acquistati nell’arco di tempo in cui si e’ manifestata la pericolosita’ sociale, con riferimento alla c.d. pericolosita’ qualificata, il giudice dovra’ accertare se questa investa, come ordinariamente accade, l’intero percorso esistenziale del proposto, o se sia individuabile un momento iniziale ed un termine finale della pericolosita’ sociale, al fine di stabilire se siano suscettibili di ablazione tutti i beni riconducibili al proposto ovvero soltanto quelli ricadenti nel periodo temporale individuato.
Nel decreto impugnato sono state spiegate le ragioni della collocazione dell’inizio e della fine della pericolosita’ in rapporto all’arco di tempo che va dal 1989 al 2003, epoca in cui si sono realizzati tutti gli incrementi patrimoniali confiscati, con motivazione adeguata ed immune dai vizi strutturali censurabili in sede di legittimita’ ove si traducano in una carenza assoluta di motivazione.
Con riferimento alle censure per la disposta applicazione della misura di prevenzione patrimoniale dopo che il proposto non era piu’ pericoloso per la sua condizione di invalidita’ dal 2003 fino alla morte intervenuta nel 2017, e senza che siano mai state emesse sentenze di condanna per il reato di associazione mafiosa, si deve ribadire che il decorso del tempo dalla cessazione della
pericolosita’, sebbene considerevole, e’ ininfluente rispetto all’applicazione della misura di prevenzione patrimoniale, in forza del principio di reciproca autonomia tra le misure personali e patrimoniali, che consente di applicare la confisca prescindendo dal requisito della pericolosita’ del proposto al momento
dell’adozione della misura, essendo solo rilevante che la pericolosita’ sia
accertata con riferimento all’epoca dell’acquisto del bene oggetto della richiesta ablatoria. (Sez. 1, n. 32398 del 21/03/2014, Cirillo, Rv. 260281).
Inoltre, va ricordato, per un verso, che le misure di prevenzione personali e patrimoniali possono essere disposte disgiuntamente e indipendentemente dalla pericolosita’ sociale del proposto al momento della richiesta della misura (articolo 18, comma 1, D.L.vo n. 159/2011) e, dall’altro, che la confisca puo’ essere disposta, in caso di morte del proposto, nei riguardi dei successori a titolo universale o particolare, entro cinque anni dalla data del decesso (Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 18, commi 2 e 3), essendo solo necessario che tale pericolosita’ sia accertata con riferimento all’epoca dell’acquisto del bene oggetto della richiesta ablatoria.
In merito alla assenza di pronunce di condanna, si deve ribadire che l’autonomia del procedimento di prevenzione consente di applicare le misure di prevenzione patrimoniale addirittura anche in caso di assoluzione del proposto, essendo solo richiesto che nel provvedimento applicativo della misura siano spiegate le ragioni dell’eventuale difforme valutazione operata nel giudizio penale, e del perche’ siano stati ritenuti rilevanti i fatti posti alla base del giudizio di pericolosita’, sebbene gli stessi non abbiano portato ad una condanna penale.
Nel caso in esame la ragione del proscioglimento e’ stata indiscutibilmente ravvisata nello stato di malattia del proposto che, oltre a determinare la cessazione della prosecuzione del reato di partecipazione all’associazione mafiosa, avrebbe anche precluso ogni ulteriore accertamento in sede di giudizio penale per il pregresso, in considerazione della sua rilevata condizione di soggetto non processabile per incapacita’ di partecipare coscientemente al processo.
Diversamente, nel procedimento di prevenzione lo stato di incapacita’ del proposto non assume alcun rilievo con riferimento all’applicazione della misura patrimoniale della confisca disposta nei confronti degli eredi dopo la sua morte, atteso che ai predetti sono state assicurate tutte le facolta’ ed i mezzi necessari per difendersi e per contestare la valutazione di pericolosita’ del loro dante causa, ed essendo gli eredi del soggetto della cui pericolosita’ si tratta le uniche parti del procedimento di prevenzione che puo’ iniziare, nel termine suddetto di anni cinque, anche dopo la morte del soggetto nei confronti del quale poteva essere disposta la confisca (Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 18, comma 3).
4. Va ora esaminato il ricorso proposto da (OMISSIS), le cui doglianze sono in parte efferenti il dato formale relativo alla trascrizione del sequestro del bene immobile cointestato pro quota in capo alla predetta, ed in parte, la presunzione ingiustificata della provenienza illecita dei suoi redditi.
Entrambe le questioni sono inammissibili.
La ricorrente si duole dell’omessa trascrizione del sequestro nei limiti della quota di proprieta’ indivisa ad essa spettante, deducendo la conseguente inefficacia della confisca disposta nei suoi confronti dell’immobile costituito dall’edificio di quattro piani costruito sul terreno di mq. 205 alienato dalla propria madre, (OMISSIS), ai suoi due figli, (OMISSIS) (il proposto deceduto) e la ricorrente (OMISSIS).
Secondo la ricorrente poiche’ la trascrizione sui registri immobiliari e’ informata al criterio “personale” della ricerca per nome del soggetto cui si riferisce il bene e non al criterio “reale” della ricerca diretta del bene immobile, la trascrizione del sequestro essendo relativa ad un bene cointestato andava fatta non solo “contro” il fratello cointestatario, ma anche “contro” la stessa ricorrente.
La questione per come e’ stata posta dalla ricorrente e’ priva di concreta rilevanza.
L’assunto della ricorrente, dell’inefficacia sia del sequestro che della conseguente confisca disposta nei suoi confronti per la quota indivisa della meta’ dell’intero fabbricato, si fonda sull’erronea applicazione degli effetti della trascrizione previsti in rapporto alla opponibilita’ rispetto ai terzi degli atti che incidono sulla titolarita’ dei diritti reali sui beni immobili, che sono regolati dalle norme del codice civile, ed in particolare dagli articolo 2644 e 2650 c.c. che attribuiscono alla pubblicita’ una efficacia sostanzialmente costituiva, ma unicamente nei confronti dei terzi, in forza della prevalenza riconosciuta nel conflitto tra piu’ acquirenti dello stesso bene a colui che abbia trascritto l’atto per prima, indipendentemente dalla data del titolo di acquisto e sempre che sia assicurata la continuita’ delle trascrizioni.
Si deve considerare pero’ che il soggetto terzo agli effetti della trascrizione immobiliare e’ solamente il soggetto che non sia parte dell’atto non trascritto, ovvero colui che, nel caso di atto negoziale, abbia acquistato il proprio diritto sul bene in forza di un titolo diverso da quello trascritto e, nel caso di decisione giudiziaria, colui che non sia parte del procedimento nel quale e’ stato emesso il provvedimento giudiziario produttivo dell’effetto giuridico, sia esso un vincolo di indisponibilita’ del bene come nel caso del sequestro, sia esso un effetto estintivo-costitutivo del diritto reale come nel caso di confisca.
E’ evidente, infatti, che rispetto al soggetto che sia stato parte del procedimento di prevenzione, anche se “terzo” rispetto al proposto per l’applicazione della misura di prevenzione personale, non assume alcuna rilevanza ai fini della efficacia del sequestro e della confisca l’omessa o irregolare esecuzione della trascrizione del vincolo giudiziario sul bene oggetto del provvedimento di ablazione.
In tale caso, infatti, il terzo che vanti diritti di proprieta’ sul bene oggetto della richiesta di confisca di prevenzione e’ stato messo in condizione di difendersi e di far valere le proprie ragioni nel corso del procedimento, con la conseguenza che il provvedimento ablativo esplica direttamente i propri effetti nei suoi confronti, in assenza di atti traslativi dello stesso bene oggetto del procedimento di prevenzione, rispetto ai quali soltanto puo’ sorgere il conflitto tra titolo di acquisto e provvedimento di sequestro, regolato dal principio della prevalenza dell’atto trascritto per prima.
Nel caso di specie, il sequestro e la confisca sono stati disposti nei confronti di (OMISSIS) nel procedimento di prevenzione cui la stessa e’ stata ammessa a partecipare, pertanto la ricorrente ha subito direttamente gli effetti della decisione giudiziaria in posizione analoga a quella della parte del procedimento di prevenzione, senza che possa rilevare, ai fini dell’efficacia nei suoi confronti del provvedimento ablativo, l’eventuale erronea esecuzione del sequestro.
Nei confronti del soggetto destinatario diretto del provvedimento giudiziario di ablazione, sia esso il proposto o il terzo intestatario interposto dei beni ritenuti nella effettiva disponibilita’ del primo, la mancata esecuzione del sequestro con la trascrizione nei registri immobiliari, afferendo alle modalita’ formali di costituzione del vincolo nei confronti dei terzi, non incide ne’ sulla validita’ della confisca del bene e ne’ sulla efficacia del vincolo imposto sul bene.
Cio’ perche’ rispetto al soggetto nei cui confronti si e’ svolto il procedimento di prevenzione la confisca ed il sequestro sono provvedimenti immediatamente vincolanti ed efficaci, indipendentemente dalla efficacia nei confronti dei terzi estranei al procedimento, nei confronti dei quali soltanto si puo’ porre in concreto il problema della salvezza dei diritti acquistati nelle more del procedimento, in forza di titoli di trasferimento trascritti anteriormente alla trascrizione del sequestro.
Il soggetto parte del procedimento con cui si dispone il sequestro e poi l’ablazione del bene non ha neppure alcun interesse a dolersi della irregolare o omessa esecuzione del provvedimento ablativo, atteso che l’inosservanza delle forme di pubblicita’ previste per l’opponibilita’ nei confronti dei terzi del vincolo giuridico di indisponibilita’ a norma dell’articolo 114 disp att. c.p.p. richiamato dal Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 21 – costituisce una omissione che si ripercuote solo sull’efficacia dei provvedimenti ablativi nei confronti dei terzi, estranei al procedimento.
Va, infine, osservato che la inconsistenza delle doglianze del ricorrente e’ resa, peraltro, evidente dalla irrilevanza del sequestro rispetto alla validita’ della confisca, che puo’ essere legittimamente disposta anche se non preceduta da un provvedimento di sequestro (principio pacifico; da ultimo S.U. n. 20215 del 23/02/2017, Yang Xinjao, Rv. 269590).
Se e’ consentito disporre la confisca di un bene non precedentemente sequestrato, non si vede come possa l’omessa trascrizione del provvedimento di sequestro condizionare la validita’ e legittimita’ del provvedimento di confisca.
4. Passando al secondo motivo del ricorso si deve rilevare che la relativa doglianza e’ evidentemente improponibile in questa specifica sede in ragione dei limitati profili di possibile ricorso cui si e’ sopra fatto cenno.
Le critiche e le censure difensive, in realta’, attengono tutte a valutazioni di merito, non lamentano in effetti alcun effettivo vizio di legittimita’ e si rivolgono nei confronti di una motivazione che ha accuratamente esaminato i presupposti soggettivi ed oggettivi della disposta confisca, con argomentazioni che non possono certamente essere ricondotte nelle ipotesi di motivazione omessa e/o apparente che sole legittimano, come si e’ detto, il ricorso per cassazione contro provvedimenti pronunciati in materia di misure di prevenzione.
La ricostruzione della vicenda della edificazione del fabbricato sul suolo di fatto donato ai due figli, fratello e sorella, dalla loro madre e’ ben motivata, senza ricorso a presunzioni o a valutazioni frutto di pregiudizio immotivato.
La ricorrente non si confronta affatto con gli argomenti posti a fondamento della accertata disponibilita’ dell’immobile da parte del proposto, per essere stato costui l’unico soggetto ad averne avuto il possesso nel corso degli anni in cui risultano essere state eseguite le opere di edificazione del fabbricato sul suolo alienato dalla madre in comproprieta’ ai due figli.
Quindi l’unica presunzione applicata e’ solo quella legale in merito alla provenienza illecita dei capitali del proposto, perche’ ritenuto soggetto indiziato di appartenenza ad una associazione mafiosa e privo di comprovati redditi leciti, mentre per la quota intestata alla sorella non e’ l’acquisto del terreno che e’ stato ritenuto di provenienza illecita (trattandosi della donazione della madre), ma il fabbricato edificato dal fratello con il reimpiego dei suoi capitali illeciti.
Al riguardo giova rammentare il principio secondo cui in tema di misure di prevenzione e’ legittima la confisca di un edificio realizzato con fondi di provenienza illecita su un suolo di provenienza lecita, se il primo abbia un valore preponderante rispetto al secondo, poiche’, quando un bene si compone di piu’ unita’, il regime penalistico cui assoggettare il cespite nella sua interezza e’ quello proprio della parte di valore economico e di utilizzabilita’ nettamente prevalenti, diventando irrilevante il principio civilistico dell’accessione (Sez. 6, n. 18807 del 30/10/2012, Martino, Rv. 255091).
5. Dalla declaratoria di inammissibilita’ dei ricorsi consegue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti, oltre che al pagamento delle spese del procedimento, anche a versare ciascuno una somma che si ritiene congruo determinare in tremila Euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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