Corte di Cassazione, penale, Sentenza|14 aprile 2021| n. 14017.
In tema di bancarotta fraudolenta, è legittimo il sequestro preventivo del complesso aziendale e della totalità delle quote di una società, indicata come destinataria di beni distratti dalla società fallita, laddove sia accertato il collegamento strumentale tra il reato fallimentare e la cosa sequestrata e non si superi il valore attribuito ai beni distratti.
Sentenza|14 aprile 2021| n. 14017
Data udienza 20 gennaio 2021
Integrale
Tag – parola chiave: MISURE CAUTELARI – PERSONALI
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CATENA Rossella – Presidente
Dott. GUARDIANO Alfredo – Consigliere
Dott. SESSA Renata – rel. Consigliere
Dott. TUDINO Alessandrina – Consigliere
Dott. BORRELLI Paola – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 10/09/2020 del TRIB. LIBERTA’ di CATANIA;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. RENATA SESSA;
lette le conclusioni del PG Dr. SENATORE VINCENZO, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. (OMISSIS) ricorre, per mezzo del difensore di fiducia, avverso l’ordinanza del 10.9.2020, con la quale il Tribunale del Riesame di Catania ha confermato il provvedimento di sequestro preventivo emesso il 24.7.2020, anche nei suoi confronti, dal Giudice delle indagini preliminari della medesima citta’, in relazione ai reati di cui all’articolo 110 c.p. e Regio Decreto n. 267 del 1942, articoli 216, 219 e 223, ovvero a plurime condotte di bancarotta fraudolenta patrimoniale, documentale ed impropria (di cui ai capi A, B e C dell’imputazione provvisoria).
2. Il ricorrente censura l’ordinanza impugnata deducendo quattro motivi.
2.1. Con il primo motivo denuncia la assoluta coincidenza delle contestazioni contenute nel capo A (in cui viene contestato il reato di bancarotta patrimoniale di cui al Regio Decreto n. 267 del 1942, articolo 216), rispetto a quelle contenute nel capo B (nel quale e’ contestato il delitto di cui al Regio Decreto n. 267 del 1942, articolo 223, comma 2, n. 2 richiamando le medesime condotte di cui al capo A che precede ovvero quelle distrattive).
Tale totale sovrapposizione – inammissibile a tenore della giurisprudenza di questa Corte che richiede, ai fini dell’integrazione anche del reato di cui all’articolo 223, comma 2, n. 2, che le condotte non si siano esaurite nelle azioni distrattive gia’ ricomprese nello schema della bancarotta di cui all’articolo 216, ma si siano verificati autonomi e differenti comportamenti dolosi i quali siano stati causa del fallimento – si traduce, peraltro, nell’ambito della impugnata ordinanza, nella totale assenza di motivazione in relazione al delitto di cui al capo B, al punto che il Tribunale del Riesame si limita ad osservare che si tratta di una imputazione meramente provvisoria, cristallizzandosi la formulazione della stessa solo al momento dell’esercizio effettivo dell’azione penale (e, poi, nelle conclusioni, ad un sintetico richiamo alle manovre distrattive, corredato da alcune massime di questa Corte).
In relazione a tale considerazione la difesa ribadisce l’assenza di motivazione in relazione ai gravi indizi sullo specifico delitto contestato al capo B, che ha reiterato il vizio gia’ presente nella ordinanza genetica parimenti carente al riguardo.
2.2.Con il secondo motivo deduce il vizio di motivazione in relazione al reato di bancarotta per distrazione (per essere essa meramente apparente, riproduttiva della impostazione del G.i.p. senza considerare quanto detto dalla difesa anche nella memoria difensiva e quanto risultante dalla documentazione prodotta).
Nella memoria difensiva si era, in particolare, evidenziato che l’unica “colpa” dei soci della fallita (OMISSIS) era stata quella di avere affiancato (OMISSIS), gia’ collaboratore, ed a sua volta titolare di una ditta individuale che operava anche in collaborazione con la (OMISSIS) s.r.l. in subappalto, il cui apporto era poi diventato via via sempre piu’ concreto.
I contrasti insorti successivamente con il (OMISSIS) avevano determinato la fuoriuscita del ricorrente, unitamente al socio (OMISSIS), dalla fallita.
In particolare ai soci (OMISSIS)- (OMISSIS) veniva trasferita una parte delle attivita’ della fallita (solo due delle numerose qualificazioni) mentre gli altri contratti in corso rimanevano in capo alla (OMISSIS) s.r.l.. Nello specifico, la cessione di due qualificazioni (unitamente ai relativi lavoratori ed alla quota T.f.r. di questi ultimi) si rendeva necessaria al fine di consentire alla Catania Impianti di essere iscritta all’albo dei fornitori Telecom.
Anche nel corso della gestione (OMISSIS) la fallita continuava ad operare, come documentato dall’accertamento tributario subito per gli anni 2015 e 2016.
Nulla sapeva (OMISSIS) della grave situazione debitoria di (OMISSIS), mentre la circostanza dello svolgimento dell’attivita’ anche dopo la cessione del ramo d’azienda smentiva la tesi accusatoria dello svuotamento della fallita e dimostrava che la societa’ non solo non era stata svuotata ma non era neppure in default perche’ altrimenti non avrebbe potuto piu’ lavorare, mentre, invece, aveva proseguito i contratti rimasti in capo alla stessa, in particolare quello con la (OMISSIS) (circostanze evincibili anche proprio dall’accertamento tributario subito dalla societa’ in relazione agli anni 2015 e 2016, recuperato a tassazione).
2.2.1.La difesa lamenta, altresi’, la mancata valorizzazione da parte del Tribunale della ricostruzione alternativa della scelta di recedere, avendo il collegio insistito nell’asserire che l’attribuzione del valore delle quote sia oscuro e distorto senza, tuttavia, spiegare le ragioni di tale convincimento.
Di contro, il valore si basava su ben individuati indici di mercato ed era tutt’altro che sproporzionato.
Contesta, la difesa, l’affermazione secondo cui la dismissione dei beni in favore dei soci sarebbe avvenuta omettendo il soddisfacimento dei debiti sociali rimasti insoluti, essendo smentita tale tesi dal fatto che dallo stato passivo risulta che gli unici debiti erano quelli maturati in epoca successiva alla fuoriuscita del ricorrente dalla compagine sociale; in altri termini, al momento delle cessioni – a differenza di quanto si afferma nei provvedimenti l’esposizione della (OMISSIS) era assolutamente fisiologica rispetto al volume d’affari ed anche i debiti vero l’Erario non rappresentavano affatto la voragine sostenuta, riconducibile piuttosto all’attivita’ svolta successivamente alla cessione dal (OMISSIS).
2.2.2. il ricorso passa, poi, in rassegna le singole contestazioni di distrazioni nel seguente ordine.
A. Cessione di ramo di azienda (relativo alle due qualificazioni con la ditta (OMISSIS), sub-appaltante della Telcom).
Sul punto la difesa segnala che il prezzo di Euro 15.000 non era il corrispettivo versato, bensi’ il residuo da corrispondere, tenuto conto dell’importo di oltre Euro 50.000 pagati con bonifico bancario dalla Catania Impianti risultante dall’accollo del T.F.R. dei dipendenti ceduti dalla fallita.
Nessuna finalita’ di svuotamento era sottesa a tale operazione dal momento che la fallita non si trovava al tempo della cessione del ramo di azienda in decozione, tanto che essa aveva continuato a lavorare anche dopo il 9.12.2013, avendo fatturato nell’anno 2014 nei confronti delle societa’ subappaltatrici di Telecom il considerevole importo di Euro 1.394.000 (come desumibile dall’esame degli estratti conto del 2014 in atti); di talche’ non era corretto parlarsi di svuotamento della fallita.
B. Cessione degli immobili.
La motivazione del Tribunale, secondo cui questa operazione aveva privato la societa’ di un attivo da destinare a garanzia dei creditori, e’ del tutto apparente, dal momento che, in realta’, con quella operazione i soci uscenti non conseguivano nemmeno il valore nominale delle quote e, soprattutto, liberavano la societa’ di debiti ipotecari per il complessivo importo di Euro 571.891,24 gravanti sui detti immobili.
C. Pagamento di fatture false.
Anche rispetto a tale punto la difesa lamenta il vizio della motivazione, essendosi il Tribunale limitato a ipotizzare, in assenza di prova al riguardo, che le somme di cui agli accertati versamenti per complessivi Euro 556.681,02, per pagamento in contanti di fatture emesse nel 2012 e 2013 in favore della ditta individuale (OMISSIS) e della ” (OMISSIS)”, fossero state restituite al soggetto pagatore.
D. Restituzione dei finanziamenti al socio (OMISSIS).
Il Tribunale ha ritenuto il complessivo importo di Euro 99.995, restituito al socio, frutto di distrazione sul presupposto – per la difesa errato – che a tale restituzione si potesse procedere solo a seguito di riduzione del capitale.
La difesa, nel ribadire che l’importo del prestito originariamente eseguito dal socio era di Euro 99.995 – come risultante dalle movimentazioni del conto corrente che, ove esaminato nella sua interezza, avrebbe consentito di appurare che i finanziamenti nel tempo non erano circoscritti alla somma di Euro 59.495/ ma ammontavano ad Euro 99.995 ovvero esattamente alla somma poi oggetto di restituzione – eccepisce che al momento della avvenuta restituzione la societa’ non versava in condizioni di dissesto economico, tali da richiedere la sua messa in liquidazione, di talche’ era stata legittima la restituzione, e in ogni caso risultava finanziato l’intero importo poi ottenuto in restituzione.
E. Prelievi in contanti.
Sul punto si lamenta il vizio della motivazione perche’ il Tribunale si sarebbe limitato a valorizzare la sola circostanza dell’avvenuto prelievo, senza apparente giustificazione, senza in alcun modo soffermarsi sulla effettiva destinazione delle somme (attribuendo peraltro al (OMISSIS) anche prelievi successivi alla cessazione della carica di amministratore risalente al 30.4.14).
Nella parte finale del motivo, il ricorrente dispiega difesa anche in relazione alla contestata bancarotta fraudolenta documentale.
La difesa, sul punto, evidenzia che (OMISSIS) aveva mantenuto la carica di amministratore fino al giugno 2014, mentre solo il 27.12.2014 l’amministratore (OMISSIS) aveva denunziato, peraltro in periodo non sospetto rispetto alla declaratoria di fallimento, sopraggiunta nel 2018, lo smarrimento delle scritture contabili.
2.3. Con il terzo motivo di ricorso la difesa, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione, formula eccezioni finalizzate a smentire la sussistenza del dolo e, in particolare, la tesi accusatoria secondo cui la cessione di azienda fosse finalizzata a svuotare la fallita.
Risultano bonifici bancari effettuati dalla Catania Impianti – e dunque dagli indagati – alla (OMISSIS) s.r.l. per complessivi Euro 1.752.885 dal 30.5.2014 al 31.3.2016 (dato emergente dagli estratti conto e cio’ nonostante trascurato dalla G.d.F. e dai provvedimenti) in conseguenza di lavori subappaltati dalla prima alla seconda.
Su tale punto la difesa lamenta il silenzio del Tribunale, segnalando che l’importo conferito dalla Catania Impianti alla fallita e’ notevolmente superiore all’importo complessivo delle contestate distrazioni pari a complessivi Euro 180.880,93; da tale circostanza si sarebbe dovuto inferire la mancanza di dolo rispetto alle condotte distrattive; in ogni caso il versamento di quelle somme dalla Catania Impianti alla (OMISSIS) s.r.l. dimostra che non era stata messa in atto alcuna strategia di svuotamento della fallita che, anzi, era stata poi rimpinguata con una cosi’ ingente somma.
2.4. Con il quarto motivo di ricorso si censura l’assenza della richiesta motivazione in relazione al periculum in mora, che avrebbe dovuto essere
rafforzata in considerazione del lasso di tempo trascorso dai fatti delittuosi attribuiti agli indagati (perche’ quanto piu’ sono distanti nel tempo i fatti tanto piu’ occorre una motivazione puntuale sull’attualita’ ed intensita’ dell’esigenza cautelare).
2.5.Con il quinto motivo il ricorrente lamenta il vizio della motivazione in relazione alla proporzionalita’ ed alla adeguatezza del sequestro preventivo rispetto al grado delle esigenze cautelari genericamente ravvisate, e cio’ anche in considerazione delle ragioni dell’impresa, avendo la difesa dimostrato, con allegazioni documentali, il rischio concreto della interruzione dell’attivita’ imprenditoriale per il trasferimento della gestione – a seguito del sequestro – da professionalita’ tipiche a professionalita’ nuove (circostanza rispetto alla quale il tribunale si e’ limitato a rispondere: “… tale richiesta oltre che collidere con il periculum in mora sopra evidenziato, non tiene conto del fatto che l’operativita’ della suddetta azienda e’ oggi garantita dalla presenza di un custode e amministratore giudiziario, nominato con l’ordinanza impugnata”).
Quindi, si insta per l’annullamento del provvedimento impugnato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. il ricorso e’ fondato limitatamente al primo motivo, ovvero all’imputazione provvisoria di cui al capo B); esso e’, relativamente agli altri motivi, inammissibile.
1.1.Quanto al primo motivo, si osserva che e’ vero che il Tribunale del Riesame, nel dare atto della provvisorieta’ della contestazione, ha sottolineato la natura dolosa della trasformazione della fallita da societa’ a tempo determinato a societa’ a tempo indeterminato, costituente aspetto ulteriore rispetto alle condotte distrattive di cui alla contestazione del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale ascritto al capo A), ma e’ altrettanto vero che tale profilo ulteriore, al pari degli altri pure esistenti ed emergenti dal provvedimento impugnato, non e’ oggetto della contestazione di cui al capo B) – riguardante i delitti di bancarotta fraudolenta impropria mediante operazioni dolose e di causazione dolosa del fallimento, di cui all’articolo 223, comma 2, n. 2 L.F. – che riproduce pedissequamente la descrizione delle condotte distrattive; di talche’ la sovrapposizione di cui si duole il ricorrente e’ a monte dettata dalla stessa imputazione, con la conseguenza che essa dovra’ essere oggetto di (ri)valutazione da parte del Tribunale del riesame; e questo, nel considerare la fattispecie in questione, non potra’ prescindere dal principio secondo cui i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale (articolo 216 e articolo 223, comma 1, L.F.) e quello di bancarotta impropria di cui all’articolo 223, comma 2, n. 2, L.F. hanno ambiti diversi: il primo postula il compimento di atti di distrazione o dissipazione di beni societari ovvero di occultamento, distruzione o tenuta di libri e scritture contabili in modo da non consentire la ricostruzione delle vicende societarie, atti tali da creare pericolo per le ragioni creditorie, a prescindere dalla circostanza che abbiano prodotto il fallimento, essendo sufficiente che questo sia effettivamente intervenuto; il secondo concerne, invece, condotte dolose che non costituiscono distrazione o dissipazione di attivita’ – ne’ si risolvono in un pregiudizio per le verifiche concernenti il patrimonio sociale da operarsi tramite le scritture contabili – ma che devono porsi in nesso eziologico con il fallimento. Ne consegue che, in relazione ai suddetti reati, mentre e’ da escludere il concorso formale e’, invece, possibile il concorso materiale qualora, oltre ad azioni ricomprese nello specifico schema della bancarotta ex articolo 216 L. Fall., si siano verificati differenti ed autonomi comportamenti dolosi i quali – concretandosi in abuso o infedelta’ nell’esercizio della carica ricoperta o in un atto intrinsecamente pericoloso per l’andamento economico finanziario della societa’ – siano stati causa del fallimento (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 533 del 14/10/2016 Ud. (dep. 05/01/2017) Rv. 269019 – 01; Sez. 5, Sentenza n. 24051 del 15/05/2014, Rv. 260142 – 01); con l’ulteriore precisazione che le operazioni dolose di cui all’articolo 223, comma 2, n. 2, L. Fall., come piu’ volte affermato da questa Corte, possono consistere nel compimento di qualunque atto intrinsecamente pericoloso per la salute economica e finanziaria della impresa e, quindi, anche in una condotta omissiva produttiva di un depauperamento non giustificabile in termini di interesse per l’impresa; ovvero nella sistematica elusione dei doveri imposti dalla legge all’organo amministrativo, cui consegua l’incremento dell’esposizione debitoria che conduce al fallimento della societa’ e un depauperamento del patrimonio non giustificato dall’interesse per l’impresa (Sez. 5, Sentenza n. 43562 del 11/06/2019 Ud. (dep. 24/10/2019) Rv. 277125 – 01); e cio’ ancor piu’ allorquando le violazioni delle regole societarie siano accompagnate da plurime attivita’ (tra le quali puo’ rientravi anche la stessa continuazione non giustificata nell’attivita’ sociale), configurando una complessita’ dell’agire amministrativo non riconducibile ad una mera “inosservanza di un obbligo”, ma piu’ correttamente integrante un’operazione dolosa.
Ed invero, come gia’ avuto modo piu’ volte questa Corte di precisare, la fattispecie di fallimento determinato da operazioni dolose, prevista dall’articolo 223, comma 2, n. 2, L. Fall., presuppone una modalita’ di pregiudizio patrimoniale discendente non gia’ direttamente dall’azione dannosa del soggetto attivo (distrazione, dissipazione, occultamento, distruzione), bensi’ da un fatto di maggiore complessita’ strutturale riscontrabile in qualsiasi iniziativa societaria implicante un procedimento o, comunque, una pluralita’ di atti coordinati all’esito divisato e si distingue dalle ipotesi generali di bancarotta fraudolenta patrimoniale, di cui al combinato disposto dell’articolo 223, comma 1 e articolo 216, comma 1, n. 1), L.F. – in cui, invece, le disposizioni di beni societari (qualificabili in termini di distrazione, dissipazione, occultamento, distruzione) sono caratterizzate, secondo una valutazione “ex ante”, da manifesta ed intrinseca fraudolenza, in assenza di qualsiasi interesse per la societa’ amministrata (Sez. 5, Sentenza n. 12945 del 25/02/2020, Rv. 279071 – 01; Sez. 5, Sentenza n. 17690 del 18/02/2010 Ud. (dep. 07/05/2010) Rv. 247314 – 01).
Con l’annotazione finale che rispetto alla fattispecie della causazione dolosa del fallimento – pure oggetto di contestazione – non risultano argomentazioni specifiche, ma solo riferimenti impliciti desumibili dalla ricostruzione complessiva, non sufficienti tenuto conto della struttura costitutiva di tale ipotesi di reato; essa, in buona sostanza, non risulta proprio affrontata dal Tribunale (ne’, come sottolineato in ricorso, e’ dedicato un cenno al dolo specifico e al nesso causale di tale specifica fattispecie di reato).
1.2. Indi, passando ad esaminare gli altri motivi, appare opportuno premettere che questa Corte ha gia’ chiarito che, in tema di riesame delle misure cautelari reali, nella nozione di “violazione di legge” – per la quale soltanto puo’ essere proposto ricorso per cassazione a norma dell’articolo 325 c.p.p., comma 1, rientrano la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali, non anche l’illogicita’ manifesta e la contraddittorieta’, le quali possono denunciarsi nel giudizio di legittimita’ soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui all’articolo 606 c.p.p., lettera e), (cosi’ Sez. U., n. 5876 del 28.1.2004, P.c. Ferazzi in proc. Bevilacqua, CED Cass. n. 226710 ss.; conforme, Sez. V, n. 35532 del 25.6.2010, Angelini, CED Cass. n. 248129).
E’ appena il caso di ricordare che, naturalmente, rimangono estranei all’incidente cautelare reale, come ad ogni giudizio dinanzi a questa Corte, profili che investano il merito della res iudicanda ovvero invochino una lettura e composizione critica del materiale vagliato alternativa a quella fatta propria dal Giudice di merito (ex multis, Sez. U, n. 22.242 del 27/01/2011, Scibe’, Rv. 249651).
Se e’, quindi, solo all’interno di detto ristretto ambito che puo’ svolgersi il giudizio demandato al Collegio, deve ritenersi che i vari punti dei motivi di ricorso sub ludice presentano, tutti, dei limiti che li destinano all’inammissibilita’, giacche’ le argomentazioni che li sostengono, di la’ delle asserite pretermissioni valutative di aspetti difensivi, mirano a censurare non gia’ i vizi radicali della motivazione sopra indicati, ma, al piu’, esplicitamente o implicitamente, illogicita’ o mere carenze argomentative estranee ai limiti della procedura ex articolo 325 c.p.p., quando non addirittura a proporre interpretazioni del materiale investigativo alternative e, per il ricorrente, preferibili rispetto a quella avallata dal Tribunale.
I requisiti prescritti in caso di ricorso per cassazione avverso i provvedimenti cautelari reali non possono, dunque, considerarsi soddisfatti nel ricorso in esame, dove i riferimenti alla motivazione attengono alla corretta interpretazione della loro valenza probatoria, ma non risaltano i vizio di violazione di legge come sopra rappresentato. Tale operazione, peraltro, viene attuata sfuggendo ad un reale confronto con le motivazioni del Tribunale, in quanto le argomentazioni esposte, per un verso, sono la mera reiterazione di quelle illustrate in sede di riesame e disattese con la motivazione impugnata, per altro verso, ignorano il nucleo centrale della motivazione impugnata, i cui tratti essenziali – che ruotano intorno alla intervenuta messa in opera da parte degli indagati di un vero e proprio svuotamento della societa’ poi fallita a vantaggio di altra societa’ parimenti ad essi riconducibile – sono piu’ che eloquenti e rendono oltretutto palesi i profili di inammissibilita’ indicati (oltre che evidente la stessa inconferenza delle censure qui riproposte).
Nel caso di specie – in altri termini – la motivazione dell’ordinanza impugnata non solo non presenta alcun vizio che possa far ritenere sussistente la “violazione di legge” di cui all’articolo 325 c.p.p., ma e’ cosi’ esaustiva, logica e non contraddittoria che porterebbe alla dichiarazione di inammissibilita’ del ricorso anche se non operasse il limite di cui all’articolo 325 c.p.p..
Invero, l’ordinanza da’ conto, con motivazione tutt’altro che apparente, a fronte della quale questa Corte non e’ chiamata a valutare se tale opzione interpretativa abbia maggior valore di quella del ricorrente, delle ragioni per le quali si e’ ritenuto che risultasse, da un lato, il fumus dei reati dell’imputazione provvisoria e che vi fosse, dall’altro, anche il periculum in mora.
1.2.1. Cio’ posto, va subito osservato come il secondo motivo, nel contestare, in buona sostanza, la sussistenza delle distrazioni e nel ribadire la propria ricostruzione alternativa della vicenda, non si confronta con la motivazione impugnata che ha gia’ dato risposte esaurienti e logiche, oltre che conformi agli orientamenti di questa Corte in materia, in ordine a tutti i punti che esso nuovamente evidenzia.
Il Giudice del riesame – che ha confermato il sequestro preventivo dell’azienda e di tutte le quote della (OMISSIS) s.r.l., oltre che degli immobili oggetto di cessione ai soci, disposto dal Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Catania nei confronti non solo di (OMISSIS) ma anche dei co-indagati (OMISSIS) e (OMISSIS), in relazione ai capi di provvisoria imputazione, relativi ai reati di cui agli articoli 216, 219 e 223 L.F. – ha, innanzitutto, correttamente, proceduto all’inquadramento della fattispecie di bancarotta patrimoniale contestata al (OMISSIS), in concorso con altri, tra i quali (OMISSIS) e (OMISSIS). Premesso che il procedimento penale in esame si ricollega al fallimento dalla (OMISSIS) S.R.L., pronunciato con sentenza del Tribunale di Catania n. 205/2018, e trae origine da due distinte notizie di reato, provenienti rispettivamente dall’Agenzia delle Entrate (14 giugno 2017) e da Riscossione Sicilia S.P.A. (22 marzo 2018), ha spiegato che la (OMISSIS) S.R.L. era stata costituita in data 16 maggio 2002 con capitale sociale iniziale del valore di 80.000,00, ed amministratore unico (OMISSIS), mentre ciascuno degli indagati ( (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)) deteneva una quota pari al 25% del capitale sociale nominale.
Successivamente, si erano avvicendati dapprima (OMISSIS), e poi (OMISSIS), nel ruolo dell’amministrazione della stessa; restava, infine, il solo (OMISSIS), quale socio unico ed amministratore, dal 10 giugno 2014 sino alla data della dichiarazione di fallimento, del 10 dicembre 2018, da parte del Tribunale di Catania.
Indi, dato atto che dal 2013 – anno in cui la societa’ era arrivata ad un volume di affari di Euro 2.536.318 e ad un organico di 62 dipendenti, come emergente dal bilancio di esercizio di quell’anno, l’ultimo regolarmente depositato – la (OMISSIS) iniziava a versare in uno stato di crisi di liquidita’, non risultando piu’ in grado di remunerare i fattori della produzione, considerata anche l’esistenza di crediti per Euro 1.725.460, apparentemente non riscossi, ha sottolineato come proprio a partire da tale periodo si sarebbe verificato un appesantimento dell’esposizione debitoria della societa’ per circa un milione di Euro – che passava, quindi, ad oltre tre milioni di Euro – che, in uno alla mancata riscossione dei crediti, avrebbe determinato una crisi di liquidita’ e, dunque, il cattivo funzionamento della societa’, secondo quanto ricostruito dal C.T. del P.m.; circostanza che avrebbe dovuto, secondo il Tribunale, comportare, alla fine dell’anno, la ricapitalizzazione della societa’ ovvero la sua messa in liquidazione, a causa della sopravvenuta impossibilita’ di conseguire l’oggetto sociale ex articolo 2484 c.c., mentre, invece, i soci ed il management si attivavano per svuotare la societa’, riducendola di fatto ad un guscio vuoto, mediante le plurime condotte distrattive in danno dei creditori, essenzialmente enti pubblici, del patrimonio sociale, specificamente descritte nei capi di imputazione provvisoria.
Cio’ posto, i giudici del riesame hanno proceduto a passare in rassegna le singole condotte distrattive.
1.2.1.Quanto alla prima, afferente l’avvenuta cessione del ramo di azienda Telecom – oggetto del subappalto (OMISSIS) S.P.A. – in favore della (OMISSIS) S.R.L., hanno osservato, innanzitutto, come l’amministratore – che all’epoca era il (OMISSIS) – invece di procedere ai suddetti adempimenti riduzione del capitale sociale o ricapitalizzazione o, in ultima battuta, messa in liquidazione della societa’ – con contratto del 9.12.2013 aveva ceduto parzialmente alla (OMISSIS) s.r.l. (societa’ costituita appositamente qualche mese prima e avente oggetto sociale coincidente con quello della (OMISSIS) s.r.l., ” Installazione di impianti elettrici ” e di cui erano soci il (OMISSIS) al 10 % e lo (OMISSIS) al 90 %, quest’ultimo ricoprendo anche la carica di amministratore unico) i rami di azienda relativi a due qualificazioni Telecom che la (OMISSIS) aveva ottenuto in sub-appalto dalla (OMISSIS) s.p.a., unitamente alle attrezzature e apparecchiature strumentali ed ai dipendenti necessari; nonche’ evidenziato come il prezzo di 15.000,00 Euro, stabilito per la cessione – al netto di debiti – fosse da ritenere senz’altro incongruo rispetto al volume di affari sociali, e, comunque, mai effettivamente corrisposto (prima della cessione il rapporto con la (OMISSIS) aveva fruttato alla societa’ un guadagno notevole di oltre un milione di Euro, ridottosi sensibilmente nel 2014 fino ad azzerarsi nel 2015; di contro, la (OMISSIS), nonostante di recente costituzione, grazie alla cessione ricavava guadagni elevati, sfruttando il solido inserimento della cedente sul mercato – e, dunque, la clientela della (OMISSIS)); tali circostanze sono state, giustamente, ritenute sufficienti dal Tribunale per contrastare le insistenti sottolineature della difesa in ordine al fatto che la societa’ aveva continuato a svolgere l’attivita’ dopo la cessione, a dimostrazione, nell’ottica difensiva, che, quindi, l’atto negoziale non aveva inciso sulla vita futura dell’ente, ne’ sulla sua redditivita’.
Ha, in particolare, osservato il Tribunale come – al contrario di quanto eccepito dalla difesa che aveva rappresentato che tale cessione avrebbe avuto ad oggetto soltanto due delle numerose “qualificazioni” della (OMISSIS) S.R.L. e che, dopo il suddetto trasferimento, quest’ultima societa’ avrebbe comunque continuato a svolgere la propria attivita’ mediante gli altri contratti – la cessione del ramo di azienda in parola, lungi dall’aver avuto ad oggetto posizioni contrattuali marginali o di scarsa redditivita’, abbia riguardato l’attivita’ preminente o comunque essenziale della societa’, vale a dire, il core business della stessa; ed ha, quindi, concluso che essa si qualifichi come un’operazione volutamente depauperatoria del patrimonio aziendale e pregiudizievole per i creditori sociali della (OMISSIS), a vantaggio dell’altra, la (OMISSIS), tenuto anche conto della sostanziale identita’ soggettiva delle compagini sociali delle due imprese, peraltro costituite da persone legate tra loro da vincoli di tipo familiare (essendo (OMISSIS) il nipote di (OMISSIS) e (OMISSIS), nonche’ cugino di (OMISSIS), a sua volta figlio dei primi); evidenziando, al contempo, come la sua natura distrattiva emerga con evidenza non solo per la mancata corresponsione del prezzo, neppure quantificato in maniera congrua, ma anche se si considerano le prevedibili, e previste, evoluzioni negative legate alle complessive operazioni di consistente ridimensionamento dell’attivita’ e di graduale svuotamento della societa’, in cui la cessione in argomento, a pieno titolo, si inserisce, che vennero avviate a partire dal 2013, e che alla fine condussero la societa’ al fallimento (in particolare, nel provvedimento impugnato, oltre tale cessione, si segnala anche quella che ebbe ad oggetto i rapporti commerciali con la (OMISSIS) S.R.L., ed i relativi guadagni, intervenuta in via di mero fatto, senza alcun negozio formale ne’ alcun corrispettivo, sempre in favore della (OMISSIS) S.R.L.).
Il Tribunale ha, altresi’, evidenziato che dalle emergenze processuali emerge, infatti, che la (OMISSIS) ha ceduto alla subentrante (OMISSIS) S.R.L. piu’ della meta’ delle commesse totali di (OMISSIS) S.P.A. gia’ nel 2014, per poi procedere di fatto alla distribuzione della restante parte l’anno successivo; ed ha, quindi, osservato che, sul punto, le doglianze difensive non cogliessero nel segno, non potendosi ragionevolmente sostenere che la cessione si fosse risolta in ” un’operazione a vantaggio della (OMISSIS) e che al momento della cessione in parola l’esposizione debitoria della (OMISSIS) fosse fisiologica rispetto al volume di affari “; e che, in ogni caso, le varie operazioni poste in essere dagli indagati non esauritesi peraltro nelle indicate cessioni – andassero viste nel loro insieme, essendo collegate tra loro nell’ottica complessiva dello svuotamento della societa’, che si accingevano via via ad abbandonare, a vantaggio dell’altra a cui erano interessati.
Tale ricostruzione, del resto, e’, come gia’ evidenziato dal Tribunale del riesame con la citazione di massime di pronunce di legittimita’ attinenti alla fattispecie in esame, in linea con la giurisprudenza di questa Corte secondo cui – in ogni caso – integra il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale la cessione di un ramo di azienda senza corrispettivo o con corrispettivo inferiore al valore reale (circostanza ricorrente nel caso di specie secondo la ricostruzione operata nel provvedimento impugnato) che da’ atto che dall’analisi dei conti correnti societari non sono emersi pagamenti da parte della (OMISSIS) S.R.L. qualificabili come corrispettivo e/o aventi una causale riconducibile alle cessioni in questione, e che non risultano, d’altro canto, avviate azioni da parte della (OMISSIS) volte a recuperare il dovuto; a fronte di cio’, secondo la prospettazione del ricorrente, risulterebbe, comunque, l’assunzione del debito relativo al T.f.r. dei lavoratori passati all’acquirente, in realta’ costituente, in caso di cessione d’azienda assoggettata al regime di cui all’articolo 2112 c.c., un obbligo automatico in ragione del vincolo di solidarieta’ che lega l’acquirente all’alienante, il quale non e’ in ogni caso liberato; ne’ potrebbe assumere rilievo, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il dettato dell’articolo 2560 c.c., comma 2 in ordine alla responsabilita’ dell’acquirente rispetto ai pregressi debiti dell’azienda, costituendo tale garanzia un “post factum” rispetto alla gia’ consumata distrazione (Sez. 5, Sentenza n. 34464 del 14/05/2018, Rv. 273644 01 Sez. 5, Sentenza n. 17965 del 22/01/2013, Rv. 255501 – 01), garanzia questa che, comunque, opera alle condizioni previste dal comma 2 di tale articolo (che cosi’ prevede: “Nel trasferimento di un’azienda commerciale risponde dei debiti suddetti anche l’acquirente dell’azienda se essi risultano dai libri contabili obbligatori”, libri che nel caso di specie sono stati oggetto di denuncia di furto sporta dopo le cessioni, giustamente ritenuta strumentale dal Tribunale).
Concludendo sul punto, si rammenta che in tema di bancarotta fraudolenta, al fine di individuare la finalita’ distrattiva perseguita dagli agenti, anche l’esercizio di facolta’ legittime, comprese nel contenuto di diritti riconosciuti dall’ordinamento (nel caso di specie nel diritto d’iniziativa economica di cui all’articolo 41 Cost.), puo’ costituire uno strumento di frode per pregiudicare o frodare le ragioni dei creditori, in quanto la liceita’ di ogni operazione che incide sul patrimonio dell’imprenditore dichiarato fallito puo’ essere affermata solo all’esito di un accertamento in concreto in relazione alle conseguenze prodotte sulle ragioni del ceto creditorio (cfr. Sez. 5, n. 15803 del 27/11/2019 Ud. (dep. 26/05/2020) Rv. 279089 – 01, principio affermato proprio in relazione a un caso di cessione di ramo di azienda).
1.2.2. Quanto alle plurime cessioni di immobili avvenute a fronte della liquidazione di tutte le quote spettanti ai soci per l’esercizio del diritto di recesso, anche qui, le contestazioni della difesa in ordine a tali atti sono state gia’ puntualmente superate dal Tribunale con ampie e congrue argomentazioni.
Il Tribunale, dopo aver premesso che contestualmente alla cessione dei due rami di azienda di cui supra, in data 9 dicembre 2013 l’assemblea della (OMISSIS) disponeva, apponendo una modifica statutaria, il passaggio della societa’ da tempo determinato ad indeterminato, ha evidenziato come da cio’ ne conseguiva la possibilita’, per i soci, di esercitare liberamente, e non piu’ solo per giusta causa, il recesso ai sensi dell’articolo 2473 c.c..
Ed infatti, nell’arco di un ristretto periodo di tempo (meno di un anno), avveniva l’effettivo esercizio della facolta’ di recesso da parte di tutti i soci della (OMISSIS) (solo il (OMISSIS) rimaneva quale unico socio, oltre che come amministratore, dopo essere subentrato successivamente alle cessioni e gia’ in concomitanza coi primi recessi), con la peculiarita’ che la liquidazione della quota spettante a ciascuno di essi avveniva attraverso una complessa operazione di cessione dei beni immobili di proprieta’ della (OMISSIS) (ottenuti a titolo di rimborso delle rispettive quote).
Su tali basi nel provvedimento impugnato si e’ affermato come fosse evidente che la scelta di trasformare la (OMISSIS) in societa’ a tempo indeterminato sia stata dominata dall’intento fraudolento di consentire ai soci facenti parte del nucleo familiare (OMISSIS)- (OMISSIS) di recedere velocemente dalla societa’, senza bisogno di una giusta causa, e di rimanere al contempo nella sola (OMISSIS), societa’ di nuova costituzione portata all’apice dei guadagni grazie allo sfruttato avviamento commerciale della (OMISSIS).
Alla luce di tali considerazioni, il Tribunale del Riesame ritiene, in linea con le valutazioni del P.M. e del G.I.P., che tali operazioni siano avvenute in spregio ai dettati normativi e con l’evidente scopo di privare il ceto creditorio della (OMISSIS) di quella ormai residua garanzia patrimoniale costituita dai beni immobili della societa’.
Peraltro, giova rammentare che, come correttamente evidenziato dal Tribunale, il rimborso della partecipazione sociale va determinato tenendo conto del suo valore di mercato e deve avvenire o mediante acquisto della stessa da parte degli altri soci proporzionalmente (o di un terzo soggetto ad essi gradito), o mediante impiego delle riserve disponibili e, ove insufficienti, procedendo alla riduzione del capitale sociale, laddove nulla di tutto cio’ e’ accaduto nel caso di specie; e che, come pure sottolineato dal Tribunale, i crediti spettanti ai soci sono, in ogni caso, postergati rispetto a quelli vantati dagli altri creditori della societa’; e’, ancora, dunque, evidente – conclude il giudice della cautela – che il vero scopo delle operazioni poste in essere fosse quello di evitare di mettere in liquidazione la societa’, in modo di evitare di dover destinare i beni in questione al soddisfacimento dei creditori.
Con un siffatto iter argomentativo (che fornisce elementi anche in relazione alle fattispecie di cui all’articolo 223, comma 2, n. 2 L.F. rispetto alle quali necessitano, pero’, le dovute, suindicate, precisazioni innanzitutto a livello di contestazione, come gia’ sopra detto) non si confronta affatto il motivo in scrutinio che si limita a reiterare il profilo genericamente prospettato della scarsa remunerativita’ dell’operazione per i soci uscenti (i quali, tramite essa, non avrebbero conseguito nemmeno il valore nominale delle quote – laddove il valore della quota ai sensi dell’articolo 2473 c.c., come posto in evidenza anche dal Tribunale, all’atto del recesso e’ in proporzione del patrimonio sociale che va determinato tenendo conto del suo valore di mercato, e prescinde quindi da quello nominale), e soprattutto a rilevare che essa non avrebbe arrecato danno alla societa’, che si era, anzi, in tal modo liberata di debiti ipotecari gravanti sui detti immobili per il complessivo importo di Euro 571.891,24; e cio’ si assume senza neppure entrare nello specifico della congruita’ dei valori indicati, limitandosi a definire quello dell’immobile inferiore a quello di acquisto, ne’ nel merito della questione della sostanziale distorsione del meccanismo impiegato, ritenuto palesemente strumentale al distacco degli immobili dal patrimonio societario, limitandosi ad osservare che sugli immobili gravavano le ipoteche che avevano, anzi, reso sconveniente l’operazione per i soci recedenti, che si sarebbero, quindi, in certo qual modo sacrificati, accollandosi pure il mutuo residuo (il tutto senza riferimenti numerici specifici che dessero conto della effettivita’ di quanto si e’ assunto, e dando, di contro, implicitamente per scontato che la societa’ non potesse piu’ sostenere l’onere del pagamento del mutuo, in contraddizione peraltro con quanto sostenuto sulle conservate capacita’ di guadagno della medesima).
1.2.3. Nella sua esaustivita’ e logicita’ non puo’ ritenersi attaccata dalle censure del ricorrente la motivazione dell’ordinanza impugnata neppure nella parte in cui ha gia’ affermato che sussiste il fumus anche per la condotta distrattiva costituita dal pagamento di false fatture, sempre contestata al capo a) della rubrica, consistente nell’aver il (OMISSIS), in concorso col (OMISSIS), in veste di amministratore unico della (OMISSIS) e di titolare dell’omonima ditta individuale, disposto pagamenti nei confronti della ditta individuale (OMISSIS) per un ammontare complessivo di 556.601,02 Euro, solo apparentemente giustificati da n. 14 fatture emesse tra il 2012 ed il 2013 dalla ditta individuale, poi rivelatesi false, nonche’ nell’aver gli stessi disposto pagamenti nei confronti della (OMISSIS), per un totale di Euro 44.836,00, giustificandoli con la fattura n. 1/13, emessa dalla ASD e poi rivelatasi anch’essa falsa.
Ha, in particolare, spiegato il provvedimento impugnato al riguardo che e’ chiaramente una funzione di tipo “cartolare” quella rivestita dall’impresa (OMISSIS), in quanto dedita unicamente all’emissione di fatture false in modo da consentire ad altre imprese di evadere le imposte, annotando costi fittizi in contabilita’; in ogni caso, rispetto alle specifiche operazioni oggetto della distrazione in argomento, a fronte della mancanza di una effettiva giustificazione circa la sorte delle somme fuoriuscite dalle casse societarie, risulta non solo che esse transitavano in favore della ditta individuale ma anche che in corrispondenza di ogni incasso vi era immediato prelievo (circostanza da cui il Tribunale desume che le somme fossero addirittura immediatamente rientrate nella disponibilita’ del (OMISSIS) e dello (OMISSIS); ma tale aspetto – che la difesa ritiene non dimostrato – rimane comunque ultroneo dal momento che ai fini della integrazione della distrazione e’ sufficiente il distacco del bene dal patrimonio societario senza una giustificazione e senza che vi sia stata, neppure in seguito, l’indicazione della destinazione o della sorte del bene medesimo).
1.2.4. Quanto al carattere fraudolentemente distrattivo degli ingiustificati prelevamenti di denaro effettuati dal (OMISSIS) dal conto corrente n. (OMISSIS) acceso presso il (OMISSIS), per il periodo che va dal (OMISSIS), e dal conto corrente n. (OMISSIS) presso il (OMISSIS), dal (OMISSIS), il Tribunale ha osservato come i cospicui prelievi effettuati in tali periodi non fossero sostenuti da alcuna documentazione giustificativa; a fronte di tale constatazione, la contestazione del ricorrente fa leva unicamente sulla cessazione della carica da parte del (OMISSIS), che, secondo quanto dal medesimo affermato, e’, pero’, intervenuta solo in data 30.4.14, ossia dopo che era stata effettuata la gran parte dei prelievi ingiustificati, mentre permaneva, peraltro, la qualita’ di socio da parte del predetto; dalla complessiva ricostruzione della vicenda operata dal Tribunale, con la quale quindi il ricorso non si e’ fino in fondo confrontato, si evince, peraltro, che, in realta’, il ruolo e le condotte assegnate al (OMISSIS) vanno ben oltre i periodi in cui ha rivestito la carica di amministratore, e cio’ di la’ del mantenimento di una posizione qualificata, sia pure di mero fatto, all’interno della societa’ (nei provvedimenti si da’ anche atto che egli conservo’ la qualifica di socio anche successivamente alla cessazione della carica di amministratore, risalendo la presa d’atto del suo recesso da parte del (OMISSIS) al 11.9.14 e la stipula del contratto di cessione dell’immobile in suo favore al 15.9.2014).
1.2.5. Parimenti distrattiva e’ stata ritenuta la condotta ascritta al (OMISSIS) e a (OMISSIS), avente ad oggetto l’esborso di somme in favore del secondo sotto forma di restituzione di finanziamenti, di cui al capo a) della rubrica, intervenuta, durante il periodo di gestione del (OMISSIS), pur in assenza di indicazione di debito in bilancio.
Ebbene, il ricorrente anche in questo caso si limita a reiterare i rilievi gia’ mossi in sede di riesame, facendo riferimento alla circostanza secondo cui risultassero, invece, effettivamente intervenuti dei prestiti da parte di (OMISSIS) in favore della societa’ per complessivi Euro 40.460,00 a fronte dei restituiti Euro 99.995,00, con la conseguenza che, al piu’, la distrazione potesse essere circoscritta alla differenza tra tali importi; osservando, altresi’, che se fossero stati acquisiti gli estratti conto relativi al 2013 e al 2012, si sarebbe potuto appurare che, in realta’, vi erano stati anche ulteriori prestiti.
Tuttavia, il ricorrente non considera che il Tribunale ha gia’ spiegato che la deduzione, risoltasi in una mera asserzione, sulla esistenza di altri prestiti era generica ed in ogni caso non assistita da alcun fondamento che potesse indurre ad un accertamento ulteriore, e cio’ soprattutto alla luce del fatto che le indagini relative ai finanziamenti di cui trattasi erano state gia’ svolte dalla Guardia di finanza e che la difesa, che ne lamentava la incompletezza su asseriti dati concreti, ben avrebbe potuto offrire gli elementi idonei a suffragare quanto sostenuto, trattandosi pur sempre di documentazione afferente la (OMISSIS) (rispetto a tale argomento alcuna doglianza ulteriore puo’, peraltro, ritenersi, qui, utilmente sollevata, se solo si considera che al (OMISSIS) e’ stato ascritto anche il delitto di bancarotta fraudolenta documentale per avere sottratto le scritture contabili, non consegnate ne’ da lui ne’ da altri al curatore fallimentare; essa, cio’ nonostante, e nei medesimi termini, e’ stata, invece, qui’ riproposta).
Il Tribunale, peraltro, sottolinea, altresi’, che, di la’ di tali aspetti, e ferma restando la ipotesi distrattiva con riferimento ai prelievi in favore di (OMISSIS) non controbilanciati da pregressi versamenti – ricostruiti per Euro 59.495 – l’articolo 2467 c.c., in materia di restituzione dei finanziamenti ai soci, prevede che, pur potendo essi ritenere conveniente e/o opportuno apportare risorse finanziarie alla societa’ mediante la concessione di finanziamenti anziche’ nella forma del conferimento, il credito scaturente da detti finanziamenti risulta, comunque, assoggettato ad un regime di postergazione rispetto agli altri crediti sociali, qualora essi siano stati concessi in un momento in cui, anche in considerazione del tipo di attivita’ esercitata dalla societa’, risulta un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria della societa’ in cui sarebbe stato ragionevole un conferimento (articolo 2467 c.c., comma 2); e conclude che, in ragione del quadro economico della (OMISSIS) lumeggiato in precedenza, si dovesse ritenere, ancora una volta, che l’intento autentico, anche rispetto a tale operazione, fosse stato quello di sottrarre ulteriori risorse alle garanzie del ceto creditorio, evitando di porre la societa’ in liquidazione in quanto l’attivazione della procedura avrebbe determinato – anche – la postergazione del credito vantato da (OMISSIS).
Come ha avuto gia’ modo questa Corte di affermare, integra, invero, il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, e non quello di bancarotta preferenziale, la condotta dell’amministratore di una societa’ che proceda al rimborso di finanziamenti da lui erogati in qualita’ di socio in violazione della regola della postergazione di cui all’articolo 2467 c.c., cosi’ Sez. 5, n. 25773 del 20/02/2019, Rv. 277577 – 01; e tale principio, allo stato, non puo’ che essere confermato in relazione al caso in scrutinio, in mancanza/ peraltro, da un lato, di indicazioni precise rispetto ai versamenti originariamente operati dal socio (OMISSIS), che la difesa assume, in buona sostanza, essere stati dei meri finanziamenti – ma in realta’ di essi si sconoscono, allo stato, causale e durata – e a fronte, di contro, della articolata ricostruzione del Tribunale che ha spiegato, in maniera esauriente rispetto alla fase cautelare in cui si versa, come essi costituissero, in ogni caso, – di la’ della loro denominazione -, dei finanziamenti soggetti alla regola della postergazione di cui all’articolo 2467 c.c. (anzi, a ben vedere, in mancanza di elementi certi al riguardo essi avrebbero potuto essere anche dei veri e propri versamenti in conto capitale la cui restituzione configura, di per se’, distrazione, non essendo i crediti ad essi relativi esigibili nel corso della vita della societa’, cosi’, in particolare, Sez. 5, Sentenza n. 50188 del 10/05/2017, Rv. 271775 – 01, secondo cui e’ configurabile il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione a carico dell’amministratore di una societa’ per azioni che procede al rimborso di finanziamenti’ erogati dai soci in violazione della regola, applicabile al caso di specie, della postergazione, di cui all’articolo 2467 c.c., o di versamenti effettuati in conto capitale, in quanto le somme versate – in entrambi tali casi devono essere destinate al perseguimento dell’oggetto sociale e possono essere restituite solo quando tutti gli altri creditori sono stati soddisfatti).
L’erogazione di somme, che a vario titolo i soci effettuano alle societa’ da loro partecipate, puo’, infatti, avvenire a titolo di mutuo oppure di apporto del socio al patrimonio della societa’, e, come affermato nella giurisprudenza civile di questa Corte, la qualificazione, nell’uno o nell’altro senso, dipende dall’esame della volonta’ negoziale delle parti, dovendo trarsi la relativa prova, di cui e’ onerato il socio attore in restituzione, non tanto dalla denominazione dell’erogazione contenuta nelle scritture contabili della societa’ quanto dal modo in cui il rapporto e’ stato attuato in concreto, dalle finalita’ pratiche cui esso appare essere diretto e dagli interessi che vi sono sottesi (cfr. Cass. civ. n. 25585/2014; il ricorrente, invece, nel caso in esame si e’ limitato ad asserire che i prelievi/restituzioni trovassero giustificazioni in precedenti versamenti/finanziamenti senza chiarire, pero’, a quale titolo e per quale causale le risorse finanziarie fossero state immesse nelle casse della societa’, aspetti questi che in quanto afferenti la sfera volitivo-negoziale solo colui che ebbe ad effettuare l’operazione puo’ indicare).
1.2.6. Parimenti inammissibili sono le censure relative alla fattispecie di bancarotta documentale di cui al capo c) della rubrica; sul punto deve evidenziarsi che, come sottolineato nell’ordinanza impugnata, al momento della dichiarazione di fallimento (in data 21 dicembre 2018), ne’ il (OMISSIS) ne’ il (OMISSIS) furono in grado di esibire e/o consegnare le scritture contabili al curatore fallimentare.
Indi, incontestata l’oggettivita’ della condotta (per la mancata consegna delle scritture contabili), la riferibilita’ di esse al ricorrente e’ stata giustamente tratta dal Tribunale sulla base delle dichiarazioni rese dalla dottoressa (OMISSIS), consulente contabile della (OMISSIS), la quale aveva riferito di aver avuto sempre a che fare esclusivamente con il (OMISSIS) e con lo (OMISSIS), anche dopo che amministratore unico della fallita era divenuto formalmente il (OMISSIS), e che le scritture contabili (che ella aveva certamente avuto modo di esaminare essendo stata presentata la dichiarazione dei redditi relativa all’anno 20142oltre che la comunicazione dati Iva per l’anno 2015) erano state sempre tenute presso le sedi di (OMISSIS) e di (OMISSIS) (cfr. il provvedimento impugnato in cui si da’ anche atto della “scarsa memoria” del (OMISSIS) nel ricordare circostanze relative ai documenti contabili pur essendo stato egli per diverso tempo l’amministratore della societa’, e della evidenza della strumentalita’ della denuncia di furto delle scritture contabili, intervenuta il 27.12.2014).
1.3. Ed invero, nel passare ad esaminare il terzo motivo che si’ appunta sull’elemento soggettivo, la cui sussistenza si assume contraddetta dai comportamenti intervenuti successivamente alle asserite condotte distrattive contestate al (OMISSIS) e ai suoi correi, si deve a tal punto evidenziare che, nel provvedimento impugnato, si e’ piuttosto messo in luce – in maniera congrua e logica – come fossero assolutamente infondate le giustificazioni fornite dal (OMISSIS) gia’ in sede di interrogatorio di garanzia, e rinnovate in sede di conclusioni orali all’udienza camerale ed in memoria dal difensore – e qui pedissequamente riproposte -, secondo le quali la scelta di costituire una nuova societa’, la (OMISSIS) (gestita dallo stesso nucleo familiare ed operante nello stesso settore della (OMISSIS), nella quale sarebbe poi rimasto il solo (OMISSIS)), sarebbe stata determinata dalla volonta’ del (OMISSIS) e dello (OMISSIS) di non intrattenere piu’ rapporto con il (OMISSIS) (esse sono state, in particolare, ritenute, oltre che generiche, inequivocabilmente smentite dalle risultanze procedimentali).
Secondo la ricostruzione svolta nel provvedimento impugnato nessuno scopo avrebbero, infatti, avuto (OMISSIS) (amministratore della (OMISSIS) e socio della (OMISSIS)) e (OMISSIS) (amministratore della (OMISSIS)) nel porre in essere le asserite operazione distruttive, se non quello di svuotare le casse della (OMISSIS) e “rimpolpare” quelle della neonata (OMISSIS), con evidente pregiudizio per i creditori della prima, avendo gli indagati senz’altro interesse a costituire una societa’ in bonis che potesse operare sul mercato sfruttando l’avviamento commerciale della (OMISSIS) e che fosse, al tempo stesso, liberata dai debiti della medesima, debiti che come poi sarebbe emerso in sede fallimentare erano costituiti prevalentemente da esposizioni debitorie verso l’Erario (ed ammontavano gia’ nel 2013 a oltre tre milioni di Euro); essendo piu’ che evidente come il vero scopo del trasferimento (gratuito) dei vari rami d’azienda e dell’informale trasferimento della clientela in favore della (OMISSIS) sia stato quello di consentire alla cedente la prosecuzione dell’attivita’ imprenditoriale in spregio alle ragioni dei creditori, perlopiu’ erariali, della (OMISSIS), ridotta ad un guscio vuoto per la mancanza di commesse di lavoro e dipendenti e per il progressivo svuotamento del patrimonio sociale.
D’altronde – e’ il caso di sottolinearlo anche in questa sede, come gia’ fatto dal Tribunale – tutte queste operazioni indubbiamente dannose per il patrimonio della fallita e corrispondentemente favorevoli per la (OMISSIS) s.r.l. sono avvenute in un tempo in cui (OMISSIS) non era ancora entrato a far parte della compagine sociale (lo stesso recesso di alcuni soci (17.4.2014), poi completato il 15.9.2014, intervenne prima del suo ingresso nella societa’ risalente al 30.4.2014); per altro verso, il coinvolgimento di (OMISSIS), quale soggetto emittente delle fatture false in epoca antecedente al suo subentro nella (OMISSIS), conferma, piuttosto, la tesi secondo cui il predetto fosse un soggetto assolutamente asservito ai soci della (OMISSIS), gia’ nella fase che precedette il suo formale ingresso nella compagine societaria.
Tanto premesso, e passando ad esaminare la questione direttamente posta a sostegno del terzo motivo, quella secondo cui dolo sarebbe smentito dal fatto che l’attivita’ era proseguita anche dopo le cessioni e che la (OMISSIS) aveva sub-appaltato alla (OMISSIS), dal 2014 al 2016, lavori ed effettuato bonifici in favore della predetta per un totale di Euro 1.752.885 (ossia per un importo nettamente superiore a quello che si assume distratto, e cio’ sarebbe ricavabile dagli estratti conto da cui emergono tali bonifici), va osservato che l’ordinanza impugnata, a differenza di quanto assume il ricorrente, ha, attraverso la complessiva ricostruzione operata, che non lascia spazio a quella proposta dalla difesa, dato compiuta risposta anche in ordine a tale aspetto.
Ha, infatti, evidenziato il Tribunale che se e’ vero che la fallita ha continuato ad operare anche dopo le cessioni dei rami di azienda, e’ altrettanto indubitabile che per effetto di tali negozi, essa abbia patito una drastica riduzione dei guadagni nell’anno 2014 e, addirittura, un azzeramento nel 2015.
Nell’anno 2013 la situazione in cui versava la (OMISSIS) s.r.l. era tale da imporre la riduzione del capitale sociale o la ricapitalizzazione o la messa in liquidazione (e su tale punto vi sono contestazioni piuttosto generiche in ricorso).
A fronte di una di tali tre opzioni, normativamente imposte nella situazione determinatasi, interveniva, invece, innanzitutto, la cessione parziale di ramo d’azienda verso la (OMISSIS) s.r.l. (si’ rammenta, costituita il 23.3.2013, avente quali soci lo stesso (OMISSIS) al 10% e (OMISSIS) al 90%).
A tale operazione – sottolinea il Tribunale – si aggiunge l’ulteriore cessione del ramo di azienda, avvenuta senza la parvenza formale di un contratto e il versamento del prezzo, avente ad oggetto i rapporti della fallita con la (OMISSIS), con subentro nelle posizioni della (OMISSIS) da parte della (OMISSIS) s.r.l. a partire dall’anno 2014.
E siffatte operazioni, costituenti l’oggetto principale delle contestazioni della difesa (cfr. il ricorso in cui nel valorizzarsi il discorso della correttezza dei rapporti con la (OMISSIS) si fa riferimento prevalentemente alle cessioni dei rami di azienda) – come osserva l’ordinanza impugnata citando la giurisprudenza di questa Corte – integrano certamente una distrazione perche’ la cessione di un ramo di azienda – come affermato, in particolare, da Cass. Pen. 10778/12 – “che renda non piu’ possibile l’utile perseguimento dell’oggetto sociale senza garantire contestualmente il ripiano della situazione debitoria della societa’ ben vale ad integrare il reato di bancarotta patrimoniale”; distrazione, che, secondo il costante orientamento di questa Corte, richiede per la sua integrazione il dolo generico.
Resta, in ogni caso, – prosegue il provvedimento impugnato -, ai fini della sussistenza della distrazione, il fatto che la cessione formale e quella di fatto (rapporto con la (OMISSIS) s.r.l.) sono avvenute dopo che, nell’anno 2013, erano maturate le condizioni per dar corso ad una delle operazioni imposte dall’articolo 2484 c.c., e che nessuna di tali attivita’ obbligatorie fu, invece, posta in essere; mentre, di contro, le dette operazioni avevano privato la (OMISSIS) di assetti gestionali molto remunerativi, notevolmente ridottisi gia’ nel 2014 ed azzeratisi nel 2015. Evidente e’ la dannosita’ delle cessioni – per le quali non vi e’, peraltro, certezza neppure in ordine al versamento del prezzo incongruo pattuito -, palmare il vulnus all’integrita’ della garanzia patrimoniale in danno dei creditori.
E a fronte di una siffatta ricostruzione, che esclude di per se’ ogni possibile ipotesi alternativa, gli ulteriori argomenti della difesa in ordine ai presunti bonifici versati dalle (OMISSIS) – comunque relativi ad attivita’ svolta dalla (OMISSIS) nell’interesse della predetta – devono ritenersi assorbiti e superati dal complesso delle stringenti argomentazioni svolte nel provvedimento impugnato a sostegno della sussistenza di tutti gli elementi costitutivi del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale in argomento.
1.4. Quanto, infine, al periculum – contestato sotto il profilo dell’attualita’, concretezza e proporzionalita’ con riferimento al sequestro del complesso aziendale e delle quote societarie della (OMISSIS) – occorre, preliminarmente, precisare che il sequestro, come precisato dallo stesso Tribunale, e’ stato disposto, sia ai sensi dell’articolo 321 c.p.p., comma 1, quindi come sequestro preventivo di cose pertinenti al reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, addebitato anche a (OMISSIS), finalizzato ad evitare la protrazione del reato stesso e ad arginarne le conseguenze pericolose, sia ai sensi dell’articolo 321 c.p.p., comma 2, quindi come sequestro preventivo diretto ad assicurare la confisca di cose, che, rimanendo nella disponibilita’ dell’imputato, avrebbero potuto perpetuare le conseguenze dell’attivita’ criminosa di cui siano il frutto ” mantenendo viva l’idea del delitto commesso e stimolando la perpetrazione di nuovi reati” (S.U. n. 29951 del 24.05.2004, C. fall. in proc. Focarelli, in motivazione).
Il Tribunale, con motivazione tutt’altro che apparente, ha ben messo in evidenza come la (OMISSIS), le cui quote, peraltro, non appartengono a terzi estranei ai reati ma agli stessi indagati ( (OMISSIS) e (OMISSIS)), e’ nata in funzione della ricezione dell’intero core business della (OMISSIS), ne ha rilevato i beni e i dipendenti e si e’ insediata in due degli immobili appartenenti alla predetta, ne e’ in breve divenuta erede universale diretta. La prima cessione, infatti, – rammenta il Tribunale – ha incluso il trasferimento di attrezzature e apparecchiature strumentali e di tredici autoveicoli e di numerosi dipendenti; e, in coerenza con questo travaso totale, i ricavi della (OMISSIS) nel 2015 sono stati pari a zero mentre quelli della (OMISSIS) sono cresciuti in modo esponenziale, del tutto proporzionato allo svolgimento proprio di quei lucrosi rapporti contrattuali ereditati dalla (OMISSIS); parimenti, dall’acquisizione di fatto del rapporto con la (OMISSIS), la (OMISSIS) ha ottenuto l’altra meta’ dei profitti della (OMISSIS).
Indi, si conclude nel provvedimento impugnato, e’, dunque, evidente che la (OMISSIS) ha rappresentato lo strumento unico essenziale di perpetuazione delle attivita’ economiche della (OMISSIS), rilevando di quest’ultima affidabilita’ e avviamento commerciale e che la sua nascita ed evoluzione economica ha presupposto la consumazione di condotte di bancarotta, cosi’ integrandosi i requisiti per la sua apprensione totalitaria con il sequestro; e che la libera disponibilita’ in capo agli indagati di detta societa’, tuttora attiva, potrebbe aggravare o protrarre le conseguenze dei reati o agevolare la commissione di ulteriori condotte delittuose; di qui la necessita’ del sequestro preventivo dell’azienda e delle relative quote da considerarsi pertinenti al reato, trattandosi di enti per mezzo dei quali e’ stato commesso il reato e costituenti, altresi’, il profitto/prodotto del reato, costituendo, in particolare, la prima l’oggetto stesso delle distrazioni.
Tale motivazione, non affatto apparente, e’ anche in linea con l’orientamento di questa Corte, qui condiviso, secondo cui, in tema di bancarotta fraudolenta, e’ legittimo il sequestro preventivo totalitario delle quote di una societa’, indicata come destinataria di beni distratti dalla societa’ fallita, laddove sia accertato il collegamento strumentale tra il reato fallimentare e la cosa sequestrata e non si superi il valore attribuito ai beni distratti (Sez. 5, n. 5868 del 11/12/2018 -dep. 06/02/2019, PUNGITORE VINCENZO, R.v. 27549601); collegamento strumentale su cui, nel caso di specie, s’impernia la ricostruzione della complessiva ed articolata vicenda costituente il fumus dei reati ipotizzati, che hanno ad oggetto anche proprio l’azienda distratta in favore della nuova societa’, ad hoc costituita, le cui quote sono cadute in sequestro.
Ai fini della adozione del sequestro preventivo occorre, infatti, un collegamento strumentale tra reato fallimentare e cosa sequestrata e non tra il reato e la persona (Sez. 5, n. 3563 del 26/06/2015 – dep. 27/01/2016, Garzia, Rv. 26604701).
In tema di sequestro preventivo impeditivo, il “periculum in mora” deve presentare i requisiti della concretezza e attualita’ e richiede che sia dimostrata con ragionevole certezza l’utilizzazione del bene per la commissione di ulteriori reati o per l’aggravamento o la prosecuzione di quello per cui si procede (Sez. 6, Sentenza n. 56446 del 07/11/2018 Cc. (dep. 14/12/2018) Rv. 274778 – 01) o per la protrazione delle conseguenze del reato ipotizzato; protrazione che e’ innegabile nel caso di specie alla luce del rapporto creatosi tra beni caduti in sequestro e reati, e della quale non e’ dubitabile l’attualita’, essendo la (OMISSIS) ancora operativa all’atto del sequestro.
A fronte di tale impostazione in diritto, a cui si e’ attenuto il Tribunale nel confermare la sussistenza del periculum sotto il duplice aspetto evidenziato, anche il profilo della asserita sottovalutazione della dannosita’ del sequestro, pedissequamente reiterato in ricorso, non trova ragion d’essere, avendo il provvedimento impugnato spiegato come la prospettata esigenza di impresa dovesse cedere il passo rispetto alla preminente esigenza di cautela ravvisata, evidenziando, al contempo, come l’operativita’ dell’azienda e’, oggi, comunque garantita dalla presenza di un custode e amministratore giudiziario nominato dal Giudice (circostanza quest’ultima a cui, peraltro, il ricorrente ha inteso controbattere in maniera del tutto generica ed ipotetica, affidandosi ad aspetti legati alla diversita’ delle professionalita’ in campo, riguardanti la gestione della societa’ e non idonei ad incidere sui presupposti del sequestro e sulla sua legittimita’, senza tener conto, in definitiva, della ratio sottesa al provvedimento reale adottato).
2. Dalle ragioni sin qui esposte derivano: l’annullamento dell’ordinanza impugnata limitatamente al capo B) dell’imputazione, cui consegue il rinvio, per nuovo esame sul punto, al Tribunale di Catania – Sezione Riesame, competente ai sensi dell’articolo 309 c.p.p., comma 7; la declaratoria di inammissibilita’ del ricorso, nel resto.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente al capo B) dell’imputazione provvisoria, con rinvio per nuovo esame sul punto al Tribunale di Catania Sezione Riesame.
Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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