In tema di applicabilità ratione temporis dell’art. 21 nonies della legge n. 241/1990

Consiglio di Stato, sezione quarta, Sentenza 22 novembre 2019, n. 7961.

La massima estrapolata:

In tema di applicabilità ratione temporis dell’art. 21 nonies della legge n. 241/1990, che prevede (nella versione risultante dalle indicate modifiche apportate dall’art. 6, comma 1, della legge n. 124/2015) il termine massimo di diciotto mesi per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio, non può applicarsi in via retroattiva computando anche il tempo decorso anteriormente all’entrata in vigore della legge n. 124/2015. Una diversa interpretazione, oltre a porsi in contrasto con il generale principio di irretroattività della legge (art. 11 preleggi), finirebbe infatti per limitare in maniera eccessiva ed irragionevole l’esercizio del potere di autotutela amministrativa.

Sentenza 22 novembre 2019, n. 7961

Data udienza 26 settembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello numero di registro generale 91 del 2019, proposto dalla società Ce. Se. Po. per lo Sp. (Ce.) Ro. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Gi. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Latina, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Fr. Di Le., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sede staccata di Latina, sezione prima, n. 469 del 2018, resa tra le parti, concernente le delibere del Commissario straordinario del Comune di Latina di revisione del piano particolareggiato di esecuzione del quartiere (omissis).
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Latina;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 settembre 2019 il consigliere Nicola D’Angelo e uditi, per la società appellante, l’avvocato Gi. Ma. e, per il Comune appellato, l’avvocato Fr. Di Le.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. La società Ce. Se. Po. per lo Sp. s.r.l. ha proposto ricorso al Tar per il Lazio, sede staccata di Latina, contro la delibera n. 61 del 26 febbraio 2016 con la quale il Commissario straordinario al comune di Latina ha disposto la sospensione delle delibere della Giunta comunale n. 474 del 26 settembre 2012 e n. 278 del 5 maggio 2013, relative all’approvazione e revisione del PPE R/6 del quartiere (omissis), e, con motivi aggiunti, contro la delibera n. 210 del 24 maggio 2016 dello stesso Commissario di definitivo annullamento in autotutela delle suddette deliberazioni di Giunta
2. La società ricorrente ha impugnato le predette delibere in quanto, dopo avere stipulato con il Comune una convenzione per l’esecuzione dei criteri perequativi contenuti nello stesso PPE, ha presentato un permesso di costruire un edificio residenziale con contestuale richiesta di essere autorizzata alla realizzazione di talune opere di urbanizzazione a scomputo dei relativi oneri.
3. Il Tar di Latina, con la sentenza indicata in epigrafe, ha dichiarato improcedibile il ricorso introduttivo del giudizio, riferito alla delibera commissariale n. 61/2016 di sospensione del PPE in quanto superata dalla delibera n. 210/2016 di annullamento d’ufficio dello stesso piano, ed ha respinto i motivi aggiunti contro quest’ultima determinazione.
4. In particolare, il Tar ha ritenuto corretto l’esercizio da parte del Commissario straordinario del potere di autotutela con riferimento all’annullamento della revisione di un piano attuativo che ha previsto la realizzazione di una volumetria di entità superiore ai limiti indicati nel PRG.
5. Contro la suddetta sentenza ha quindi proposto appello la società Ce. Se. Po. per lo Sp., prospettando i seguenti motivi di censura.
5.1. Error in iudicando. Violazione e falsa applicazione dell’art. 21 nonies della legge n. 241/1990.
5.1.1. Il giudice di primo grado ha ritenuto erroneamente infondati i motivi di gravame con cui la società ricorrente aveva dedotto la tardività dell’annullamento in autotutela per violazione e falsa applicazione del termine di diciotto mesi di cui all’art. 21 nonies della legge n. 241/90. In particolare, il Tar ha rilevato che nel caso di specie “il mero decorso del tempo, di per sé solo, non consumi il potere di adozione dell’annullamento d’ufficio e che, in ogni caso, l’art. 21 nonies appare circoscrivere l’operatività del visto termine ai soli provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici; ii) l’onere motivazionale gravante sull’amministrazione risulterà attenuato in ragione della rilevanza e autoevidenza degli interessi pubblici tutelati (al punto che, nelle ipotesi di maggior rilievo, come in ambito di difesa del territorio, esso potrà essere soddisfatto attraverso il richiamo alle pertinenti circostanze in fatto e il rinvio alle disposizioni di tutela che risultano in concreto violate, che normalmente possano integrare, ove necessario, le ragioni di interesse pubblico che depongano nel senso dell’esercizio del ius poenitendi); iii) la evidente situazione fattuale creatasi, attraverso la formazione di strumenti attuativi che non avrebbero potuto ampliare gli spazi edificabili, se non attraverso l’adozione di varianti al P.R.G. non sembra aver potuto ingenerare in capo ai privati ed, in particolare, ai professionisti del settore una posizione di affidamento legittimo, per cui l’onere motivazionale gravante sull’amministrazione potrebbe dirsi soddisfatto attraverso il visto documentato richiamo alla reale situazione delle aree interessate”.
5.1.2. Secondo la società appellante, i diciotto mesi previsti dall’art. 21 nonies si sarebbero dovuti applicare comunque in quanto il procedimento relativo al provvedimento impugnato si era concluso dopo l’entrata in vigore della novella alla stessa disposizione. L’Amministrazione agendo dopo un lungo periodo avrebbe poi ingenerato nella stessa ricorrente un legittimo affidamento.
5.1.3. Contrariamente a quanto sostenuto dal Tar, la necessità di ripristino della legalità violata non sarebbe stata da sola sufficiente per provvedere al ritiro in autotutela di un provvedimento amministrativo. Nel caso di specie, dalla lettura dei provvedimenti impugnati in primo grado, si ricaverebbe come la valutazione comparativa degli interessi contrapposti non ci sia stata. Il Comune, infatti, si sarebbe limitato alla specificazione delle ragioni che giustificavano l’annullamento, facendo richiamo al solo interesse pubblico relativo al ripristino della legalità .
5.1.4. Il Tar, inoltre, non avrebbe considerato che la delibera impugnata ha inciso in maniera unilaterale su un atto complesso di Regione e Comune. In sostanza, l’annullamento del PPE sarebbe intervenuto in mancanza dell’intervento regionale.
5.1.5. L’Amministrazione non avrebbe, infine, valutato la possibilità di percorsi alternativi all’annullamento.
5.2. Sulle spese di lite.
5.2.1. Le novità e la complessità che hanno caratterizzato la controversia avrebbero dovuto portare il giudice di primo grado alla compensazione delle spese di giudizio.
6 Il comune di Latina si è costituito in giudizio il 21 gennaio 2019, chiedendo il rigetto dell’appello.
7. La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza pubblica del 26 settembre 2019.
8. L’appello non è fondato.
9. La vicenda oggetto di giudizio riguarda l’intervenuta sospensione e il successivo annullamento del PPE R/6 del quartiere (omissis) di Latina approvato dalla Giunta comunale il 26 settembre 2012 (delibera n. 474/2012 poi in parte corretta con delibera n. 311 del 2 agosto 2013). In particolare, il Commissario straordinario incaricato dell’amministrazione del comune di Latina, sulla base del rilievo che il predetto piano di attuazione era stato caratterizzato da alcune irregolarità procedurali e comunque aveva determinato un aumento delle volumetrie consentite dal PRG, ha disposto, con provvedimento n. 61 del 26 febbraio 2016, la sospensione dell’efficacia del piano e con provvedimento n. 210 del 24 maggio 2016 il suo definitivo annullamento.
10. Con la sentenza indicata in epigrafe, il Tar di Latina ha dichiarato improcedibile il ricorso introduttivo del giudizio della società Ce. Se. Po. per lo Sp. avverso il provvedimento di sospensione del piano ed ha respinto i motivi aggiunti successivamente proposti contro il provvedimento di annullamento dello stesso. L’appello proposto si è invece concentrato sulla reiezione dei soli motivi aggiunti contro il definitivo annullamento del PPE.
11. Con il primo motivo di appello, la ricorrente evidenzia i profili di tardività dell’annullamento in autotutela per violazione e falsa applicazione del termine di diciotto mesi di cui all’art. 21 nonies della legge n. 241/90. In particolare, il Commissario straordinario avrebbe illegittimamente esercitato il potere di autotutela in ragione dell’intempestivo decorso del tempo intercorso fra l’adozione e l’annullamento del PPE, con conseguente lesione dell’affidamento ingenerato alla società ricorrente dal provvedimento poi annullato.
11.1. Il motivo non è fondato. L’annullamento definitivo della revisione del PPE R/6 del quartiere (omissis) è stata deliberato dal Commissario straordinario del comune di Latina il 24 maggio 2016, cioè entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della modifica che ha introdotto nell’art. 21 nonies il termine richiamato dall’appellante (cfr. legge n. 124/2015, art. 6, comma 1, lettera d), n. 1, in vigore dal 28 agosto 2015).
11.2. Come ha avuto modo di evidenziare la giurisprudenza, infatti, il termine di cui all’art. 21 nonies non può avere una funzione “sanante” dei provvedimenti illegittimi adottati precedentemente all’entrata in vigore della norma di modifica della stessa disposizione, cosicché il medesimo termine deve essere computato a decorrere da tale data (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. V, 22 giugno 2018, n. 3874).
11.3. In particolare, in tema di applicabilità ratione temporis dell’art. 21 nonies della legge n. 241/1990, che prevede (nella versione risultante dalle indicate modifiche apportate dall’art. 6, comma 1, della legge n. 124/2015) il termine massimo di diciotto mesi per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio diretto a rimuovere provvedimenti di autorizzazione o, come nella specie, un piano di attuazione, non può applicarsi in via retroattiva computando anche il tempo decorso anteriormente all’entrata in vigore della legge n. 124/2015. Una diversa interpretazione, oltre a porsi in contrasto con il generale principio di irretroattività della legge (art. 11 preleggi), finirebbe infatti per limitare in maniera eccessiva ed irragionevole l’esercizio del potere di autotutela amministrativa (cfr. Cons. Stato, sez. V, 19 gennaio 2017, n. 250).
11.4. La previsione dell’art. 21 nonies, della legge n. 241/1990 se da un lato segna il definitivo superamento della teoria dell’inconsumabilità del potere di autotutela (o di quella che un risalente orientamento definisce “la perennità della potestà amministrativa di annullare in autotutela gli atti invalidi”) non consente, neppure nel testo originario, di prescindere, ai fini della valutazione del tema della ragionevolezza, dalla originaria illegittimità dell’atto e dalla rilevanza dell’interesse pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione nell’ambito di un percorso strettamente connesso a quello di esigibilità in capo all’Amministrazione. In pratica, deve ritenersi integrata la nozione di termine ragionevole tutte le volte che lo stesso decorre, come nel caso in esame, dal momento in cui l’Amministrazione (rectius: il Commissario straordinario) è venuta concretamente a conoscenza dei profili di illegittimità dell’atto (cfr. Cons. Stato, Ad. plen.,17 ottobre 2017, n. 8).
11.5. Peraltro, trattandosi di provvedimenti in materia di pianificazione urbanistica del territorio, il relativo onere motivazionale risulta anche caratterizzato dalla “rilevanza e autoevidenza degli interessi pubblici tutelati, al punto che nelle ipotesi di maggiore rilievo potrà essere soddisfatto attraverso il richiamo alle pertinenti circostanze in fatto e il rinvio alle disposizioni di tutela che risultano in concreto violate, che normalmente possono integrare, ove necessario, le ragioni di interesse pubblico che depongano nel senso dell’esercizio dello ius poenitendi” (cfr. citata Ad. plen., n. 8 del 2017).
11.6. In questa prospettiva, tra gli interessi pubblici “autoevidenti” vi è sicuramente quello all’ordinato assetto urbanistico rispetto al quale anche l’eventuale affidamento maturato dai privati, nella legittimità e stabilità della pianificazione urbanistica attuativa, deve essere considerato recessivo, specie, se, come nel caso dei PPE di Latina, gli atti illegittimi riguardino una larga parte del territorio comunale.
11.7. D’altra parte, la configurabilità di un affidamento incolpevole non sembra potersi affermare con certezza tenuto conto che la società appellante è un operatore professionale del settore edilizio e le violazioni delle norme urbanistiche operate dalla Giunta municipale erano rilevanti e manifeste anche alla luce della legislazione regionale (cfr. art. 1 bis della legge regionale del Lazio n. 36/1987). Va in ogni caso rilevato che nel deliberato impugnato il Commissario straordinario ha dato atto che vi erano state delle partecipazioni procedimentali degli interessati, avvisati dall’avvio del procedimento in autotutela mediante pubblicazione sull’Albo Pretorio del Comune nonché su testate giornalistiche a divulgazione nazionale, e della valutazione delle loro osservazioni operata dall’Unità tecnica di progetto appositamente istituita dallo stesso.
11.8. Sempre in ordine a questo profilo, va inoltre evidenziato che sulla legittimità dei piani particolareggiati approvati dalla Giunta comunale di Latina tra il 2012 e il 2014 (tra i quali quello oggetto di giudizio) lo stesso comune di Latina, nella persona del Sindaco, aveva già rilevato nel 2015, a seguito di incontri con la Regione (cfr. nota del 25 maggio 29015), numerose criticità soprattutto connesse alla circostanza che gli stessi avessero introdotto modifiche al vigente PRG contrastanti con l’iter semplificato di approvazione previsto dagli articoli 1 e 1 bis della citata legge regionale n. 36/1987.
11.9. La successiva attività di verifica svolta dal Commissario straordinario ha poi portato dapprima alla sospensione e in seguito all’annullamento dei suddetti strumenti urbanistici sulla base del riscontrato utilizzo del piano ai fini di aumentare le volumetrie realizzabili rispetto alle previsioni del PRG, dunque in contrasto con i parametri fissati dal DM 1444/1968 sul calcolo delle superfici lorde per abitante e sugli standard.
11.10. In ogni caso, la legge regionale n. 36/1987 all’art. 1 bis specifica chiaramente che non costituiscono varianti le modifiche ai piani attuativi già approvati quando però riguardano “a) una diversa utilizzazione, sempre ai fini pubblici, degli spazi destinati a verde pubblico e servizi”. Nel caso in esame invece la diversa utilizzazione delle aree precedentemente destinate ad uso pubblico ad aree edificabili doveva quindi essere approvata con le modalità previste dall’art. 4 della stessa legge regionale e non con il procedimento semplificato di cui al citato art. 1 bis.
11.11. In sostanza, le indicazioni del PPE annullato non sono state “neutrali” rispetto alle previsioni del PRG e dunque non poteva essere la Giunta comunale deputata all’approvazione delle stesse in sostituzione del Consiglio, organo competente ad approvare le varianti (cfr. art. 4 della legge regionale n. 36/1987).
11.12. Di conseguenza, il Commissario ha proceduto all’annullamento dello stesso piano risultando evidente che i vizi riscontrati non necessitavano di una conferma della Regione quanto alla loro incoerenza con le disposizioni della legge regionale n. 36/1987 (cfr. art. 1 bis).
11.13. In concreto, le modifiche introdotte nei PPE hanno costituito delle vere e proprie varianti alla sovraordinata disciplina urbanistica in esplicito contrasto con le modificazioni consentite dal citato art. 1 bis, comma 2. E che le stesse non fossero irrilevanti o meramente esecutive della superiore pianificazione discende dalla constatazione sia dell’incremento degli abitanti ancora insediabili, sia delle previsioni sulla perequazione.
11.14. In aggiunta a quanto sopra rilevato in ordine all’incompetenza della Giunta comunale, va infatti evidenziato che seppure l’istituto della perequazione è stato introdotto nel PPE annullato secondo quanto previsto nel regolamento approvato con la delibera del Consiglio comunale n. 68/2001, le disposizioni di quest’ultimo non sono mai state recepite dalle NTA del PRG come variante alle stesse.
11.15. L’istituto della perequazione ha come fondamento l’equità a favore dei privati nella concessione dei titoli edilizi per un corretto governo del territorio (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 4 dicembre 2017, n. 5674), con la conseguenza che, per sua peculiare funzione, deve essere disciplinato dal PRG attraverso il procedimento e le garanzie partecipative proprie dello strumento generale.
11.16. In sostanza, il Commissario straordinario ha tenuto conto dell’aumento delle volumetrie consentite, sia rispetto alle norme di settore (art. 3 DM n. 1444/1968), sia con riguardo al PRG derivato dall’aumento della misura degli indici di edificabilità operato, con un procedimento semplificato non idoneo, mediante un calcolo virtuale delle volumetrie e con l’utilizzo dell’istituito perequativo.
11.17. In particolare, l’esclusione dal conteggio delle volumetrie relative agli spazi comuni ha comportato la diminuzione del 14,91 % delle volumetrie rispetto a quelle rilevate dal PRG (riduzione diversa da quella consentita delle volumetrie edificabili – cfr. art. 1 bis, comma 2, lett. b, legge regionale n. 36/1987) a cui si è aggiunta la illegittima applicazione della perequazione, che, considerata anche l’assenza di una specifica disciplina normativa dettata in sede regionale, non poteva essere applicata, come sopra detto, sulla base del regolamento approvato dal Consiglio Comunale di Latina il 29 maggio 2001 (il quale peraltro si è limitato a stabilire che “le norme tecniche di attuazione dei futuri strumenti urbanistici e di quelli in corso di revisione, devono prevedere l’acquisizione di tutte le aree di interesse pubblico attraverso l’istituto della perequazione e/o compensazione delle aree e delle volumetrie”).
11.18. Quanto infine alla possibilità di giungere ad una scelta alternativa rispetto a quella dell’annullamento del PPE, va rilevato che il Tar ha correttamente evidenziato che la scelta dell’annullamento d’ufficio era l’unica possibile “anche considerato che la convalida previo invio del piano all’approvazione del Consiglio Comunale, quale variante al p.r.g., avrebbe comportato una scelta politica per l’adozione di variante al piano generale, che esula dai poteri di amministrazione del commissario”. Come sopra sottolineato, le indicazioni contenute nel PPE annullato erano tali da far ritenere con evidenza che le stesse non rientravano nel potere della Giunta comunale in sostituzione del Consiglio, organo deputato ad approvare le varianti.
11.19. Né poteva darsi luogo, come evocato dall’appellante, ad una sanatoria del provvedimento annullato mediante l’intervento del Commissario in sostituzione del Consiglio comunale. Non si trattava solo di sostituire l’organo competente, ma di esternare le ragioni di interesse pubblico giustificatrici del potere di sostituzione (cfr. ex multis, Cons. Stato, sez. V, 22 dicembre 2014, n. 6199).
11.20. D’altra parte, anche se fossero stati presenti tutti gli elementi formali e sostanziali per l’esercizio di tale potere (alternativo a quello dell’annullamento in autotutela), la scelta di convalidare l’atto attiene comunque al merito dell’azione amministrativa e come tale si sottrae al sindacato di legittimità, salvo le macroscopiche ipotesi di arbitrarietà, illogicità, irrazionalità, irragionevolezza e/o travisamento dei fatti (cfr. Cons. Stato, sez. V, 23 agosto 2016, n. 3674) che nel caso in esame certamente non ricorrono.
12. Con il secondo motivo di appello, la ricorrente si duole che il giudice di primo grado, nonostante la complessità della controversia, non ha disposto la compensazione delle spese di giudizio.
12.1. Il motivo non è fondato. È stato infatti correttamente applicato il principio della soccombenza (cfr. 92 c.p.c., cui rinvia l’art. 26 c.p.a) costituente il limite all’esercizio dell’ampia discrezionalità riconosciuta al giudice in materia. Nel processo amministrativo, infatti, la valutazione di merito sulla compensazione delle spese non è sindacabile in appello neppure per difetto di motivazione, essendo fondata su considerazioni di opportunità ampiamente discrezionali, non sindacabili in sede di gravame se non nel caso di evidente irrazionalità . (cfr. Cons. Stato sez. II, 15 aprile 2019, n. 2448 e sez. V, 31 agosto 2017, n. 4139).
13. Per le ragioni sopra esposte, l’appello va dunque respinto e, per l’effetto, va confermata la sentenza impugnata.
14. Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, tra le tante, per le affermazioni più risalenti, Cassazione civile, sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cassazione civile, sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati pertanto dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
15. Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come indicato nel dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna la società appellante al pagamento delle spese del presente grado di giudizio in favore del Comune di Latina, che liquida, complessivamente, in euro 10.000,00 (diecimila/00), oltre gli accessori, se dovuti, come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 settembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Antonino Anastasi – Presidente
Leonardo Spagnoletti – Consigliere
Nicola D’Angelo – Consigliere, Estensore
Silvia Martino – Consigliere
Giuseppa Carluccio – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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