In presenza di un vincolo di inedificabilità assoluta

Consiglio di Stato, Sezione seconda, Sentenza 8 maggio 2020, n. 2916.

La massima estrapolata:

In presenza di un vincolo di inedificabilità assoluta, non trova applicazione l’istituto del silenzio-assenso, giusta il disposto dell’articolo 35, comma 12, della legge n. 47 del 1985, che, nel disciplinarne i presupposti di operatività, espressamente lo esclude nei casi di cui all’articolo 33 della medesima legge

Sentenza 8 maggio 2020, n. 2916

Data udienza 10 dicembre 2019

Tag – parola chiave: Interventi edilizi – Abusi – Domanda di condono – Vincolo – Valutazione al momento della domanda di condono – Opere eseguite prima che il vincolo sia stato apposto – Rilevanza

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3717 del 2009, proposto dalla signora -OMISSIS-., in persona del legale rappresentante pro tempore, e dalla signora -OMISSIS-, rappresentati e difesi dagli avvocati Re. Cu., St. Ga. e Fa. Lo., con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via (…),
contro
il Comune di Bari, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Au. Fa. e Re. Ve., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Fa. Ca. in Roma, via (…),
per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sede di Bari, sezione terza, n. -OMISSIS-, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 10 dicembre 2019, il consigliere Francesco Frigida e uditi per le parti l’avvocato Re. Cu. e l’avvocato Fa. Ca., su delega dell’avvocato Au. Fa.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. L’oggetto del presente giudizio è costituito dal richiesto condono delle opere abusive realizzate su suoli di proprietà della signora -OMISSIS-, riportati in catasto rispettivamente al foglio -OMISSIS-, entrambi destinati all’attività di autotrasporto della -OMISSIS- è socia.
In particolare, sulla particella 95 sono stati realizzati abusivamente negli anni 1989 e 1990 dei manufatti destinati all’esercizio della suddetta attività di trasporto e sulle particelle -OMISSIS-è stato edificato abusivamente negli anni 1991 e 1992 un fabbricato destinato ad abitazione della signora -OMISSIS-, figlia della signora -OMISSIS-
In data 1° marzo 1995, la -OMISSIS-., tramite la socia signora -OMISSIS-, ha presentato al Comune di Bari un’istanza di condono per tutte le predette opere. Si precisa che con precedente istanza del 7 maggio 1986, la signora -OMISSIS- aveva già chiesto la sanatoria di altre opere funzionali all’attività commerciale, eseguite sui medesimi suoli negli anni 1974 e 1982.
2. La signora -OMISSIS- con la -OMISSIS-., con il ricorso di primo grado numero 534 del 2006, e la medesima signora -OMISSIS- con la signora -OMISSIS-, tramite il ricorso di primo grado n. 796 del 2006, hanno rispettivamente impugnato, dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sede di Bari, il diniego di condono edilizio del 15 novembre 2005 senza numero di protocollo e il provvedimento prot. n. -OMISSIS- del 23 dicembre 2007, emanati dal Comune di Bari in relazione alla su richiamata istanza presentata in data 1° marzo 1995.
Con il ricorso di primo grado ricorso n. 797 del 2007 la signora -OMISSIS- e la -OMISSIS-. hanno impugnato il diniego di condono edilizio del Comune di Bari relativo alla già citata istanza di condono del 22 maggio 1986.
Successivamente, con motivi aggiunti proposti in tutti i tre predetti giudizi gli interessati hanno impugnato l’ordinanza del Comune di Bari n. -OMISSIS-del 19 novembre 2007, con cui è stata intimata la demolizione delle opere abusive, oltre altri atti endoprocedimentali.
Il Comune di Bari si è costituito nei tre giudizi di primo grado, resistendo ai ricorsi.
3. Con l’impugnata sentenza n. -OMISSIS-, il T.a.r. per la Puglia, sede di Bari, sezione terza, ha riunito i tre ricorsi e li ha respinti, con compensazione tra le parti delle spese di lite.
4. Con ricorso ritualmente notificato e depositato – rispettivamente in data 29 aprile 2009 e in data 30 aprile 2009 – le parti private hanno interposto appello avverso la su menzionata sentenza, articolando i seguenti quattro motivi:
a) i vincoli di cui al decreto legislativo n. 42 del 2004 e delle note tecniche di attuazione al piano urbanistico territoriale tematico e al piano di assetto idrogeologico, sopravvenuti rispetto all’epoca di realizzazione degli abusi, non sarebbero stati preclusivi della sanatoria; si contesta altresì un’omessa pronuncia del T.a.r.;
b) in ogni caso, sulle istanze si sarebbe formato il silenzio-assenso prima dell’apposizione dei vincoli;
c) non sarebbe operativo il vincolo transitorio di cui all’art. 1-quinquies, del decreto legge n. 312 del 1985 convertito in legge n. 431 del 1985, non essendo stata l’area perimetrata con un apposito decreto del Ministero per i beni culturali e ambientali (cosiddetto “Galassino”); sul punto si contesta peraltro un’omessa pronuncia del T.a.r.;
d) comunque il vincolo transitorio non avrebbe reso le opere assolutamente insanabili, stante la previsione derogatoria di cui all’art. 39, comma 20, della legge n. 724 del 1994; anche su tale profilo si contesta un omesso esame da parte del collegio di primo grado.
5. Il Comune di Bari si è costituito in giudizio, chiedendo il rigetto del gravame.
6. La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza pubblica del 10 dicembre 2019.
7. L’appello è infondato e deve essere respinto alla stregua delle seguenti considerazioni in fatto e diritto.
8. In limine litis, si osserva che il vizio di omessa pronuncia da parte del giudice di primo grado è configurabile e costituisce un tipico errore di diritto per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, deducibile in sede di appello sotto il profilo della violazione dell’art. 112 c.p.c., tuttavia l’omessa pronuncia su un vizio del provvedimento impugnato deve essere accertata con riferimento alla motivazione della sentenza nel suo complesso, senza privilegiare gli aspetti formali, in guisa che essa può ritenersi sussistente soltanto nell’ipotesi in cui risulti non essere stato esaminato il punto controverso e non quando, per contro, la decisione sul motivo di impugnazione risulti implicitamente da un’affermazione decisoria di segno contrario e incompatibile (cfr. Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 4 luglio 2018, n. 4095).
Tanto premesso, va sottolineato che nel caso di specie il contestato omesso esame di alcun aspetti contenuti nei tre ricorsi di primo grado non cagiona, in ogni caso, un vizio idoneo ad inficiare automaticamente la sentenza, poiché esso non configura un error in procedendo comportante l’annullamento della decisione, con contestuale rinvio della controversia al giudice di primo grado ex art. 105, comma 1, del codice del processo amministrativo, ma soltanto un vizio dell’impugnata sentenza che il giudice di appello è legittimato a eliminare, integrando la motivazione carente o, comunque, decidendo sul merito della causa (cfr. Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 25 novembre 2019, n. 8049; Consiglio di Stato, sezione VI, sentenze 18 aprile 2019, n. 2973, e 6 febbraio 2019, n. 897).
9. Il primo motivo è infondato.
In proposito va premesso che, come correttamente affermato dal T.a.r., alla luce della decisione dell’Adunanza plenaria n. 20 del 1999, l’Amministrazione deve far riferimento all’esistenza del vincolo nel momento in cui deve essere valutata la domanda di condono e, quindi, anche relativamente alle opere eseguite prima che il vincolo sia stato apposto.
Ciò posto, nel caso di specie il Comune di Bari e il T.a.r. hanno ritenuto i vincoli assolutamente preclusivi della sanatoria ai sensi dell’articolo 33 della legge n. 47 del 1985, mentre gli appellanti assumono che così non sarebbe.
La tesi delle parti private non è condivisibile. Ed invero, l’area del torrente -OMISSIS- è soggetta a inedificabilità assoluta ai sensi dell’art. 3.08.4 delle norme tecniche di attuazione al piano urbanistico territoriale tematico per il paesaggio della Regione Puglia (entrato in vigore nel 2001), a nulla rilevando la mancata iscrizione del corso d’acqua negli appositi elenchi richiamati dall’art. 142, comma 1, del decreto legislativo n. 42 del 2004, atteso che nel caso di specie il vincolo discende da un piano urbanistico regionale e il Comune, per quanto sopra precisato, doveva aver riguardo alla normativa urbanistica esistente al momento del provvedimento relativo alla domanda di condono.
Gli appellanti hanno inoltre sostenuto che l’area oggetto dell’intervento edilizio non sarebbe ubicata nell’alveo del torrente -OMISSIS-, bensì sull’argine di questo e, pertanto, non sarebbe soggetto al vincolo di inedificabilità assoluta imposto dall’art. 3.08.4, punto 4.1, delle suddette norme tecniche di attuazione. Sul punto il Collegio osserva che il torrente -OMISSIS- è una lama, ovverosia un alveo torrentizio poco profondo e quasi sempre asciutto tipico dell’area pugliese, sicché dai rilievi cartografici in atti non è affatto certa l’affermazione delle parti appellanti. Ad ogni modo, la distinzione tra alveo e argine nel caso di specie non è determinante, poiché l’art. 3.08.4, punto 4.2, delle già menzionate norme tecniche prevede che non sono autorizzabili progetti comportanti nuovi insediamenti residenziali nell’area annessa a una lama (o altro corso d’acqua, come torrenti e gravine) e conseguentemente, mentre nell’alveo non è possibile, salvo alcune eccezioni di carattere riparatorio, effettuare alcun intervento edilizio, nell’area a margine è vietato edificare nuovi manufatti. Orbene, nel caso di specie i manufatti abusivi sono nuove opere e non ristrutturazioni, per cui esse si scontrano con un vincolo di inedificabilità assoluta tanto se ritenuti insistenti sull’alveo della lama, quanto se considerati insistenti sull’argine della stessa.
Inoltre non può assumere rilievo, la “certificazione di insussistenza di pericolo”, in quanto l’assenza dell’aumento della classe di rischio costituisce motivo di sanatoria per il piano di assetto idrogeologico della Regione Puglia, ma non per lo specifico vincolo di inedificabilità assoluta imposto dall’art. 3.08.4, punto 4.1, delle norme tecniche di attuazione al piano urbanistico territoriale tematico per il paesaggio della medesima Regione.
10. Il secondo motivo è infondato, in quanto in presenza di un vincolo di inedificabilità assoluta, non trova applicazione l’istituto del silenzio-assenso, giusta il disposto dell’articolo 35, comma 12, della legge n. 47 del 1985, che, nel disciplinarne i presupposti di operatività, espressamente lo esclude nei casi di cui all’articolo 33 della medesima legge (cfr. Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 9 marzo 2016, n. 949, e Consiglio di Stato, sezione V, decisione 9 dicembre 1996, n. 1493). Il che vale per ambedue le domande di condono: segnatamente per le opere oggetto dell’istanza di condono del 1995, poiché esse sono state realizzate, per espressa ammissione delle parti private, dopo l’imposizione del vincolo paesaggistico (anni 1989/1990 e 1991/1992); per le opere oggetto della domanda di condono nel 1986, realizzate, secondo le dichiarazioni degli appellanti, negli anni 1974 e 1982, poiché, essendo queste state sottoposte a vincolo nel 1985, non potrebbe essersi giammai formato il silenzio-assenso in carenza dei pareri normativamente previsti ai sensi del combinato disposto dell’art. 35, commi 12 e 13, e 32 della legge n. 47 del 1985 (cfr. Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 19 dicembre 2016, n. 5366).
11. È altresì infondato il terzo motivo d’impugnazione.
In particolare va evidenziato che nel corso del giudizio di primo grado il Comune di Bari ha dedotto la sussistenza nella fattispecie de qua di un cosiddetto “Galassino” (specificamente il decreto del Ministero per i beni culturali e ambientali del 1° agosto 1985), che ha sottoposto l’area oggetto del presente giudizio a vincolo di inedificabilità assoluta. Gli appellanti hanno contestato la validità di tale provvedimento, assumendo che, tra l’altro, non sarebbe stato a loro notificato. Al riguardo il Collegio – in difetto di rituale impugnazione del decreto ministeriale in questione, a cui le parti private non hanno proceduto neanche in primo grado con motivi aggiunti dopo la relativa deduzione del Comune – rileva di non poter sindacarne gli eventuali vizi e, pertanto, il terzo motivo d’impugnazione non può che essere respinto, atteso che il vincolo di inedificabilità sull’area – a prescindere da norme e atti sopravvenuti in seguito – esisteva almeno fin dal 1985.
11. Anche il quarto motivo è infondato.
Ad avviso degli appellanti, nella fattispecie de qua opererebbe il disposto di cui all’art. 39, comma 20, della legge n. 724 del 1994, alla cui stregua il vincolo transitorio de quo non avrebbe natura assoluta, ma relativa, e, quindi, le opere sarebbero sanabili previa acquisizione del parere di compatibilità dell’Autorità preposta al vincolo, cosicché, in sostanza, si applicherebbe l’art. 32 e non l’art. 33 della legge n. 47 del 1985.
In proposito, il Collegio, in adesione a un’interpretazione restrittiva e letterale delle norme derogatorie, reputa di dover aderire all’indirizzo giurisprudenziale per cui il su citato articolo 39, comma 20, va applicato soltanto alle domande di sanatorie presentate ai sensi della legge n. 724 del 1994 e non a quelle inerenti al condono di cui alla legge n. 47 del 1985, in quanto si tratta norma avente natura eccezionale, che deroga al principio generale di divieto di condono nel caso di violazione di un vincolo assoluto di inedificabilità, con la conseguente applicazione dell’art. 14 delle disposizioni preliminari al codice civile, per il quale le leggi “che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati” (cfr. Consiglio di Stato, sezione VI, sentenze 1° agosto 2017, n. 3860, e 24 luglio 2017, n. 3659).
Ne deriva che del tutto legittimamente l’Amministrazione ha considerato gli abusi assolutamente insanabili.
12. In conclusione l’appello deve essere respinto, con consequenziale conferma della sentenza impugnata.
13. La peculiarità della vicenda giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese di lite del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione seconda, definitivamente pronunciando sull’appello n. 3717 del 2009, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata; compensa tra le parti le spese di lite del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 nonché degli articoli 5 e 6 del Regolamento U.E. 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità delle parti interessate, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità di tutte le parti private.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 10 dicembre 2019, con l’intervento dei magistrati:
Raffaele Greco – Presidente
Paolo Giovanni Nicolò Lotti – Consigliere
Fulvio Rocco – Consigliere
Giancarlo Luttazi – Consigliere
Francesco Frigida – Consigliere, Estensore

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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