In materia di zonizzazione acustica del territorio

Consiglio di Stato, Sezione quarta, Sentenza 12 dicembre 2019, n. 8439

La massima estrapolata:

In materia di zonizzazione acustica del territorio, le scelte dell’Amministrazione non possono sovrapporsi meccanicamente alla pianificazione urbanistica, ma devono tener conto del disegno urbanistico voluto dal pianificatore, ovverossia delle preesistenti destinazioni d’uso del territorio.

Sentenza 12 dicembre 2019, n. 8439

Data udienza 3 ottobre 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sull’appello n. 2456 del 2019, proposto dalla s.p.a. Fc. It. Ho., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Vi. Al., Ri. Lu. ed An. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato An. Ma. in Roma, via (…);
contro
La Città Metropolitana di Torino, la Regione Piemonte e l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente del Piemonte, in persona dei rispettivi rappresentanti pro tempore, costituiti in giudizio;
il Comune di Torino, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati El. Bo. e Ma. La., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Ma. La. in Torino, via (…), nonché rappresentato e difeso dall’avvocato Ma. Co., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte Sezione Prima, n. 982/2018, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Torino;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 3 ottobre 2019 il pres. Luigi Maruotti e uditi per le parti gli avvocati Vi. Al., An. Ma. e Ma. Co.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Con il ricorso n. 361 del 2011, la società appellante ha chiesto l’annullamento del piano di zonizzazione acustica del Comune di Torino, nei limiti del proprio interesse.
1.1. La ricorrente deduce di essere proprietaria, nell’ambito del medesimo Comune, di un comprensorio industriale, sito in strada (omissis).
1.2. In base alle previsioni di piano, tale compendio è stato classificato nella classe acustica VI, mentre alcune delle aree adiacenti, appartenenti a diversi proprietari, sono state inserite in classe IV.
1.3. L’interessata considera penalizzante non la propria classificazione acustica, bensì quella assegnata alle aree adiacenti e ritiene, infatti, che queste dovevano essere inserite in classe più elevata, dovendosi tenere conto anche della situazione di fatto, oltre che della destinazione urbanistica, ed ha lamentato l’illegittimità dell’inserimento in zone (omissis) di zone fronteggianti a quelle di sua proprietà, per la violazione del’divieto di accostamenti criticà .
2. Il Tar del Piemonte, con la sentenza di cui in epigrafe, ha respinto il ricorso ed ha compensato integralmente tra le parti le spese di giudizio.
3. La società ha impugnato la sentenza, deducendo le seguenti censure.
3.1. Col primo motivo, è lamentato che – a fronte della corretta attribuzione della classe VI per il proprio comprensorio – il piano di zonizzazione ha errato nell’attribuire la classe IV per l’area in cui è ubicato l’impianto di trattamento delle acque reflue, interno al perimetro del comprensorio.
Vi sarebbe stata quindi la violazione dell’art. 7 della legge regionale n. 52 del 2000, della legge n. 241 del 1990, oltre profili di eccesso di potere.
Sarebbero state violate le regole sulla partecipazione e sull’obbligo di motivare l’atto finale, dopo la presentazione di osservazioni.
Inoltre, avrebbero errato l’Amministrazione e il TAR a considerare urbanizzate le aree circostanti, poiché si tratta di aree non completamente urbanizzate con destinazione urbanistica a parco fluviale P19.
3.2. Col secondo motivo, è dedotta la violazione dell’art. 4 della legge n. 447 del 1995 e dell’art. 6 della legge regionale n. 52 del 2000, e delle linee guida regionali, poiché il piano impugnato avrebbe violato il divieto di accostamento di zone acustiche i cui limiti di esposizione si discostino in misura superiore a cinque decibel.
Non sarebbe sufficiente, infatti, supportare le scelte con il richiamo alle zone sature.
Inoltre, il TAR anche sotto tale profilo avrebbe errato a considerare urbanizzate le aree, trattandosi di un’area parco pluviale P19 e avrebbe dato un significato non condivisibile alle espressioni ‘area urbanizzatà e densità urbanisticà .
3.3. Col terzo motivo, è riproposta la censura secondo cui nel caso di criticità vanno approvati piani di risanamento acustico, a spese del Comune.
4. Si è costituito il Comune di Torino, resistendo al gravame.
5. Le parti hanno ulteriormente insistito sulle rispettive tesi difensive, mediante il deposito di memorie integrative e di replica, ai sensi dell’art. 73, del cod. proc. amm.
6. All’udienza pubblica del 3 ottobre 2019, la causa è stata discussa dalle parti ed è stata trattenuta per la decisione dal Collegio.
7. L’appello è infondato e va, pertanto, respinto, con la conseguente conferma della sentenza di primo grado, sebbene integrata nella motivazione come di seguito si specificherà .
Poiché le censure dell’appellante presentano plurimi profili di connessione, e in più punti ripetono i medesimi passaggi argomentativi, sussistono i presupposti per esaminarle congiuntamente, salvo a esaminare gli specifici profili di censura ulteriori, rispetto a quelli esaminati con le considerazioni generali che seguono.
8. La Sezione ritiene decisive le seguenti considerazioni.
8.1. Il piano di zonizzazione acustica del territorio comunale torinese è stato approvato in applicazione della legge quadro statale n. 447 del 1995 e della legge regionale del Piemonte n. 52 del 2000.
8.2. La volontà del legislatore statale di dettare una legge generale sull’inquinamento acustico ha come obiettivo primario la tutela dell’ambiente esterno e dell’ambiente abitativo.
Da qui l’espressa perimetrazione -attesa la delicatezza e la complessità materia- del riparto di competenze tra lo Stato, le Regioni ed i Comuni. È stato così stabilito che:
“Sono di competenza dello Stato: a) la determinazione, ai sensi della L. 8 luglio 1986, n. 349, e successive modificazioni, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’ambiente, di concerto con il Ministro della sanità e sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, dei valori di cui all’articolo 2” (art. 3, comma 1, lett. a).
“Le regioni, entro il termine di un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, definiscono con legge: a) i criteri in base ai quali i comuni, ai sensi dell’articolo 6, comma 1, lettera a), tenendo conto delle preesistenti destinazioni d’uso del territorio ed indicando altresì aree da destinarsi a spettacolo a carattere temporaneo, ovvero mobile, ovvero all’aperto procedono alla classificazione del proprio territorio nelle zone previste dalle vigenti disposizioni per l’applicazione dei valori di qualità di cui all’articolo 2, comma 1, lettera h), stabilendo il divieto di contatto diretto di aree, anche appartenenti a comuni confinanti, quando tali valori si discostano in misura superiore a 5 dBA di livello sonoro equivalente misurato secondo i criteri generali stabiliti dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1° marzo 1991, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 57 dell’8 marzo 1991. Qualora nell’individuazione delle aree nelle zone già urbanizzate non sia possibile rispettare tale vincolo a causa di preesistenti destinazioni di uso, si prevede l’adozione dei piani di risanamento di cui all’articolo 7” (art. 4, comma 1, lett. a).
“Sono di competenza dei comuni, secondo le leggi statali e regionali e i rispettivi statuti:
a) la classificazione del territorio comunale secondo i criteri previsti dall’articolo 4, comma 1, lettera a);
b) il coordinamento degli strumenti urbanistici già adottati con le determinazioni assunte ai sensi della lettera a);
c) l’adozione dei piani di risanamento di cui all’articolo 7” (art. 6, comma 1).
8.3. La disciplina attuativa della legge statale è contenuta in una fonte di rango regolamentare (il d.P.C.M. 14 novembre 1997).
La disciplina attuativa della legge regionale è, invece, contenuta nelle linee guida regionali.
L’emanazione delle linee guida è obbligatoriamente prevista, in capo alla giunta regionale, dall’art. 3, comma 3, lett. a), della legge regionale n. 52/2000.
Essa è finalizzata a far rispettare, sul proprio territorio, sia le previsioni dettate dal legislatore statale (art. 2 della legge n. 447/1995 e relativo decreto attuativo), sia le proprie ulteriori previsioni, le quali si sostanziano nelle seguenti, obbligatorie previsioni (“per classificazione o zonizzazione acustica si intende la suddivisione del territorio in aree omogenee dal punto di vista della classe acustica; essa integra gli strumenti urbanistici vigenti, con i quali è coordinata al fine di armonizzare le esigenze di tutela dell’ambiente esterno e abitativo dall’inquinamento acustico con la destinazione d’uso e le modalità di sviluppo del territorio” (art. 2, comma 1, lett. a) della legge regionale n. 52/2000).
La vincolatività delle linee guida, rispetto ai poteri ed alle funzioni esercitabili dai Comuni in relazione alla classificazione acustica del territorio, è espressamente prevista dall’art. 6, comma 1, lettera e), della menzionata legge regionale (“attenersi alle linee guida regionali di cui all’articolo 3, comma 3, lettera a)”.
8.4. Del tutto correttamente, pertanto, ad avviso della Sezione, il TAR ha ritenuto che le linee guida costituiscono “specificazione di una normativa regionale di rango primario, soggette al rispetto dei principi enunciati dalla legge quadro statale n. 447/95: trattasi pertanto di disciplina vincolante ai fini dell’azzonamento acustico del territorio, e non già di mere direttive la cui violazione possa dare causa ad eccesso di potere”.
8.5. Dal riportato quadro normativo, si evince con chiarezza esegetica che, nell’operare la classificazione acustica del territorio:
– si deve tenere conto delle preesistenti destinazioni d’uso del territorio;
– si deve vietare il contatto diretto di aree, anche appartenenti a comuni confinanti, quando tali valori si discostano in misura superiore a 5 dBA di livello sonoro equivalente, misurato secondo i criteri nazionali;
– qualora, nell’individuazione delle aree nelle zone già urbanizzate, non sia possibile rispettare tale vincolo a causa di preesistenti destinazioni di uso, si prevede l’adozione di piani di risanamento.
8.6. In relazione a quest’ultimo criterio (id est, lo stato di urbanizzazione delle aree), la Regione Piemonte ha esercitato il potere conferitole dall’art. 3, comma 3, della cit. legge regionale n. 52 del 2000, con ciò demandando al proprio organo giuntale la concreta ed effettiva specificazione di cosa debba intendersi per “urbanizzazione”.
Per quanto rileva nel presente giudizio, il punto 2.6 delle linee guida dispone che “Le fasce cuscinetto sono parti di territorio ricavate da una o più aree in accostamento critico, di norma delimitate da confini paralleli e distanti almeno 50 metri. Negli accostamenti critici tra aree non urbanizzate si potrà inserire una o più fasce cuscinetto e ad ognuna di tali fasce si attribuirà una classe acustica tale da evitare l’accostamento critico…..valgono le seguenti regole generali: a) non possono mai essere inserite all’interno di aree poste in Classe I; b) non vengono inserite nel caso di evidenti discontinuità geomorfologiche che evitano di fatto l’accostamento critico; c) possono essere inserite solo in aree non urbanizzate o non completamente urbanizzate. Un’area si considera non completamente urbanizzata qualora la densità urbanistica sia inferiore al 12.5% della sua superficie. La verifica della densità urbanistica è effettuata con riferimento alla superficie di larghezza minima della fascia stessa (50 m)…..d) non può essere inserito un numero di fasce cuscinetto tale che la superficie totale di esse risulti superiore al 50% dell’area in cui vengono incluse; e) nel caso non possano essere posizionate tutte le fasce cuscinetto necessarie ad evitare l’accostamento critico verranno inserite solamente quelle di classe acustica contigua all’area più sensibile”.
8.7. Pertanto, riassumendo, per le zone non urbanizzate o non completamente urbanizzate, è previsto il divieto di contatto diretto tra aree aventi livelli assoluti di rumore che si discostano più di 5 decibel.
Qualora in base alle destinazioni del PRGC sussistano accostamenti critici tra aree non urbanizzate, devono essere inserite ‘fasce cuscinettò volte all’eliminazione della criticità riscontrata.
Di converso, tale divieto può essere derogato nelle aree totalmente urbanizzate e sature.
In tal caso, tuttavia, il piano di zonizzazione deve prevedere la predisposizione di piani di risanamento, con oneri finanziari a carico del comune.
8.8. La Sezione condivide il ragionamento logico-giuridico seguito dal primo giudice, il quale si è sostanziato nei seguenti principali snodi argomentativi:
– l’attività di “omogeneizzazione” è soggetta a determinati limiti, in presenza dei quali essa rimane comunque attività non dovuta, in quanto espressione di discrezionalità amministrativa, tendente a contemperare opposte esigenze, e non già a fare applicazione di norme tecniche o di regole scientifiche: il soggetto che deduce l’illegittimità della “omogeneizzazione” per l’insussistenza delle condizioni in presenza delle quali essa può essere effettuata, ha l’onere di dimostrare in modo compiuto l’assenza delle condizioni legittimanti, non potendo limitarsi a darne enunciazione;
– l’inserimento delle fasce cuscinetto tra aree completamente urbanizzate ad “accostamento critico” non è obbligatoria e non è prevista, né a livello legislativo, né dalle linee guida regionali; di converso, le linee guida fanno carico ai Comuni, nell’attività di zonizzazione acustica, di procedere all’individuazione delle suddette “fasce cuscinetto”, a fronte di accostamenti critici tra aree che non siano entrambe completamente urbanizzate;
– il concetto di “urbanizzazione” di un’area, ai fini della applicazione del divieto di accostamenti critici, è enucleata in base al concetto di “densità urbanistica” (si afferma che “un’area si considera non completamente urbanizzata qualora la densità urbanistica sia inferiore al 12.5% della sua superficie”; ciò equivale a dire che, se l’area è caratterizzata da una percentuale di “densità urbanistica” superiore al 12,5%, si dovrà affermare che tale area è completamente urbanizzata, mentre laddove non sia apprezzabile alcuna “densità urbanistica” si potrà affermare che l’area non è urbanizzata);
– i concetti di “densità fondiaria” e di “densità edilizia territoriale” fanno riferimento al rapporto tra il volume realizzato e la superficie di una data particella fondiaria o di una data zona o maglia urbanistica; il concetto di “rapporto di copertura” indica il rapporto tra la superficie coperta per effetto di edificazione e la superficie del fondo edificato o della intera area urbanistica considerata. Il concetto di “densità urbanistica”, invece, allude al rapporto tra la superficie dell’area interessata e la superficie di essa sulla quale le previsioni del piano regolatore generale abbiano già ricevuto attuazione (l’attuazione può avvenire anche con modalità diverse dall’edificazione); .
9. La Sezione aggiunge, a queste condivisibili osservazioni, le seguenti ulteriori considerazioni.
9.1. In materia di zonizzazione acustica del territorio, le scelte dell’Amministrazione non possono sovrapporsi meccanicamente alla pianificazione urbanistica, ma devono tener conto del disegno urbanistico voluto dal pianificatore, ovverossia delle preesistenti destinazioni d’uso del territorio.
Ciò rileva sotto un duplice aspetto.
Da un lato, rileva l’interesse pubblico generale alla conservazione del disegno di governo del territorio programmato dal pianificatore, il quale riflette un ben preciso interesse della comunità ad un certo utilizzo del proprio territorio, sul quale la medesima è stanziata.
Da un altro lato, rileva l’interesse dei privati alla conservazione delle potenzialità edificatorie connesse alla titolarità dei diritti sui beni immobili e derivanti dalle pregresse e già effettuate scelte di pianificazione, le quali devono poter essere attuate pro futuro, avendo una natura tipicamente programmatoria.
Pertanto, contrariamente a quanto sostenuto dalla società ricorrente, ai fini dell’esegesi del concetto di “densità urbanistica” (e, a valle, di quello di “urbanizzazione”), non può essere dato rilievo agli usi effettivi in atto sul territorio (nell’ambito dei quali, peraltro, la ricorrente parrebbe anche dare preminente, se non esclusivo rilievo, al solo stato dell’edificazione privata), perché essi si limitano a rappresentare (staticamente) la realtà dell’uso del territorio, trascurando l’aspetto dinamico del suo governo.
Ed è su tale dinamicità che si regge, invece, la ratio della disciplina legislativa statale e di quella regionale, entrambe sostanzialmente rivolte a perseguire l’obiettivo del contemperamento tra due interessi generali: quello della pianificazione urbanistica e quello della tutela dall’inquinamento acustico.
Questi due interessi generali, che potrebbero entrare materialmente in conflitto nel momento in cui al pianificatore comunale venissero imposti limiti troppo stringenti, vengono per l’appunto regolati, dall’astratta previsione legislativa, col dare rilievo alle preesistenti destinazioni urbanistiche (pur se ancora non attuate), sulla base del razionale principio di ‘non contraddizionè .
9.2. Qualora, invece -come prospetta la società ricorrente- tale meccanismo regolatorio e di composizione del conflitto dovesse essere esteso alla considerazione dello stato effettivo e reale dell’edificazione, si verrebbe a creare – in via esegetica e senza una base legale legittimante – una duplice limitazione: quella a carico dello strumento urbanistico già adottato e approvato, il quale non potrebbe più essere attuato secondo le originarie previsioni; quella a carico dei privati, che vedrebbero inevitabilmente ridotte le capacità edificatorie espresse dai propri fondi, attraverso l’imposizione di fasce cuscinetto.
10. La Sezione ritiene infondate anche le dedotte censure di inadeguata motivazione.
L’Amministrazione ha dato congruamente conto delle ragioni sottese alle scelte classificatorie, tenuto conto dello stato dell’urbanizzazione e delle criticità riscontrate.
Di conseguenza, il sindacato del giudice deve arrestarsi alla soglia della non manifesta illogicità, irrazionalità o irragionevolezza della scelta compiuta, senza potere impingere nel merito dell’azione amministrativa.
In tale parte, pertanto, la motivazione della sentenza di primo deve intendersi integrata.
11. Per le considerazioni che precedono, vanno respinte tutte le censure, contenute nel vari motivi, con cui è stata dedotta l’illegittimità degli atti impugnati per l’erronea attribuzione della classe IV.
12. Risultano altresì infondati gli ulteriori profili di illegittimità dedotti con l’atto d’appello.
13. Col primo motivo, è lamentato che – a fronte della corretta attribuzione della classe VI per il proprio comprensorio – il piano di zonizzazione ha errato nell’attribuire la classe IV per l’area adiacente.
Vi sarebbe stata quindi la violazione dell’art. 7 della legge regionale n. 52 del 2000, della legge n. 241 del 1990, oltre profili di eccesso di potere.
Sarebbero state violate le regole sulla partecipazione e sull’obbligo di motivare l’atto finale, dopo la presentazione di osservazioni.
Inoltre, avrebbero errato l’Amministrazione e il TAR a considerare urbanizzate le aree circostanti, poiché si tratta di aree non completamente urbanizzate con destinazione urbanistica a parco fluviale P19.
Col secondo motivo, è dedotta la violazione dell’art. 4 della legge n. 447 del 1995 e dell’art. 6 della legge regionale n. 52 del 2000, e delle linee guida regionali, poiché il piano impugnato avrebbe violato il divieto di accostamento di zone acustiche i cui limiti di esposizione si discostino in misura superiore a cinque decibel.
Nel dedurre che il TAR non avrebbe esaminato le censure effettivamente dedotte col ricorso e che erroneamente avrebbe rilevato la mancata dimostrazione della mancata urbanizzazione delle aree, è lamentato che la classe IV all’area circostante al compendio inserito in classe VI sarebbe stata attribuita in assenza di adeguata motivazione, richiesta dalle linee guida.
Non sarebbe sufficiente, infatti, supportare le scelte con il richiamo alle zone sature, dovendovi essere una motivazione sulle ragioni delle scelte effettuate in deroga alla legge.
Inoltre, il TAR anche sotto tale profilo avrebbe errato a considerare urbanizzate le aree, trattandosi di un’area parco pluviale P19 e avrebbe dato un significato non condivisibile alle espressioni area urbanizzata e densità urbanistica .
14. Ritiene il Collegio che tali due articolate censure vadano esaminate congiuntamente, per i loro profili di connessione.
Esse risultano infondate e vanno respinte.
Il TAR non ha fatto riferimento a circostanze di fatto e a considerazioni non attinenti al giudizio, poiché la motivazione della sentenza impugnata ha affrontato le questioni di carattere generale, individuando il quadro normativo rilevante nel giudizio e tenendo conto delle circostanze di fatto esposte col ricorso originario, definendo anche le questioni di principio concernenti i rapporti tra la pianificazione urbanistica, le preesistenze e la funzione del piano di zonizzazione acustica.
Peraltro, risultano infondate le censure di eccesso di potere, poiché il Comune ha esaminato le controdeduzioni e non si può considerare viziata la sua determinazione di non accogliere le relative richieste, in considerazione della loro natura meramente collaborativa.
Inoltre, non ha trovato idonea smentita la deduzione dell’Amministrazione, secondo cui nel corso del procedimento si è anche specificamente tenuto conto della prospettazione della società, con una riclassificazione di un’area dalla classe IV alla classe V e di un’altra area dalla classe III ala classe IV.
Quanto al rilievo della destinazione a parco fluviale P19 dell’area adiacente, ed alla classificazione in classe IV, con una valutazione di natura tecnico-discrezionale l’Amministrazione ha ritenuto che essa non poteva essere qualificata come fascia cuscinetto, in considerazione del punto 2.6., comma VI, delle linee guida, che ha fissato criteri per l’introduzione delle fasce cuscinetto per i casi in cui si debbano eliminare gli accostamenti critici.
Per quanto riguarda la deroga al divieto degli accostamenti critici, l’Amministrazione ha tenuto conto delle preesistenti destinazioni d’uso.
Occorre infatti tener presente la natura pianificatoria dell’atto contestato, basato su valutazioni tecnico-discrezionali, e delle disposizioni delle linee guida in concreto applicate.
Nell’ambito del relativo procedimento, scandito dalle sue varie fasi, per valutare l’adiacenza di classi non contigue nel corso della fase IV si sono individuate le preesistenti destinazioni d’uso degli accostamenti critici non eliminabili (né con il processo di omogeneizzazione, né con l’inserimento di fasce cuscinetto), trattandosi di aree già urbanizzate aventi diverse destinazioni (nel senso sopra descritto, rilevando di per sé anche le previsioni urbanistiche non ancora attuate).
La relazione illustrativa ha evidenziato che – per la presenza di tali ‘aree saturè – l’inserimento delle fasce cuscinetto ha avuto luogo per un numero esiguo di accostamenti critici, con la conseguenza che vi è stato un’notevole numero di accostamenti critici residuà .
Per questi, la relazione – i cui passi motivazionali sono stati riportati nella memoria difensiva depositata dal Comune – ha segnalato come tali accostamenti critici residui ‘individuati nelle tavole di pianò siano stati ‘delineatà, tenendo conto delle destinazioni d’uso che li hanno determinati, delle classi acustiche relative e della tipologia di contatto, anche con la distinzione tra contatti critici di primo e di secondo livello.
Tra gli accostamenti critici, la relazione ha richiamato anche quella riguardante l’area 797, classe VI con destinazione aree per attività produttiva, in contatto critico con l’area 3827, collocata nella classe IV, con destinazione a verde pubblico ed a verde assegnato ad uso pubblico.
In tal modo, l’Amministrazione – nel tenere conto doverosamente delle linee guida e del divieto di accostamenti critici tra aree continue già urbanizzate – non solo ha consapevolmente individuato ed affrontato la questione dell’accostamento critico, ma ha anche diffusamente esposto le ragioni che la hanno indotta alla scelta contestata dalla società appellante, riferibili alla urbanizzazione delle zone considerate e alla preesistenza delle destinazioni d’uso, descritte in una specifica tabella.
Ad avviso del Collegio, la normativa statale e quella regionale sopra richiamate attribuiscono all’Amministrazione un potere tecnico-discrezionale (sindacabile in sede di giurisdizione amministrativa di legittimità per i suoi profili di eccesso di potere), che deve unitariamente tenere conto delle previsioni urbanistiche (anche quelle ancora da attuare), del preuso (purché non si verifichi la lesione di diritti fondamentali, in coerenza con le altre disposizioni dell’ordinamento volte a contemperare le ragioni dell’impresa, quelle dei proprietari e quelle dei residenti, tra cui l’art. 844 del codice civile), della morfologia del territorio, della diversità delle aree frontistanti gli stabilimenti industriali e di ogni altro elemento utile per contemperare gli interessi in conflitto.
15. Col terzo motivo, è riproposta la censura di violazione degli articoli 4 e 7 della legge n. 447 del 1995 e degli articoli 6 e 13 della legge regionale n. 52 del 2000, sulla mancata precisazione secondo cui nel caso di criticità vanno approvati piani di risanamento acustico, a spese del Comune.
16. La Sezione ritiene il motivo inammissibile, prima ancora che (come ritenuto dal primo giudice) infondato.
La ricorrente prospetta un motivo di impugnazione che, allo stato, ha natura meramente ipotetica e dubitativa, senza che una reale ed effettiva lesione della sua sfera giuridica si sia mai realizzata.
Il piano acustico impugnato non contiene alcun riferimento all’aspetto soggettivo dell’imputazione dei costi che saranno necessari per l’emanazione del piano di risanamento.
Né, d’altronde, avrebbe dovuto prevederlo, perché è la stessa legge statale a regolare la fattispecie. Semmai, tale previsione dovrà essere contenuta nello specifico piano di risanamento, il quale potrà essere autonomamente impugnato laddove recante previsioni lesive.
17. In definitiva, l’appello va respinto e, per l’effetto, va confermata la sentenza impugnata, sia pure sulla base di una motivazione parzialmente diversa.
Le spese di lite del grado d’appello, regolate in base alla soccombenza, sono liquidate come in dispositivo secondo i parametri di cui al regolamento n. 55 del 2014 e s.m.i.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta respinge l’appello n. 2456 del 2019.
Condanna la società appellante al pagamento di euro tremila, oltre agli accessori di legge, in favore del Comune appellato, per spese ed onorari del secondo grado del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, presso la sede del Consiglio di Stato, Palazzo Spada, nella camera di consiglio del giorno 3 ottobre 2019, con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti – Presidente, Estensore
Luca Lamberti – Consigliere
Daniela Di Carlo – Consigliere
Alessandro Verrico – Consigliere
Roberto Caponigro – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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