In materia di telecomunicazioni viene rimessa alle sezioni Unite la questione in ordine alla obbligatorietà del tentativo di conciliazione

Corte di Cassazione, sezione terza civile, Ordinanza 20 giugno 2019, n. 16594.

La massima estrapolata:

In materia di telecomunicazioni viene rimessa alle sezioni Unite la questione in ordine alla obbligatorietà del tentativo di conciliazione anche con riferimento al procedimento monitorio e, in caso affermativo, se il mancato assolvimento di detto obbligo comporti la improcedibilità o la improponibilità della domanda, mentre, in caso negativo, quale sia la parte gravata dall’onere di attivazione del tentativo di conciliazione.

Ordinanza 20 giugno 2019, n. 16594

Data udienza 20 marzo 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente

Dott. CIGNA Mario – Consigliere

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere

Dott. GIANNITI Pasquale – rel. Consigliere

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 26180/2015 proposto da:
(OMISSIS) SPA, (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
e contro
(OMISSIS) SPA;
– intimata –
avverso la sentenza n. 1375/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 27/02/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20/03/2019 dal Consigliere Dott. PASQUALE GIANNITI;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CARDINO Alberto, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega.

IN FATTO

1. La Corte di Appello di Roma con sentenza n. 1375/2015, rigettando l’impugnazione proposta da (OMISSIS) s.p.a. nei confronti della societa’ (OMISSIS) (gia’ (OMISSIS)), ha integralmente confermato la sentenza n. 181/2013 con la quale il Tribunale di Roma, nel revocare il gia’ disposto decreto ingiuntivo, aveva dichiarato improcedibile la domanda di pagamento azionata da (OMISSIS) in via ingiuntiva nei confronti di (OMISSIS) (oggi (OMISSIS)), in relazione al corrispettivo per la fornitura di servizi di telecomunicazione mobile, per mancato espletamento, prima del deposito del ricorso monitorio, del tentativo obbligatorio di conciliazione (previsto dalla L. n. 294 del 1997 articolo 1 comma 11 e dalla Delib. dell’Autorita’ per le Garanzie nelle Comunicazioni 182/02/CONS).
2. Avverso la sentenza della Corte territoriale ha proposto ricorso (OMISSIS), articolando un unico motivo di censura e formulando in via subordinata eccezione di illegittimita’ costituzionale della L. n. 249 del 1997, articolo 1, comma 11, per violazione degli articoli 3, 24, 102 e 76 Cost..
Nessuna attivita’ difensiva e’ stata svolta dalla societa’ intimata.
3. In vista dell’adunanza camerale fissata per lo scorso 23 marzo 2018, (OMISSIS) ha presentato memoria a sostegno del ricorso.
Il Collegio, in ragione della rilevanza delle questioni, ha ritenuto opportuna la trattazione del ricorso in pubblica udienza.
Anche in vista dell’odierna udienza pubblica (OMISSIS) ha presentato memoria.
All’odierna udienza il Procuratore Generale ed il difensore di (OMISSIS) hanno entrambi concluso per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN DIRITTO

1. La compagnia (OMISSIS), con un unico motivo, denuncia, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, la violazione della L. n. 249 del 2007, articolo 1, comma 11 e dell’articolo 1 preleggi e/o, in relazione all’articolo 360, n. 5, l’omesso esame circa un fatto decisivo e controverso “con riferimento alla pronuncia di improcedibilita’ dell’azione monitoria proposta da (OMISSIS)”.
1.1. La ricorrente, in relazione al vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 3, si duole che la Corte territoriale: a) violando e comunque male interpretando la L. n. 249 del 1997, articolo 1, comma 11, abbia ritenuto l’obbligatorieta’ del preventivo tentativo di conciliazione anche con riferimento al procedimento monitorio; b) violando il generale principio di gerarchia delle fonti (fissato dall’articolo 1 preleggi), abbia ritenuto che gli articoli 3 e 4 del regolamento AGCOM 182/02/CONS (norma secondaria), nell’includere il procedimento monitorio tra quelli in relazione ai quali e’ necessario il preventivo esperimento del tentativo di conciliazione, fossero prevalenti sulla norma primaria (costituita dalla L. n. 249 del 1997, articolo 1, comma 11).
Deduce, in particolare, la ricorrente che il principio – dettato dalla Corte costituzionale per escludere l’applicabilita’ del tentativo di conciliazione ai procedimenti monitori nelle controversie in materia di lavoro (ordinanza 276/2000) e di rapporti di subfornitura (ordinanza 163/2004) – ha portata di carattere generale e deve trovare applicazione, nel silenzio della legge, anche ai procedimenti monitori, in particolare in materia di telecomunicazioni.
1.2. In relazione poi al vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5, la ricorrente rileva di aver dedotto, alla stregua delle pronunce della Corte costituzionale, la incompatibilita’ strutturale tra tentativo di conciliazione e decreto ingiuntivo in entrambi i giudizi di merito (e, in particolare, alle pagine 3-9 dell’atto di appello), ma la Corte territoriale in nessuna passaggio motivazionale della sentenza impugnata aveva affrontato il tema.
1.3. In via subordinata – per l’ipotesi in cui la L. n. 249 del 1997, articolo 1, comma 11, venga interpretato nel senso che impone “in capo al creditore, prima di chiedere un decreto ingiuntivo, l’obbligo di promuovere il tentativo di conciliazione” – la ricorrente solleva questione di legittimita’ costituzionale della norma cosi’ interpretata.
2. Il ricorso pone all’esame di questa Corte, espressamente o implicitamente, un triplice quesito:
a) se, nella materia delle telecomunicazioni, il tentativo di conciliazione sia o meno obbligatorio anche con riferimento al procedimento monitorio;
b) nel caso in cui si ritenga obbligatorio il tentativo, se il mancato assolvimento di detto obbligo comporti la improcedibilita’ ovvero la improponibilita’ della domanda;
c) nel caso in cui, al contrario, si ritenga non obbligatorio il tentativo, quale sia, nella successiva fase dell’opposizione, la parte sulla quale grava l’onere di attivazione del tentativo di conciliazione e quali siano le ripercussioni della eventuale inottemperanza a tale onere sulla sorte del decreto ingiuntivo opposto.
3. Il corretto inquadramento delle suddette questioni richiede la previa disamina della relativa cornice normativa, secondo una interpretazione costituzionalmente e comunitariamente orientata.
3.1. In particolare, la L. 31 luglio 2007, n. 249 (che ha istituito l’Autorita’ per le garanzie nelle telecomunicazioni ed ha regolamentato i sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo) all’articolo 1, comma 11 prevede:
“L’Autorita’ disciplina con propri provvedimenti le modalita’ per la soluzione non giurisdizionale delle controversie che possono insorgere fra utenti o categorie di utenti ed un soggetto autorizzato o destinatario di licenze, oppure tra soggetti autorizzati o destinatari di licenze tra loro. Per le predette controversie, individuate con provvedimenti dell’Autorita’, non puo’ proporsi ricorso in sede giurisdizionale fino a che non sia stato esperito un tentativo obbligatorio di conciliazione da ultimare entro trenta giorni dalla proposizione dell’istanza all’Autorita’. A tal fine, i termini per agire in sede giurisdizionale sono sospesi fino alla scadenza del termine per la conclusione del procedimento di conciliazione”.
3.2. In forza della suddetta delega legislativa, l’Autorita’ per le garanzie nelle telecomunicazioni (le cui competenze sono indicate nell’articolo 1, comma 6 della citata legge istitutiva e sono state richiamate proprio da questa Sezione nella sentenza n. 25611/2016, di seguito indicata), con Delib. n. 182 del 2002, ha adottato il Regolamento relativo alla risoluzione delle controversie insorte nei rapporti tra organismi di telecomunicazioni ed utenti. Detto regolamento:
– all’articolo 3, comma 1, dispone che: “Gli utenti o associati, ovvero gli organismi, che lamentino la violazione di un proprio diritto o interesse protetti da un accordo privato o dalle norme in materia di telecomunicazioni attribuite alla competenza dell’Autorita’ e che intendano agire in giudizio, sono tenuti a promuovere preventivamente un tentativo di conciliazione dinanzi al Corecom competente per territorio”;
– all’articolo 4, comma 1, dispone che: “La proposizione del tentativo di conciliazione, ai sensi della L. 31 luglio 1997, n. 249, articolo 1, comma 11, sospende i termini per agire in sede giurisdizionale, che riprendono a decorrere dalla scadenza del termine per la conclusione del procedimento di conciliazione”;
– all’articolo 4, comma 2, dispone che: “Il ricorso giurisdizionale non puo’ essere proposto sino a quando non sia stato espletato il tentativo di conciliazione da ultimare entro trenta giorni dalla proposizione dell’istanza”.
3.3. L’articolo 34 della Direttiva 2022/22/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio in data 07/03/2002 (direttiva servizio universale), intitolato “Risoluzione extragiudiziale delle controversie” prevede:
– al comma 1, l’obbligo degli stati membri di istituire “procedure extragiudiziali trasparenti, semplici e poco costose, per l’esame delle controversie irrisolte, in cui sono coinvolti i consumatori, relative alle questioni contemplate nella presente direttiva. Gli Stati membri provvedono affinche’ tali procedure consentano un’equa e tempestiva risoluzione delle controversie..”;
– al comma 4, che “il presente articolo non pregiudica le procedure giudiziarie nazionali”.
3.4. Il nostro Paese ha inteso dare attuazione alla Direttiva “Servizio universale” con Decreto Legislativo n. 259 del 2003 (c.d. Codice delle Comunicazioni Elettroniche), il cui articolo 84 testualmente dispone:
“L’Autorita’, ai sensi della L. 31 luglio 1997, n. 249, articolo 1, commi 11, 12 e 13… adotta procedure extragiudiziali trasparenti, semplici e poco costose per l’esame delle controversie in cui sono coinvolti i consumatori e gli utenti finali… tali da consentire un’equa tempestiva risoluzione delle stesse…”.
3.5. L’AGCOM, con Delib. n. 173/07/CONS, ha adottato un nuovo Regolamento per la risoluzione extragiudiziale delle controversie (sostitutivo di quello previsto dalla Delib. AGCOM 182/02/CONS, sopra richiamato), con il quale, per quanto qui rileva, ha previsto:
– nell’articolo 2, comma 1, che: “Ai sensi dell’articolo 1, commi 11 e 12, della legge, sono rimesse alla competenza dell’Autorita’ le controversie in materia di comunicazioni elettroniche tra utenti finali ed operatori, inerenti al mancato rispetto delle disposizioni relative al servizio universale ed ai diritti degli utenti finali stabilite dalle norme legislative, dalle delibere dell’Autorita’, dalle condizioni contrattuali e dalle carte dei servizi”;
– nell’articolo 2, comma 2, che: “Sono escluse dall’applicazione del presente Regolamento le controversie attinenti esclusivamente al recupero di crediti relativi alle prestazioni effettuate, qualora l’inadempimento non sia dipeso da contestazioni relative alle prestazioni medesime. In ogni caso, l’utente finale non e’ tenuto ad esperire il tentativo obbligatorio di conciliazione previsto dall’articolo 3 per formulare eccezioni, proporre domande riconvenzionali ovvero opposizione a norma degli articoli 645 c.p.c. e segg.”;
– nell’articolo 3, comma 1, che “Per le controversie di cui all’articolo 2, comma 1, il ricorso in sede giurisdizionale e’ improcedibile fino a che non sia stato esperito il tentativo obbligatorio di conciliazione dinanzi al Co.re.com competente per territorio munito di delega a svolgere la funzione conciliativa, ovvero dinanzi agli organismi di risoluzione extragiudiziale delle controversie di cui all’articolo 13”.
4. Passando dal dato normativo a quello giurisprudenziale, si rileva:
4.1. La Corte Costituzionale ha chiarito che la previsione delle procedure obbligatorie di conciliazione debba essere messa in relazione con l’interesse generale al soddisfacimento piu’ immediato delle situazioni sostanziali realizzato attraverso la composizione preventiva della lite rispetto a quello conseguito attraverso il processo (sentenze n. 276/2000 e n. 403/2007). L’interesse preminente – in altri termini – non e’ quello delle Corti ad evitare la necessita’ di procedere alla trattazione e alla decisione delle controversie, bensi’ quello della stessa parte, la quale in tal modo viene autoritativamente guidata allo svolgimento di un tentativo finalizzato al migliore perseguimento del soddisfacimento al quale aspira tramite il ricorso alla tutela giurisdizionale. Tale rilievo e’ confermato da quanto osserva la Corte Costituzionale a proposito delle finalita’ proprie della procedura conciliativa, in quanto si evidenzia correttamente che essa e’ diretta principalmente ad assicurare un “elevato livello di protezione dei consumatori e (a) promuovere la fiducia dei consumatori” (cosi’ la sentenza n. 403/2007, richiamata nella ordinanza n. 51/2009).
– 4.2. Con riferimento al rapporto tra tentativo di conciliazione e procedimento monitorio, il giudice delle leggi, nella sentenza n. 276/00, ha individuato nella mancanza di contraddittorio tra le parti l’elemento di incompatibilita’ strutturale tra il procedimento di conciliazione (che tale contraddittorio presuppone) ed il provvedimento monitorio (che non prevede contraddittorio nella fase sommaria), rilevando che “invero il tentativo obbligatorio di conciliazione e’ strutturalmente legato ad un processo fondato sul contraddittorio. La logica che impone alle parti di “incontrarsi” in una sede stragiudiziale, prima di adire il giudice, e’ strutturalmente collegata ad un (futuro)processo destinato a svolgersi fin dall’inizio in contraddittorio fra le parti. All’istituto (id est, al tentativo di conciliazione) sono quindi per definizione estranei i casi in cui invece il processo si debba svolgere in una prima fase necessariamente senza contraddittorio, come accade per il procedimento per decreto ingiuntivo. Non avrebbe infatti senso imporre, nella fase pregiurisdizionale relativa al tentativo di conciliazione, un contatto fra le parti che invece non e’ richiesto nella fase giurisdizionale ai fini della pronuncia del provvedimento monitorio”.
4.3. Ancora, la Corte Costituzionale:
– con ordinanza n. 163/2004, ha escluso, sempre con riferimento alla fase sommaria monitoria, la necessita’ del previo esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione previsto dalla L. n. 192 del 1998, articolo 10, comma 1, con riferimento alle “controversie relative ai contratti di subfornitura di cui alla presente legge”, senza distinzione alcuna (peraltro, non in forza del generale principio dell’assenza di contraddittorio, ma) perche’ il legislatore, consentendo al subfornitore di procedere per ingiunzione, ha apprestato per lo stesso una tutela particolarmente intensa ed ha cosi’ risolto (non irragionevolmente) il problema del bilanciamento con l’esigenza di favorire uno strumento transattivo obbligatorio preprocessuale;
– con sentenza n. 403/2007, ha affrontato il tema dell’obbligatorieta’ del preventivo tentativo di conciliazione, previsto dalla norma censurata nel ricorso in esame, con riferimento ai procedimenti cautelari e d’urgenza (disciplinati, come e’ noto, dal capo III del titolo I del libro IV del codice di procedura civile), ma non anche con riferimento al procedimento monitorio (disciplinato, come e’ noto, dal capo I del titolo I del libro IV).
5. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con sentenza del 18/03/2010, emessa nella causa Alassini ed altri – nell’affrontare la questione se il diritto comunitario consente o meno che una legislazione nazionale, come quella italiana, preveda una condizione di “ricevibilita’” dei ricorsi giurisdizionali rivolti alla tutela di diritti riconosciuti dall’ordinamento comunitario – ha affermato che:
– l’articolo 34 della direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 7 marzo 2002, 2002/22/CE, relativa al servizio universale e ai diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica (direttiva servizio universale) dev’essere interpretato nel senso che esso non osta ad una normativa di uno Stato membro in forza della quale le controversie in materia di servizi di comunicazioni elettroniche tra utenti finali e fornitori di tali servizi, che riguardano diritti conferiti da tale direttiva, devono formare oggetto di un tentativo obbligatorio di conciliazione extragiudiziale come condizione per la ricevibilita’ dei ricorsi giurisdizionali;
– neanche i principi di equivalenza e di effettivita’, nonche’ il principio della tutela giurisdizionale effettiva, ostano ad una normativa nazionale che impone per siffatte controversie il previo esperimento di una procedura di conciliazione extragiudiziale, a condizione che:
a) tale procedura non conduca ad una decisione vincolante per le parti;
b) non comporti un ritardo sostanziale per la proposizione di un ricorso giurisdizionale;
c) sospenda la prescrizione dei diritti in questione;
d) non generi costi, ovvero generi costi non ingenti, per le parti;
e) la via elettronica non costituisca l’unica modalita’ di accesso a detta procedura di conciliazione;
f) sia possibile disporre provvedimenti provvisori nei casi eccezionali in cui l’urgenza della situazione lo impone.
6. Tanto premesso, nella specifica materia delle telecomunicazioni, l’unico precedente della giurisprudenza di questa Corte e’ costituito dalla gia’ citata sentenza n. 25611 del 14/10/2016 (Rv. 642334 – 01), nella quale proprio questa Sezione, in diversa composizione, decidendo un caso analogo a quello oggetto del ricorso introduttivo del presente giudizio, e’ pervenuta ad affermare che il tentativo obbligatorio di conciliazione non si estende anche alla fase sommaria della procedura monitoria.
Per altro verso, sempre questa Sezione, con sentenza n. 24629 del 3/12/2015 (Rv. 638006 – 01), ha affermato che, in caso di opposizione a decreto ingiuntivo, l’onere di avviare la procedura di mediazione delegata ai sensi del Decreto Legislativo n. 28 del 2010, articolo 5, comma 4, grava sulla parte opponente, per cui la mancata attivazione della mediazione comporta la declaratoria di improcedibilita’ della opposizione e la definitivita’ del decreto ingiuntivo opposto, che acquista l’incontrovertibilita’ tipica del giudicato.
6.1. L’impianto motivazionale della menzionata sentenza n. 25611/2016 di questa Corte si snoda attraverso i seguenti passaggi:
– il tentativo obbligatorio di conciliazione tende a soddisfare l’interesse generale sotto un duplice profilo: da un lato, evitando che l’aumento delle controversie attribuite al giudice ordinario provochi un sovraccarico dell’apparato giudiziario, con conseguenti difficolta’ per il suo funzionamento; dall’altro, favorendo la composizione preventiva della lite, che assicura alle situazioni sostanziali un soddisfacimento piu’ immediato rispetto a quella conseguita attraverso il processo;
– nel vigente quadro normativo, ratione materiae, l’obbligo di esperimento del tentativo di conciliazione come condizione di procedibilita’ del giudizio deve essere guardata in funzione dello scopo che le relative norme si prefiggono, con la conseguenza che l’obbligatorieta’ del tentativo di risoluzione extragiudiziaria della controversia, comportando un inevitabile effetto dilatorio della tutela giurisdizionale, dovuto ai tempi di svolgimento della procedura conciliativa, viene necessariamente a cedere di fronte ad immediate esigenze di tutela anticipata cui provvedono le misure cautelari, in quanto strumentali ad evitare un attuale pregiudizio grave ed irreparabile al diritto. Mentre, in relazione ad altri procedimenti sommari, diretti a fornire spedita tutela del diritto allo scopo di evitare lo svolgimento del giudizio di merito, si trattera’ di verificare, caso per caso, se gli obiettivi cui e’ preordinato il tentativo obbligatorio di conciliazione siano gia’ assicurati dalle modalita’ di svolgimento di tali procedimenti giurisdizionali, ovvero se, invece, la procedura conciliativa, intesa a pervenire ad un accordo stragiudiziale sostitutivo della decisione di merito adottata all’esito del giudizio, risulti oggettivamente incompatibile con la struttura stessa di detti procedimenti, risultando evidente come, in entrambi questi casi, tali procedimenti dovrebbero ritenersi sottratti alla condizione di procedibilita’ del previo esperimento del tentativo conciliativo;
– secondo la Consulta (Corte Cost., 13 luglio 2000, n. 276), il contraddittorio delle parti e’ l’elemento di incompatibilita’ strutturale tra il procedimento di conciliazione (che tale contraddittorio presuppone) ed il procedimento monitorio (che non prevede contraddittorio, nella fase sommaria), rilevando che il tentativo obbligatorio di conciliazione e’ strutturalmente legato ad un processo fondato sul contraddittorio;
– tenuto conto della logica che impone alle parti di incontrarsi in una sede stragiudiziale prima di adire il giudice (strutturalmente collegata ad un futuro processo destinato a svolgersi fin dall’inizio in contraddittorio fra le parti), all’istituto in esame sono per definizione estranei i casi in cui il processo si debba svolgere in una prima fase necessariamente senza contraddittorio, come accade per il procedimento per decreto ingiuntivo, nel quale, non avrebbe senso imporre nella fase (pre)giurisdizionale relativa al tentativo di conciliazione, un contatto fra le parti che invece non e’ richiesto nella fase giurisdizionale ai fini della pronuncia del provvedimento monitorio;
– tale argomento e’ alla base anche della disciplina della condizione di procedibilita’ della mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali, introdotta dal Decreto Legislativo 4 marzo 2010, n. 28, attuativo della L. n. 69 del 2009, articolo 60, che, all’articolo 5, comma 4, lettera a), ha previsto espressamente, tra i casi per i quali e’ esclusa la obbligatorieta’ della mediazione, i procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione, posticipando il tentativo obbligatorio all’esito della fase liminale del giudizio di merito introdotto con la notifica dell’atto introduttivo dell’opposizione;
– l’esigenza di assicurare al destinatario dell’ingiunzione la possibilita’ di definire in via extragiudiziaria la controversia puo’ essere garantita nella seconda fase, analogamente a quanto previsto dalla disciplina legislativa della mediazione che, avuto riguardo alla perentorieta’ del termine stabilito per la proposizione della opposizione – che, in difetto di espressa norma di legge, non viene ad essere sospeso dalla proposizione dell’istanza di mediazione, divenendo definitivo ed irrevocabile il decreto di condanna in caso di omessa attivazione dell’opponente – colloca l’operativita’ della condizione di procedibilita’ nel momento immediatamente successivo a quello in cui il giudice dispone in limine litis, ai sensi degli articoli 648 e 649 c.p.c., rispettivamente, sulla richiesta di concessione o sospensione della provvisoria esecuzione del provvedimento monitorio.
6.1. In definitiva, secondo l’impianto interpretativo della sentenza n. 25611 del 14/10/2016, la peculiarita’ propria del procedimento monitorio consente di collegare la procedibilita’ dell’azione alla formale introduzione del giudizio di merito mediante la notifica dell’atto di opposizione, piuttosto che all’introduzione della lite attraverso la notifica del ricorso e del provvedimento monitorio: detta soluzione e’ parsa a quel Collegio funzionale alla logica deflattiva del processo cui tende il meccanismo conciliativo, in quanto soltanto con l’atto di opposizione (e non anche con il ricorso monitorio) la parte interessata accederebbe al giudizio ordinario di cognizione. D’altronde – poiche’ la peculiare struttura del procedimento monitorio, volta a conseguire agevolmente una definizione della lite senza giudizio di merito, non richiede l’instaurazione di un contraddittorio, invece previsto dalla procedura conciliativa – detta procedura, se applicata anticipatamente al momento della proposizione del ricorso monitorio ex articolo 633 c.p.c., priverebbe di utilita’ tale fase sommaria, in quanto, in caso di fallimento del tentativo di conciliazione, si risolverebbe in una mera dilazione dei tempi necessari a pervenire alla definizione del giudizio di merito, in palese distonia con il principio di speditezza e di ragionevole durata dei processi ex articolo 111 Cost..
6.2. Occorre aggiungere che la qualificazione del tentativo obbligatorio di conciliazione in termini di condizione di procedibilita’ ovvero di proponibilita’ della domanda ha formato oggetto, diretto o indiretto, di contrapposte decisioni di questa Corte (cfr., tra le altre, le ordinanze n. 26913 del 24/10/2018, Rv. 651170-01 e n. 17480 del 2/9/2015 Rv. 636797 -01; nonche’ le sentenze n. 14103 del 27/6/2011 Rv. 619043-01 e n. 24334 del 30/09/2008, Rv. 604763-01).
7. Con riguardo ai suddetti orientamenti (se, nella materia delle telecomunicazioni, il tentativo di conciliazione sia o meno obbligatorio anche con riferimento al procedimento monitorio; e, nel caso in cui si ritenga obbligatorio il tentativo, se il mancato assolvimento di detto obbligo comporti la improcedibilita’ ovvero la improponibilita’ della domanda) il collegio intende sollecitare l’intervento delle Sezioni Unite per le ragioni che di qui a breve seguiranno.
7.1. Per quanto concerne l’individuazione della parte sulla quale grava l’onere di attivazione della procedura di mediazione e le ripercussioni della eventuale inottemperanza a tale onere sulla sorte del decreto ingiuntivo opposto, questa Sezione, con la citata sentenza n. 24629/2015, ha adottato la soluzione secondo cui detto onere grava sulla parte opponente, con la conseguenza che la mancata attivazione della mediazione comporta la declaratoria di improcedibilita’ della opposizione e la definitivita’ del decreto ingiuntivo opposto, che acquista l’incontrovertibilita’ tipica del giudicato.
Tale interpretazione si fonda sul rilievo secondo il quale e’ l’opponente (e non l’opposto) ad avere interesse affinche’ proceda al giudizio di opposizione diretto alla rimozione di un atto giurisdizionale (il decreto ingiuntivo) suscettibile, altrimenti, di divenire definitivamente esecutivo; in tale prospettiva ermeneutica, dunque, e’ l’opponente a dovere subire le conseguenze del mancato o tardivo esperimento del procedimento di mediazione delegata. Argomentando in senso contrario, si introdurrebbe una sorta di improcedibilita’ postuma della domanda monitoria e si finirebbe col porre in capo al creditore ingiungente l’onere di coltivare il giudizio di opposizione per garantirsi la salvaguardia del decreto opposto, con cio’ sconfessando la natura stessa del giudizio di opposizione quale giudizio eventuale, rimesso alla libera scelta dell’ingiunto.
L’impianto motivazionale della sentenza n. 24629/2015 di questa Corte parte dalla considerazione che la disposizione di cui al Decreto Legislativo n. 28 del 2010, articolo 5, deve essere interpretata conformemente alla funzione deflattiva che il legislatore ha inteso attribuire all’istituto della mediazione e che mira a rendere il ricorso al processo la extrema ratio di tutela, cioe’ l’ultima possibilita’ dopo che tutte le altre sono risultate precluse. In tale prospettiva, l’onere di esperire il tentativo di mediazione dovrebbe allocarsi a carico della parte che ha interesse al processo, al fine di indurla a coltivare una soluzione alternativa della controversia che riconduca il ricorso alla tutela giurisdizionale nella logica di residualita’. Pertanto, il legislatore, nel disciplinare il procedimento di mediazione come condizione di procedibilita’ della domanda giudiziale, avrebbe inteso escludere dall’ambito di operativita’ della norma dettata dal Decreto Legislativo n. 28 del 2010, articolo 5, comma 1-bis, le ipotesi in cui la domanda venga introdotta nelle forme del procedimento monitorio.
8. Tale essendo il percorso motivazionale dei precedenti richiamati, in senso contrario sembrano deporre i seguenti rilievi:
8.1. Quanto all’obbligatorieta’ del tentativo di conciliazione anche nella fase monitoria, nelle controversie in materia di telecomunicazione:
– i termini “controversie”, “ricorso in sede giurisdizionale” e “agire in giudizio”, di cui alla complessiva normativa esistente in materia, sembrano potersi riferirsi non soltanto all’azione giurisdizionale ordinaria, ma anche al procedimento senza contraddittorio introdotto con le forme speciali di cui all’articolo 633 c.p.c.: il procedimento per decreto ingiuntivo, infatti, ha si lo scopo di giungere alla celere formazione di un titolo esecutivo mediante cognizione sommaria e senza contraddittorio, differito all’eventuale fase di merito introdotta dal giudizio di opposizione, ma consentirne l’introduzione in assenza di un preventivo tentativo di conciliazione contrasterebbe proprio con la ratio della L. n. 249 del 1997 (che e’ quella di deflazionare, in subiecta materia, il contenzioso ordinario pendente dinanzi ai tribunali);
– la conciliazione deve svolgersi entro il termine di 30 giorni, per cui svanisce l’esigenza di scongiurare il pericolo di un effetto dilatorio della tutela giurisdizionale; d’altronde, non e’ infrequente nella prassi che le parti, all’esito del tentativo di conciliazione, raggiungano un accordo che evita il giudizio, mentre un decreto, contenente l’ingiunzione di pagamento di una modesta somma di denaro, potrebbe indurre l’utente a non proporre opposizione, in considerazione, a tacer d’altro, dei costi del processo (con conseguente obbligo di pagare anche importi eventualmente non dovuti);
– l’estensione alle controversie in materia di telecomunicazione dell’esclusione dell’obbligatorieta’ del tentativo, disposta dal Decreto Legislativo n. 28 del 2010, articolo 5, sembra non tener conto del carattere speciale della normativa che disciplina la suddetta materia;
– la non incidenza del dato statistico sulla pur riconosciuta asimmetria difensiva non pare in linea con la generale esigenza di tutela del contraente debole (che, nella specie, e’ da ravvisarsi nel singolo utente e non certo nella compagnia di telefonia);
– la sentenza della Corte di giustizia del 18/3/2010, sopra citata, nel porre un elenco tassativo di condizioni che devono sussistere affinche’ sia obbligatorio il tentativo di conciliazione, sembra doversi interpretare, e trovare attuazione, nel senso che detto tentativo sia da considerarsi obbligatorio anche in presenza di un giudizio monitorio nelle controversie in materia di telecomunicazione, restando conseguentemente circoscritta (in guisa di eccezione a tale regola) la possibilita’ di non esperirlo alle sole ipotesi in cui sia necessario disporre provvedimenti provvisori nei casi eccezionali in cui l’urgenza della situazione lo impone (ipotesi da ritenersi, pertanto, del tutto eterogenee rispetto alla ordinaria procedura per decreto ingiuntivo, normalmente priva, di per se, dei detti caratteri di eccezionalita’ ed urgenza);
– la Delib. AGCOM 173/07/CONS, articolo 2, comma 2, prevede l’obbligatorieta’ del tentativo di conciliazione prima del deposito del ricorso per decreto ingiuntivo per tutte le controversie in materia di telecomunicazione (con esclusione di quelle nelle quali “l’inadempimento non sia dipeso da contestazioni relative alle prestazioni effettuate”), mentre la esclude nella fase di opposizione; e la facolta’ del giudice ordinario di disapplicare detta disposizione appare dubbia, non emergendo alcun contrasto tra la stessa e la legge delega (ed, anzi, avendo il Consiglio di Stato, con sentenza n. 1961/2013 esplicitamente ravvisato il fondamento legale della Delib. AGCOM nel disposto della normativa primaria di cui all’articolo 1, comma 11 e articolo 84 codice telecomunicazioni);
– l’articolo 84 codice telecomunicazioni (Decreto Legislativo n. 259 del 2003, attuativo, si ribadisce, della direttiva comunitaria Servizio universale n. 22/2002) contiene la delega all’AGCOM della disciplina degli strumenti di definizione del contenzioso alternativi agli strumenti giurisdizionali.
Donde il quesito (che, ad avviso del collegio remittente, parrebbe meritare risposta affermativa) se, nella materia delle telecomunicazioni, il tentativo di conciliazione sia obbligatorio anche con riferimento al procedimento monitorio.
9. Nel caso in cui si intenda dare al suddetto quesito risposta positiva, quanto alla natura dell’obbligo del tentativo di conciliazione quale condizione di proponibilita’ (e non di procedibilita’) delle controversie in materia di telecomunicazione (con conseguente obbligo del giudice, in caso di mancato esperimento del tentativo stesso, di pronunciare sentenza definitiva di improponibilita’ della domanda, con salvezza dei suoi soli effetti sostanziali) – si rileva:
– il gia’ ricordato della L. 31 luglio 2007, n. 249, articolo 1, comma 11, prevede espressamente che, per le controversie in esame, non puo’ proporsi ricorso in sede giurisdizionale fino a che non sia stato esperito un tentativo obbligatorio di conciliazione da ultimare entro trenta giorni dalla proposizione dell’istanza all’Autorita’”;
– la giurisprudenza di legittimita’, a proposito del tentativo di conciliazione in relazione alle controversie relative ai contratti agrari – ove la L. n. 203 del 1982, articolo 46, prevede che “chi intende proporre in giudizio una domanda relativa a una controversia (…) e’ tenuto a darne comunicazione, mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento, all’altra parte e all’ispettorato provinciale dell’agricoltura competente per il territorio”, al quale spetta di convocare entro venti giorni le parti e i rappresentanti di categoria per l’esperimento del tentativo di conciliazione – ha gia’ avuto modo di rilevare che la necessita’ dell’esperimento della conciliazione prima del processo comporta che, in caso di mancato svolgimento del tentativo prima del processo, il giudice del merito debba anche d’ufficio rilevare tale difetto, definendo la causa con sentenza dichiarativa d’improponibilita’, nell’impossibilita’ di applicare le regole approntate in relazione alla disciplina dei tentativi di conciliazione relativi ad altre materie (cfr., tra le piu’ recenti, Sez. 2, Sentenza n. 8306 del 23/04/2015, Rv. 635155 01). Dunque, nelle controversie in materia agraria, la soluzione adottata, piu’ restrittiva riguardo al regime di sanatoria applicabile al tentativo di conciliazione, e’ stata legata da questa Corte essenzialmente al dato letterale, che fa riferimento al procedimento di conciliazione quale condizione per la “proposizione” della domanda;
– la sentenza della Corte di giustizia del 18/3/2010, sopra citata, nel rilevare che non osta alla normativa comunitaria una normativa nazionale che impone per le controversie in esame il previo esperimento di una procedura di conciliazione extragiudiziale, ha ritenuto irricevibile l’atto introduttivo di una lite giudiziaria che non sia preceduto da detta procedura. E la irricevibilita’ comunitaria, parametrata al nostro sistema giuridico interno, appare espressione del tutto omogenea alla improponibilita’ della domanda (piuttosto che alla mera improcedibilita’ della stessa);
– la sanzione processuale della improcedibilita’ vanificherebbe, inoltre, la funzione deflattiva della conciliazione, in quanto imporrebbe al giudice di fissare un termine per l’esperimento del tentativo (restando salvi, al momento della prosecuzione del processo, gli effetti, sostanziali e processuali, dell’atto introduttivo del giudizio di merito); si consideri che, cosi’ opinando, la parte gravata dall’onere di attivare il tentativo di conciliazione potrebbe deliberatamente scegliere di non esperire il tentativo finche’ lo stesso non venga ordinato dal giudice, finanche in grado si appello, senza subire alcuna conseguenza processuale in ordine alla domanda proposta.
Donde il quesito se, nel caso in cui si ritenga obbligatorio il tentativo, il mancato assolvimento di detto obbligo comporti la improcedibilita’ ovvero la improponibilita’ della domanda.
10. Quanto al quesito relativo all’individuazione della parte gravata dell’onere di introdurre il tentativo di conciliazione nelle controversie in materia di telecomunicazione nella fase successiva all’opposizione, sul presupposto di una duplice risposta negativa ai quesiti che precedono, osserva il collegio che, in relazione ad esso, e’ gia’ stata disposta la rimessione degli atti di altro procedimento al primo presidente da un diverso Collegio di questa stessa Sezione.
11. Il delicato assetto del rapporto tra obbligatorieta’ del tentativo di conciliazione e struttura del procedimento monitorio, ad avviso del collegio, assume – alla luce del vigente quadro normativo e giurisprudenziale, nazionale ed Europeo – il carattere della questione di massima di particolare importanza, apparendo ormai indifferibile l’individuazione di univoci criteri di riferimento che consentano agli operatori del diritto (ed ai consociati) di conoscere preventivamente se, in materia di telecomunicazione, sia o meno obbligatorio il tentativo di conciliazione nella fase monitoria; ed ancora, in caso affermativo, quali siano le conseguenze del suo mancato esperimento; in caso negativo, infine – sempre che si ritenga applicabile per estensione la normativa posta dal Decreto Legislativo n. 28 del 2010, con disapplicazione della Delib. AGCOM 173/07/CONS, articolo 2, comma 2 – quale sia la parte gravata dall’onere di attivazione del tentativo di conciliazione. Problematiche queste che hanno formato oggetto, diretto o indiretto, delle decisioni di questa Corte sopra menzionate, alle quali, allo stato, il collegio remittente non ritiene di poter dare continuita’.
12. Alla luce delle considerazioni che precedono, il collegio ritiene prospettabili le seguenti soluzioni:
a) Una prima soluzione, in linea di continuita’ con la gia’ citata sentenza del 2016 questa sezione, deporrebbe nel senso di ritenere tout court incompatibile il tentativo di conciliazione con il procedimento monitorio, poiche’ caratterizzato dall’assenza di contraddittorio.
b) Di converso, la compiuta attuazione dei principi della sentenza Alassino della Corte di giustizia – ritenendo l’elencazione delle condizioni dell’obbligatorieta’ della conciliazione tassativa e non soltanto esemplificativa – indurrebbe invece a ritenere obbligatorio il tentativo di conciliazione anche in presenza di un procedimento monitorio, e di qualificare il ricorso come improponibile (tale essendo la “irricevibilita’” comunitaria), in consonanza con la legge del 1997) e non improcedibile, in mancanza di tale tentativo;
c) Dando seguito soltanto in parte qua al principio espresso dalla Corte costituzionale nel 2000, si potrebbe, ancora, ipotizzare l’applicabilita’ in extensum dell’articolo 633 c.p.c., comma 2 (“L’ingiunzione puo’ essere pronunciata anche se il diritto dipende da una controprestazione, purche’ il ricorrente offra elementi atti a far presumere l’adempimento della controprestazione”), di tal che, in caso di mancata opposizione (perche’, in ipotesi, l’utente non aveva alcun interesse ad opporsi, non potendo muovere alcuna efficace contestazione alla pretesa oggetto della domanda di ingiunzione), la domanda non andrebbe dichiarata improponibile/improcedibile: con l’ulteriore conseguenza, peraltro, che, costituendosi in opposizione il debitore, e muovendo in quella sede le contestazioni previste dall’articolo 1, comma 11 della Legge del 1997, il processo dovrebbe chiudersi con una sentenza di rito (di improponibilita’ e non di improcedibilita’ della domanda), con conseguente perdita di efficacia del decreto (in altri termini, il gestore attiverebbe il procedimento monitorio “a suo rischio”).
d) Se si ritenesse, invece, insuperabile il principio sul contraddittorio affermato dalla Corte costituzionale nel 2000, allora potrebbe apparire opportuna una nuova rimessione alla Corte di giustizia, perche’ si esprima sia sul punto dell’obbligatorieta’ della conciliazione in subiecta materia, sia su quello del significato della “irricevibilita’” del ricorso eventualmente proposto.

P.Q.M.

La Corte trasmette gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite delle questioni di massima di particolare importanza esposte in motivazione.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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