In materia di ricorso amministrativi

Consiglio di Stato, Sentenza|29 gennaio 2021| n. 902.

In materia di ricorso amministrativi ove l’interessato adisca la via giurisdizionale decorsi 90 giorni dalla presentazione del ricorso gerarchico, l’eventuale decisione amministrativa di accoglimento, facendo venir meno l’oggetto del giudizio, non potrebbe non determinare la cessazione della materia del contendere, mentre la decisione di rigetto in pendenza di giudizio, che costituisce il nodo storico tradizionale dell’istituto, non può ormai più pregiudicare il ricorrente” dovendo l’Amministrazione dichiarare improcedibile il ricorso e l’eventuale rigetto costituirebbe atto ad effetto confermativo, di accertamento della validità del provvedimento impugnato, privo di lesività, che non determina l’onere di una sua ulteriore impugnazione se la sede giurisdizionale era già stata adita; qualora invece il ricorrente, avendo atteso la pronuncia della decisione gerarchica, ottenga sia pure dopo 90 giorni, un provvedimento esplicito di rigetto, se non ritenga di impugnare detto provvedimento in sede giurisdizionale (o straordinaria), la decisione di rigetto diviene inoppugnabile, con i conseguenti effetti preclusivi ed estintivi delle situazioni soggettive incise dal provvedimento di base.

Sentenza|29 gennaio 2021| n. 902

Data udienza 1 dicembre 2020

Integrale

Tag – parola chiave: Guardia di finanza – Sanzione disciplinare – Impugnative – Ricorso gerarchico – Decorso di 90 giorni – Avvio azione giurisdizionale – Decisione amministrativa sopraggiunta – Effetti – Ipotesi applicative

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7094 del 2012, proposto dal signor
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Ca. Sc. ed El. Ge., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Gregorio Iannotta in Roma, viale (…),
contro
Il Comando Generale della Guardia di Finanza, Comando Interregionale dell’Italia centrale della Guardia di Finanza, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…),
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA: SEZIONE II n. -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente l’irrogazione della sanzione disciplinare della sospensione dall’impiego.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comando Generale della Guardia di Finanza e del Comando Interregionale dell’Italia centrale della Guardia di Finanza;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 1 dicembre 2020 il Cons. Carla Ciuffetti, dati per presenti i difensori delle parti ai sensi dell’art. 84, comma 5, decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, richiamato dall’art. 25 decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. La controversia in esame riguarda l’irrogazione di sanzione disciplinare di stato nei confronti dell’odierno appellante, disposta con determinazione n. -OMISSIS-dal Comando Interregionale dell’Italia centrale della Guardia di Finanza. Avverso tale determinazione l’interessato aveva presentato ricorso gerarchico, rigettato con provvedimento adottato decorsi 90 giorni dalla data della presentazione e notificato in data 7 maggio 2009 al medesimo interessato. Quest’ultimo aveva quindi adito il giudice amministrativo, impugnando il provvedimento di irrogazione della sanzione disciplinare con ricorso notificato all’Amministrazione in data 21 maggio 2009. Tale ricorso è stato dichiarato irricevibile dal Tar, in quanto proposto avverso il solo provvedimento disciplinare oltre il termine di decadenza per tardività .
2. I motivi di gravame proposti dall’odierno appellante sono riconducibili alle seguenti censure:
a) la declaratoria di irricevibilità del ricorso di primo grado per tardività sostanzierebbe la violazione dell’art. 6 del d.P.R. n. 1199/1971;
b) il provvedimento impugnato in primo grado sarebbe stato adottato: in violazione del principio del ne bis idem, perché per il medesimo fatto sarebbero stati avviati in due diverse sedi distinti procedimenti e irrogate due differenti sanzioni disciplinari; con abuso di potere, in quanto promanante da organo incompetente; in violazione di legge perché la sanzione sarebbe stata eseguita prima della notifica del relativo provvedimento e della scadenza dei termini per impugnarlo; in violazione dei criteri di commisurazione della sanzione al fatto contestato e dei principi da seguire nella scelta tra sanzione di stato e di corpo; con difetto di motivazione.
3. L’Amministrazione appellata, costituita in giudizio con atto depositato in data15 ottobre 2012, ha chiesto il rigetto dell’appello.
4. Tanto premesso, il Collegio passa all’esame dell’appello.
Con riferimento al motivo del gravame con cui l’appellante deduce la violazione dell’art. 6 d.P.R. n. 1199/1971 (“Decorso il termine di novanta giorni dalla data di presentazione del ricorso senza che l’organo adito abbia comunicato la decisione, il ricorso si intende respinto a tutti gli effetti, e contro il provvedimento impugnato è esperibile il ricorso all’autorità giurisdizionale competente, o quello straordinario al Presidente della Repubblica”), va osservato che il termine ivi previsto non ha natura perentoria, perciò il decorso del medesimo termine non estingue il potere dell’Amministrazione di decidere il ricorso amministrativo; tuttavia, l’interessato, alla scadenza di detto termine, può proporre ricorso giurisdizionale o straordinario avverso il suddetto provvedimento nei rispettivi termini di decadenza, oppure può proporre ricorso giurisdizionale avverso il silenzio-rigetto, o, ancora, aspettare l’eventuale decisione tardiva dell’Amministrazione, ai fini della relativa impugnazione. Secondo l’indirizzo di questo Consiglio, nel caso in cui l’interessato adisca la via giurisdizionale decorsi 90 giorni dalla presentazione del ricorso gerarchico, “l’eventuale decisione amministrativa di accoglimento, facendo venir meno l’oggetto del giudizio, non potrebbe non determinare la cessazione della materia del contendere”, mentre “la decisione di rigetto in pendenza di giudizio, che costituisce il nodo storico tradizionale dell’istituto, non può ormai più pregiudicare il ricorrente”, dovendo l’Amministrazione dichiarare improcedibile il ricorso e l’eventuale rigetto costituirebbe atto ad effetto confermativo, di “accertamento della validità ” del provvedimento impugnato, privo di lesività, che non determina l’onere di una sua ulteriore impugnazione se la sede giurisdizionale era già stata adita; qualora invece “il ricorrente, avendo atteso la pronuncia della decisione gerarchica, ottenga sia pure dopo 90 giorni, un provvedimento esplicito di rigetto (…), se non ritenga di impugnare detto provvedimento in sede giurisdizionale (o straordinaria), la decisione di rigetto diviene inoppugnabile, con i conseguenti effetti preclusivi ed estintivi delle situazioni soggettive incise dal provvedimento di base”. (Cons. Stato, A. P. n. 17/1989).
Nella fattispecie l’interessato ha proposto il ricorso di primo grado dopo che gli era stata notificata la decisione di rigetto del ricorso gerarchico, adottata dopo il decorso del termine previsto dall’art. 6 del d.P.R. n. 1199/1971, quando ormai si erano già prodotti i richiamati “effetti preclusivi ed estintivi delle situazioni soggettive incise dal provvedimento di base”.
Quindi deve ritenersi infondato il motivo d’appello sub 2, lett. a), il cui rigetto non consente di esaminare le censure riportate sub 2, lett. b).
5. Per quanto sopra esposto, l’appello deve essere respinto e la sentenza impugnata deve essere confermata.
Il regolamento processuale delle spese del grado di giudizio, liquidate nel dispositivo, segue la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.
Condanna l’appellante alla rifusione, in favore dell’Amministrazione, delle spese processuali del secondo grado del giudizio, liquidate in complessivi euro 2.000,00 (duemila/00), oltre alle maggiorazioni di legge, se dovute.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità dell’appellante.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 1 dicembre 2020, convocata con modalità da remoto e con la contemporanea e continuativa presenza dei magistrati:
Gianpiero Paolo Cirillo – Presidente
Giancarlo Luttazi – Consigliere
Oreste Mario Caputo – Consigliere
Antonella Manzione – Consigliere
Carla Ciuffetti – Consigliere, Estensore

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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