Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|19 aprile 2021| n. 10249.
In materia di revocazione delle sentenze della Corte di Cassazione l’errore di fatto di cui all’art. 395, n. 4, presuppone un contrasto tra due diverse rappresentazioni dello stesso fatto, delle quali una emerge dalla sentenza, l’altra dagli atti e documenti processuali. Deve trattarsi di un errore meramente percettivo che si riferisce agli atti “interni” al giudizio di legittimità, ossia quelli che la Corte esamina direttamente nell’ambito dei motivi di ricorso e delle questioni rilevabili d’ufficio.
Ordinanza|19 aprile 2021| n. 10249
Data udienza 13 aprile 2021
Integrale
Tag/parola chiave: ARTI E PROFESSIONI INTELLETTUALI – AVVOCATO – GIUDIZI DISCIPLINARI
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CURZIO Pietro – Primo Presidente
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente di sez.
Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente di sez.
Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere
Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere
Dott. MANCINO Rossana – Consigliere
Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere
Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere
Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 15590-2020 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso il proprio studio, difeso personalmente ex articolo 86 c.p.c., nonche’ rappresentato e difeso unitamente dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE;
– intimato –
avverso la sentenza n. 7530/2020 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, depositata il 25/03/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/04/2021 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
1. L’avvocato (OMISSIS) ha proposto ricorso articolato in nove motivi per la “revocazione/correzione” della sentenza 25 marzo 2020, n. 7530/2020 delle Sezioni unite civili della Corte di cassazione. Il ricorso e’ stato notificato al Procuratore generale presso la Corte di Cassazione ed al Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Venezia, il quale ultimo non ha svolto attivita’ difensive.
2. Su proposta del relatore, ai sensi dell’articolo 391-bis c.p.c., comma 4 e articolo 380-bis c.p.c., commi 1 e 2, che ravvisava l’inammissibilita’ del ricorso, il presidente fissava con decreto l’adunanza della Corte perche’ la controversia venisse trattata in camera di consiglio nell’osservanza delle citate disposizioni.
2.1. Il ricorrente ha depositato memoria in data 6 aprile 2021. Sono inammissibili i documenti nuovi allegati alla memoria e concernenti l’assunta fondatezza delle censure.
3. Con sentenza n. 38/2019 del 13 maggio 2019, il Consiglio Nazionale Forense confermo’ la decisione adottata dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Venezia, infliggendo all’avvocato (OMISSIS) la sanzione della sospensione dall’esercizio della professione per mesi sei per avere ricevuto nel proprio studio il minore diciassettenne (OMISSIS) unitamente alla madre, dichiarata decaduta dalla responsabilita’ genitoriale con decreto del Tribunale per i minorenni di Venezia dell'(OMISSIS), ed aver comunicato direttamente al padre del ragazzo la volonta’ di trasferirsi presso la residenza della madre, senza prendere preventivamente contatto con l’avvocato (OMISSIS) che assisteva (OMISSIS), affidatario esclusivo del minore. Nella decisione resa dal Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Venezia si reputo’ incontroverso che l’avvocato (OMISSIS) avesse ricevuto il minore conferendo con lo stesso senza informarne e raccogliere il consenso del genitore affidatario, neppure rilevando la dedotta mancata conoscenza del nome del difensore di tale genitore. Sull’impugnazione dell’avvocato (OMISSIS), il Consiglio Nazionale Forense affermo’ la sussistenza della grave violazione del dovere di correttezza professionale nella condotta dello stesso avvocato (ex articolo 6 C.D.F. previgente), nego’ la rilevanza e la pertinenza dell’asserita violazione dei principi CEDU relativi al giusto processo, come della censura inerente alla capacita’ di autodeterminazione del minore, e reputo’ correttamente applicata la sanzione della sospensione, attesa la gravita’ della la condotta e tenuto anche conto dei precedenti penali dell’avvocato.
4. Avverso la sentenza n. 38/2019 del Consiglio Nazionale Forense, l’avvocato (OMISSIS) propose ricorso per cassazione, che venne rigettato con la sentenza n. 7530/2020 cosi’ argomentando:
(…) 4. Nel primo motivo viene rilevato il travisamento dei fatti e l’eccesso di potere in relazione alla circostanza di fatto, alla quale non e’ stato dato il dovuto rilievo, relativa all’omessa conoscenza da parte del ricorrente sia del nome dell’avv. (OMISSIS) e della sua funzione di legale di (OMISSIS), sia dell’intervenuta decadenza dalla responsabilita’ genitoriale della madre del minore. Secondo il ricorrente entrambe le circostanze sono emerse in modo inequivocabile dall’istruzione svolta.
4.1. La censura non coglie la ratio decidendi della decisione impugnata, incentrata sulla grave violazione deontologica conseguente all’ascolto del minore senza il previo interpello del genitore affidatario, risultando incontestatamente accertata (e non oggetto di censura) la circostanza della conoscenza da parte del ricorrente di tale elemento fattuale diverso dalla decadenza della responsabilita’ genitoriale (peraltro ritenuta dal C.N. F. accertata con valutazione di merito insindacabile in quanto adeguatamente motivata) e dalla conoscenza del nome del legale dell’affidatario.
5. Nel secondo motivo, viene dedotta l’ingiustizia manifesta del provvedimento impugnato, dal momento che l’istruzione probatoria svolta davanti al C.O.A ha fatto emergere le violenze che hanno subito i figli di (OMISSIS) a causa del padre, come da documentazione allegata. Tale situazione eccezionale giustifica la difesa del minore da parte dell’avvocato avvalorata anche dalla volonta’ dei fratelli maggiorenni di tutelare il fratello minore, ed anche di mutare il regime di affidamento.
5.1 La censura e’ inammissibile perche’ inconferente rispetto all’addebito contestato e perche’ avente ad oggetto la prospettazione di una situazione di fatto alternativa e diversa da quella insindacabilmente posta a fondamento della decisione impugnata, anche sulla base di giudicati penali.
6. Nel terzo motivo viene dedotto il difetto d’istruttoria per aver il Collegio tratto l’incolpazione e la successiva condanna da una denuncia priva di procura speciale e non confermata dalla audizione dei denuncianti i quali non sono stati posti a confronto, con ingiustificata compressione dell’istruttoria, con i fratelli (OMISSIS). L’audizione di questi ultimi era indispensabile nel giudizio, nonche’ di altri testi.
6.1. La censura, per la parte relativa alla validita’ dell’avvio del procedimento mediante denuncia invalida, e’ manifestamente infondata per le ragioni del tutto condivisibili esposte nel provvedimento impugnato, avendo il C.O.A. il dovere di procedere d’ufficio quando venga a conoscenza di notizia di rilievo deontologico, del tutto idoneamente rappresentata dall’esposto di un privato.
6.2. In relazione al difetto di approfondimento istruttorio invece la censura non supera il vaglio di ammissibilita’, sia perche’ strettamente attinente al merito dell’accertamento insindacabile dei fatti svolto nel merito, sia perche’ non viene esplicitata la ragione del rilievo dell’omessa istruttoria rispetto all’addebito, come gia’ rilevato, consistente nell’ascolto del minore, privo delle garanzie dovute ed, in particolare, senza la preventiva informazione dell’affidatario.
7. Nel quarto motivo viene dedotta la violazione del principio di proporzionalita’ nell’irrogazione della sanzione. L’attivita’ del ricorrente si e’ limitata al ruolo del nuncius di una determinazione di volonta’ del figlio, quasi maggiorenne, al padre. La sanzione e’ del tutto sproporzionata, anche in relazione all’eta’ dello stesso.
7.1. La censura e’ inammissibile in quanto attiene al merito della valutazione della condotta ai fini della sanzione (S. U. 1609 del 2020). Nel provvedimento impugnato c’e’ ampia giustificazione della gravita’ della condotta e della proporzionalita’ della sanzione, in relazione sia alla gravita’ dei fatti oggetto dell’audizione del minore senza la preventiva informazione del genitore affidatario, sia in relazione ad illeciti pregressi, cosi’ da escludere carenze motivazionali.
8. Nel quinto motivo viene censurata l’illogicita’ della motivazione derivante dal fatto che la decisione si rivelerebbe in contrasto con la incolpazione, che ha ad esclusivo oggetto l’omessa comunicazione al legale del padre della decisione di procedere all’ascolto del minore facendo riferimento a parametri normativi diversi da quelli effettivamente applicati nell’accertamento della responsabilita’ disciplinare.
8.1. La censura e’ manifestamente infondata dal momento che le S.U. hanno affermato, in tema di obbligo di specificita’ della contestazione nei procedimenti disciplinari a carico di avvocati (S. U. 8313 del 2019), che “le previsioni del codice deontologico forense hanno natura di fonte meramente integrativa dei precetti normativi e possono ispirarsi legittimamente a concetti diffusi e generalmente compresi dalla collettivita’. Ne consegue che, al fine di garantire l’esercizio del diritto di difesa all’interno del procedimento disciplinare che venga intrapreso a carico di un iscritto al relativo albo forense e’ necessario che all’incolpato venga contestato il comportamento ascritto come integrante la violazione deontologica (…)”. Alla luce dell’attenuazione dell’obbligo di specificita’ della contestazione sopra evidenziata puo’ escludersi che vi sia stato il contrasto tra contestazione ed accertamento della responsabilita’ disciplinare invocato nella censura e, peraltro non correttamente, riferito ad un vizio di motivazione. Il filo conduttore della condotta addebitata al ricorrente e’ l’inosservanza delle cautele previste dalle Convenzioni internazionali e dalle nostre norme interne in tema di ascolto del minore, specie se il contenuto dell’audizione puo’ avere ad oggetto dichiarazioni lesive della posizione giuridica dei genitori esercenti la responsabilita’ e del loro diritto di difesa. L’identificazione del soggetto da informare preventivamente non incide sul contenuto lesivo della condotta contestata, dal momento che l’omessa informazione del genitore affidatario determina anche una diretta lesione del diritto di difesa. Ha, pertanto, natura secondaria la non coincidenza del soggetto indicato nella contestazione come destinatario dell’obbligo di avviso di interpello, quando si tratti del difensore del titolare del diritto ad essere interpellato. Deve aggiungersi, infine, che la censura d’illogicita’ non viene sviluppata sotto il profilo di non perfetta aderenza tra contestazione ed accertamento della responsabilita’ ma in relazione agli astratti canoni deontologici violati, da ritenersi, oltre che non pertinenti rispetto all’incolpazione, anche irrilevanti alla luce dell’orientamento sopra illustrato. La contestazione e il successivo accertamento della responsabilita’ disciplinare rientrano, come esattamente evidenziato dal C.N. F., nell’ambito del contenuto precettivo dell’articolo 6 previgente da integrarsi con la fattispecie atipica avente ad oggetto la violazione delle regole deontologiche relative all’ascolto del minore.
9. Nel sesto motivo viene dedotta la violazione degli articoli 3, 24 e 111 Cost. per avere il Consiglio nazionale Forense fondato il proprio giudizio soltanto sulle ragioni del denunciante. L’istruttoria e’ risultata sbilanciata. I ragazzi sono stati vittime di abusi ed il ricorrente voleva aiutarli. Le prove documentali (dichiarazioni dei figli maggiorenni e di tecnici) e quelle orali attestanti i predetti abusi sono state ignorate. E’ mancato un giusto processo.
9.1. La censura e’ radicalmente inammissibile in relazione all’accertamento compiuto nel presente giudizio, correttamente limitato alla violazione degli obblighi deontologici in tema di ascolto del minore ed in alcun modo ampliabile come illegittimamente richiesto dal ricorrente. (…).
5. Il ricorso dell’avvocato (OMISSIS) contiene dapprima quattro motivi che si inseriscono nel paragrafo A intitolato “la sentenza e’ viziata per violazione di legge”.
Il motivo 1) a pagina 18 di ricorso deduce la violazione di legge con riferimento all’articolo 395 c.p.c., n. 1, allegando il dolo imputabile al denunciante (OMISSIS) quanto all’asserito titolo di genitore affidatario del minore. Cio’ avrebbe inficiato la decisione del COA di Venezia e cagionato “l’errore in judicandum” da parte prima del CNF e poi della Corte di cassazione.
Il motivo 2) a pagina 19 di ricorso deduce la violazione di legge con riferimento all’articolo 395 c.p.c., n. 4, in quanto “la sentenza” fonderebbe su tre presupposti errati (l’aver ricevuto il minore nello studio legale senza il consenso del padre, genitore affidatario; non essere ricorso al giudice competente per disporre sull’affido del minore; aver agito a tutela dei figli di (OMISSIS) nonostante quest’ultimo fosse stato assolto dalle accuse di violenze perpetrare in danno dei minori).
Il motivo 3) a pagina 21 di ricorso censura la violazione dell’articolo 245 c.p.c. e dell’articolo 6 CEDU, avendo il COA abusato del proprio potere disciplinare e cosi’ impedito l’audizione dei testimoni indicati a sostegno delle accuse.
Il motivo 4) a pagina 23 di ricorso deduce la illegittimita’ per violazione degli articoli 3, 24 e 111 Cost. Si espongono le erroneita’ e le ingiustizie a base della inflitta condanna disciplinare.
Il ricorso dell’avvocato (OMISSIS) prosegue con cinque motivi che si inseriscono nel paragrafo B intitolato “la sentenza impugnata e’ viziata da eccesso di potere”.
Il motivo 1) del paragrafo B, a pagina 25 di ricorso, denuncia la mancanza del presupposto, il travisamento dei fatti e lo sviamento di potere nella ricostruzione effettuata dal C.O.A. di Venezia e confermata dal C.N. F., giacche’ radicata sulle dichiarazioni dell’avvocato (OMISSIS) e del suo assistito (OMISSIS).
Il motivo 2) del paragrafo B, a pagina 27 di ricorso, denuncia la “ingiustizia manifesta” e torna sulla infondatezza della condanna disciplinare subita.
Il motivo 3) del paragrafo B, a pagina 28 di ricorso, denuncia il “difetto di istruttoria”.
Il motivo 4) del paragrafo B, a pagina 29 di ricorso, deduce la “violazione del principio di proporzionalita’” fra violazione contestata e sanzione inflitta.
Il motivo 5) del paragrafo B, a pagina 30 di ricorso, denuncia la “illogicita’ della motivazione”.
6. I motivi di ricorso sono palesemente estranei al parametro dell’errore revocatorio di fatto, rilevante ai sensi dell’articolo 391 bis c.p.c.
Per consolidata interpretazione, invero, in materia di revocazione delle decisioni della Corte di cassazione, l’errore di fatto di cui all’articolo 395 c.p.c., n. 4, postula un contrasto fra due diverse rappresentazioni dello stesso fatto, delle quali una emerge dalla sentenza, l’altra dagli atti e documenti processuali, sempreche’ la realta’ desumibile dalla pronuncia sia frutto di supposizione e non di giudizio, formatosi sulla base di una valutazione. Deve, dunque, trattarsi di un errore meramente percettivo, tale da aver indotto la Corte a fondare la propria decisione sulla supposta inesistenza (od esistenza) di un fatto, positivamente acquisito (od escluso) nella realta’ del processo. L’errore di fatto che puo’ legittimare la revocazione di una decisione della Corte di cassazione deve, quindi, pur sempre riguardare gli atti “interni” al giudizio di legittimita’, ossia quelli che la Corte esamina direttamente nell’ambito dei motivi di ricorso e delle questioni rilevabili di ufficio, e deve avere, quindi, carattere autonomo, nel senso di incidere direttamente ed esclusivamente sulla decisione medesima (Cass. Sez. U, 27/11/2019, n. 31032; Cass. Sez. U, 28/05/2013, n. 13181).
Non sono percio’ neppure astrattamente idonee ad integrare errore revocatorio, rilevante ai sensi ed agli effetti di cui all’articolo 391-bis c.p.c. e articolo 395 c.p.c., n. 4), le deduzioni, che il ricorrente porta nei suoi nove motivi avverso la sentenza delle sezioni unite della Corte di cassazione che ha pronunciato sul ricorso proposto dall’interessato contro la decisione del Consiglio nazionale forense in materia disciplinare ai sensi della L. 31 dicembre 2012, n. 247, articolo 36 attinenti, nella specie, al dolo del denunciante, ad errori di giudizio o di fatto, a violazioni processuali, a travisamenti delle vicende, a falsita’ delle prove, a carenze istruttorie o illogicita’ di motivazione, al tipo o all’entita’ della sanzione, vizi con cui il ricorrente mira a reintrodurre il “thema decidendum” originario del precedente giudizio di legittimita’, giacche’ tutti riferibili gia’ alla pronuncia del Consiglio nazionale forense e dunque da far valere immediatamente soltanto con i rimedi proponibili contro la medesima decisione di merito.
Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile, cio’ assorbendo anche l’istanza di responsabilita’ aggravata ex articolo 96 c.p.c. avanzata dal ricorrente. Non occorre provvedere sulle spese del giudizio di revocazione, in quanto l’intimato Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Venezia non ha svolto attivita’ difensive.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater- da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis se dovuto.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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