In materia di pianificazione urbanistica

Consiglio di Stato, Sezione seconda, Sentenza 26 febbraio 2020, n. 1420.

La massima estrapolata:

In materia di pianificazione urbanistica le aspettative del privato sono tutelabili solo ove già consacrate in convenzioni di lottizzazione, ovvero in accordi di diritto privato intercorsi con il Comune, ovvero ancora in ragione di giudicati di annullamento di dinieghi di concessione edilizia o di silenzio-rifiuto su una domanda di rilascio della stessa: non certo avuto riguardo allo svantaggio, anche oggettivo, che allo stesso possa derivare o concretamente derivi, da una destinazione urbanistica anziché da un’altra.

Sentenza 26 febbraio 2020, n. 1420

Data udienza 17 dicembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7586 del 2009, proposto dal signor Ma. Ba., rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. Ma. e Ar. Mo., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Ar. Mo. in Roma, via (…);
contro
il Comune di Trento, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Pa. St. Ri., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Pa. St. Ri. in Roma, viale (…);
la Provincia autonoma di Trento, in persona del Presidente pro tempore, non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.R.G.A. di Trento n. 149/2009, resa tra le parti, concernente variante al piano regolatore generale
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Trento;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 17 dicembre 2019 il Cons. Antonella Manzione e uditi per le parti l’avvocato Ar. Mo. e l’avvocato Pa. St. Ri.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Il signor Ma. Ba. è comproprietario di un lotto di terreno di superficie pari a circa mq.3.900, ove già insistono una casa di abitazione, un opificio per la produzione di stufe in maiolica e tettoie esterne a servizio dell’attività, nel sobborgo di Mattarello del Comune di Trento, in aree che il P.R.G. classificava come “Zone edificate sature-B1”, gravato, nella porzione sud della p.ed. 392, da un vincolo di viabilità di progetto destinata al collegamento tra due arterie viarie.
2. Nell’approvare la variante generale al ridetto P.R.G. con deliberazione n. 200 del 1° febbraio 2008, la Giunta provinciale, in parziale accoglimento delle osservazioni presentate dall’interessato, ha riconosciuto all’area la destinazione urbanistica “C3”, ovvero “zona di espansione di nuovo impianto”, nella quale l’edificazione è subordinata all’adozione di un piano attuativo con la contestuale cessione all’Amministrazione di mq. 1000 per la realizzazione di un parcheggio pubblico alberato e di un percorso pedociclabile; ha altresì spostato verso sud la prevista viabilità comunale.
3. Il signor Ba. ha impugnato ridetta delibera di approvazione, unitamente agli atti comunali del procedimento di formazione del piano, proponendo vari motivi di ricorso che il T.R.G.A. di Trento ha respinto con sentenza 7 maggio 2009, n. 149, condannandolo alle spese di giudizio. In particolare, il giudice adì to ha ritenuto che l’Amministrazione comunale abbia esercitato correttamente la propria discrezionalità amministrativa, tenendo anche conto delle osservazioni di parte, che avrebbe potuto semplicemente disattendere: in tal modo è addivenuta alla destinazione di zona “C3” che comunque, avuto riguardo alle modalità di calcolo delle volumetrie introdotte con la medesima variante, consentirebbe una cubatura aggiuntiva di 1.376 mc. La scelta di condizionare l’edificabilità alla proposta di piano attuativo, lungi dal confermare il lamentato sviamento di potere, in quanto strumentale esclusivamente all’acquisizione dei mq. 1.000 da parte del privato, sarebbe ampiamente sorretta dal combinato disposto degli artt. 18, 43 e 47 della legge urbanistica provinciale che demanda al piano regolatore la delimitazione delle aree per le quali la formazione del piano attuativo è obbligatoria: l’art. 39 delle n. t.a. del P.R.G., a sua volta, tra le particolari aree necessitanti di tale piano attuativo, menziona quelle destinate ad interventi di riqualificazione urbana, tra le quali va ricondotta quella in controversia, inserita anche nella “variante 2006” per opere pubbliche urgenti di cui alla delibera di Giunta provinciale n. 593 del 23 marzo 2007.
4. Il signor Ba. ha interposto appello avverso la sentenza n. 149/2009, riproponendo i motivi del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado e replicando agli argomenti adoperati dal T.R.G.A. per respingerli. Ha peraltro evidenziato l’importanza, anche storico-sociale, delle lavorazioni artigianali effettuate nell’opificio insistente in loco, ricordando i riconoscimenti ottenuti finanche in ambito internazionale nonché, soprattutto, la progettualità futura di trasformazione imprenditoriale, tale da garantire il recupero dell’immobile in degrado con comprensibile valorizzazione dell’intero comparto.
5. Il Comune di Trento si è costituito in giudizio per resistere all’appello con memoria in controdeduzione. In relazione nello specifico alle evocate iniziative imprenditoriali aggiuntive, ha ricordato tuttavia come nella prima osservazione al progetto di adozione della variante l’interessato si fosse limitato a motivare la propria richiesta di mutamento di destinazione dell’area da “B1” a “B3” con esclusivo riferimento a quella delle particelle circostanti. Solo dopo circa un anno aveva inoltrato all’Assessorato competente una memoria, peraltro non suffragata da progettualità concrete, recante l’esplicitata volontà di intervenire, oltre che sull’abitazione, sugli spazi produttivi (sul punto, v. § 2 della sentenza impugnata).
Con memoria di replica depositata il 26 novembre 2019, l’appellante ha infine ripetuto e ampliato i motivi dell’appello.
6. All’udienza pubblica del 17 dicembre 2019, sentite le parti, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

7. La Sezione ritiene l’appello infondato e come tale da respingere.
8. Si deve in primo luogo osservare che, come affermato dal giudice di prime cure (§ 3c.), in base a principi più che consolidati, l’esercizio della funzione pianificatoria (quale è quella sottesa all’adozione degli atti impugnati) si caratterizza per l’ampio margine di discrezionalità attribuito all’amministrazione, con possibilità di censurare le scelte effettuate solo quando queste si presentino come manifestamente illogiche o contraddittorie. Esse peraltro non richiedono una particolare motivazione, conformemente – del resto – all’amplissima previsione di cui al comma 2 dell’art. 3 della l. n. 241 del 1990 (in tal senso, ex multis, Cons. Stato, sez. V, 23 maggio 2017, n. 2403).
Ne consegue che in vista dell’adozione di atti di pianificazione incombe sull’amministrazione solo l’onere di valutare in modo adeguato il complesso delle circostanze e dei presupposti sottesi all’esercizio del relativo potere, attraverso un iter logico e procedurale scevro da profili di irragionevolezza e abnormità . Per contro, non grava sulla stessa l’onere di motivare ulteriormente le statuizioni relative a ciascuna posizione individuale: laddove, infatti, si opinasse in tal senso, l’attività di pianificazione perderebbe il suo carattere di generalità e si tradurrebbe nella sommatoria di un numero inestricabile di situazioni puntuali.
9. Quanto detto sarebbe già sufficiente, ritiene la Sezione, per respingere il primo e il secondo motivo di gravame laddove, mediante suggestive e articolate censure, l’appellante intende contestare il merito delle scelte effettuate dal Comune di Trento, contrapponendovi le proprie, senza tuttavia riuscire in alcun modo ad evidenziare i richiamati profili di irragionevolezza tali da inficiare la legittimità degli atti avversati.
10. Afferma dunque l’appellante che la mancanza di qualsivoglia “peculiarità ” morfologica o di ubicazione dei propri terreni, ne renderebbe irragionevole, se non discriminatorio, il diversificato regime di edificabilità del suolo rispetto a quello dei terreni viciniori. Perfino la scelta viabilistica adottata si paleserebbe incongrua e meno funzionale all’obiettivo rispetto a quella da lui stesso suggerita.
11. L’assunto non è condivisibile, in primo luogo in ragione della effettiva “peculiarità “, che non implica affatto una qualsivoglia differenza ontologica o strutturale del terreno oggetto di regolamentazione; bensì semplicemente la valutata specificità di collocazione e di configurazione, che per quanto negata dall’appellante, ha costituito oggetto di rilevazione empirica sottesa alla scelta pianificatoria effettuata.
Ricorda dunque il giudice di prime cure che il Comune di Trento ha tenuto conto della localizzazione dei terreni sul punto di congiungimento di due strade che permettono l’attraversamento dell’abitato ovvero l’accesso al centro storico; della strategicità riveniente da tale allocazione e della conformazione triangolare del terreno, con il vertice convergente su tale snodo viario; delle indicazioni confermative rivenienti dalla “variante 2006”, ovvero quella per opere pubbliche urgenti approvata dalla Giunta provinciale il 23 marzo 2007 (delibera n. 593). Il tutto nell’ottica dell’esigenza di riqualificare l’area, che ha ispirato le modalità di intervento.
Il combinato disposto degli artt. 18, 43 e 47 della legge urbanistica provinciale consente di individuare nel piano regolatore lo strumento ove indicare le aree per le quali è necessaria una specifica disciplina da parte di un piano attuativo: l’art. 39 delle n. t.a. avrebbe provveduto in tal senso, includendovi quelle destinate ad interventi di riqualificazione urbana.
Afferma in proposito l’appellante che proprio l’art. 39 delle n. t.a., individuando le condizioni alla stregua delle quali l’area può essere inclusa nella relativa disciplina, sarebbe ostativo alla previsione per quella di suo interesse del piano attuativo: la norma infatti fa riferimento a zone “pressoché inedificate”, ovvero necessitanti di “significativi interventi sulle reti infrastrutturali”.
Rileva il Collegio come la scelta di ramificare sul territorio, imponendo indicazioni attuative di dettaglio, l’assetto generale riveniente dal P.R.G. costituisce a sua volta espressione del discrezionale potere pianificatorio dei Comuni, che possono avvalersi, nell’ambito degli strumenti
di governo del territorio, di quello che maggiormente risponde alle finalità pubbliche sottese allo stesso, nel rispetto dei principi generali sul contenuto di ciascuno di essi.
Il terreno dell’appellante è stato inserito in tale più ampio progetto di riqualificazione: l’incisività sulle reti infrastrutturali, al pari della significatività dimensionale del terreno stesso in assoluto e in relazione alla futura visione di insieme, costituiscono il prius della scelta metodologica effettuata. Essa, dunque, non può essere inficiata dalla evocata “modesta estensione superficiaria” del terreno ovvero dal livello di urbanizzazione affermato come già esistente, dal momento che il Comune ne ha comunque ritenuta necessaria l’implementazione ovvero il miglioramento.
13. In tale contesto, quand’anche l’indice di edificabilità dovesse essere calcolato, come pretende parte appellante, al lordo delle aree di rispetto stradale, in quanto ex se inedificabili, ma utili ai fini del computo totale, non ne riverrebbe alcuna argomentazione aggiuntiva idonea a contrastare la legittimità delle scelte effettuate.
Le aspettative del privato, infatti, sono tutelabili solo ove già consacrate in convenzioni di lottizzazione, ovvero in accordi di diritto privato intercorsi con il Comune, ovvero ancora in ragione di giudicati di annullamento di dinieghi di concessione edilizia o di silenzio – rifiuto su una domanda di rilascio della stessa (da ultimo Cons. Stato, sez. IV, 20 agosto 2018, n. 4965; id., 26 aprile 2006, n. 2297 e 5 settembre 2003, n. 4980; A.P., 22 dicembre 1999, n. 24): non certo avuto riguardo allo svantaggio, anche oggettivo, che allo stesso possa derivare o concretamente derivi, da una destinazione urbanistica anziché da un’altra.
14. A fronte, dunque, della possibilità di mantenere la scelta attuata in sede di prima adozione della variante al piano regolatore del 28 dicembre 2004, che consolidava la preesistente destinazione “B1”, il Comune ha inteso acconsentire in parte alle richieste dell’interessato, accordando quel margine di edificabilità e a quelle condizioni che costituivano il miglior compromesso tra l’obiettivo delle proprie scelte pianificatorie e gli interessi edificatori del privato. Tale regime di “edificabilità condizionata” si palesa di sicuro più vantaggioso del previgente regime di sostanziale inedificabilità assoluta, ancorché imponga al privato una compartecipazione, mediante cessione di una porzione di terreno, al miglioramento della zona, peraltro vantaggioso anche per il proprio complesso immobiliare.
Come correttamente affermato dal giudice di prime cure, infatti, applicando il metodo di calcolo del “vuoto per pieno” delle cubature esistenti, introdotto con la medesima variante, la volumetria attuale sul terreno dell’appellante risulta pari a mc. 3.824; tenuto conto che il piano attuativo gli riconosce una volumetria complessiva di mc. 5.200, “l’istante potrà edificare una cubatura aggiuntiva di 1.376 mc.”. La diversa comparazione con le possibilità edificatorie rivenienti dalla zonizzazione “B3”, quand’anche ne fosse errato il calcolo per come effettuato dal giudice di prime cure e contestato dalla parte, ponendo quale termine di raffronto un’ipotesi del tutto virtuale, in quanto non assentita, non può che palesarsi inconferente.
15. Nessuna intrinseca contraddittorietà, infine, sarebbe da ravvisare tra la scelta finale, consacrata nella delibera di approvazione della variante, e i contenuti della deliberazione n. 24 del 6 giugno 2007 della Commissione urbanistica provinciale, laddove “esprime il suo giudizio critico relativamente al metodo adottato prima ancora che sul merito delle singole modifiche” ovvero rileva la presenza di tipi diversi di zone “B” “in aree aventi le stesse caratteristiche urbanistiche che richiederebbero la realizzazione di volumi omogenei”.
Ciò che la Commissione stigmatizza, infatti, è proprio il passaggio da un tipo all’altro di zone “B” -id est, quanto richiesto dall’appellante- nonché l’introduzione di pianificazione attuativa “per le quali la nuova volumetria ammessa, in sostituzione dell’esistente, è notevolmente minore di quest’ultima, di fatto rendendo impercorribile la concretizzazione del piano attuativo”. La Commissione, cioè, si preoccupa dell’effettività di utilizzo dello strumento individuato, laddove esso si palesi meno “appetibile” in termini di potenzialità edificatorie di quanto derivante dalla situazione preesistente.
Il che non si attaglia, per quanto sopra esposto, al caso di specie, ove l’interessato vorrebbe proprio un passaggio da “B1” a “B3” e il piano attuativo non incide su una preesistente situazione di maggior vantaggio edificatorio, essendo al contrario con la precedente zonizzazione preclusa qualsivoglia possibilità edificatoria. Di ciò del resto è prova per tabulas nel mancato inserimento dell’area in controversia nell’elenco delle zone “C” rispetto alle quali la Commissione ha dato parere negativo (pag. 12 del parere).
16. La rappresentata esistenza di parcheggi “alternativi” -che peraltro, come precisato dalla difesa civica, avrebbero anche in parte carattere temporaneo, essendo stati realizzati al fine di restringere la carreggiata per ridurre la velocità dei veicoli, nelle more della realizzazione di opere di arredo urbano sostitutive- ovvero di altri percorsi ciclabili, rientra nel medesimo quadro di indebito tentativo di sovrapporre la propria valutazione dello stato dei luoghi a quella effettuata dal Comune di Trento, individuando perfino le priorità e le necessità sulla base di tale soggettiva rappresentazione dello stesso.
17. Solo con il terzo e quarto motivo di appello la parte censura ipotetiche violazioni procedurali. In particolare, lamenta l’errata applicazione del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, sotto distinti profili: il giudice di prime cure avrebbe errato nel richiamare la disciplina contenuta nella legge provinciale 9 novembre 1987, n. 26, di approvazione del piano urbanistico provinciale anziché quella del decreto ministeriale del 1968 e non avrebbe rispettato i principi generali in materia di pianificazione urbanistica e di zonizzazione. Di ciò sarebbe prova nella Relazione illustrativa alla variante, ove si riferisce che in sede di prima adozione si era confermata la “destinazione a zona per servizi pubblici o a verde agricolo”: indicazione del tutto errata, per quanto sin qui ricostruito, stante che il compendio in precedenza ricadeva pressoché interamente in zona “B1”, salvo la ricordata piccola parte della p.ed. 392 interessata da un vincolo di viabilità di progetto.
18. Anche tali censure sono meritevoli di rigetto.
La questione del rapporto tra lo standard nazionale di cui al D.M. n. 1444/1968 e quello di cui alla legislazione provinciale di Trento è stata reiteratamente affrontata dai giudici di prime cure, alle cui risultanze, esplicitate anche nella sentenza appellata, la Sezione intende aderire.
In particolare, il ridetto standard nazionale nella Provincia di Trento è stato declinato indicando espressamente che si tenga conto anche dell’utenza turistica da riferire, tuttavia, per singola “unità insediativa” all’attrattività di ciascun centro per il traffico e la sosta, ovvero per la concentrazione di servizi e attività commerciali. La relazione illustrativa alla l.p. 9 novembre 1987, n. 26, approvata con l’articolo 1, comma 1, lettera b), dispone che in Trentino occorre cioè “elevare e articolare lo standard nazionale del D.M. del 1968”, riferendolo anche all’utenza turistica e calcolandolo per “”unità insediativa” tenendo conto dell’attrattività di ciascun centro per il traffico e la sosta ovvero delle concentrazioni di servizi e di attività commerciali e ricreative in genere che vi si possono trovare”. L’appendice H della relazione riporta, poi, per ogni Comune della Provincia il dimensionamento standard degli spazi da destinare a parcheggio, da calcolarsi applicando il riportato e complesso calcolo.
Giova ad ogni buon conto precisare che la Variante 2000 al Piano urbanistico provinciale, di cui alla legge provinciale 7 agosto 2003, n. 7, al paragrafo 10 della relazione illustrativa ha posto in luce la “presenza di un buon standard al livello della pianificazione subordinata, nel senso che i PRG hanno precisato in termini localizzativi, tipologici e quantitativi tutte le attrezzature di servizio che il PUP indica come mera quantità di spazi coperti, scoperti e parcheggi”, ed ha previsto che i nuovi parametri dimensionali dovranno comunque essere “basati ancora sull'”unità insediativa” nella sua accezione funzionale di bacino di utenza”. Di rilievo, nel segno della continuità sul piano dell’ordinamento provinciale è, infine, il fatto che successivamente anche l’art. 48, comma 6, delle norme di attuazione della legge provinciale 27 maggio 2008, n. 5, concernente l’approvazione del nuovo Piano urbanistico provinciale, ha richiamato ridetta disciplina, siccome evocato anche dal giudice di primo grado (cfr., T.R.G.A. 23 ottobre 2008, n. 266; id., 26 febbraio 2009, n. 63).
19. Infine, l’affermata strumentalità dell’errore di cui alla relazione illustrativa finisce per essere -essa sì – strumentale alla reintroduzione delle medesime doglianze di irrazionalità e disparità di trattamento già ampiamente confutate nei paragrafi precedenti.
Occorre infatti ancora osservare che, in materia di scelte pianificatorie, il concetto di “zona omogenea” non è definibile aprioristicamente, essendo la conseguenza di valutazioni rimesse alle competenti Autorità amministrative le quali, nell’individuare quelle ove siano presenti elementi di omogeneità, devono tenere adeguato conto delle trasformazioni del territorio intervenute rispetto alla zonizzazione del precedente strumento urbanistico, ma anche delle nuove e diverse esigenze dell’Amministrazione, con riferimento a parametri dimensionali e qualitativi appartenenti al nuovo assetto degli interessi. La pretesa uniformità delle caratteristiche morfologiche non implica infatti un automatismo di inquadramento che renderebbe del tutto superflua qualsivoglia valutazione specifica, generando una sorta di effetto domino tale da azzerare completamente la discrezionalità di scelta, anche innovativa limitatamente a singole porzioni, facente capo al Comune procedente. Pertanto, calando tali concetti nel caso de quo, risulta de plano che la dimensione e le caratteristiche del terreno in questione e della tipologia di manufatti insistenti sullo stesso (abitazione e opificio in disuso), nonché le esplicitate ragioni della scelta, non consentono di ritenere quello in esame un caso di immotivata “micro zonizzazione”.
20. In sintesi, per quanto sopra detto:
a) le scelte effettuate dall’amministrazione nell’adozione del piano regolatore o di sue varianti costituiscono apprezzamento di merito sottratto al sindacato di legittimità, salvo che risultino inficiate da errori di fatto, abnormi illogicità, violazioni procedurali, ovvero che, per quanto riguarda la destinazione di specifiche aree, risultino confliggenti con particolari situazioni che abbiano ingenerato affidamenti e aspettative qualificate (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 18 agosto 2017, n. 4037; sez. VI, 5 marzo 2013, n. 1323; sez. IV, 25 novembre 2013, n. 5589; id., 16 aprile 2014, n. 1871; 8 febbraio 1999, n. 121), il che non è accaduto nel caso di specie;
b) le scelte discrezionali dell’amministrazione riguardo alla destinazione di singole aree, compiute in occasione della formazione di uno strumento urbanistico generale, non necessitano di apposita motivazione oltre quella che si può evincere dai criteri generali – di ordine tecnico discrezionale – seguiti nell’impostazione del piano stesso.
In ragione dei citati principi giurisprudenziali, nonché delle indicazioni specifiche sopra richiamate, le deliberazioni impugnate risultano supportate da idonea e congrua motivazione, non inficiata da errori di fatto, abnormi illogicità o violazioni procedurali: l’opzione regolatoria perseguita dall’Amministrazione, anzi, da un lato appare coerente con le indicazioni della variante per opere pubbliche urgenti; dall’altro ha inteso tenere conto, nei limiti di compatibilità con il proprio progetto complessivo, delle osservazioni di parte, accedendo al riconoscimento, ancorché condizionato dalla presentazione dei piani attuativi, comprensivi della cessione di una parte del terreno, di una possibile edificabilità del suolo, in precedenza inesistente.
21. In conclusione, pertanto, l’appello deve essere respinto.
Le questioni vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c. Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati, infatti, dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e, comunque, inidonei a supportare una conclusione di segno diverso.
22. In applicazione del principio della soccombenza, al rigetto dell’appello segue la condanna dell’appellante al pagamento, in favore dell’amministrazione appellata, delle spese di lite del presente grado di giudizio, che si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza del T.R.G.A. di Trento n. 149/2009.
Condanna l’appellante alla rifusione, in favore del Comune appellato, delle spese del presente grado di giudizio che liquida in euro 4.000,00 (quattromila/00), oltre agli accessori di legge, ove dovuti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 dicembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Fabio Taormina – Presidente
Paolo Giovanni Nicolò Lotti – Consigliere
Giovanni Sabbato – Consigliere
Antonella Manzione – Consigliere, Estensore
Giovanni Orsini – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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