In materia di notificazioni sono ben delimitati i casi d’inesistenza

Consiglio di Stato, sezione sesta, Sentenza 2 settembre 2019, n. 6020.

La massima estrapolata:

In materia di notificazioni sono ben delimitati i casi d’inesistenza della notificazione secondo i principi di strumentalità delle forme degli atti processuali e del giusto processo. Sicché tal inesistenza si configura, oltre che quando manchi del tutto l’atto in senso materiale, qualora sia posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali, onde quest’ultima non è più subito riconoscibile come notifica di atti giudiziari. Ogn’altra difformità dal modello legale della notificazione ricade nella categoria della nullità e, in particolare: a) l’attività di trasmissione svolta da un soggetto qualificato ed abilitato, in base alla legge, a svolgere l’attività stessa, di modo che il potere esercitato si possa ritenere esistente e valido; b) la fase di consegna o, meglio, il raggiungimento d’uno qualsiasi degli esiti positivi della notifica previsti dall’ordinamento (tale, cioè, per la stessa sia da considerare per legge eseguita. Restano pertanto esclusi soltanto i casi in cui l’atto sia restituito sic et simpliciter al mittente, sì da dover intendere la notificazione meramente tentata ma non compiuta, cioè omessa.

Sentenza 2 settembre 2019, n. 6020

Data udienza 29 novembre 2018

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sui ricorsi riuniti
A) – NRG 8845/2016, proposto dall’Università degli studi Mediterranea di Reggio Calabria, in persona del Rettore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici si domicilia ex lege in Roma, via (…),
contro
la dott. Cl. St. Vi. Av., appellante incidentale, rappresentata e difesa dall’avv. Em. Ro., con domicilio eletto in Roma, v.le (…) e
nei confronti
del dott. An. Ru., appellante incidentale, rappresentato e difeso dall’avv. Mi. Sa., con domicilio eletto in Roma, p.za (…);

B) – NRG 9863/2016, proposto dall’Università degli studi Mediterranea di Reggio Calabria, come sopra rappresentata, difesa e domiciliata per legge,
contro
la dott. Cl. St. Vi. Av., appellante incidentale, come sopra rappresentata, difesa ed elettivamente domiciliata e
nei confronti
del dott. An. Ru., appellante incidentale, come sopra rappresentato, difeso ed elettivamente domiciliato,
per la riforma
della sentenza del TAR Calabria – Reggio Calabria n. 396/2016, resa tra le parti e concernente l’approvazione degli atti del concorso, per titoli ed esami, ad un posto di ricercatore universitario per la Facoltà di architettura, sett. scientifico-disciplinare ICAR/14 (composizione architettonica e urbana), nonché la nomina del vincitore;
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dei dott. Vi. e Ru.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore all’udienza pubblica del 29 novembre 2018 il Cons. Silvestro Maria Ru. e uditi altresì, per le parti, gli avvocati Ro. e Ma. Se. Sa. (per delega dell’avv. Mi. Sa.) e gli Avvocati dello Stato De Nu. e Ba.;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

FATTO e DIRITTO

1. – Con decreto rettorale n. 73 del 26 febbraio 2008 (in G.U., IV s. spec., n. 19 del 7 marzo 2008), l’Università degli studi Mediterranea di Reggio Calabria indisse un concorso, per titoli ed esami, ad un posto di ricercatore presso la Facoltà di architettura, settore scientifico-disciplinare ICAR/14 (composizione architettonica ed urbana).
In esito alla relativa procedura risultò vincitore il dott. An. Ru., ma la dott. Cl. St. Vi. Av. ne impugnò il risultato avanti al TAR Reggio Calabria col ricorso NRG 142/2009.
In accoglimento della domanda cautelare (ordinanza n. 135 del 7 aprile 2009), l’adito TAR sospese tutti gli atti concorsuali impugnati ed ordinò all’Ateneo intimato la rinnovazione della procedura concorsuale. Con decreto rettorale n. 165 del 14 maggio 2009 l’Ateneo annullò in autotutela l’atto di approvazione dei lavori della Commissione, la nomina del dott. Ru. ed i verbali delle riunioni della stessa Commissione a partire dal II in poi (quindi, le prove scritte ed orale del concorso de quo), ma non il verbale della I riunione (9 dicembre 2008), concernente la valutazione dei titoli e dell’attività scientifica dei candidati e sul quale, pure, la dott. Vi. Av. aveva svolto specifiche censure (II motivo del ricorso NRG 142/2009, poi ribadite col III motivo del successivo ricorso NRG 40/2010).
L’Università Mediterranea procedé quindi alla rinnovazione del concorso, a partire dunque dallo svolgimento delle prove scritte (ossia dall’atto viziato dalla lesione del principio di anonimato) e lo concluse dichiarando vincitore nuovamente il dott. Ru..
Con sentenza n. 7 dell’11 gennaio 2011, l’adito TAR, previa riunione del ricorso NRG 142/2009 coi ricorsi NRG 413/2009 (proposto dalla dott. Vi. Av. contro il provvedimento che dispose le date delle nuove prove scritte e della prova orale in sede di riesame) e NRG 40/2010 (nei confronti dell’approvazione degli atti della procedura rinnovata e del relativo risultato), accolse la pretesa così azionata. Tal accoglimento, nel ripercorrere le singole fasi della prima procedura selettiva, degli atti d’autotutela e della seconda procedura (quella rinnovata), si soffermò pure sulle omissioni fattuali e sui gravi e molteplici errori di valutazione, da parte di detta Commissione, sul curriculum della dott. Vi. Av., oltre che vari profili d’eccesso di potere in senso relativo verso la posizione del dott. Ru. e di altri candidati. Sul punto, il TAR considerò “… tali omissioni illegittime, riguardando esse aspetti molto significativi e qualificanti in relazione al posto messo a concorso… (risultando) …particolarmente importanti quelle concernenti l’attività didattica, l’attività di ricerca, il conseguimento di premi, nonché pure l’anzianità di laurea (dato che appare significativo specie perché il vincitore Ru. si è laureato nel 1999, mentre la ricorrente, laureata nel 1995, nel profilo curriculare risulta aver conseguito la laurea addirittura nel 2002)…”. Chiarì pure il TAR che “… a quanto sin qui rilevato deve aggiungersi che la valutazione dei titoli, fatta salva con il Decreto rettorale n. 165/09 e l’intera procedura concorsuale successiva devono essere comunque annullate, risultando fondato il secondo motivo del secondo ricorso (sull’illegittima conferma della vecchia Commissione giudicatrice)…”.
Pertanto, ad avviso del TAR, “… la fattispecie in esame deve… rientrare in quei casi nei quali (tal Ateneo) … doveva (e deve) rinnovare la procedura con una diversa Commissione giudicatrice, perché solo una nuova Commissione potrà assicurare il rispetto dei doveri di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa. Ritiene il Collegio che… per la ricostituzione della Commissione con altri componenti si dovrà seguire la procedura introdotta dal decreto legge n. 180/2008, convertito in legge n. 1/2009, tenuto conto dell’apposita norma transitoria contenuta nell’art. 1, co. 8…”.
2. – Questa Sezione, con sentenza n. 396 del 27 gennaio 2012, respinse l’appello del dott. Ru..
Chiarì a tal riguardo, relativamente alla necessità, o meno di sostituire la Commissione giudicatrice con una più idonea a meglio garantire l’imparzialità e l’autorevolezza del suo operato, che “… l’errore imputato alla commissione è stato quello di avere conservato gli elaborati scritti del concorso con modalità tali da rendere agevole identificare gli autori…. la commissione ha errato nell’assicurare il rispetto di uno dei principi cardine della disciplina dei concorsi pubblici per esami, costituito dal rispetto dell’anonimato delle prove scritte. Afferma, in conclusione, il Collegio che l’errore compiuto dalla commissione del concorso di cui ora si tratta ha inevitabilmente generato sfiducia nella sua capacità di svolgere valutazioni serene ed imparziali. Di conseguenza,… la scelta dell’Amministrazione di confermarla nell’incarico appare manifestamente illogica…”.
In esecuzione di tal ultima sentenza, con decreto rettorale n. 46 del 7 febbraio 2012, l’Ateneo reggino provvide al riesame del predetto concorso, affidato ad una nuova Commissione. Anche in questo caso risultò vincitore nuovamente il dott. Ru. in forza del decreto rettorale n. 218 del 24 luglio 2013 (in G.U., IV s. spec., n. 65 del 16 agosto 2013).
La dott. Vi. Av. propose allora il ricorso NRG 720/2013 innanzi al TAR Reggio Calabria, al riguardo lamentando la violazione del giudicato formatosi sulla sentenza del TAR n. 7/2011, in esito alla riedizione della procedura da parte della nuova Commissione.
L’adito TAR, con sentenza n. 396 del 13 maggio 2016 ha accolto in parte il gravame attoreo, con esclusione, cioè, delle sole questioni inerenti alla valutazione della prova pratica (posto che il Giudice amministrativo non può sostituire le valutazioni tecnico-discrezionali della Commissione con le proprie) e della prova di lingua straniera (essendo plausibile l’identità del giudizio “buono” per tutti i candidati).
3. – Ha appellato dunque l’Ateneo reggino, con il ricorso NRG 8845/2016 in epigrafe, deducendo l’erroneità della gravata sentenza per non aver considerato:
I) che la sentenza n. 7/2011 accolse l’originaria impugnazione attorea per l’illegittima valutazione dei titoli e per la violazione del principio di anonimato e rimise l’attività di riemanazione alla stessa Commissione esaminatrice, mentre il Consiglio di Stato ritenne assorbente il motivo sulla necessità di una nuova Commissione e confermò la sentenza di primo grado solo per il mancata rispetto “… dell’anonimato delle prove scritte…”, onde il ricorso della dott. Vi. Av. andava dichiarato inammissibile con riguardo ai vizi sulla valutazione dei suoi titoli, non confermati in sede d’appello;
II) la rilevanza degli argomenti espressi dall’Ateneo in I grado e, in particolare con la memoria del 3 febbraio 2016, integralmente trascritta nel ricorso in epigrafe e relativa, in gran parte, all’evidente superiorità comparativa del dott. Ru. nell’effettuazione delle prove, nonché all’alta valutazione comparativa sui titoli e sul curriculum a favore della dott. Vi. Av., frutto, questo, di un serio ed attento giudizio valutativo da parte della nuova Commissione.
Il dott. Ru. s’è costituito in giudizio, aderendo a tal ricorso principale e proponendo pure gravame incidentale contro la citata sentenza, di cui deduce l’erroneità per:
1) l’insussistenza d’alcuna violazione del giudicato della sentenza n. 7/2011, avendo essa annullato un diverso concorso ed esaurito i suoi effetti con l’avvenuta riedizione di tal procedura, spettando alla Commissione di rendere una nuova valutazione;
2) non aver colto la nomina d’una Commissione nuova (donde, sul punto, l’inesistenza della dedotta violazione), né il rinnovato giudizio di essa sui curricula dei candidati, né tampoco l’effetto della sentenza d’appello n. 396/2012, che confermò la sentenza n. 7/2011 solo in ordine alla violazione dell’anonimato delle prove scritte;
3) l’insussistenza di omissioni o fraintendimenti della nuova Commissione, nel giudizio sul curriculum della dott. Vi. Av.;
4) – l’insussistenza di errori di giudizio (che va compiuto nel complesso e non per singoli titoli) della nuova Commissione nella valutazione dei titoli esposti nel curriculum della dott. Vi. Av. (compresi il dottorato di ricerca conseguito in Spagna e l’attività di ricerca e didattica da lei svolta), tanto da aver raggiunto un giudizio “buono” da parte di tutti e di ciascun commissario, ma con la precisazione che tali giudizi son più lusinghieri per l’appellante incidentale, che ottenne pure l’abilitazione a professore di II fascia e fu confermato nella posizione di ricercatore.
Pure la dott. Vi. Av. resiste nel presente giudizio, eccependo anzitutto l’inesistenza della notifica in quanto il ricorso in epigrafe, per errore, è stato notificato al suo domiciliatario di primo grado (avv. Be. To.) non all’indirizzo del di lui studio (via (omissis)), bensì in quello ove ha sede l’Avvocatura distrettuale dello Stato in Reggio Calabria. L’Ateneo appellante principale, alla luce dell’evidente inammissibilità del primo atto d’appello, ne ha poi notificato un altro (ricorso NRG 9863/2016 in epigrafe), stavolta ritualmente contro la medesima sentenza. Dal che la manifesta inammissibilità del ricorso NRG 8845/2016. La dott. Vi. Av. propone a sua volta gravame incidentale, contestando funditus l’erroneità dell’impugnata sentenza ove ha ritenuto fuori dal giudizio di legittimità quello espresso dalla Commissione e l’analitica confutazione della valutazione sulle varie e rilevanti criticità del progetto del dott. Ru. (in sé e rispetto a quello sia attoreo, sia di altri candidati), nonché ove ha ritenuto plausibile l’identità di giudizi sulla prova di lingua straniera.
4. – L’Ateneo reggino ha altresì proposto, sempre avverso la stessa sentenza n. 396/2016, il ricorso NRG 9863/2016 in epigrafe, un nuovo appello (in realtà, molto simile al precedente), però stavolta ritualmente notificato (24 novembre 2016) entro il c.d. “termine lungo” ex art. 92, co. 3, c.p.a. Esso ha dedotto ora tre articolati mezzi di gravame, sostanzialmente simili a quelli proposti con il ricorso NRG 8845/2016, nonché il secondo, non del tutto nuovo ma adesso dedotto in maniera autonoma, inerente alla violazione, da parte del TAR, dei limiti della cognizione di questo Giudice nella sua giurisdizione generale di legittimità, di cui si predica l’ingerenza e la sostituzione della valutazione tecnica della Commissione con la propria.
S’è costituito il dott. Ru., aderendo all’appello dell’Ateneo reggino e riportandosi interamente ai motivi di gravame incidentale. Resiste in giudizio anche la dott. Vi. Av., contestando in toto il nuovo appello principale e proponendo a sua volta un gravame incidentale contro la sentenza n. 396/2016, nella parte in cui aveva respinto le sue doglianze sul contenuto della prova pratica del dott. Ru. e sul giudizio per la prova di lingua straniera. Tutte le parti hanno depositato memorie e documenti.
Alla pubblica udienza del 29 novembre 2018, su conforme richiesta delle parti, i ricorsi in epigrafe sono assunti congiuntamente in decisione dal Collegio.
5. – I due ricorsi in epigrafe (NRG 8845/2016 e NRG 9863/2016), poiché contestano la medesima sentenza del TAR, sono stati riuniti con l’ordinanza n. 4977 del 20 novembre 2017, sicché vanno decisi contestualmente, sebbene occorra una preliminare precisazione.
5.1. – In realtà, i due appelli dell’Ateneo reggino sono sì distinti, ma in pratica identici (tranne che per taluni non decisivi particolari), essendo relativi alle stesse parti, per il medesimo oggetto e con questioni in vario modo sovrapponibili.
Anzi, si può dire che il secondo ricorso al più non è se non il primo con una più fluente ed organica esposizione della vicenda e dei motivi di gravame.
Invero, il ricorso NRG 9863/2016, altrimenti inutile doppione del primo, è dovuto alla circostanza dedotta dalla dott. Vi. Av., resistente ed appellante incidentale, all’udienza camerale del 15 dicembre 2016. V’era stata un’anomalia nella notificazione del primo ricorso proprio nei confronti della dott. Vi. ed ella, nella sede camerale, ha fatto constare che tal ricorso non le era stato notificato. Per contro, ella ricevette la regolare notifica dell’appello incidentale del dott. Ru., vincitore del concorso ad un posto di ricercatore bandito da detto Ateneo. In effetti, il ricorso NRG 8845/2016 era stato notificato presso il domiciliatario della dott. Vi. nel giudizio di primo grado (avv. Be. To.), ma non all’indirizzo del di lui studio (via (omissis)), bensì in quello ove ha sede l’Avvocatura distrettuale dello Stato in Reggio Calabria.
L’Ateneo appellante principale, stante l’evidente inammissibilità del primo atto d’appello a causa dell’inesistenza di tal notificazione, ha poi notificato il ricorso NRG 9863/2016 (il 24 novembre 2016), stavolta in modo rituale ed entro il c.d. “termine lungo” ex art. 92, co. 3, c.p.a. Insiste, però, l’Ateneo ad affermare che, in fondo, non d’inesistenza si deve parlare, ma di nullità sanabile della notifica del ricorso NRG 8845/2016, secondo la giurisprudenza nomofilattica delle Sezioni unite sulla distinzione tra le due patologie della notificazione.
Al riguardo la giurisprudenza de qua (cfr. Cass., sez. un., 20 luglio 2016 nn. 14916 e 14917; id., VI, 20 luglio 2017 n. 17980; id., III, 9 marzo 2018 n. 5663; id., VI, 2 ottobre 2018 n. 23903) si orienta nel senso di ben delimitare i casi d’inesistenza della notificazione secondo i principi di strumentalità delle forme degli atti processuali e del giusto processo. Sicché tal inesistenza si configura, oltre che quando manchi del tutto l’atto in senso materiale, qualora sia posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali, onde quest’ultima non è più subito riconoscibile come notifica di atti giudiziari. Ogn’altra difformità dal modello legale della notificazione ricade nella categoria della nullità e, in particolare: a) l’attività di trasmissione svolta da un soggetto qualificato ed abilitato, in base alla legge, a svolgere l’attività stessa, di modo che il potere esercitato si possa ritenere esistente e valido; b) la fase di consegna o, meglio, il raggiungimento d’uno qualsiasi degli esiti positivi della notifica previsti dall’ordinamento (tale, cioè, per la stessa sia da considerare per legge eseguita. Restano pertanto esclusi soltanto i casi in cui l’atto sia restituito sic et simpliciter al mittente, sì da dover intendere la notificazione meramente tentata ma non compiuta, cioè omessa.
5.2. – Nondimeno, tali arresti, quantunque autorevoli e per certi versi seguiti da questo Consiglio (cfr. di recente Cons. St., IV, 26 luglio 2017 n. 3683; id., III, 24 aprile 2018 n. 2462), non paiono attagliati al caso in esame.
Anzitutto e più semplicemente, nella specie s’è verificato il caso che davanti alla Sezione la stessa causa è stata proposta due volte. Si tratta d’una vicenda processuale sì anomala, ma in vista della quale l’ordinamento appronta lo specifico rimedio ex art. 273 c.p.c., il quale obbliga il giudice, avanti al quale siano pendenti più procedimenti relativi alla stessa causa, ad ordinarne la riunione, come in effetti è avvenuta. L’applicazione al giudizio amministrativo impugnatorio di tal norma è possibile, per analogia legis in quanto espressiva di una esigenza comune a tutti i processi (quella, cioè, di rimediare a tal anomalia eliminandola con meri mezzi interni) ed è doverosa, per effetto del rinvio operato dall’art. 39, co. 1, c.p.a. (cfr. Cons. St., VI, 2 gennaio 2018 n. 12). Tanto all’evidente fine di prevenire l’inutile ripetizione di attività processuali ed eventuali contrasti di giudicati, donde l’inutilità di discettare sulle eventuali decadenze medio tempore intervenute.
In secondo luogo, è materialmente vero che la dott. Vi. Av. aveva fatto constare, già con la memoria depositata il 14 novembre 2016, l’anomalia della notificazione nei suoi riguardi, ma ella ha chiesto l’inammissibilità del ricorso NRG 8845/2019, eccependo nel merito solo in subordine ed in modo generico. Manca d’altronde nel PAT la prova che il primo appello, così mal notificato, sia stato poi restituito, o no, all’Avvocatura erariale, per cui non è stato possibile verificare l’effettivo esito di detta notifica.
Giova rammentare però che la giurisprudenza di questo Consiglio (cfr., p.es. e di recente, Cons. St., V, 23 gennaio 2018 n. 422) è nel senso di non dequotare totalmente la dissociazione tra destinatario e luogo della notificazione in concreto effettuata. Sicché quest’ultima deve dirsi inesistente qualora manchi del tutto o essa sia stata effettuata in un luogo o con riguardo a persona che non abbiano alcun riferimento col destinatario della stessa, risultando a costui del tutto estranea.
Non basta allora predicare che il luogo della notificazione dell’appello al legale domiciliatario della dott. Vi. Av. in primo grado fu solo errato e, quindi, rimediabile, poiché tale luogo era non solo erroneo in sé, ma soprattutto estraneo e non riferibile in alcun caso alla posizione ed alle funzioni dell’avv. To.. Non a caso, l’Ateneo reggino, pur essendo ancora in termini per rinnovare la notifica, ha reputato (o si è comportato considerando) tale vicenda irrimediabile, tanto da non chiedere la rinnovazione ai sensi dell’art. 44, co. 3, c.p.a. e da proporre un nuovo ricorso in appello. D’altronde è ben noto, ai sensi del successivo co. 4, che la nullità della notifica dell’atto di appello è sanabile quando essa non sia andata a buon fine per fatti non addebitabili al notificante e non nel caso contrario.
5.3. – Ma anche a voler ritenere sanabile tal notifica, comunque il richiamo, operato dal dott. Ru., al successivo art. 95 non è conducente.
Ad onta del suo gravame incidentale -che è tale soltanto perché è successivo e adesivo a quello dell’Ateneo reggino-, in realtà egli non è una delle “parti che hanno interesse a contraddire” cui l’appello va notificato per tempo, a pena d’inammissibilità, ma solo un cointeressato alla posizione di detta Università .
È regola nota (cfr., per tutti, Cons. St., V, 20 agosto 2015 n. 3959; id., III, 12 maggio 2017 n. 2245; id., IV, 16 gennaio 2019 n. 400) che, nel processo amministrativo, ai fini della sua ammissibilità, il ricorso in appello va sì notificato alle parti costituite in primo grado che, ai sensi dell’art. 95, co. 2, c.p.a., siano però veri contraddittori dell’appellante. Tali invero non sono coloro che, in primo grado furono controinteressati alla pretesa della parte poi risultata vittoriosa, onde in appello hanno una posizione coincidente con l’appellante. Sicché essi sono privi d’interesse a contraddire e non devono essere evocati in giudizio, come appunto è accaduto, nel giudizio di appello proposto dalla Università soccombente, al dott. Ru., controinteressato innanzi al TAR. È evidente il riferimento dell’art. 95, co. 2, c.p.a. ai soli contraddittori necessari, ossia a coloro che son portatori d’un interesse sostanziale contrario a quello della parte appellante, la corretta esegesi del citato art. 95 postulando, infatti, la necessità di distinguere il soggetto controinteressato all’impugnazione (cui spetta la notificazione del gravame, nella specie la dott. Vi. Av.) dal mero cointeressato alla lite (cui non spetta tal notificazione, nella specie il dott. Ru.).
Pertanto, la notifica dell’appello al dott. Ru., per vero solo a questi giunta a buon fine, non serve all’Ateneo per sanare ogni difetto di notifica di quello principale verso l’unica parte (la dott. Vi.) realmente interessata a contraddire. Il richiamo dell’Ateneo all’art. 95, co. 3, c.p.a. è del tutto fuori tiro, giacché è evidente la stretta correlazione di detta disposizione con quella del precedente co. 1. L’integrazione del contraddittorio è lecita e possibile, solo se la notifica ad almeno una parte interessata a contraddire sia avvenuta regolarmente, non se vi sia stata una notifica tempestiva alle parti cointeressate.
Dal che la manifesta inammissibilità del ricorso NRG 8845/2016.
5.4. – Rimangono da chiarire le sorti del gravame incidentale proposto dal dott. Ru. nel predetto ricorso n. 8845, a suo dire valevole anche come impugnazione autonoma.
Con l’atto di costituzione (depositato il 21 settembre 2017) nel superstite giudizio d’appello di cui al ricorso NRG 9863/2016, il dott. Ru. non ha promosso un autonomo gravame incidentale, ma si è limitato a richiamare il contenuto di quello proposto nel giudizio precedente.
Ebbene, la declaratoria d’inammissibilità del ricorso NRG 8845/2016 non ha potuto toccare anche il gravame incidentale colà proposto dal dott. Ru. e ciò per un duplice ordine di ragioni.
Per un verso, in realtà tal gravame fu definito, e giustamente, incidentale sol perché notificato dopo il deposito di quello principale dell’Ateneo, ma comunque entro il termine semestrale dal deposito della sentenza del TAR n. 396. Per altro ed assorbente verso, la tempestività dell’appello verso quest’ultima da parte del dott. Ru. e, quel che più conta, la presenza di deduzioni autonome e specifiche sul merito delle vicende controverse -senza al contempo porre eccezioni preclusive contro l’appello “principale” dell’Ateneo-, rendono il ricorso in esame ammissibile e tale da non da subire effetti negativi dalla sorte del ricorso n. 8845. Ha ragione, dunque, il dott. Ru. a predicare l’esistenza di tre appelli connessi avverso la sentenza del TAR n. 396/2016 -e, quindi, da esaminare congiuntamente-, ossia il proprio, il ricorso NRG 9863/2016 e l’appello incidentale della dott. Vi. Av..
6. – Nel merito, tuttavia, tutt’e tre i gravami non hanno pregio e vanno in varia guisa respinti.
6.1. – Cominciando la disamina dal ricorso NRG 9863/2016, il Collegio reputa più opportuno una disamina congiunta, alla luce di quanto detto nella sentenza impugnata, delle doglianze dell’Ateneo reggino e della dott. Vi. Av..
Giova rammentare che, nella sentenza impugnata, il TAR ricostruì i tratti salienti, anche allo scopo di far constare la piena ammissibilità di talune doglianze della dott. Vi. Av.. Il TAR precisò come la sentenza n. 7/2011 avesse anzitutto riscontrato l’esistenza, “… nell’espletamento del concorso del 2008/2009, di gravi ed illegittime omissioni, che riguardavano aspetti significativi e qualificanti in relazione al posto messo a concorso…”. Tal sentenza rilevò pure “… l’irricevibilità della considerazione difensiva secondo cui i titoli anche non menzionati sarebbero stati ugualmente valutati, in quanto ciò non può certamente valere per gli evidenti errori sull’anno di conseguimento della laurea o ancora sull’inizio della collaborazione nell’attività didattica”…”. Ritenne infine irrilevante il “… giudizio finale… “eccellente”, perché la candidata conserva l’interesse, in atto e per la futura carriera, ad una corretta registrazione e considerazione delle sue esperienze di studio e professionali…”, donde l’accoglimento della pretesa della dott. Vi. Av..
Ad avviso dell’Ateneo reggino (I mezzo di gravame), il TAR in questo modo non colse che la sentenza n. 7/2011 aveva accolto l’originaria impugnazione del dott. Ru. a causa dell’illegittima valutazione dei titoli e per la violazione del principio di anonimato (rimettendo il riesame alla stessa Commissione esaminatrice). Per contro, il Consiglio di Stato, respingendo l’appello del dott. Ru. con la sentenza n. 396/2012, ritenne assorbente il motivo sulla necessità di una nuova Commissione e confermò la sentenza di primo grado solo per il mancata rispetto “… dell’anonimato delle prove scritte…”. Sicché, secondo quanto prospettò l’Ateneo appellante, non vi sarebbe stata la violazione del giudicato e, anzi, si sarebbe dovuto dichiarare inammissibile la doglianza della dott. Vi. sulla valutazione dei suoi titoli.
Non è così : dalla serena lettura della sentenza n. 396/2012 -che non riformò la sentenza del TAR, rigettò l’appello del dott. Ru., assorbì ogni altra questione da lui posta in quella sede ed impose la nuova Commissione “… l’integrale travolgimento degli atti compiuti, e la necessità della ripetizione di tutti gli atti… compiuti…” dalla precedente.
È vero che il rifacimento del concorso, sia pur col regime transitorio ex DL 180/2018, s’incentrò, lo ha chiarito il TAR con la sentenza appellata, “sull’obbligo di rinominare una nuova commissione, con assorbimento di ogni altro motivo”. Nondimeno, va rammentato che (arg. ex Cons. St., IV, 1° febbraio 2017 n. 409), nel giudizio amministrativo d’appello, ove il dispositivo della sentenza rechi la statuizione di rigetto mero dell’appello stesso, vi è certamente identità di contenuto dispositivo tra i provvedimenti di primo e secondo grado, onde la sentenza appellata rimane efficace in tutte le sue statuizioni. Né potrebbe dirsi mutato il contenuto dispositivo e conformativo della sentenza di primo grado, qualora la motivazione di sua conferma si sostanzia in un approfondimento, un ampliamento o un arricchimento di quanto già accolto dal TAR. E tutto ciò tranne nel caso in cui, al di là di qual dispositivo sia stato reso dal Giudice dell’appello, questi ne abbia statuito sì il rigetto, ma per motivi logicamente incompatibili (e, dunque, con diversa motivazione) col contenuto dell’accoglimento di primo grado.
Né va sottaciuto che l’Ateneo reggino non impugnò a sua volta la sentenza n. 7/2011, onde i decisa di quest’ultima si consolidarono in capo ad esso. Ebbe allora ragione il TAR a precisare che, in sede di riemanazione, l’Università avrebbe dovuto: 1) nominare una nuova Commissione; 2) valutare in modo più preciso il curriculum della dott. Vi. Av. e la sua esperienza formativa e di ricerca, evitando d’incorrere di nuovo negli stessi vizi che inficiarono la prima valutazione, come descritti nella sentenza n. 396/2012.
6.2. – Per quanto attiene al secondo motivo d’appello principale, non basta invero predicare, come fa l’Ateneo reggino, che la nuova Commissione avesse assegnato alla dott. Vi. Av. il giudizio comparativo buono sui titoli e sul curriculum (alla pari di altri due concorrenti), se poi quest’ultimo tende a replicare vizi ed omissioni.
V’è a tal riguardo, una questione di fondo, su cui si sofferma il secondo motivo d’appello principale e che va al riguardo risolta. Essa s’incentra sulla c.d. “insindacabilità ” del giudizio tecnico reso dalla nuova Commissione sui curricula e sulle prove d’esame dei candidati. Ma l’insindacabilità va letta non come se fosse un sinonimo di valutazione arbitraria o disgiunta dalla realtà di fatto, ma solo come limite della cognizione di legittimità di questo Giudice e, peraltro, con le precisazioni di cui appresso.
È jus receptum (cfr., per tutti, Cons. St., IV, 4 febbraio 2014 n. 505; id., 10 maggio 2018 n. 2798; id., 9 luglio 2018 n. 4153) che le valutazioni connotate da discrezionalità tecnica sono sempre sindacabili da questo Giudice, in sede di giurisdizione generale di legittimità, per tutti i possibili vizi dello svolgimento della funzione pubblica e, tra queste, le figure sintomatiche dell’eccesso di potere, mai per ragioni di merito. Sicché, sulle valutazioni tecniche opinabili (come nel caso in esame), questo Giudice non può sovrapporre la propria valutazione a quella della Commissione, se tal giudizio, in esito all’accertamento sui fatti, s’appalesi corretto, ragionevole, proporzionato ed attendibile. Il Giudice amministrativo può allora considerare incongruo il giudizio della Commissione, qualora esso si ponga al di fuori dell’ambito di attendibilità, e ciò accade di regola quando non appaiano rispettati i parametri tecnico-scientifici di univoca e consolidata lettura nei settori scientifici di riferimento, oppure nei campi in cui vi siano giurisprudenza consolidata oppure dottrina dominante in materia. Ma ciò vale anche nella diversa ipotesi ove i presupposti del giudizio siano stati erroneamente apprezzati o comunque non siano da sé capaci di sorreggere una compiuta valutazione di merito.
Calando tali regole nel caso in esame, s’avrà che la Commissione, segnatamente nell’attività di riesame a seguito d’annullamento del medesimo concorso, è sempre tenuta alla massima attenzione nel definire (secondo ragionevolezza, perizia, prudenza e congruenza col profilo professionale per cui s’effettua il reclutamento) dei criteri che guidano lo svolgimento della valutazione dei candidati, cosa, questa, d’altronde alla portata della Commissione, a fronte di pochi partecipanti. Essa poi deve darne rigorosa ed equanime applicazione, evitando, cioè, l’uso di formule stereotipe o generiche, di sintesi banalizzanti o di semplificazioni non volute dalle norme del concorso e rendendo invece un giudizio ben attagliato alla personalità di ciascun candidato.
Anche l’uso degli aggettivi “buono” e “ottimo”, che nella prassi sono fortemente scriminanti nella descrizione delle caratteristiche del candidato, è sì nella piena disponibilità della Commissione, a condizione, però -e visto che la discrezionalità tecnica è scelta non già libera nei fini, ma giudizio per il reclutamento dei più capaci e meritevoli-, che l’assegnazione dell’un aggettivo piuttosto che dell’altro si basi su dati di fatto certi ed attendibili e interpretati correttamente dalla Commissione.
6.3. – Sulla scorta dei principi testé enunciati, è fermo avviso del Collegio che l’Ateneo reggino, e ciò s’appalesa dal tenore stesso del terzo motivo d’appello, con la mera trascrizione dei criteri valutativi, da un lato (come elaborati nella seduta preliminare telematica) e con la descrizione delle modalità per l’organizzazione del materiale curriculare e per l’espressione del giudizio, dall’altro, cerchi di sfuggire alle criticità evidenziate dal TAR.
Ma qui si controverte non del metodo, in sé neutro, ma del concreto contenuto e della tenuta logica del giudizio reso. Si tratta, in particolare, dell’inesatta indicazione dell’anno in cui la dott. Vi. Av. si laureò, con quel che ne è conseguito in termini d’esatta ricostruzione cronologica delle anzianità di attività didattica e di ricerca, nonché sul momento d’inizio della di lei collaborazione in tal attività . Su tale aspetto, il TAR affermò che “… non persuade la considerazione difensiva secondo cui i titoli anche non menzionati sarebbero stati ugualmente valutati, in quanto ciò non può certamente valere per gli evidenti errori sull’anno di conseguimento della laurea o ancora sull’inizio della collaborazione nell’attività didattica…”.
Ebbene, se già in primo grado il citato argomento difensivo apparve subito una mera petizione di principio -tanto da poter essere facilmente superata dal TAR-, a più forte ragione in questa sede dette citazioni e le trascrizioni nulla aggiungono o tolgono all’accertamento della predetta criticità, il quale riscontrò una manchevolezza che si cercò di superare solo in sede difensiva. A parte, infatti, citazioni di giurisprudenza e trascrizioni di giudizi tanto generici da poter esser facilmente adoperati in altri contesti concorsuali, l’Ateneo non deduce a confutazione di tali criticità . Non sfugge certo al Collegio il notorio principio che il giudizio sui titoli dei candidati non per forza dev’esser analitico, cioè titolo per titolo, articolo per articolo, sebbene ciò sia in sé una buona pratica, utile per togliere motivi a contenziosi strumentali. Quel che, tuttavia, più rileva è la necessità di formulare comunque un tal compiuto giudizio, affinché ciascuno dei candidati possa avere sicura contezza dell’avvenuta valutazione delle sue opere e della ragione per cui siano state, o no, meritevoli d’apprezzamento.
Erra inoltre l’Ateneo reggino (e, ancor prima, la Commissione), in ciò incappando in un evidente vizio argomentativo (pagg. 12/13 dell’appello principale), a ritenere in pratica irrilevanti l’anzianità di laurea o l’età, sol perché non espressamente sussunte nei criteri di valutazione. Per vero, sebbene il dato quantitativo dei titoli e delle anzianità curriculari e professionali non sia da solo dirimente per ottenere un maggior punteggio, esso è comunque un elemento imprescindibile di valutazione, in sé e nella comparazione tra i candidati. In tal caso, immune da mende s’appalesa l’assunto del Giudice di prime cure laddove precisò, pur a fronte d’un buon giudizio finale, il mantenimento dell’interesse della dott. Vi. Av., in atto e pro futuro (in vista di altre procedure), alle esatte registrazione e considerazione delle di lei effettive esperienze di studio e professionali. Restano così assorbiti i motivi terzo e quanto dell’appello incidentale del dott. Ru., relativi alla valutazione dei predetti titoli.
Né basta: la citazione, che l’Ateneo fa dei giudizi alquanto negativi e, per vero, ictu oculi distanti pure da quelli resi dalla nuova Commissione nel caso in esame, appare nulla più che un argomento ad colorandum. E ciò per la duplice ragione che, da un lato, v’è una piena (non assoluta) autonomia di giudizio tra le diverse procedure concorsuali e che, dall’altro, gli esempi richiamati sono vicende estranee all’oggetto del contendere e formatesi in modo non controllabile in questa sede.
6.4. – Quanto poi al giudizio reso dalla Commissione sulla seconda prova pratica, non convince la tesi dell’Ateneo reggino, che insiste sull’insindacabilità di tal valutazione, salvo poi argomentare al fine di dimostrarne comunque la bontà e la completezza.
La procedura fissò tal prova pratica progettuale, affinché i candidati, sia pur in un tempo limitato (6 ore) e con ristrettezza di mezzi progettuali, mostrassero d’avere “… la padronanza degli strumenti teorici, metodologici e critici del settore disciplinare…”. A tal riguardo, i criteri di valutazione sulla prova avrebbero tenuto conto dei seguenti elementi: “… a) correttezza dell’impostazione del tema basata su posizioni teoriche espresse; b) corrispondenza della sperimentazione pratica alle posizioni teoriche; c) chiarezza e capacità di sintesi; d) rapporto della proposta con il contesto ambientale …”. Il tema in concreto assegnato fu: “In un’area prospiciente al mare, il candidato progetti un piccolo padiglione didattico – espositivo per un sito archeologico, rappresentandolo nelle scale adeguate”.
Ad avviso della dott. Vi., il progetto del dott. Ru. presentò gravi criticità, a suo dire per difetto degli elementi essenziali richiesti a norma di legge nella progettazione di un immobile, ossia: a) la mancata previsione (in pianta ed in prospetto), foss’anche schematica, delle finestre e delle porte di accesso in vari vani aperti al pubblico, dei quali è composto il padiglione oggetto della prova; b) il mancato disegno della scala, trattandosi d’un progetto che si sviluppi in più piani, tra il p.t. ed il 1° piano del padiglione; c) il mancato disegno della struttura costruttiva (mancano pilastri e travi); d) l’uso, nella redazione del progetto, della scala 1:500, inadeguata per un piccolo padiglione didattico ed espositivo.
Non dura fatica il Collegio ad accedere alla tesi dell’Ateneo, per cui l’elaborazione di un progetto di architettura (qui più semplice che un progetto di fattibilità o uno studio preliminare), richieda un tempo ben superiore alle 6 ore, tanto più se senza l’ausilio di strumenti informatici.
In realtà, si trattò d’un primo abbozzo motivato dell’idea di edificio suggerita dal tema, corredato dai grafici essenziali e descritto in una scala adeguata, ossia tale da fornire con immediatezza la scelta strutturale e stilistica che si sarebbe proposta.
Sebbene si trattasse di redigere un elaborato grafico ben anteriore allo studio preliminare d’un certo edificio, le regole di redazione sintetica tuttavia imposero al candidato di dimostrare la padronanza degli strumenti teorici, metodologici e critici del settore disciplinare e, in secondo luogo, la capacita di esprimere sinteticamente un’idea progettuale precisa e riconoscibile. Esse lo obbligavano, quindi ed in base al tema assegnato, a rendere una ben definita soluzione che già fornisse un apprezzabile quadro di scelte formali consapevoli e motivate. E lo obbligavano pure ad assumere soluzioni che integrassero la forma con la funzione cui, nel tema, l’edificio era preordinato, cose, queste ultime, ricomprese nei doveri di chiarezza e di sintesi. Erra, dunque, l’Ateneo a dar preminenza dirimente a tali doveri, come se la sintesi non fosse se non il metodo per impostare lo svolgimento del tema de quo. Di conseguenza, non ha pregio la tesi per cui il riferimento a manuali di progettazione, che la dott. Vi. Av. cita nell’appello incidentale, riguardi la progettazione professionale e didattica, come se i concetti ritraibili dalla manualistica, purché sinteticamente trasfusi nella prova pratica, non fossero una linea-guida utile e corretta per svolgere il tema.
Non nega il Collegio che, come dice l’Ateneo stesso un architetto, il quale, per il tipo di concorso in questione, deve aver dimestichezza ed attitudine al lavoro progettuale, sia in grado di produrre, pure in un tempo limitato, un elaborato che rappresenti in sintesi la sua idea progettuale.
Ma proprio per questo e considerato il tipo di reclutamento per il quale tale tema fu assegnato, non sono ammessi al candidato errori o incertezze formali e funzionali, tali da rendere il progetto non idoneo al tipo ed allo scopo dell’organismo ideato. E tutto ciò a partire dalla scelta d’una scala che avrebbe dovuto manifestare l’adeguato compromesso tra sintesi descrittiva, correttezza funzionale di siffatto organismo e sua coerenza con il contesto ambientale.
Dice il dott. Ru., nella memoria del 21 settembre 2017 (di costituzione, nonché di richiamo del gravame incidentale sul ricorso NRG 8845/2016), che il “ricorso ad un prospetto che tiene conto delle grandi ombre è finalizzato ad una lettura a grande distanza che è misurata dalla presenza delle grandi masse che caratterizzano il dato volumetrico della composizione”. Non è perspicuo se tal assunto voglia giustificare l’uso d’una scala molto grande per rendere con immediatezza tridimensionale tutti i volumi dell’organismo ideato -che guarda da un lato al mare e dall’altro ai ruderi-; o, piuttosto, l’uso di grandi masse per realizzare ciò che il tema indica come un piccolo padiglione espositivo e didattico, ossia quel che al Collegio sembra dover ragionevolmente essere un edificio di minimo impatto rispetto alle due emergenze, naturale e storico-archeologica, nell’area d’intervento. Appunto per questo -e la deduzione sull’assenza delle scale, al di là della mera indicazione del relativo ingombro, lo rende viepiù significativo-, manca (ma ciò vale per tutte le criticità del progetto Ru.) un preciso e ben articolato argomento tecnico a confutazione della tesi della dott. Vi. Av., con lo stesso livello di dettaglio delle doglianze da lei formulate con riguardo particolare all’uso della scale (che non è questione bagatellare), sì da rendersi subito intelligibile al Collegio.
È interessante notare, quanto al progetto Ru., come dei giudizi dei tre commissari solo quello del prof. Ro. Pr. fece un accenno alla “coerenza con gli assunti teorici e una grande sensibilità al contesto ambientale” (sviluppando in particolare quest’ultimo aspetto), ma nessuno dei tre fa un riferimento specifico ai grafici in pianta e di prospetto, né tampoco alle soluzioni strutturali (che son cosa diversa dalle descrizioni formali). Per contro, i giudizi sul progetto Vi. Av. sono, ove più ove meno, puntigliosi tanto sui profili teorici (proff. Ay. e Ro. Pr.), quanto su quelli strutturali (prof. Ay.) o spaziali (prof. Di Li.).
Vi sono quindi alquanti dubbi, al di là del suggestivo gergo professionale, sull’attendibilità e sulla congruenza di tali giudizi (cfr. Cons. St., VI, 18 maggio 2018 n. 3013), che si verifica anche quando i presupposti della valutazione siano stati erroneamente apprezzati o comunque non siano capaci di sorreggere il compiuto giudizio sul merito tecnico del tema svolto. Ciò impone alla Commissione di riformulare, alla luce dei principi fin qui esposti e di quanto detto nella presente sentenza, il giudizio sulle parti. E ciò all’evidente scopo non solo di proteggere l’interesse sia della dott. Vi. Av. e dello stesso candidato vincitore (dott. Ru.), ma soprattutto di rendere certa l’effettiva preminenza di quest’ultimo in esito al concorso.
6.5. – È solo da soggiungere quanto sia del pari non plausibile e, dunque, immotivato il giudizio reso dalla Commissione sulla conoscenza della lingua straniera da parte dei candidati.
In primo grado la dott. Vi. Av. aveva lamentato l’illegittimità, per violazione dei criteri valutativi fissati nella riunione dell’11 marzo 2011 e dei principi generali in materia di concorsi a pubblici impieghi, della valutazione sulle prove orali in lingua straniera. Invero, la Commissione assegnò a tutti i candidati, senza distinzione alcuna, la medesima valutazione “buono”, cosa, questa, secondo il TAR non irreale. Al Collegio appare invece implausibile e manifestamente anomalo un al giudizio unanime, peraltro reso da una Commissione pur prestigiosa ma di cui non si predicò una spiccata competenza sul punto e ciò soprattutto nei confronti di candidati tutti d’elevato livello culturale e professionale, le cui differenze andavano colte sul filo delle sfumature tra loro. A più forte ragione tal anomalia, che tende a trasmodare nella superficialità, s’enfatizza nei casi, come in quello in esame, ove perlomeno la stessa dott. Vi. Av. dimostrò una forte padronanza d’una lingua straniera, tanto d’aver scritto un saggio in quella lingua.
Dal che la manifesta illogicità di tal giudizio, non supportato da motivazione adeguata, onde si deve accogliere il secondo motivo del gravame incidentale della dott. Vi. Av. e ordinare un nuovo e più motivato giudizio della Commissione sul punto.
Ad una conclusione ben diversa deve il Collegio pervenire con riguardo all’appello incidentale del dott. Ru., già alla luce di quanto detto nei paragrafi precedenti e per i motivi non ancora toccati. Per vero, non ha gran senso affermare l’assenza della violazione del giudicato della sentenza n. 7/2011, giacché l’annullamento mero del precedente concorso e l’avvenuta riedizione di esso non esaurirono la portata precettiva del relativo giudicato, se poi la nuova Commissione incorse in molteplici errori, qui evidenziati. Del pari, furono veri sì la nomina d’una Commissione nuova ed il rinnovato giudizio sui curricula dei candidati, ma pure vero è il mantenimento del decisum della sentenza n. 7/2011, non riformata né confermata con diversa motivazione dalla Sezione.
7. – In definitiva, l’appello principale e l’appello incidentale del dott. Ru. vanno respinti, mentre è da accogliere l’appello incidentale della dott. Vi. Av. nei sensi testé esaminati.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sez. VI), definitivamente pronunciando sugli appelli (ricorsi NRG 8845/2016 e 9863/2016 in epigrafe) e previa loro riunione, dichiara inammissibile il primo e respinge il secondo e l’appello incidentale del dott. An. Ru.. Accoglie il secondo motivo dell’appello incidentale proposto dalla dott. Cl. St. Vi. Av., per quanto di ragione e nei sensi di cui in motivazione e per l’effetto conferma con parziale diversa motivazione la sentenza di primo grado, con salvezza dell’ulteriore attività di riesame dell’Università appellante.
Spese del grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 29 novembre 2018, con l’intervento dei sigg. Magistrati:
Sergio Santoro – Presidente
Silvestro Maria Ru. – Consigliere, Estensore
Vincenzo Lopilato – Consigliere
Oreste Mario Caputo – Consigliere
Dario Simeoli – Consigliere

 

 

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