In materia di concorsi pubblici

Consiglio di Stato, Sezione sesta, Sentenza 22 gennaio 2020, n. 535

La massima estrapolata:

In materia di concorsi pubblici in capo all’amministrazione indicente la procedura selettiva sussiste un potere discrezionale nell’individuazione della tipologia dei titoli richiesti per la partecipazione, da esercitare tenendo conto della professionalità e della preparazione culturale richieste per il posto da ricoprire.

Sentenza 22 gennaio 2020, n. 535

Data udienza 19 dicembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7634 del 2018, proposto da
Va. Sa. rappresentata e difesa dagli avvocati Di. Va. e Al. Ve. Di Ce., con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, (…);
contro
Fo. P.A. – Centro servizi, assistenza, studi e formazione per l’ammodernamento delle P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Fr. Ga. Sc., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
ed altri non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Seconda n. 6223/2018, resa tra le parti, pubblicata il 5 giugno 2018, non notificata.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Fo. P.A.- Centro servizi, assistenza, studi e formazione per l’ammodernamento delle P.A.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 19 dicembre 2019 il Cons. Michele Pizzi e uditi per le parti gli avvocati Al. Ve. di Ce. e Fr. Ga. Sc.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

La Commissione per l’attuazione del progetto Ripam, con avviso pubblicato sulla G.U.-IV Serie speciale Concorsi ed esami n. 41 del 24 maggio 2016, ha reso nota la pubblicazione, sul sito internet http://ripam.Fo..it, di nove bandi di concorso per l’assunzione a tempo indeterminato, presso il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, di 500 funzionari da inquadrare nella III area del personale non dirigenziale, posizione economica F1, in vari profili professionali, tra i quali anche il profilo professionale di demoetnoantropo, rilevante nella presente controversia.
Il Bando di concorso per l’assunzione di cinque funzionari demoetnoantropologi è stato adottato ai sensi dell’articolo 1, comma 328, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 e secondo le modalità stabilite dal decreto interministeriale del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo di concerto con il Ministro per la semplificazione e la pubblicazione amministrazione n. 204 del 15 aprile 2016, pubblicato sulla G.U.-Serie generale n. 96 del 26 aprile 2016, recante “Disciplina della procedura di selezione pubblica per l’assunzione di 500 funzionari presso il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, ai sensi dell’articolo 1, comma 328 e seguenti, della legge 28 dicembre 2015, n. 208”.
L’articolo 2 del predetto decreto interministeriale, rubricato “Requisiti di ammissione”, ha stabilito per quanto di interesse nel presente giudizio che, per l’ammissione al concorso, oltre alla laurea specialistica, o alla laurea magistrale o ai diplomi di laurea rilasciati ai sensi della legge n. 341/1990 o titolo equipollenti, il candidato deve essere in possesso del diploma di specializzazione, o del dottorato di ricerca, o di un master universitario di secondo livello di durata biennale (articolo 2, comma 1, lett. d) del decreto interministeriale n. 204/2016).
In ossequio a tale previsione, l’articolo 3 del Bando di concorso de quo ha previsto, quali requisiti di ammissione: “I – laurea specialistica, o laurea magistrale, o diplomi di laurea rilasciati ai sensi della legge n. 341 del 1990, in antropologia culturale o titoli equipollenti; II – diploma di specializzazione, o dottorato di ricerca, o master universitario di secondo livello di durata biennale, in materie attinenti il patrimonio culturale, o titoli equipollenti; in alternativa: I – laurea specialistica, o laurea magistrale, o diplomi di laurea rilasciati ai sensi della legge n. 341 del 1990, in materie attinenti il patrimonio culturale o titoli equipollenti; II – diploma di specializzazione, o dottorato di ricerca, o master universitario di secondo livello di durata biennale, in materie attinenti le discipline demoetnoantropologiche”.
L’odierna appellante, in possesso di un master di secondo livello di durata annuale (e non di durata biennale come richiesto dal Bando), ha presentato comunque domanda di partecipazione al concorso per l’assunzione di cinque funzionari demoetnoantropologi, superando la prova preselettiva nel luglio del 2016.
Con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica notificato il 21 settembre 2016, l’odierna appellante, unitamente ad altri ricorrenti, ha chiesto l’annullamento: – dell’avviso pubblicato sulla G.U. 4° Serie Speciale Concorsi ed esami n. 41 del 24 maggio 2016, relativo alla pubblicazione dei nove bandi di concorso per l’assunzione, a tempo indeterminato presso il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, di 500 funzionari da inquadrare nella III area del personale non dirigenziale, posizione economica F1; – dei Bandi di concorso per l’assunzione di n. 90 funzionari archeologi, di n. 95 funzionari archivisti, di n. 5 funzionari antropologi, di n. 5 funzionari demoetnoantropologi e di n. 130 funzionari architetti, nella parte in cui hanno previsto, ai rispettivi articoli 3, il necessario possesso, quale requisito di ammissione, di un master di secondo livello di durata biennale; – dei Bandi di concorso nella parte in cui, ai rispettivi articoli 4, hanno previsto che “i candidati dovranno inoltre dichiarare esplicitamente di possedere tutti i restanti requisiti di cui all’articolo 3 del presente bando”; – del modello di domanda presente sul sito internet dell’Amministrazione, nella parte in cui prevede che il concorrente deve necessariamente dichiarare di essere in possesso di un master biennale; – dei bandi di concorso, nella parte in cui agli articoli 4 prevedono espressamente che: “la Commissione Interministeriale RIPAM si riserva di effettuare controlli a campione sulla veridicità delle dichiarazioni rese dal candidato mediante il sistema step-one. Qualora il controllo accerti la falsità del contenuto delle dichiarazioni, il candidato sarà escluso dalla selezione, ferme restando le sanzioni penali previste dall’art. 76 del D.P.R. n. 445 del 2000. Ogni e qualsiasi comunicazione ufficiale non espressamente prevista dal presente bando avverrà tramite telegramma o a mezzo posta elettronica certificata, in ossequio ai dettati del Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD)”; – del decreto interministeriale del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, di concerto con il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione.
Il giudizio, a seguito di opposizione proposta dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ai sensi dell’articolo 10 del d.P.R. n. 1199/1971, è stato trasposto innanzi al Tar Lazio e l’odierna appellante (unitamente agli altri ricorrenti), in accoglimento della domanda cautelare, è stata ammessa con riserva alle successive prove della procedura concorsuale, successivamente superandole e collocandosi – nella graduatoria finale di merito – tra gli idonei non vincitori (e venendo assunta in secondo momento, con la stipula del contratto in data 7 marzo 2019).
Con il presente appello la dott.ssa Va. Sa., ribadendo le censure già svolte in primo grado, impugna la sentenza del Tar Lazio-Sezione Seconda Quater 5 giugno 2018, n. 6223, di rigetto del ricorso.
L’appellante deduce, in primo luogo, la violazione dell’articolo 2 del d.p.r. n. 487/1994 e dell’articolo A del CCNL Aran, avendo erroneamente il Tar ritenuto legittima la previsione, contenuta all’articolo 3 del Bando di concorso, quale requisito di ammissione, di un titolo di studio ulteriore alla laurea, prevedendosi invece il solo diploma di laurea per l’accesso ai profili professionali di ottava qualifica funzionale ai sensi del comma 6 del citato articolo 2 del d.p.r. n. 487/1994, non essendo il titolo post-laurea richiesto nemmeno dalla contrattazione collettiva, e non potendosi ritenere – a differenza di quanto argomentato dal TAR – che il comma 329 dell’articolo 1 della legge n. 208/2005 possa valere come una “delega in bianco” che abbia autorizzato la fonte ministeriale a derogare ai requisiti di accesso al concorso in questione, come previsti dalla normativa primaria.
In secondo luogo l’appellante lamenta la violazione dell’articolo 3 del d.m. 22 ottobre 2004, n. 270, violazione del principio del favor partecipationis, eccesso di potere per manifesta arbitrarietà, disparità di trattamento, irragionevolezza, ingiustizia grave e manifesta, per aver erroneamente il Tar ritenuto legittima la previsione, contenuta all’articolo 3 del Bando di concorso, che ha escluso – tra i requisiti di ammissione al concorso – il master universitario di secondo livello di durata annuale, non essendo prevista alcuna distinzione, ai sensi dell’articolo 3, comma 9, del citato d.m. n. 270/2004 tra master di durata annuale e master di durata biennale, dato che viene unicamente in rilievo la distinzione normativa tra master di primo livello e master di secondo livello, non potendosi quindi operare alcuna sotto distinzione tra i master universitari di secondo livello sulla base della loro durata (annuale o biennale), essendo entrambi ricompresi tra i titoli post laurea del terzo ciclo di istruzione.
Si è costituito in giudizio il Fo. P.A. chiedendo il rigetto dell’appello ed eccependone, in via preliminare l’inammissibilità, stante l’inammissibilità del ricorso di primo grado, non essendo il decreto interministeriale n. 204/2016 “oggetto di specifica impugnazione da controparte in primo grado”, avendo la ricorrente concentrato le proprie censure unicamente sul Bando “che è meramente attuativo di quanto previsto a livello normativo regolamentare”.
Il Fo. ha successivamente presentato memoria conclusionale e l’appellante memoria di replica, ciascuno insistendo per l’accoglimento delle proprie conclusioni.
All’udienza pubblica del 19 dicembre 2019 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

La controversia ha ad oggetto l’esclusione dell’odierna appellante dal concorso pubblico per l’assunzione di 500 funzionari da inquadrare nella III area del personale non dirigenziale, posizione economica F1.
Per quanto di interesse, nel bando di concorso per il profilo di funzionario demoetnoantropo, l’Amministrazione ha stabilito, all’articolo 3, tra i requisiti di ammissione, oltre alla laurea, il possesso di ulteriori titoli tassativamente determinati, ostativi alla partecipazione di parte appellante. In particolare, il bando prevedeva la necessità di un “diploma di specializzazione, o dottorato di ricerca, o master universitario di secondo livello di durata biennale” o di un titolo equipollente/equivalente nella disciplina di riferimento.
Parte appellante risultava pertanto esclusa avendo, oltre alla laurea, un master universitario di secondo livello di durata annuale.
Tanto precisato, in via preliminare deve essere esaminata la riproposta – in quanto non esaminata dal Tar – eccezione di inammissibilità del ricorso, per carenza di interesse, ai sensi dell’art. 35, comma 1, lett. b), del cod. proc. amm.; carenza di interesse determinata secondo la prospettazione dell’Amministrazione appellata dall’omessa impugnazione dell’art. 2 del decreto interministeriale 15 aprile 2016, n. 204, che prevede il requisito di partecipazione ai concorsi oggetto di contestazione avversaria (art. 2, comma 1, lett. d), (“Requisiti di partecipazione”), poi recepito in modo pedissequo dagli artt. 3 dei bandi di concorso.
L’eccezione deve essere respinta, in quanto il ricorso di primo grado si rivolge anche nei confronti del decreto interministeriale 15 aprile 2016, n. 204, il quale, oltretutto, è stato specificamente indicato nell’epigrafe del ricorso.
Le considerazioni svolte a sostegno dell’eccezione non risultano condivisibili, posto che le disposizioni impugnate (ovvero i criteri di ammissione al concorso), del bando e del decreto interministeriale, sono analoghe; risulta perciò superflua una specifica articolazione dei motivi rispetto ai due atti, stante il fatto che le disposizione impugnate sono le medesime, così come le relative censure.
Nel merito l’appello è fondato e deve trovare accoglimento, così come già deciso di recente dalla Sezione in cause analoghe alla presente (Cons. Stato, Sez. VI, 14 ottobre 2019, n. 671; 14 ottobre 2019, n. 672).
In generale deve essere confermato il principio più volte ribadito dalla giurisprudenza amministrativa che riconosce “in capo all’amministrazione indicente la procedura selettiva un potere discrezionale nell’individuazione della tipologia dei titoli richiesti per la partecipazione, da esercitare tenendo conto della professionalità e della preparazione culturale richieste per il posto da ricoprire.” (cfr., Cons. St., Sez. V, 18 ottobre 2012, n. 5351; Cons. St., Sez. VI, 3 maggio 2010, n. 2494).
In altre parole, quella che l’amministrazione esercita, nel prevedere determinati requisiti di ammissione, è una tipologia di scelta che rientra tra quelle di ampia discrezionalità spettanti alle amministrazioni.
Nondimeno, la giurisprudenza ha chiarito che: “in assenza di una fonte normativa che stabilisca autoritativamente il titolo di studio necessario e sufficiente per concorrere alla copertura di un determinato posto o all’affidamento di un determinato incarico, la discrezionalità nell’individuazione dei requisiti per l’ammissione va esercitata tenendo conto della professionalità e della preparazione culturale richieste per il posto da ricoprire o per l’incarico da affidare, ed è sempre naturalmente suscettibile di sindacato giurisdizionale sotto i profili della illogicità, arbitrarietà e contraddittorietà ” (Cfr. Consiglio di Stato sez. V, 28 febbraio 2012, n. 2098).
Tanto precisato, nella peculiare vicenda all’attenzione del Collegio, i criteri del bando impugnati non risultano in parte qua proporzionali rispetto all’oggetto della specifica procedura selettiva ed al posto da ricoprire tramite la stessa, risolvendosi pertanto in una immotivata ed eccessiva gravosità rispetto all’interesse pubblico perseguito.
In particolare, per quel che rileva in questa sede, non risulta giustificata la pretesa titolarità di titoli ulteriori rispetto al diploma di laura, ed in particolare di un master di II livello della durata biennale – con esclusione quindi dei master parimenti di II livello, ma aventi solo una durata annuale – in relazione allo specifico profilo di funzionario in questione.
In disparte le considerazioni circa l’equivalenza o meno dei due titoli (annuale e biennale) alla stregua del d.m. n. 270/2004 e la necessità di discriminare, se del caso, in base ai rispettivi crediti formativi conseguiti attraverso ciascun titolo, piuttosto che in base alla relativa durata, l’eccessività, e dunque l’illegittimità, dei criteri impugnati rispetto al fine da perseguire emerge da più fattori.
In primo luogo, in generale deve ricordarsi che il Testo Unico dei pubblici concorsi, all’articolo 2, comma 6, prevede che “Per l’accesso a profili professionali di ottava qualifica funzionale è richiesto il solo diploma di laurea”.
Secondariamente, in riferimento allo specifico concorso oggetto di causa, tramite l’accordo siglato in sede sindacale nel 2010 – propedeutico all’emanazione dei bandi di concorso, quale quello oggetto del presente giudizio – lo stesso Ministero aveva convenuto che per accedere ai concorsi dallo stesso indetti, i candidati dovevano essere in possesso del diploma di laurea magistrale (o di vecchio ordinamento) coerente con le professionalità specifiche.
Appare dunque ingiustificata la successiva previsione in sede di indizione del concorso di ulteriori requisiti, quali quelli censurati nel presente giudizio, potendosi procedere all’innalzamento dei titoli di studio richiesti per l’accesso alla professione con norma primaria.
Inoltre, la scelta di prevedere ulteriori titoli, rispetto a quello della solo diploma di laurea, nel caso di specie, non può ritenersi giustificata dal peculiare contesto nel quale è stato indetto il bando oggetto di causa.
Al riguardo, parte appellata osserva che il concorso in esame è stato indetto, anche in parziale deroga dei vigenti vincoli di assunzione previsti dell’art. 1, comma 328 e seguenti, della legge n. 208/2015 (c.d. legge di stabilità per il 2016), nell’ambito di una più ampia serie di misure economiche di promozione e sviluppo del patrimonio culturale, anche in considerazione della difficile situazione che lo stesso sta vivendo.
Invero, la necessità di derogare ai vincoli di assunzione dettati da misure rigoriste di natura finanziaria, al fine di far fronte all’urgente bisogno di intervenire nel settore di riferimento, non pare possa ragionevolmente giustificare l’aggravamento dei criteri di ammissione al concorso, i quali devono invece essere predisposti in vista dei requisiti culturali e di professionalità richiesti dal ruolo da ricoprire, indipendentemente dal contesto economico finanziario che caratterizza l’epoca di indizione del concorso.
Nel caso di specie l’amministrazione contesta l’applicabilità dei principi predetti sotto due profili: da un lato, in quanto l’accordo sindacale del 2010 sarebbe stato superato dalle determinazioni contenute nel successivo decreto interministeriale n. 204 emesso in data 24 marzo 2016; dall’altro lato il suddetto accordo si sarebbe limitato solo a richiedere i requisiti minimi di partecipazione alla selezione, con la conseguenza il Ministero sarebbe stato autorizzato ad individuare ulteriori criteri per l’accesso al profilo.
Entrambe le argomentazioni si scontrano con la preminente natura e forza dei principi suddetti.
Da un lato lo stesso decreto invocato risulta essere stato tempestivamente impugnato e, conseguentemente, non può che leggersi alla stregua degli stessi superiori principi.
Dall’altro lato, l’illegittimità dell’ulteriore limitazione, lungi dall’essere così autorizzata, consegue direttamente dall’applicazione dei medesimi principi già affermati dalla giurisprudenza in generale e dalla Sezione in particolare.
In definitiva l’appello proposto dalla dott.ssa Santonico deve trovare accoglimento e, in riforma della sentenza impugnata, deve annullarsi in parte qua il bando di concorso ed il relativo decreto interministeriale presupposto n. 204/2016, con conseguente illegittimità dell’esclusione dalla partecipazione al concorso da parte dell’appellante, dovendosi di conseguenza confermare il provvedimento con il quale, a seguito dell’ammissione cautelare al sostenimento delle prove, la stessa risulta in posizione utile nella graduatoria.
Sussistono giusti motivi, analogamente ai precedenti della Sezione, per compensare le spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado ai sensi e per gli effetti di cui in motivazione.
Compensa le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 dicembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Giancarlo Montedoro – Presidente
Vincenzo Lopilato – Consigliere
Luigi Massimiliano Tarantino – Consigliere
Alessandro Maggio – Consigliere
Michele Pizzi – Consigliere, Estensore

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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