Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|16 gennaio 2024| n. 1615.
In caso di frazionamento della proprietà di un edificio comune in distinte unità immobiliari
In caso di frazionamento della proprietà di un edificio comune in distinte unità immobiliari, a seguito dell’attribuzione in sede di esecuzione forzata, si determina una situazione di condominio per la quale vige la presunzione legale pro indiviso di quelle parti del fabbricato che, per ubicazione e struttura, siano – in tale momento costitutivo del condominio – funzionali all’uso comune (art. 1117 c.c.); presunzione che può essere superata soltanto ove risulti nel primo decreto con il quale il giudice trasferisce all’aggiudicatario un lotto del bene espropriato, ripetendo la descrizione dell’immobile contenuta nell’ordinanza che dispone la vendita, una chiara ed univoca volontà di riservare esclusivamente ad uno degli aggiudicatari dei distinti lotti la proprietà delle suindicate parti.
Ordinanza|16 gennaio 2024| n. 1615. In caso di frazionamento della proprietà di un edificio comune in distinte unità immobiliari
Data udienza 21 dicembre 2023
Integrale
Tag/parola chiave: Comunione dei diritti reali – Condominio negli edifici (nozione, distinzioni) – Parti comuni dell’edificio – Presunzione di comunione – In genere unico edificio soggetto a frazionamento in seguito ad espropriazione forzata – Costituzione di condominio – Conseguenza – Presunzione di comproprietà – Limiti.
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta da:
Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere
Dott. PAPA Patrizia – Consigliere
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere – Rel.
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 28984/2020 R.G. proposto da: Fi.Ba., elettivamente domiciliata in ROMA (…), presso lo studio dell’avvocato BA. GI., rappresentata e difesa dall’avvocato PA. PA.
– ricorrente –
contro
Ri.Fr., rappresentato e difeso dall’avvocato D’A. SA.
– controricorrente –
nonché contro
Gr.Ca., Ri.El., Ri.Ra., De.Fr.
-intimati-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di NAPOLI n. 2911/2020 depositata il 25/08/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/12/2023 dal Consigliere ANTONIO SCARPA.
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FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Fi.Ba. ha proposto ricorso articolato in sei motivi avverso la sentenza n. 2911/2020 della Corte d’appello di Napoli depositata il 25 agosto 2020.
Resiste con controricorso Ri.Fr..
Gli altri intimati Gr.Ca., Ri.El., Ri.Ra. e De.Fr. non hanno svolto difese.
2. La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, comma 2, 4-quater, e 380-bis.1, c.p.c.
La ricorrente e il controricorrente Ri.Fr. hanno depositato memorie.
3. Il Tribunale di Benevento con ordinanza pronunciata il 9 marzo 2015 accolse parzialmente il ricorso ex art. 702-bis c.p.c. con il quale i coniugi Gr.Ca. e Ri.Fr. avevano convenuto Fi.Ba. (proprietaria) e De.Fr. (conduttore) affinché fosse accertata la comproprietà vantata dagli attori sulla p.lla (Omissis) NCEU di A I ed ordinato ai convenuti la rimozione della catena posta a chiusura dell’area comune. Il Tribunale rigettò la domanda principale di accertamento del diritto di comproprietà sulla corte comune, annullò la scrittura privata intercorsa tra Gr.Ca. e Fi.Ba. senza la partecipazione del coniuge Ri.Fr. in comunione legale, condannò la Fi.Ba. unitamente al De Gennaro alla rimozione della catena con lucchetto apposta a chiusura della corte individuata alla controversa p.lla (Omissis).
La Corte d’appello di Napoli ha poi accolto l’appello principale di Fi.Ba. limitatamente al quarto motivo, revocando la condanna della stessa Fi.Ba. a rimuovere la catena ed il lucchetto; ed ha altresì accolto l’appello incidentale di Ri.Gi. e per l’effetto ha dichiarato che gli immobili distinti al NCEU di A I al f. (Omissis) p.lla (Omissis) e p.lla (Omissis) sono comuni pro indiviso ai beni distinti al f. Omissis (appartamento) e p.lla Omissis (autorimessa).
4. Va premesso che il ricorso di Fi.Ba. si sviluppa in quarantotto pagine, che neppure rispettano caratteri, dimensioni ed interlinea raccomandati nel Protocollo d’ intesa tra la Corte di Cassazione e il Consiglio Nazionale Forense in merito alle regole redazionali dei motivi di ricorso in materia civile e tributaria del 17 dicembre 2015. La particolare ampiezza del ricorso – pur non trasgredendo alcuna prescrizione formale di ammissibilità – collide con l’esigenza di chiarezza e sinteticità dettata dall’obiettivo di un processo celere, non essendo neppure proporzionale alla complessità giuridica o all’importanza economica delle fattispecie affrontate (si veda Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, sentenza 28 ottobre 2021 – Ricorso n. 55064/11 e altri 2 – Succi e altri contro Italia).
Nella redazione della presente ordinanza si farà perciò sintetico rinvio per relazione ai motivi ed agli argomenti contenuti negli atti di parte.
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5. Il primo motivo del ricorso di Fi.Ba. – da pag. 10 a pag. 17 – deduce la violazione degli artt. 112, 330 e 115 c.p.c. La ricorrente lamenta una “distorta e travisata rappresentazione della vicenda processuale”, laddove erroneamente la Corte di appello, nell’esposizione delle “Ragioni di fatto e di diritto della decisione”, afferma che la stessa Fi.Ba. avesse introdotto, nel giudizio di primo grado, domanda riconvenzionale e che i coniugi Ri.Gr. avessero svolto una reconventio reconventionis, collegata alla detta domanda riconvenzionale. Secondo la ricorrente, di contro, la domanda riconvenzionale, come riportato nell’ordinanza di primo grado, è stata presentata dai coniugi Ri.Gr. “in conseguenza della eccezione fondata sulla scrittura privata esibita dalla Fi.Ba., perché la stessa fosse annullata per violazione dell’art.
184 C.C. … “, laddove, anche il giudice del gravame ha deciso disattendendo la descrizione del fatto, le conclusioni riportate in ricorso e richiamate nei successivi atti difensivi, e ripresentate in appello dal solo Ri.Gi. (entrambi i coniugi non mettono in discussione il diritto di proprietà della signora Fi.Ba., ma vantano sulla detta corte in lite un diritto di comproprietà in capo alla Gr.Ca., di cui chiedono l’accertamento), con insufficiente e contraddittoria motivazione sull’accertamento del diritto di proprietà anche in capo alla Fi.Ba., così violando il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, mediante indagine che esulava dall’oggetto del giudizio in assenza di domanda proposta in tal senso, con violazione dei limiti soggettivi ed oggettivi della domanda.
La censura, nella sostanza, evidenzia più volte che la Fi.Ba. non aveva introdotto alcuna domanda riconvenzionale, che la Gr.Ca. non aveva proposto appello e che era necessaria la sospensione del processo per la connessione con il giudizio R.G. n. 4593/2014 del Tribunale di Benevento, avente ad oggetto l’annullamento della scrittura privata.
5.1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile. Esso si sostanzia in una critica generica della sentenza impugnata, formulata sotto una molteplicità di profili tra loro confusi e inestricabilmente combinati, non collegabili ad alcuna delle fattispecie di vizio enucleata dall’art. 360, comma 1, c.p.c.
Aver qualificato domanda riconvenzionale, anziché eccezione riconvenzionale (di proprietà esclusiva), una difesa, o aver qualificato come appellante chi non abbia appellato, non determina alcuna nullità della sentenza, sicché il vizio ipotizzato si risolve in una semplice imperfezione formale, a meno che non sia dimostrato che i giudici del merito non abbiano ben esercitato il loro potere-dovere di inquadrare
nella esatta disciplina giuridica i fatti e gli atti che formano oggetto della contestazione, senza cioè travalicare il limite del rispetto del “petitum” e della “causa petendi”, ovvero senza trasgredire al divieto di introduzione di nuovi elementi di fatto nel tema controverso, il che avviene soltanto quando risulti emesso un provvedimento diverso da quello richiesto, oppure attribuito o negato un bene della vita diverso da quello conteso.
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Infine, la sospensione del processo presuppone che il rapporto di pregiudizialità tra due cause sia concreto ed attuale, nel senso che la causa ritenuta pregiudiziale deve essere tuttora pendente, sicché è onere del ricorrente provare che la causa asseritamente pregiudicante sia pendente e resti presumibilmente tale sino all’accoglimento del ricorso, mancando, in difetto, la prova dell’interesse concreto e attuale all’impugnazione (tra le tante, Cass. n. 26716 del 2019).
6. Il secondo motivo del ricorso di Fi.Ba. – da pag. 17 a pag. 28 – deduce l’errore di applicazione degli artt. 180 c. c., 210 ultimo comma c.c. e 333 c.p.c. sulla legittimazione ad impugnare del solo Ri.Gi, mediante proposizione di appello incidentale, presentato in contrasto con la difesa di Gr.Ca., che, di contro, ha espressamente richiesto la conferma integrale dell’ordinanza, rinunciando alla proposizione dell’appello incidentale, anche per violazione del disposto di cui all’art. 329 c.p.c., del principio di solidarietà e del principio di uguaglianza degli artt. 2 e 3 della Costituzione, ed ancora vizio della motivazione, nella parte in cui esclude di applicare l’effetto proprio della mancata impugnazione (acquiescenza espressa) della signora Gr.Ca., che ha deciso di presentare domanda autonoma e in contrasto con quella del coniuge Ri., pur essendo unico il centro di interessi ovvero la comunione legale, applicando erroneamente il generico principio di rito sulla legittimazione ad impugnare.
6.1. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
In presenza di immobile facente parte di una comunione legale coniugale, opera l’art. 180, comma 1, c.c., a norma del quale la rappresentanza in giudizio per gli atti relativi all’amministrazione dei beni della comunione spetta ad entrambi i coniugi e, quindi, ciascuno di essi è legittimato ad esperire qualsiasi azione, e nella specie le azioni di carattere reale dirette alla tutela della proprietà o del godimento dell’immobile o all’uso delle parti comuni, senza che sia indispensabile la partecipazione al giudizio dell’altro coniuge, non vertendosi in una ipotesi di litisconsorzio necessario (arg. da Cass. n. 27772 del 2023; n. 19435 del 2021; n. 18123 del 2013; n. 4856 del 2009; n. 22891 del 2007; n. 75 del 2006). D’altro canto, proprio perché ciascuno dei comproprietari pro indiviso della unità immobiliare ha autonoma legittimazione ad agire a tutela della proprietà comune, nessun rilievo come dissenso preclusivo del diritto di azione individuale può ravvisarsi, come si suppone dalla ricorrente, nella circostanza che alcuno dei comproprietari abbia prestato acquiescenza alla decisione intervenuta in primo grado, che era peraltro consistita, nella specie, nell’accoglimento parziale della originaria domanda congiuntamente spiegata. Diversa questione è quella se l’accoglimento dell’impugnazione proposta dal singolo comproprietario e, dunque, il giudicato favorevole alla comunione avvantaggino comunque tutti i contitolari del rapporto sostanziale (arg. da Cass. Sez. unite 13 novembre 2013, n. 25454).
7. Il terzo motivo del ricorso di Fi.Ba. – da pag. 28 a pag. 38 – denuncia la violazione degli artt. 112, 115, 116 c.p.c. e degli artt. 817, 818 e 1117 c.c.; si deduce l’errata decisione della Corte di appello di Napoli sul secondo motivo di appello con il quale si sosteneva che “del tutto erroneamente, il Tribunale di primo grado
adito disattendeva i motivi del ricorso introdotto dai coniugi Ri.Gr., laddove il fatto costitutivo del diritto fatto valere da parte ricorrente (la causa petendi dell’azione) è l’accertamento del diritto di comproprietà e non di altro diritto reale, in forza del quale l’apposizione della catena sarebbe dovuta risultare illegittimamente eseguita, addebitando, tra l’altro, anche all’appellante la condanna alla rimozione della catena”. La Corte d’appello ha ritenuto accertato il diritto di comproprietà in capo a Ri.Gi, quale coniuge di Gr.Ca., contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di primo grado e, senza alcuna motivazione, ha considerato probante ai fini del riconoscimento del vantato diritto la documentazione prodotta in atti, quando di contro il primo giudice aveva categoricamente escluso che le risultanze probatorie comprovassero la comproprietà dei coniugi Ri.Gr., e riconosciuto loro la titolarità di diritti reali, benché non meglio individuati.
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Il quarto motivo del ricorso di Fi.Ba. – da pag. 38 a pag. 43 -lamenta l’errore di applicazione degli artt. 1362, 1363, 1364, 1366, 1368, 1369 e 1371 c.c., nonché dell’art. 115 c.p.c., in quanto la Corte d’appello, “esaminando il bando di vendita, che è la pietra miliare, fonte ed oggetto del contratto (compravendita all’asta giudiziaria) e la cronologia delle vendite (la Fi.Ba. ha acquistato e trascritto per prima)”, ha violato le “norme afferenti l’interpretazione del contratto”; ancora, si deduce che vi sarebbe “vizio della motivazione nel punto in cui la Corte di appello riconosce il diritto (comproprietà) in capo al sig. Ri.Gi, quale coniuge di Gr.Ca., contrariamente a quanto accertato dal giudice di primo grado, che rappresenta un chiaro travisamento della prova in contraddizione con lo specifico atto processuale qual è l’interpretazione del contratto, in riferimento alle prove legali”.
Il quinto motivo di ricorso – da pag. 43 a pag. 45 – lamenta l’errore di applicazione delle norme dell’art. 1117 c.c., per assenza dei requisiti, e il “chiaro travisamento della prova in contraddizione con lo specifico atto processuale”.
7.1. Il terzo, il quarto ed il quinto motivo del ricorso di Fi.Ba. vanno esaminati congiuntamente per la loro connessione.
Essi rivelano diffusi profili di inammissibilità:
a) sono volti a contrastare la valutazione delle risultanze probatorie operata dalla Corte d’appello in base al “suo prudente apprezzamento” (art. 116 c.p.c.);
b) postulano un diverso accertamento dei fatti storici, nel senso propugnato dalla ricorrente ed in adesione alla sentenza di primo grado, ed invitano la Corte di cassazione a procedere ad un accesso diretto agli atti delle pregresse fase e ad una loro rinnovata delibazione, così da riesaminare nel giudizio di legittimità le fonti del convincimento dei giudici di appello, apprezzare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza e scegliere, tra le risultanze istruttorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione;
c) invocano l’applicabilità del regime delle pertinenze di cui all’art. 818 c.c., che è estraneo alla ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale ha qualificato il contesto proprietario, all’esito del frazionamento operato nel procedimento esecutivo, come condominio edilizio, per il quale opera, quindi, la presunzione di comproprietà, stabilita dall’art 1117 c.c. in ordine alle parti del complesso immobiliare la cui destinazione all’uso collettivo risulti da elementi oggettivi e, cioè, dall’attitudine funzionale della res al godimento comune, laddove le pertinenze di cui all’art. 817 c.c., per contro, suppongono due “cose” che mantengono la loro identità, e che sono
non congiunte fisicamente, quanto combinate in forza di una “destinazione durevole” (cioè, di una destinazione non episodica, ma comunque temporanea) al servizio o all’ornamento l’una dell’altra.
7.2. La sentenza della Corte d’appello di Napoli reca le seguenti argomentazioni rilevanti per individuare e comprendere le ragioni, in fatto e in diritto, della decisione:
“nel caso che ci occupa, l’esame della documentazione propedeutica all’adozione del decreto di trasferimento in ordine alle p.lla (Omissis)) – appartamento al piano terra – e sub 7) – autorimessa – con riferimento alle residue p.lle (Omissis) sub 1 (locale caldaia) e sub 3 (corte comune) lungi dal consentire l’accertamento della comproprietà sulla controversa corte, aveva portato il Giudicante a concludere che sui citati locali entrambe le parti vantassero dei diritti reali pur se non era dato sapere con certezza se essi potessero qualificarsi come diritto di proprietà in comune e pro indiviso.
(…) Pertanto qualora il titolo non fornisca elementi sufficienti per individuare la natura condominiale o pertinenziale di una porzione di fabbricato rispetto a quelle parti in proprietà esclusiva a diversi soggetti, in mancanza del titolo, dovrà trovare applicazione la presunzione di comunione ex art. 1117, comma 1, c.c. tenuto conto delle caratteristiche strutturali e funzionali da intendere come destinazione oggettiva (anche solo potenzialmente) all’uso comune o all’esercizio di un servizio di interesse comune (…) . Ebbene, nel caso in esame mette conto precisare che in origine i due immobili distinti alle p.lla (Omissis) appartenevano ad un unico proprietario sicché il cortile (Omissis) ed il locale caldaia (sub 1) erano funzionalmente posti al servizio dell’intera porzione di fabbricato costituito nel suo insieme dall’appartamento al piano terra e relativa pertinenza (autorimessa).
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Solo il fine di accrescerne l’appetibilità commerciale e la possibilità della loro collocazione, anche separata, sul mercato immobiliare, ha determinato l’esperto stimatore, nominato nella procedura esecutiva promossa in danno dell’originario proprietario, a procedere al loro frazionamento in due unità immobiliari distinte. Invero il Giudice di prime cure ha rigettato la domanda volta a far dichiarare la comproprietà tra le parti in causa sulla p.lla (Omissis) del f. 15. Il CTU nella sua relazione di stima, nel descrivere il lotto n. 9 (costituito dai beni controversi e precisamente quelli distinti al f. 15 dalla p.lla (Omissis), quest’ultimo frazionato in sub 6 (appartamento piano terra) e sub 7 (autorimessa) a seguito di denuncia di variazione catastale presso l’Agenzia per il Territorio di Avellino del 23/07/1993, precisa che sia il subalterno 6 che il 7 vantano diritti sui beni sub 3 (corte) e sub 1(caldaia).
Eguale locuzione viene riportata nell’ordinanza di vendita del 12/07/2007 e ritrascritta nel decreto di trasferimento del 27/01/12.
Occorre ora capire cosa intendesse dire il Giudice dell’Esecuzione. Premesso che, secondo i principi generali, con la proposizione dell’appello la causa passa alla piena cognizione del giudice superiore, ancorché nei limiti dei “motivi specifici”, questo Collegio, alla luce dell’appello incidentale, è chiamato a pronunciarsi sull’originaria domanda di accertamento della comproprietà sulla p.lla (Omissis) sub 3 f. 15 a NCEU di A I.
Ritiene la Corte che i beni distinti con le p.lle (Omissis) sub 3 e (Omissis) sub 1 appartengano in comune e pro indiviso ai proprietari delle p.lle (Omissis) sub 6 (appartamento) e sub 7 (autorimessa).
A tale conclusione si perviene in virtù delle seguenti osservazioni:
1) i beni distinti con i sub 6 e 7, aggiudicati separatamente a soggetti diversi, costituivano in origine un unico bene ove l’autorimessa (sub 7) era legata da vincolo pertinenziale all’appartamento al piano terra così come la corte ed il locale caldaia, e tutti funzionalmente connessi al godimento dei locali destinati a civile abitazione. Ne segue che, separato il nucleo principale e prevalente dei beni (appartamento ed autorimessa) rispetto a ciascuno di essi la corte ed il locale caldaia hanno mantenuto il rapporto di pertinenzialità finalizzato a migliorarne e consentirne il godimento;
2) la locuzione “con diritti” viene riportata sia con riguardo al cortile che al locale caldaia, in tal modo dovendosi intendere diritti comuni di proprietà; se invece si fosse trattato di diritti diversi (servitù, uso,) essi sarebbero stati espressamente precisati e distinti poiché per loro natura le due porzioni d’immobile hanno destinazione diversa, il primo per il transito, il secondo per l’allocazione della caldaia;
3) non di poco conto è il tenore letterale della scrittura privata sottoscritta dalle parti, non disconosciuta né nel contenuto né nella firma, ove è scritto: “Fi.Ba. concorda di rinunciare al diritto di passaggio per raggiungere la centrale termica (locale caldaia) sub 1 rendendola così esclusiva a sub 5 (altra porzione d’immobile acquisito dalla Gr.Ca. e non oggetto di causa), mentre la sig.ra Gr.Ca. concorda di autorizzare la realizzazione di un cancello per l’accesso alla p.lla (Omissis) (corte esclusiva) lasciando in comune a Gr.Ca. il diritto di passaggio sulla p.lla (Omissis) esattamente lo spazio antistante il garage di Gr.Ca.” Il fatto che con essa le parti siano addivenute alla divisione delle aree comuni, consente di ritenere che entrambe fossero ben consapevoli di avere acquistato in comune e pro indiviso la p.lla (Omissis)).
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4) con la subordinata della reconventio reconventionis i ricorrenti Ri.Gr. suggeriscono di considerare la scrittura privata in parola quale mera autorizzazione dalla medesima concessa alla Fi.Ba. per l’allocazione del cancello; se le parti fossero stati effettivamente consapevoli che il cortile appartenesse in via esclusiva alla Fi.Ba., quest’ultima non avrebbe avuto necessità di alcun permesso da parte della Gr.Ca. per chiudere il proprio cortile non essendo legittimata quest’ultima a transitare sulla corte tranne che per la limitata porzione posta innanzi all’autorimessa che consente di accedere alla strada;
5) la decisione del giudice di primo grado si è risolta essenzialmente in un non liquet consentendo il permanere tra le parti lo stato d’incertezza fonte della loro litigiosità, mentre è compito del Giudice, in qualunque grado rispondere alla domanda di giustizia.
Ne segue che in accoglimento dell’appello incidentale, va dichiarato che i proprietari degli immobili distinti al f. 15 p.lle (Omissis) vantano su quelle ai sub 3) e 1) il diritto di proprietà comune e pro indiviso.
È chiaro che una volta accolta la domanda originariamente formulata in primo grado è venuta meno l’incongruenza contenuta sul punto nella sentenza censurata sicché l’ordine di rimozione della catena con il lucchetto segue logicamente il dictum giudiziale (…)”.
7.3. Nelle censure esposte da pagina 28 a pagine 45 il ricorso insiste nel sottolineare come in nessun atto dell’esecuzione immobiliare, che portò i contendenti all’acquisto dei rispettivi lotti, fosse riportata per il sub 3 la “dicitura corte comune” ai sub. 6 e 7, ed evidenzia che occorreva interpretare cosa aveva acquistato all’asta la signora Fi.Ba. e cosa avevano acquistato i coniugi Ri.Gr.
Così la ricorrente incorre in un erroneo presupposto ermeneutico sulla portata dell’art. 1117 c.c.
7.4. La Corte d’appello di Napoli ha affermato la condominialità della particella (Omissis) sub. 3 sulla base di una ricostruzione dei fatti di causa operata in via inferenziale dall’apprezzamento delle risultanze istruttorie.
La causa verte su di un cortile che i giudici del merito hanno qualificato parte comune, ai sensi dell’art. 1117 c.c., rispetto alle unità immobiliare di proprietà esclusiva delle parti, contraddistinte come (Omissis) sub 6 (appartamento) e sub 7 (autorimessa).
Per consolidata interpretazione giurisprudenziale, viene intesa come cortile, ai fini dell’inclusione nelle parti comuni dell’edificio elencate dall’art. 1117 c.c., qualsiasi area scoperta compresa tra i corpi di fabbrica di un edificio o di più edifici, che serva a dare luce e aria agli ambienti circostanti, o che abbia anche la sola funzione di consentirne l’accesso (Cass. n. 3739 del 2018, tra le tante).
Al medesimo regime del cortile, espressamente contemplato dall’art. 1117, n.1, c.c. tra i beni comuni, salvo specifico titolo contrario, rimane sottoposto altresì il cavedio – altrimenti denominato chiostrina, vanella o pozzo luce -, e cioè il cortile di piccole dimensioni, circoscritto dai muri perimetrali e dalle fondamenta dell’edificio comune, destinato prevalentemente a dare aria e luce a locali secondari, quali ad esempio bagni, disimpegni, servizi (Cass. n. 4350 del 2000).
La presunzione legale di comunione, stabilita dall’art. 1117 c.c., si reputa inoltre operante anche nel caso di cortile strutturalmente e funzionalmente destinato al servizio di più edifici limitrofi ed autonomi, tra loro non collegati da unitarietà condominiale (così, ad esempio, Cass. n. 14559 del 2004; n. 1619 del 1972).
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Non ha alcun rilievo, per dare risposta alle questioni oggetto di lite, verificare se il diritto di condominio sul cortile fosse o meno menzionato nei titoli di acquisto delle parti.
L’individuazione delle parti comuni di un condominio edificio, come appunto i cortili, risultanti dall’art. 1117 c.c., non opera con riguardo a cose che, per le loro caratteristiche strutturali, risultino destinate oggettivamente al servizio esclusivo di una o più unità immobiliari (cfr. Cass. Sez. Unite, n. 7449 del 1993).
Era quindi decisivo accertare, mediante apposito apprezzamento di fatto, se l’obiettiva destinazione primaria del cortile di causa a dare aria, luce ed accesso sia volta al servizio esclusivo di una delle unità immobiliari comprese nel contesto immobiliare per cui è causa. A tale verifica hanno provveduto i giudici di appello, per dire poi applicabile la disciplina del condominio degli edifici, di cui agli artt. 1117 c.c. e ss., con riguardo al rapporto corrente fra le porzioni di proprietà esclusiva (Omissis) sub 6 e sub 7 e il cortile interno sub 3. Tale rapporto implica la relazione di accessorietà necessaria che, al momento della formazione del condominio (qui risultante dal frazionamento dell’unico immobile nel corso della procedura esecutiva e coincidente con la pronuncia del primo decreto di trasferimento relativo ai due lotti aggiudicati), legava la corte sub 3 (inserita tra le parti comuni -se il contrario non risulta dal titolo – dall’art. 1117 c.c.) alla individuata porzione di proprietà singola.
Trovando perciò applicazione l’art. 1117 c.c., bisogna considerare che tale norma non si limita a formulare una mera presunzione di comune appartenenza a tutti i condomini, vincibile con qualsiasi prova
contraria, potendo essere superata soltanto dalle opposte risultanze di quel determinato titolo che ha dato luogo alla formazione del condominio per effetto del frazionamento dell’edificio in più proprietà individuali. La situazione di condominio, regolata dagli artt. 1117 e seguenti del Codice civile, si attua, infatti, sin dal momento in cui si opera il frazionamento della proprietà di un edificio, a seguito del trasferimento della prima unità immobiliare suscettibile di separata utilizzazione dall’originario unico proprietario ad altro soggetto.
Le censure articolate dalla ricorrente avrebbero rivelato consistenza se, individuato l’atto di frazionamento dell’iniziale unica proprietà, da cui si generò la situazione di condominio edilizio (con correlata operatività della presunzione ex art. 1117 c.c. di comunione “pro indiviso” di tutte quelle parti del complesso che, per ubicazione e struttura, fossero – in tale momento costitutivo del condominio -destinate all’uso comune o a soddisfare esigenze generali e fondamentali del condominio), avessero in detto titolo originario rinvenuto ed allegato l’esistenza di una chiara ed univoca volontà di riservare esclusivamente alla unità immobiliare di proprietà esclusiva Fi.Ba. la titolarità del cortile. Altrimenti, una volta sorta la comproprietà delle parti comuni dell’edificio indicate nell’art 1117 c.c., per effetto della trascrizione dei singoli atti di acquisto di proprietà esclusiva – i quali comprendono pro quota, senza bisogno di specifica indicazione, le parti comuni – la situazione condominiale è opponibile ai terzi (Cass. n. 3852 del 2020).
7.5. In definitiva può enunciarsi il seguente principio:
in caso di frazionamento della proprietà di un edificio comune in distinte unità immobiliari, a seguito dell’attribuzione in sede di esecuzione forzata, si determina una situazione di condominio per la quale vige la presunzione legale “pro indiviso” di quelle parti del fabbricato che, per ubicazione e struttura, siano – in tale momento costitutivo del condominio – funzionali all’uso comune (art. 1117 c.c.), qual è il cortile strutturalmente e funzionalmente destinato al servizio di più edifici limitrofi. Tale presunzione può essere superata soltanto ove risulti nel primo decreto con il quale il giudice trasferisce all’aggiudicatario un lotto del bene espropriato, ripetendo la descrizione dell’immobile contenuta nell’ordinanza che dispone la vendita, una chiara ed univoca volontà di riservare esclusivamente ad uno degli aggiudicatari dei distinti lotti la proprietà del cortile.
7.5.1. È insindacabile in cassazione la valutazione effettuata dalla Corte d’appello di Napoli che, sulla base degli anzidetti provvedimenti, è pervenuta all’identificazione dei beni trasferiti agli aggiudicatari, giacché sorretta da motivazione adeguata e scevra di errori di logica e di diritto.
7.6. Avendo i giudici del merito accertato con le specificate modalità di indagine il nesso di condominialità corrente tra il cortile e le porzioni di proprietà esclusiva, in assenza di esplicita riserva di titolarità individuale di tale bene nel primo atto traslativo, l’uso di esso deve trovare regolamentazione nella disciplina del condominio di edifici, la quale è costruita sulla base di un insieme di diritti e obblighi, armonicamente coordinati, contrassegnati dal carattere della reciprocità, che escludono la possibilità di fare ricorso alla disciplina in tema di servitù, presupponente, invece, fondi appartenenti a proprietari diversi, nettamente separati, uno al servizio dell’altro. In particolare, i condomini Gr.Ca., Ri.Fr. e Fi.Ba. hanno diritto di servirsi del cortile con le limitazioni poste dall’art. 1102 c.c., ovvero con il divieto di alterarne la destinazione e l’obbligo di consentirne un uso paritetico agli altri condomini.
8. Il sesto motivo del ricorso di Fi.Ba. lamenta l’errore di applicazione degli artt. 88, 91, 92 e 329 c.p.c., giacché la Corte d’appello, “pur in presenza di tutti gli elementi idonei ad una regolamentazione delle spese. in ragione non solo della parziale riforma dell’ordinanza in primo grado, ma, soprattutto, in applicazione del principio della soccombenza”, ha confermato quanto stabilito in sede di spese di lite dal giudice di primo grado e condannato Fi.Ba. al pagamento delle spese di secondo grado, nella misura di 2/3, in favore di ciascuno dei due coniugi appellanti, distintamente costituiti, nonostante il contrasto di domande e dell’intera linea difensiva; si denuncia, ancora, vizio della motivazione, nella parte in cui la sentenza impugnata ha escluso l’effetto proprio della mancata impugnazione (acquiescenza espressa) e l’effetto della soccombenza processuale della signora Gr.Ca., che aveva presentato “domanda autonoma e in contrasto con quella del coniuge Ri.Fr.”, “pur essendo unico il centro di interessi ovvero la comunione legale, applicando erroneamente il generico principio di rito sulla legittimazione ad impugnare. La ricorrente si è vista, così, condannata alle spese anche nei confronti della Gr.Ca. che non ha impugnato l’ordinanza, per lei passata in cosa giudicata.
8.1. Il sesto motivo di ricorso è infondato.
In caso di frazionamento della proprietà di un edificio comune in distinte unità immobiliari
Decidendo il secondo motivo, si è già detto circa l’assunta acquiescenza della Gr.Ca. e come l’accoglimento dell’impugnazione proposta dal singolo comproprietario (nella specie, di immobile facente parte di una comunione legale coniugale e disgiuntamente legittimato ai sensi dell’art. 180, comma 1, c.c.) e, dunque, il giudicato favorevole alla comunione possano avvantaggiare tutti i contitolari del rapporto sostanziale (arg. da Cass. Sez. unite 13 novembre 2013, n. 25454).
In presenza di immobile facente parte di una comunione legale coniugale, opera l’art. 180, comma 1, c.c., a norma del quale la rappresentanza in giudizio per gli atti relativi all’amministrazione dei beni della comunione spetta ad entrambi i coniugi e, quindi, ciascuno di essi è legittimato ad esperire qualsiasi azione, e nella specie le azioni di carattere reale dirette alla tutela della proprietà o del godimento dell’immobile o all’uso delle parti comuni, senza che sia indispensabile la partecipazione al giudizio dell’altro coniuge, non vertendosi in una ipotesi di litisconsorzio necessario (arg. da Cass. n. 27772 del 2023; n. 19435 del 2021; n. 18123 del 2013; n. 4856 del 2009; n. 22891 del 2007; n. 75 del 2006). D’altro canto, proprio perché ciascuno dei comproprietari pro indiviso della unità immobiliare ha autonoma legittimazione ad agire a tutela della proprietà comune, nessun rilievo come dissenso preclusivo del diritto di azione individuale può ravvisarsi, come si suppone dalla ricorrente, nella circostanza che alcuno dei comproprietari abbia prestato acquiescenza alla decisione intervenuta in primo grado. Diversa questione è quella se l’accoglimento dell’impugnazione proposta dal singolo comproprietario e dunque il giudicato favorevole alla comunione avvantaggino comunque tutti i contitolari del rapporto sostanziale (arg. da Cass. Sez. unite 13 novembre 2013, n. 25454).
La Corte d’appello di Napoli, “alla luce dell’esito complessivo della lite e procedendosi ad una nuova regolamentazione delle spese in ragione della sia pure parziale riforma della sentenza”, ha ritenuto di “confermare” la compensazione di un terzo delle spese di primo grado con condanna dei convenuti Fi.Ba. e De Gennaro al pagamento in solido della frazione residua e di condannare la sola Fi.Ba. al pagamento delle spese di secondo grado, sempre nella limitata misura dei 2/3, in favore di ciascuno dei due appellati distintamente costituitisi.
La riforma, anche parziale, della sentenza di primo grado determina sempre la caducazione del capo che ha statuito sulle spese di lite, sicché il giudice di appello ha il potere-dovere di rinnovare totalmente, anche d’ufficio, il regolamento di tali spese, alla stregua dell’esito finale della causa.
L’esito finale della lite ha visto accolta la domanda originaria dei coniugi Gr.Ca. e Ri.Fr. nei confronti di Fi.Ba., essendo stata accertata la comproprietà sulla p.lla (Omissis) sub c), Già in primo grado era stata comunque ordinata alla Fi.Ba. la rimozione della catena posta a chiusura dell’area.
In caso di frazionamento della proprietà di un edificio comune in distinte unità immobiliari
Non vi sono state, quindi, violazioni del principio della soccombenza ex art. 91 c.p.c., il quale va inteso nel senso che la parte vittoriosa non può essere condannata, neppure per una minima quota, al pagamento delle spese stesse, salvo il caso di accoglimento della domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa. Il giudice di merito può, tuttavia, tener conto del limitatissimo accoglimento della domanda per l’eventuale compensazione, totale, o parziale, delle spese, ove tale esito sia riconducibile ad una di quelle sopravvenienze relative al quadro di riferimento della controversia, che presentino la stessa, o maggiore, gravità ed eccezionalità delle situazioni tipiche espressamente previste dall’art. 92, comma 2, c.p.c., come si spiega nella motivazione della sentenza della Corte costituzionale n. 77 del 2018 (Cass. Sezioni Unite, nn. 27172, n. 32061 e n. 32906 del 2022).
La valutazione delle proporzioni della soccombenza reciproca e la determinazione delle quote in cui le spese processuali debbono ripartirsi o compensarsi tra le parti, ai sensi dell’art. 92, comma 2, c.p.c., rientrano, infine, nel potere discrezionale del giudice di merito, che resta sottratto al sindacato di legittimità, non essendo egli tenuto a rispettare un’esatta proporzionalità fra la domanda accolta e la misura delle spese poste a carico del soccombente (tra le tante, Cass. n. 2149 del 2014).
9. Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato, regolandosi secondo soccombenza le spese processuali, liquidate in dispositivo, in favore del controricorrente Ri.Fr., mentre non deve provvedersi al riguardo per gli altri intimati, i quali non hanno svolto attività difensive.
Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare le spese sostenute nel giudizio di cassazione dal controricorrente, che liquida in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 21 dicembre 2023.
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Depositata in Cancelleria il 16 gennaio 2024.
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